sabato 12 marzo 2016
Archeologia. Paleoambiente e interazioni culturali nella Sardegna meridionale dell’età del Ferro di Alfonso Stiglitz
Paleoambiente e interazioni
culturali nella Sardegna meridionale dell’età del Ferro
di Alfonso Stiglitz
Agli inizi del primo millennio
a.C. la Sardegna è caratterizzata da processi di cambiamento politico,
economico e sociale. Questo è dovuto al notevole sviluppo della società
nuragica tra Bronzo finale (XII-X sec. a.C.) e primo Ferro (IX-VII sec. a.C.).
L’arrivo dei fenici provoca dei cambiamenti di notevole complessità che
andranno analizzati zona per zona. In questo lavoro viene analizzato il Golfo
di Cagliari, nella Sardegna meridionale, con particolare attenzione al
paleoambiente.
Nel I millennio a.C. la Sardegna
è una terra con forti dinamiche ambientali legate ai processi di cambiamento
politico, economico e sociale che deriva dal notevole sviluppo della società
nuragica tra bronzo finale (XII-X sec. a.C.) e primo Ferro (IX-VII sec. a.C.),
dalla complessità delle identità culturalmente differenti presenti nell’isola,
dall’impatto dell’insediamento stabile dei Fenici, dall’introduzione del
fenomeno urbano e dal conseguente rapporto dialettico città/campagna (Stiglitz,
1997). Qualità delle risorse nel golfo di Cagliari Il grande golfo di Cagliari
posto all’estremità meridionale della maggiore pianura sarda, il Campidano, è
diviso in due da una penisola alla base della quale, alla fine dell’VIII sec.
a.C, si insediano i Fenici fondando il centro di Karalì, in uno spazio marino
oggi impaludato. Le grandi trasformazioni avvenute successivamente attestano
che
quello che oggi è una grande laguna in età nuragica e fenicia era un
profondo golfo marino (Ulzega-Hearty, 1986; Pecorini, 1986; F. Di Gregorio,
1996; Stiglitz, 2002; 2004, pp. 61, 70-71; Stiglitz, 2007a), con una situazione
geografica non molto diversa da quella andalusa nell’area tra Cadice e
Siviglia. Infatti, la laguna di Santa Gilla si rivela essere una formazione
storica legata al completamento della barra sabbiosa de La Playa e al
progressivo accumulo di materiale alluvionale provocato dagli apporti dei due
fiumi, Cixerri e Mannu, che provocano l’impaludamento del braccio di mare nel
quale sorge il centro fenicio. Completamento che appare realizzato in età
romana quando, nella prima metà del II sec. a.C., la città si sposta più a sud
nell’area del porto attuale, al di là del tombolo sabbioso (Tronchetti 1990, p.
57; Tronchetti 1992a, p. 13; Stiglitz, 2007a). Il golfo ha una posizione
notevole dal punto di vista geografico per la sua collocazione lungo la
naturale rotta mediterranea che unisce occidente e oriente e per l’essere il
naturale punto di sbocco delle ragguardevoli risorse ambientali della costa,
della pianura e dei monti. La costa si caratterizza soprattutto per le risorse
della pesca marina, in particolare il tonno, e per il sale. Le variazioni del
livello del mare conseguenti la fine della glaciazione di Würm hanno prodotto
il formarsi in età neolitica di saline naturali nello spazio tra il promontorio
(o isola) di Capo S. Elia e lo stagno di Molentargius, nello spazio oggi
occupato dallo stagno di Quartu (attuali saline di Cagliari). La pianura del
Campidano e le colline del Parte Olla, ampiamente dotate di risorse idriche,
hanno favorito vari tipi di coltivazioni orticole e cerealicole. Purtroppo
l’assenza di dati palinologici non permette allo stato attuale un’analisi più
puntuale dell’evoluzione dello sfruttamento agricolo tra il bronzo finale e
l’età del Ferro. Le risorse minerarie sono fondamentalmente suddivise nei due
spazi montani del sistema sulcitano a occidente e del Sarrabus a oriente,
