Archeologia: Platone e Atlantide. Come le nuvole
all’imbrunire.
Il Cappellano di Svezia e la ricerca delle Atlantidi
mediterranee: la Sardegna.
Riflessioni di Alfonso Stiglitz
Il titolo. "come le nuvole all'imbrunire" è l'espressione utilizzata da Diderot per criticare il Cappellano di Svezia e i cercatori di Atlantide, equiparandoli ai bambini che al cadere del sole guardano le nuvole e in esse ognuno di loro vede quello che vuole, un viso, un animale ecc.
L'epigrafe è questa:
je veux mourir si vous ne regardez l’auteur comme un enfant qui s’amuse à observer les nuées à la chute du jour. Le jour est bien tombé depuis environ deux mille cinqcents ans que Platon écrivait, et M. l’aumônier de Suède a vu dans les nuées de l’auteur grec,tout ce qu’il a plu à son imagination, aidée de beaucoup de connaissances, d’étude et de pénétration.
Excellent mémoire à lire pour apprendre à se méfier des conjectures des érudits.
che, tradotta in italiano suona grossomodo così:
Voglio morire se non guardi all'autore come a un bambino che ama osservare le nuvole alla fine della giornata. Il giorno è sceso per circa duemila e cinquecento anni da quando ha scritto Platone e il cappellano svedese ha visto nelle nuvole dell'autore greco,tutto ciò che ha amato nella sua immaginazione, aiutato da molta conoscenza, studio e penetrazione.
Eccellente memoria da leggere per imparare a diffidare delle congetture degli studiosi.
ll racconto – né mito, né
leggenda (Janni 2004: 63) – di Platone sulla storia di Atlantide e sulla sua
sorte di tragica grandezza fu sostanzialmente ignorato dai suoi contemporanei e successori, salvo scarne citazioni,
un’autorevole stroncatura e significativi silenzi sino alla
scoperta dell’America, quando si pose la necessità di spiegare la presenza di
quelle inaspettate terre e
l’identità dei suoi abitanti, nel solco del testo biblico
(Gliozzi 1977; Ciardi 2002). Da
qui il sorgere del mito che, seppure proiettato al di là del Mediterraneo, a un certo
punto trova il modo di attraversare
lo Stretto di Gibilterra per tornare nelle accoglienti braccia del
nostro mare. Il racconto di una storia negativa (Vidal-Naquet 2006: 110,
della trad. italiana) si trasforma sempre più in quello di «una dimora felice
dell’uomo agli inizi della sua esistenza, ormai perduta, alla quale l’umanità
tende a ritornare, per recuperare felicità e innocenza» (Bigalli 2011).
Rientrando nel
Mediterraneo, ormai trasformata in mito, Atlantide
trova alcune isole e penisole come candidate alla sua identificazione e tra
esse emerge quella oggetto di questo intervento, la Sardegna: Sardō nēson tēn
megìsthēn, l’isola più grande del mondo (Erodoto, Hist. V, 106). Negli ultimi
decenni questa identificazione è andata riempiendo gli scaffali delle librerie
e delle biblioteche con testi che, con alterne fortune e traballanti
argomentazioni, colpiscono l’orgoglio identitario e stimolano l’insipienza
di una classe politica inadeguata ai tempi, con l’appoggio di alcuni
autorevoli studiosi (infra),
alla ricerca di una originaria e potente isola,
capace di riscattare l’attuale situazione di grave subalternità politica,
economica e culturale (Frongia 2012).
Quello che è interessante raccontare qui brevemente è l’origine di
questa identificazione che,
lungi dall’essere un’eclatante scoperta delle
geniali menti contemporanee di ‘ricercatori indipendenti’, è storia vecchia di
circa tre secoli. Secoli nei quali gli studiosi, e non solo loro, apportarono
significative correzioni al testo di Platone e alla sua (o di Solone)
incapacità di trascrivere correttamente il racconto dei sacerdoti egizi della
città di Sais.
