martedì 15 marzo 2016
Archeologia. Quali aristocrazie nella Sardegna dell’Età del Ferro? di Carlo Tronchetti
di Carlo Tronchetti
(Atti della XLIV riunione scientifica. La preistoria e la protostoria
della Sardegna. Cagliari, Barumini, Sassari 23-28 novembre 2009)
Giovanni Lilliu, nella sua ricostruzione della civiltà
nuragica pone, nell’età del Ferro, la “stagione delle aristocrazie” (Lilliu
1986). Questo concetto e questa definizione sono entrati nell’uso comune e sono
stati utilizzati da parte di un gran numero di studiosi del mondo nuragico,
senza mai mettere in discussione l’enunciato di partenza; pare opportuno,
adesso, rivedere la situazione oggettiva dell’isola in questo periodo, così
come ricostruibile dalla documentazione archeologica esistente, basata sul supporto
di ricerche metodologicamente più meditate e su analisi approfondite delle
manifestazioni aristocratiche in ambito mediterraneo, grazie a scoperte di
notevole peso. Il fenomeno delle aristocrazie mediterranee è stato
abbondantemente ed approfonditamente studiato (da ultimo Riva e Vella 2006),
sia in generale che soprattutto nelle sue manifestazioni particolari e locali.
È fuor di luogo in questa sede ripercorrere le vicende delle concezioni
aristocratiche dalla Grecia al lontano Occidente, che vedono una componente
fondamentale nel contatto con il Vicino Oriente, trasmissore di ideologie e di
oggetti di pregio, tramite i quali, unitamente a rituali di concezione locale,
queste ideologie si manifestavano. Sintetizzando e quindi anche banalizzando, possiamo
enucleare alcuni elementi abbastanza costanti, quali le sepolture principesche,
talvolta con il rituale omerico della
deposizione dei resti incinerati in
un’urna bronzea coperta da un telo di lino, attestata ad esempio a Lefkandi e
Casale Marittimo, e soprattutto il consumo rituale del vino con lo specifico
servito per prepararlo e consumarlo, diffuso sino al mondo celtico.
La
sepoltura principesca di un individuo, cui si potevano accostare altre
sepolture di membri della stessa famiglia, era qualificata dalla deposizione di
oggetti di grande pregio, sia esotici che locali, accuratamente selezionati in
uno o più nessi ideologici, che esprimevano i valori dello status di
aristocratico. Nel mondo etrusco-italico i “beni di lusso”, di prestigio, si
qualificano in massima parte, ma ovviamente non solo, come oggetti importati,
sia dal Vicino Oriente che dal mondo ellenico. I keimelia di origine e
derivazione orientale, sia essa ellenica o vicino-orientale, assieme a
specifici prodotti locali, vengono raccolti e tesaurizzati in analogia con i
costumi descritti nell’epica omerica (Naso 2000). Questi fenomeni, con
l’emergere del ceto aristocratico, pur avendo ovviamente radici più antiche, si
manifestano pienamente nel Mediterraneo occidentale nel corso dell’VIII sec.
a.C. Mauro Menichetti, anni addietro, in un bel volume sulle aristocrazie
tirreniche, ha descritto lo strato sociale definito “aristocratico in virtù del
possesso di un surplus economico, di perizia e capacità guerriere largamente
esaltate, di una cultura coerentemente strutturata e funzionale al proprio
ruolo sociale”. Io mi sentirei di ampliare e meglio specificare questa
denominazione, definendo l’aristocrazia anche come “detentrice di valori
condivisi dalla comunità, che ostenta in un contesto ideologico di esaltazione
e riproduzione della stirpe”. Andiamo ad esaminare più da vicino la situazione
della Sardegna. È da premettere che parlare di “situazione della Sardegna” in
generale non ha molto senso, a causa dell’articolata conformazione geografica e
geologica dell’isola. Diverse, e in maniera notevole, sono le potenzialità di
zone come l’Oristanese, con facili approdi, dotato di vaste aree coltivabili,
zone adatte alla pastorizia ed all’allevamento, stagni con ampie possibilità di
caccia e pesca, con entroterra sufficientemente ricco di risorse minerarie,
terminale di vie di penetrazione verso l’interno più profondo dell’isola,
rispetto a queste zone più interne, aspre e montuose, adatte praticamente solo
alla pastorizia ed alla estrazione di minerali, ove presenti. Le poche indagini