entrambi caratterizzati da ricche risorse metallurgiche quali argento, piombo,
rame, ferro e zinco (Pietracarpina-brizzi 1987, passim). Parametri dell’insediamento
nuragico e fenicio Nell’VIII sec. a.C. l’arrivo dei Fenici nel Golfo di
Cagliari, attestato dai rinvenimenti di Nora (Tronchetti ed., 2000) e dai
materiali trovati, purtroppo ancora fuori contesto, nell’area della antica
Karalì (Chessa, 1986) e nei centri limitrofi tra i quali spiccano quelli di
Cuccuru Nuraxi, a Settimo San Pietro (Bernardini-Tore, 1987) e di San Sperate
(Ugas, 1993), avviene in una situazione di estrema complessità segnata da
processi di forte cambiamento che caratterizzano la società indigena tra la
fine del secondo e gli inizi del primo millennio a.C. mancano qui, a differenza
dell’area del Golfo di Oristano, segnali di una frequentazione orientale
precedente l’insediamento stabile, se non per quanto riguarda una più antica e
articolata presenza di materiali micenei dell’età del Bronzo (Bernardini,
1991). Nel bronzo finale (metà XII-X a.C.) la società nuragica, abbandonato il
sistema delle torri, si articola in un fitto insediamento fatto di villaggi en
plein air anche di grande estensione, spesso lontani dai nuraghi. Esemplari in
tal senso i numerosi villaggi nei territori di Assemini, Elmas, Monastir,
Settimo S. Pietro e Quartu Sant’Elena, per citare i più vicini alla città
(Santoni 1986; 1987). Un tipo di insediamento che spesso mantiene in vita i
villaggi delle precedenti epoche ma che segna irrimediabilmente il venir meno
della forma nuraghe, come architettura e come sistema sociale. L’area che vedrà
sorgere la città fenicia e punica di Karalì presenta, in quest’epoca, almeno
due centri. E’ questa la fase che vede il sorgere del pozzo sacro di Cuccuru
Nuraxi a Settimo San Pietro, trasformando il precedente nuraghe complesso
(Atzeni 1987). La successiva prima età del Ferro (IX - fine VIII a.C.) è
caratterizzata da una drastica trasformazione nell’insediamento nuragico,
infatti la maggior parte degli insediamenti del bronzo finale sembrano
attestare una “apparente interruzione di vita registrata sulla soglia dell’età
del ferro” (Santoni 1986, p. 85). Nell’area dove sorgerà Karalì alcuni
materiali sembrano indicare la prosecuzione dell’abitato in quest’epoca
(Tronchetti 1992b, p. 25) così come nel promontorio di Sant’Elia (Atzeni 1986,
p. 29). Molto interessante è l’accentramento nei pressi del golfo che
successivamente diverrà la laguna di Santa Gilla: centri sono presenti
nell’isolotto di Sa Illetta (Ugas-zucca 1984, p. 78 nota 50) e negli spazi
immediatamente retrostanti la linea di costa come a Decimoputzu (Ugas, 1990,
passim) e più all’interno a San Sperate (Ugas, 1993, passim) e a Monastir
(Santoni, 1987, p. 76; Ugas-zucca, 1984, pp. 21-31); particolarmente importanti
alcuni centri nell’ambito montano come quelli che hanno restituito i bronzi di
Monte Arcosu di Uta (Lilliu, 1966, passim) e di Monte Sa Idda di Decimoputzu (Ugas,
1990, p. 27). A oriente si segnalano i centri del territorio di Sinnai (manunza
2002, pp. 18, pp. 30-36) e Settimo San Pietro (Santoni 1986; 1987; 1992; Nuvoli
1989; Manunza 1994; 2002). La loro ubicazione suggerisce la ricerca del
controllo di alcune posizioni strategiche, quali quella de Sa Illetta al centro
di un golfo marino in una tipica soluzione “precoloniale” e quelle delle
colline dei centri limitrofi dove passava la via verso le aree fertili
orientali del Parte Olla e i metalli del Sarrabus e a occidente il controllo
della piana cerealicola e delle vie verso i metalli del sistema sulcitano. Con
l’orientalizzante antico (ultimo quarto dell’VIII – primo quarto del VII sec.
