domenica 29 ottobre 2017
Archeologia. Individuata nel Tempio di Antas, a Fluminimaggiore, la prima raffigurazione del mitico Sardus Pater, la massima divinità sarda dell'antichità. Riflessioni di Fabio Isman
Archeologia. Individuata nel Tempio di Antas, a Fluminimaggiore, la prima raffigurazione del mitico Sardus Pater, la massima divinità sarda dell'antichità.
Riflessioni di Fabio Isman
Per 50 anni, erano rimaste in una cassa. Sono le decorazioni in terracotta del Tempio di Antas in Sardegna, vicino a Iglesias, uno dei più antichi e dei più misteriosi dell’isola. Le ha ordinate e studiate Giuseppina Manca di Mores, archeologa isolana che ha scoperto così la più antica raffigurazione del “Sardus Pater”, mitico progenitore della Sardegna, la cui immagine di divinità con il cappello inequivocabilmente piumato si fonde con quella di Iolao, il nipote di Eracle che tradizionalmente è considerato il massimo eroe della mitologia classica.
Vicino a Fluminimaggiore, c’è uno dei grandi misteri sardi: un tempio punico del 500 a.C. dedicato al
dio Sid Addir, forse dove già c’era un luogo di culto nuragico per il dio delle acque. Due secoli dopo, è ristrutturato. Per volere di Augusto (27 a.C.-14 d.C.), restaurato da Caracalla (213 – 217 d.C.) diventa un tempio romano. Lo scopre nel 1836 il generale Alberto La Marmora; oggi, lo vediamo, sei colonne ioniche alte otto metri, come è stato ricostruito nel 1967. Da un dito trovato in loco, doveva esserci una statua alta tre metri: quella del Sardus Pater, cui il tempio è dedicato, e una cui effige fu collocata al Santuario di Delfi.
Una tra le frasi preferite di un famoso archeologo che non c’è più, Sabatino Moscati, era che «gli scavi più importanti sono quelli nei magazzini dei musei»: una nemesi. A scavare il tempio di Antas (e molto altro) è stato, infatti, proprio lui. Ma le terrecotte che, sulla facciata del tempio, ne proteggevano e decoravano il legno, sono finite nei depositi; e lì sono rimaste per oltre mezzo secolo, non studiate da nessuno. Nel poderoso libro sul tempio, curato, per l’Accademia dei Lincei, da Mario Torelli, un maestro dell’archeologia, Giuseppina Manca ha esaminato, dal 2008 in poi, reperti importanti che testimoniano il tempio di Antas come tra i più remoti ed importanti dell’isola. In un iscrizione, si legge la dedica: «TEMPL(um) DE SARDI PATRIS BAB», al Sardus Pater, così chiamato dai Romani, che può essere identificato con il dio Sid dei Cartaginesi. Il lòuogo è citato anche da Tolomeo. Sul sorgere della Sardegna abitata, si fronteggiano, entrambe con nobili sponsor e dotta letteratura, due diverse tradizioni. Sallustio e Pausania la vogliono colonizzata da Sardo, il figlio dell’Eracle libico, cioè del fenicio Melqart; Diodoro Siculo e altri, da Iolao, che sarebbe il padre degli Iliensi, giunto sull’isola con i figli di Eracle. Tra le terrecotte nei magazzini, Manca di Mores ha ricomposto una figura di Eracle con la Leonté, e un personaggio maschile nudo, in piedi, con la doppia corona di piume in testa che lo qualifica con certezza come Iolao. Lo vediamo sulle monete romane di Azio Balbo, in un bronzetto punico trovato a Genoni, ed altrove.
"Questa è la prima raffigurazione che ora, finalmente, conosciamo», racconta Giuseppina Manca; risale alla fase romana repubblicana, nel primo, finora unico tempio romano-repubblicano con decorazione architettonica completa, tra gli ultimi decenni del II e la prima metà del I secolo a.C.". Chi arrivava al tempio, si trovava immediatamente di fronte le figure della mitica fondazione dell’isola. Solo che, per saperlo, abbiamo dovuto attendere mezzo secolo dagli scavi, perché "quelli più importanti avvengono nei depositi dei musei, Moscati aveva proprio ragione".