territoriali compiute con metodologie aggiornate, ed edite specificando la
metodologia, i fini attesi ed i risultati ottenuti, ci mostrano come situazioni
zonali differenziate offrano una risposta diversa alla ricerca. Purtroppo
queste indagini sono assai limitate, ma comunque fondamentali per comprendere
alcuni aspetti, fra cui il primo è proprio la mancanza di univocità. I pochi
scavi in contesti dello stesso periodo non si distaccano da questa visione,
offrendo situazioni parzialmente distinte tra le zone, ad esempio,
dell’Oristanese e del Sulcis, riguardo al rapporto tra le genti esterne
all’isola e le comunità indigene. Le scoperte straordinarie, adesso non più
isolate, di Sant’Imbenia, e quelle di Huelva, importanti soprattutto per la
quantità di materiale restituito, affiancate ai ritrovamenti africani,
siciliani, cretesi, quantitativamente minori ma qualitativamente altrettanto
significativi, ci portano a prospettare concretamente e verosimilmente un
rapporto sostanzialmente paritario tra Fenici (usando questo termine nella sua
accezione omerica) e comunità tardo-nuragiche. In realtà non è disagevole
riconoscere un significativo sbilanciamento a favore di quest’ultime nella
gestione del territorio e delle sue risorse nei confronti degli “altri”, ma
l’analisi di questo, adesso, ci porterebbe su un terreno troppo ampio e basterà
accennare alla sua concreta esistenza, che non è senza valore per quanto dirò.
La veicolazione di vino prodotto in Sardegna, contenuto in anfore prodotte in
Sardegna su modelli orientali, mediante navi fenicie con probabile equipaggio
misto, ci riporta ad una sorta di joint-venture, per usare un termine moderno
assolutamente inapplicabile a situazioni antiche, ma che rende immediatamente
l’idea di questa unione di forze produttive e “commerciali” per uno scopo
comune. È indubbio che i contatti tra i Fenici ed i Sardi nell’VIII sec. a.C.
si fanno sempre più forti ed intrecciati, ed i rapporti privilegiati intessuti
da alcune comunità indigene con gli stranieri possono aver portato, se non
proprio alla nascita di marcati processi di differenziazione tra comunità e
all’interno della comunità stessa, quantomeno all’accelerazione ed
accentuazione di fenomeni del genere, già in lenta attuazione. Sull’altro lato,
l’atteggiamento dei Fenici rispetto al territorio, le sue risorse e chi le
gestiva, si differenzia in ragione del diverso atteggiamento di queste
comunità, come le ricerche succitate mostrano con chiarezza. Andando a cercare i
segni della nascita delle aristocrazie, così come sono noti da altre regioni
mediterranee, li troviamo con estrema difficoltà. Il rituale di sepoltura
nell’età del Bronzo è contrassegnato dalla tumulazione collettiva nelle
comunitarie Tombe dei Giganti. Nell’età del Ferro appaiono per la prima volta
sepolture singole, con deposizione dei defunti inumati in pozzetti. Si tratta
di un cambiamento che non è fuori di luogo definire epocale: dalla tomba
collettiva alla tomba individuale. Si incrementano, dallo scorcio del IX secolo
in poi, gli oggetti esterni, molti dei quali si qualificano come beni di
prestigio, provenienti sia dal Vicino Oriente, che dalla penisola italiana. È
interessante e molto significativo andare ad esaminare i luoghi di ritrovamento
di questi materiali esotici e pregni di significato. A parte alcune fibule, la
quasi totalità proviene da santuari o comunque luoghi di culto. I torcieri
bronzei di tipo cipriota con fusto a corolle rovesciate si rinvengono presso il
nuraghe S’Uraki di S. Vero Milis, dove scavi recenti hanno messo in luce una
zona cultuale sorta alla fine del Bronzo-inizio Ferro, nel santuario Su Monte
di Sorradile, spostato pochi chilometri a NE di S’Uraki, lungo una via di
penetrazione verso l’interno dell’isola, e nel grande santuario di S.Vittoria
di Serri. I tre calderoni bronzei rinvenuti impilati a Sardara provengono dalla
capanna delle adunanze nel santuario di Sant’Anastasia, legato ad un tempio a
pozzo. Dalla grande e purtroppo poco conosciuta zona sacra di Nurdole nel
territorio di Orani giungono almeno due brocche fenicie in lamina di bronzo.