a.C.)la presenza fenicia nella città (Karalì) è accompagnata dall’insediamento
fenicio a Cuccuru Nuraxi (Bernardini-Tore 1987) , mentre il centro indigeno di
Sa Illetta pare non avere avuto più seguito come molti altri. Permangono, ma in
situazione ancora da definire, i centri nuragici di Monastir, San Sperate e
degli altri territori limitrofi nei quali viene ipotizzata la permanenza di
autonomia nuragica fino al VI sec. e il suo venir meno con l’impatto
cartaginese (Ugas, 1993, pp. 41-42). Paleoambiente e interazioni culturali
L’arrivo e l’insediamento stabile dei fenici sembra, pur nell’ancora
evanescente quadro materiale, posizionarsi a controllo della costa e delle vie
verso i metalli, ma anche ad assicurarsi alcune riserve strategiche quali
cereali e sale. Il loro arrivo si inserisce in un momento di profondo mutamento
della società nuragica che vede il deciso contrarsi di insediamenti nel
passaggio tra bronzo finale e primo Ferro. Un processo, questo, che trova
precisi riscontri nell’Oristanese dove appaiono abbandonati buona parte degli
insediamenti del bronzo finale (Stiglitz, 2007b). Sfuggono ancora i meccanismi
di questi processi e l’insediamento stabile dei Fenici sembra innestare un
processo di modifica e quindi di crisi nel sistema locale. Fenomeno più
evidente per ora nell’entroterra tharrense dove con il VII sec. a.C. scompaiono
le attestazioni di centri autonomi nuragici, con preferenza per la fase
iniziale di questo secolo (Stiglitz, 2007b). Nell’area cagliaritana l’assenza
di dati sullo strutturarsi della città tra VIII e inizi VII sec. a.C. non
permette di valutare appieno le modifiche strutturali del territorio, sebbene
la cessazione d’uso del pozzo sacro di Cuccuru nuraxi di Settimo San Pietro e
l’impiantarsi di strutture chiaramente fenicie nel suo abitato sembrano
indicare, anche qui, il momento di cambiamento. Un sintomo potrebbe
individuarsi, ad es. nell’abbandono improvviso del deposito di m. Idda alla
fine dell’VIII sec. (Ugas, 1990, p. 27), indice di cambiamenti in atto.
Rimangono per ora da valutare l’asserito perdurare di centri nuragici autonomi
fino alla fine del VI sec. a.C. come ad esempio il centro di San Sperate (Ugas,
1993, pp. 41-42), per il quale non si può escludere una più complessa
strutturazione legata all’espansione coloniale. Comunque sia le forti
accelerazioni socio-economiche avvenute tra il bronzo finale e il primo Ferro
incidono sul paesaggio locale attivando o, forse meglio, accelerando il
fenomeno di erosione dei terreni che aumentando la portata alluvionale dei
fiumi Cixerri e Mannu porterà alla chiusura del grande golfo trasformato nella
laguna di Santa Gilla e determinerà la morte della città fenicia, trasferita
altrove in età repubblicana.
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Mi scusi, Montalbano, spero di non abusare della sua cortesia chiedendele ancora un chiarimento su qualcosa che è per me di difficoltosa comprensione. Vengo al dunque. Stiglitz riguardo agli insediamenti nuragici scrive: "La loro ubicazione suggerisce la ricerca del controllo di alcune posizioni strategiche, quali quella de Sa Illetta al centro di un golfo marino in una tipica soluzione «precoloniale»" Quello che non riesco a comprendere è cosa davvero sia una "tipica soluzione «precoloniale»". Che lei sappia questa predisposizione era una prerogativa specifica dei sardi nuragici oppure è comune a molti altri popoli nel corso della storia? Che so, anche gli aztechi che aspettavano il ritorno del serpente piumato edificarono Tenochtitlan con una tipica soluzione precoloniale? Comunque sia, l'intento pre(e auto)coloniale dei sardi nuragici non deve essere andato molto a buon fine, visto che nel paragrafo seguente si legge: "Con l’orientalizzante antico (ultimo quarto dell’VIII – primo quarto del VII sec. a.C.)la presenza fenicia nella città (Karalì) è accompagnata dall’insediamento fenicio a Cuccuru Nuraxi (Bernardini-Tore 1987), mentre il centro indigeno di Sa Illetta pare non avere avuto più seguito come molti altri." Ecco Montalbano, qui un po' mi perdo, o almeno, ciò che capisco io è questo: a Sa Illetta i nuragici fondano un insediamento precoloniale ma i fenici lo snobbano e non ci mettono piede. E' così? Possibile allora che negli stessi luoghi molti secoli più tardi la capitale giudicale S. Igia venga fondata con gli stessi scopi? I pisani non la snobbarono.