Fonte: ww.artemagazine.it
Riflessioni di Fabio Isman
Per 50 anni, erano rimaste in una cassa. Sono le decorazioni in terracotta del Tempio di Antas in Sardegna, vicino a Iglesias, uno dei più antichi e dei più misteriosi dell’isola. Le ha ordinate e studiate Giuseppina Manca di Mores, archeologa isolana che ha scoperto così la più antica raffigurazione del “Sardus Pater”, mitico progenitore della Sardegna, la cui immagine di divinità con il cappello inequivocabilmente piumato si fonde con quella di Iolao, il nipote di Eracle che tradizionalmente è considerato il massimo eroe della mitologia classica.
Vicino a Fluminimaggiore, c’è uno dei grandi misteri sardi: un tempio punico del 500 a.C. dedicato al
dio Sid Addir, forse dove già c’era un luogo di culto nuragico per il dio delle acque. Due secoli dopo, è ristrutturato. Per volere di Augusto (27 a.C.-14 d.C.), restaurato da Caracalla (213 – 217 d.C.) diventa un tempio romano. Lo scopre nel 1836 il generale Alberto La Marmora; oggi, lo vediamo, sei colonne ioniche alte otto metri, come è stato ricostruito nel 1967. Da un dito trovato in loco, doveva esserci una statua alta tre metri: quella del Sardus Pater, cui il tempio è dedicato, e una cui effige fu collocata al Santuario di Delfi.
Una tra le frasi preferite di un famoso archeologo che non c’è più, Sabatino Moscati, era che «gli scavi più importanti sono quelli nei magazzini dei musei»: una nemesi. A scavare il tempio di Antas (e molto altro) è stato, infatti, proprio lui. Ma le terrecotte che, sulla facciata del tempio, ne proteggevano e decoravano il legno, sono finite nei depositi; e lì sono rimaste per oltre mezzo secolo, non studiate da nessuno. Nel poderoso libro sul tempio, curato, per l’Accademia dei Lincei, da Mario Torelli, un maestro dell’archeologia, Giuseppina Manca ha esaminato, dal 2008 in poi, reperti importanti che testimoniano il tempio di Antas come tra i più remoti ed importanti dell’isola. In un iscrizione, si legge la dedica: «TEMPL(um) DE SARDI PATRIS BAB», al Sardus Pater, così chiamato dai Romani, che può essere identificato con il dio Sid dei Cartaginesi. Il lòuogo è citato anche da Tolomeo. Sul sorgere della Sardegna abitata, si fronteggiano, entrambe con nobili sponsor e dotta letteratura, due diverse tradizioni. Sallustio e Pausania la vogliono colonizzata da Sardo, il figlio dell’Eracle libico, cioè del fenicio Melqart; Diodoro Siculo e altri, da Iolao, che sarebbe il padre degli Iliensi, giunto sull’isola con i figli di Eracle. Tra le terrecotte nei magazzini, Manca di Mores ha ricomposto una figura di Eracle con la Leonté, e un personaggio maschile nudo, in piedi, con la doppia corona di piume in testa che lo qualifica con certezza come Iolao. Lo vediamo sulle monete romane di Azio Balbo, in un bronzetto punico trovato a Genoni, ed altrove.
"Questa è la prima raffigurazione che ora, finalmente, conosciamo», racconta Giuseppina Manca; risale alla fase romana repubblicana, nel primo, finora unico tempio romano-repubblicano con decorazione architettonica completa, tra gli ultimi decenni del II e la prima metà del I secolo a.C.". Chi arrivava al tempio, si trovava immediatamente di fronte le figure della mitica fondazione dell’isola. Solo che, per saperlo, abbiamo dovuto attendere mezzo secolo dagli scavi, perché "quelli più importanti avvengono nei depositi dei musei, Moscati aveva proprio ragione".
Fonte: ww.artemagazine.it
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