Dal nuraghe Su Igante di Uri proviene una coppa bronzea, vero e proprio
pastiche che assembla pezzi di oggetti diversi, anche “importati”, in un
insieme di gusto “barbaro”. Fibule si trovano in maggiore quantità, anch’esse,
come detto, in gran numero presso santuari, dove possiamo ipotizzarle connesse
all’offerta di manti esotici, forse donati da donne straniere andate in sposa a
capi di comunità sarde. Quello che è importante e significativo è che questi
beni di pregio sono tutti concentrati in spazi comunitari santuariali. Nessuno,
sinora, è stato trovato in una struttura che potremmo definire “privata” a
connotare un singolo individuo. Non è assolutamente fuor di luogo rilevare
anche come i beni di pregio importati non hanno una sfera ideologica precisa di
riferimento. Un elemento largamente diffuso ed attestato come distintivo delle
aristocrazie è, come detto, il consumo del vino, ma il suo consumo in forma
sociale non sembra avere attinto alla connotazione rituale che lo
contraddistingue altrove. Per intenderci, un “servito per bere” esotico non è
mai stato ritrovato in contesti indigeni. Gli strumenti topici, il contenitore
per miscelare la bevanda e le coppe per assumere il liquido, abitualmente in
bronzo o in metalli preziosi, che si ritrovano altrove, in Sardegna sono
totalmente assenti. Per quanto ne sappiamo, quindi, il consumo rituale del vino
non è attestato. Oppure, se lo è, è nascosto sotto forme esclusivamente locali
che non recepiscono assolutamente ideologie esterne, e lo mascherano ai nostri
occhi. Se andiamo ad esaminare le tombe vediamo che, anche se singole, si
configurano praticamente paritarie, indistinte l’una dall’altra, senza che dei
semata possano individuarle e differenziarle. Non abbiamo esempi di tombe
principesche in cui la persona sociale dell’individuo defunto risalti,
ostentando i propri valori, emergendo e distinguendosi dalle altre. Anche il
caso, sinora unico, di Monte Prama (Tronchetti e Van Dommelen 2005), che pure
sembra maggiormente accostarsi alle manifestazioni dell’ideologia ostentativa
aristocratica note altrove, è, in realtà, molto particolare. La statuaria e gli
altri elementi (modelli di nuraghe, betili) contraddistinguono gruppi di tombe,
identiche tra loro, in cui sono sepolti uomini, donne ed individui giovanili in
età post puberale, senza alcun raggruppamento o criterio distintivo. Non spicca
una tomba sulle altre; quello che risalta e viene esaltata è la famiglia, per
usare un termine volutamente generico, il gruppo, la struttura parentelare, non
il singolo. Questo contrasta radicalmente con la situazione descritta in una
sintesi recente di Peroni (2004), non riferita alla Sardegna, in cui lo
studioso mette in evidenza come già nell’età del Bronzo non si individuino
necropoli in cui si aggregano, mescolandosi, individui dei due sessi e di
gruppi di età diversi: nel tessuto funerario l’unità di base è un gruppo di
individui portatori di uno stesso ruolo. La differenza con la situazione sarda
appare immediatamente notevole. Se adesso porgiamo attenzione ai contesti
abitativi si può notare agevolmente l’assenza di abitazioni che si distinguono
dalle altre in modo evidente. Nei villaggi sinora indagati si affermano, dallo
scorcio dell’età del Bronzo Finale, aggregati cellulari di capanne, le
cosiddette capanne con corte centrale, di cui si rinvengono, all’interno del
medesimo insediamento, diverse unità. Difficilmente potremmo considerarle
abitazioni privilegiate di un aristocratico; l’ipotesi che mi sembra
maggiormente ragionevole è che siano nuclei destinati ad una famiglia
allargata, o simile aggregato. Sempre nei villaggi spiccano le note “capanne
delle adunanze”, strutture di maggiori dimensioni delle altre, contraddistinte
da un bancone lungo le pareti e, abitualmente, dalla presenza di un modello di
nuraghe posto su un basamento centrale o in una nicchia. Secondo i dati di
scavo editi l’affermazione di queste capanne si ha durante l’età del Ferro, e
lo scavo di quella nel villaggio del Nuraghe Palmavera offre lo spunto a
interessanti considerazioni. Alberto Moravetti, infatti, individua lo spazio
per almeno 43 individui seduti. Appare verosimile ritenere che tali individui
fossero i capo-famiglia del villaggio, o di una più ampia comunità, raccolti in
riunioni di valore “politico”, sotto l’egida del nuraghe, vero e proprio segno
della memoria, immanente nel territorio, divenuto, al tempo stesso, luogo di
culto, oggetto di culto e altare dove il culto stesso veniva prestato. Altre
strutture di rilievo in ambito abitativo non esistono, o non se ne sono sinora
trovate. Fenomeni, anche se cronologicamente posteriori, come la regia di Murlo
o il Cancho Roano iberico, in Sardegna sono, allo stato attuale, impensabili.