RispondiEliminaUn'altra cosa poi volevo chiederle, ché mi risulta oscura. Ho anche riletto una seconda volta il post. Esistono o no delle prove archeologiche, non labili e opinabili indizi, sull'esistenza o meno di una Karalì fenicia, oppure la prova principale è che non poteva essere altrimenti? Insomma dove la fondarono i fenici la loro amena Kalarì, a Settimo San Pietro?
Sono certo che Alfonso Stiglitz, che segue questo nostro quotidiano, risponderà volentieri alle sue osservazioni. Da parte mia, ho una visione della frequentazione umana dei siti che mette in primo piano l'offerta di beni e servizi utili alla sopravvivenza, e la sua "sicurezza", ossia la possibilità di vivere più pacificamente possibile. Nei miei studi ho approfondito soprattutto i traffici commerciali e la nautica, e ho valutato gli scontri armati seguendo un concetto ben preciso: "la storia la scrivono i vincitori", pur se con qualche eccezione. Questo dato è un invito alla riflessione, perché non sempre le vicende sono arrivate a noi senza manipolazioni o errori. La colonizzazione di cui si parla (quella fenicia per intenderci) è, dai più, considerata secondo un'idea commerciale e non militare.
RispondiEliminaGentile Mialinu
RispondiEliminaSe avrà notato ho usato il termine “precoloniale” tra virgolette perché non lo condivido (come in generale tutti i termini che contengono i prefissi pre/post), posso anche aggiungere che non condivido neanche il termine orientalizzante, che ho usato nel testo semplicemente come fase cronologica (oggi dopo la proposta di Alessandro Usai uso il termine di “secondo ferro”, decisamente più neutro). L’utilizzo di “precoloniale” va inserito nel contesto in cui ho presentato il lavoro pubblicato da Pierluigi, il congresso che si è tenuto a Cadice nel 2005, ancorché pubblicato quasi 10 anni dopo. All’epoca era in corso un forte dibattito scientifico sul termine ‘precoloniale’, molto contestato e fortunatamente ormai desueto. L’ho semplicemente usato in termini cronologici per indicare quella fase che oggi in modo più corretto e sapendone di più, chiamiamo Primo Ferro. Nel caso più specifico la “tipica soluzione «precoloniale»" indica il collocamento geografico di centri aperti ai rapporti commerciali in luoghi di contatto costieri, spesso su un’isola o su un promontorio.
In merito alla seconda domanda “Esistono o no delle prove archeologiche, non labili e opinabili indizi, sull'esistenza o meno di una Karalì fenicia”, oppure la prova principale è che non poteva essere altrimenti?” Il problema è che non esistono “prove archeologiche, non labili e opinabili indizi,” neanche sull'esistenza o meno di una Cagliari nuragica. Per questa fase, del primo e del secondo Ferro, a Cagliari ci muoviamo su brandelli di dati e non siamo in grado di stabilire cosa ci fosse realmente: al di là di pochi materiali nuragici, fenici e greci di VIII-VII sec., oltre a un pezzo di muro di fine VII sec. Quindi è difficile dire cosa fosse Cagliari a quell’epoca, salvo ubicare nell’area di via Brenta un qualche insediamento di natura ed estensione ignota, connesso con uno scalo marittimo. Il problema è ancora di difficilissima soluzione, in assenza di scavi.
Dalla fine del VI sec. in poi abbiamo la certezza, invece, di un centro urbano strutturato di cultura fenicia e di epoca punica.