Se, quindi, sintetizzando, individuiamo lo stile di vita aristocratico di
modello eroico che pone l’accento ostentativo sul banchetto con il consumo
rituale del vino, sulla guerra e sulla ‘bella morte’ omerica e osserviamo come
questi valori vengano palesati attraverso particolari strutture tombali con
obliterazione di una determinata selezione di oggetti pregiati ed esotici,
vediamo chiaramente come in Sardegna non si possa attualmente riscontrare
niente di tutto ciò. Sembra, da quanto detto sopra, di poter ipotizzare che la
società sarda dell’Età del Ferro trovi i suoi valori nella comunità, e nel
gruppo familiare, più che nel singolo individuo. Quello che mi pare chiaro ed
evidente è che questa società sarda dell’età del Ferro, almeno nelle sue fasi
di IX e VIII sec. a.C., si caratterizza come molto selettiva nei confronti
dell’esterno, recependo ed adottando con estrema oculatezza modelli e stili di
vita. È proprio al termine di questo periodo, cioè allo scorcio dell’VIII
secolo, con l’inizio di quello che si definisce Orientalizzante antico, che si
pone la manifestazione più eclatante riferibile a modelli aristocratici, e cioè
la statuaria connessa con la necropoli di Monte Prama. Indubbiamente
l’ideologia della statua funeraria ed onoraria in pietra di grandi dimensioni è
giunta dal Vicino Oriente, analogamente a quanto accade nella penisola
italiana, rivestendosi di un aspetto formale aderente alle iconografie locali,
ma le analogie con la statuaria che connota le sepolture dei principes etruschi
ed italici si arrestano a questo punto. Difatti le statue non connotano la
tomba di un individuo, il princeps, capostipite della dinastia di cui diviene
antenato, ma sono poste come semata di necropoli in cui, come detto, sono
sepolti indistintamente uomini, donne ed adolescenti. Non viene esaltata una
individualità precisa e determinata, ma quella che possiamo chiamare la
famiglia, il clan, la stirpe, che viene collegata ai propri mitici antenati dai
betili, prelevati da una più antica tomba di giganti. Non è questa la sede per
approfondire il discorso su Monte Prama, e quindi mi limiterò a ribadire il
fatto che questa “aristocrazia” tardo-nuragica dello scorcio dell’VIII secolo e
dei primi decenni del successivo, tende a connotare non un singolo ma una
stirpe. Senza dubbio il territorio del Sinis è assai favorevole al contatto ed
alla reciproca integrazione di genti diverse e un fenomeno come quello di Monte
Prama ci indica con sufficiente chiarezza, per dirla con parole banali, chi era
che comandava. Almeno sino ai primi decenni del VII secolo il territorio ed i
contatti con l’esterno erano in mano ed erano gestiti dalle comunità nuragiche
dell’età del Ferro, che erano potenti, ricche, vive e vitali. Non solo
gestivano il territorio e le sue risorse, e selezionavano con cura i materiali esotici
di pregio che acquisivano, ma li producevano. Questi beni, le celebri navicelle
bronzee, trovano la loro destinazione in tombe, talora prestigiose
principesche, dall’Etruria Settentrionale alla Campania, e nei grandi santuari
emporici (Gravisca, Capo Colonna) in un arco di tempo, come tutti i dati a
nostra disposizione confermano, che va dal tardo Geometrico all’Orientalizzante
finale. In queste potenti comunità esistevano famiglie che si distinguevano
dalle altre, per comprendere i cui valori è necessario abbandonare i parametri
noti in altre aree mediterranee, pur tenendoli presente per riscontrare
diversità ed eventuali affinità, e ricercare i modi di espressione dei propri
specifici valori.
Fonte: file:///C:/Users/oem/Downloads/Quali_aristocrazie_nella_Sardegna_dellet.pdf
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