Alfonso Stiglitz
Articolo molto interessante. Da semplice lettore e da non esperto e senza alcuna intenzione polemica pongo la seguente domanda a cui non riesco a rispondere cogliendo l'occasione data da questo articolo.
RispondiEliminaÈ opportuno parlare ancora di cultura o civiltà nuragica dopo la fine del bronzo visto che la costruzione dei nuraghi si interrompe e lo sviluppo abitativo si slega dal nuraghe?
Quali indizi di continuità culturale abbiamo per indicare che la civiltà nuragica sia se pur in mutamento ancora la matrice di tutto quello che osserviamo nel periodo del ferro?
Non è possibile magari del tutto teoricamente che fra la fine del bronzo e l'inizio del ferro in Sardegna non ci sia stata la fine della civiltà nuragica e quello che osserviamo dopo sia qualcosa del tutto differente?
La domanda non è se o meno siano da considerarsi sardi gli abitanti dei villaggi del ferro, ovviamente lo sono. La domanda è se sono nuragici.
Su questa domanda è in corso un profondo dibattito in ambito scientifico, una parte degli studiosi, infatti, ritiene che il nuragico si concluda con il Bronzo finale e che l’epoca successiva (fase finale del Bronzo finale, scusi l’orrore lessicale, ed età del Ferro) vada definita in altro modo; se non ricordo male è stato Vincenzo Santoni a proporre il termine post-nuragico, accettato da alcuni, ma è quasi del tutto scomparso, anche perché non risolve il problema, ma si limita a spostarlo. In effetti, poi, non esiste un taglio netto tra la fase del Bronzo e quella del primo Ferro e i cambiamenti anche radicali, soprattutto in campo sociale, ed economico, che si portano dietro tutti gli altri cambiamenti, compreso l’abbandono della forma architettonica del nuraghe, non sono tali da troncare i rapporti con le fasi precedenti. Cambiamenti decisamente più radicali si hanno invece nella fase del secondo Ferro, quando tra la fine dell’VIII secolo e tutto il VII, in qualche area anche inizi VI, scompaiono tutti gli indicatori materiali che definiamo nuragici, che vengono sostituiti, in alcuni casi progressivamente, in altri più rapidamente, con quelli che definiamo fenici. In questo momento possiamo dire che il termine nuragico non ha più alcuna funzione e personalmente ho indicato come più appropriato il termine sardi (in senso proprio e non geografico).
RispondiEliminaMa il problema di fondo nasce dal fatto che il termine “nuragico” è un nome moderno inventato per definire coloro che realizzarono i nuraghi; inventato in un momento in cui si conosceva poco di questa società e il tutto si riduceva alle torri; man mano si è visto che la società nuragica comprendeva fasi distinte in cui solo una parte è quella dei nuraghi.
Per cui la mia risposta è: va usato il termine nuragico sino alla fine del Primo Ferro e con qualche distinzione di area geografica anche per una parte della seconda età del Ferro, quando ci sono elementi che rimandano a quelle caratteristiche. Io ho anche parlato di persone di “ascendenza” nuragica anche in età romana.
Quello che è importante è essere consci che i termini e le definizioni sono sempre nostre, cioè basate sulla nostra visione moderna. Non è detto che i nuragici considerassero sé stessi nuragici, e non è un gioco di parole.
Spero di essere stato chiaro.
Alfonso Stiglitz
Gentile Alfonso,
RispondiEliminala ringrazio molto per la sua disponibilità. Se ho ben capito il problema sulla Cagliari dell'età del ferro è la carenza di dati materiali. Il problema resta dunque aperto, immagino anche a una molteplicità di interpretazioni al riguardo. Forse la stessa cosa può dirsi sulla questione dell'interazione fra fenici e nuragici, pure ampliando lo sguardo ad altre parti dell'isola. Il quadro pare in evoluzione, forse anche per questo non si riesce a metterlo a fuoco in maniera soddisfacente. Almeno ai miei miopi occhi di profano.
Mille grazie per la risposta e per aver chiarito brillantemente la cosa
RispondiElimina