In un bel libro, malamente edito in Italia, L. Sprague De Camp (1970)
ironizza efficacemente su questi correttori di Platone:
non si può cambiare ogni particolare della vicenda e pretendere
ancora di riferirsi alla storia di Platone. Sarebbe come affermare che il
leggendario Re Artù fu ‘in realtà’
la regina Cleopatra: è sufficiente
cambiare il sesso, la nazionalità, il periodo storico, il temperamento, il
carattere e altri trascurabili
dettagli del personaggio di Cleopatra e la somiglianza diventerà
evidente (Sprague De Camp
1970: 86 dell’ed. italiana).
Un avvertimento che non ha mai fermato i ricercatori delle atlantidi,
impegnati in un percorso che naviga nell’infido mare compreso «tra
l’Atlantide dei geologi e l’Atlantide dei poeti e romanzieri» (Vidal-Naquet
2006: XVI, della trad. italiana).
Il filosofo spostò le date
Sin da subito l’accettazione
del racconto platonico come ‘storia vera’ pose gli eruditi davanti al problema
cronologico insormontabile all’epoca, in quanto in palese contrasto con la
cronologia biblica, che poneva l’origine del mondo intorno al 4.000 a.C. La
soluzione fu presto trovata, verso la fine del ‘400, attraverso l’autorità del
massimo interprete di Platone, il filosofo Marsilio Ficino (Ciardi 2002: 26),
con l’ingegnosa ipotesi di considerare il conteggio in termini di mesi e non di
anni con il conseguente abbassamento cronologico al II millennio a.C.,
soluzione ribadita costantemente da vari autori sino ai giorni nostri.
Se da una parte la correzione risolve il problema
dell’esistenza nel Mesolitico (data a cui rimanda il testo
platonico) di improbabili civiltà della
qualità ed estensione di Atlantide e di Atene così come raccontate da
Platone, dall’altra non permette una reale identificazione dell’epoca in cui questi avvenimenti sarebbero avvenuti. Infatti Platone data la guerra tra
Atlantide e Atene a 9000 anni a partire dal racconto che il sacerdote
egiziano fece a Solone (Crizia 108e); va detto che è stata anche ipotizzata
una difformità di datazione con quella contenuta nel
Timeo (23 d-e), nel quale la guerra sarebbe da riportare a 8000 anni
(Jordan, 2001: 20-21 della
traduzione italiana; Mosconi, 2007-2008: 299). Se accettiamo la tesi
dell’errore di trascrizione degli anni e quindi una loro trasformazione in
mesi avremo rispettivamente 750 e 666
anni. A questo punto si pone il
problema dell’effettivo momento
di inizio del conteggio: il viaggio di
Solone, l’anno in cui è immaginato sia avvenuto il dialogo o l’anno in cui
Platone ha scritto le due opere?
Se il viaggio di Solone può
datarsi, con qualche problema, al 590 a. C.
(Pinotti, 2006), avremmo una datazione al 1340/1256 a. C.; se, invece, si
intende il trascorrere del tempo a partire dalla data nella quale è
immaginato il dialogo, 420 a. C., avremmo 1170/1086 a.C.; se, infine la data è
quella dell’opera, 355 a. C., avremmo 1105/1021; per rimanere ai calcoli più
lineari e meno cervellotici proposti nelle più disparate pubblicazioni.
Un immane guazzabuglio di anni
che lasciamo volentieri agli appassionati di calcoli cronologici; quello che ci
interessa è che questi calcoli riportano a quella che in Sardegna è l’età
nuragica, momento fondante di quella che può essere definita
«l’identità al passato nella Sardegna di oggi»
(Cossu 2007: 125).
Il Cappellano di Svezia spostò le Colonne
Aumônier de la Chapelle Royale de Suéde à Paris; Professeur
dans l’Université de Strasbourg; Membre de l’Académie Royale des
Sciences de Suéde, & de celles des Belles-Lettres &
Beaux-Arts de
Göttingue & d’Ausbourg; Correspondant de l’Académie Royale des
Sciences de Paris. (Baër 1762: frontespizio)
Charles-Frédéric Baër di
Strasburgo (Ciardi 2002: 75-78), ebbe la brillante e logica intuizione di
andare a cercare le Colonne a Tiro nel tempio di Eracle/Melqart, lì dove erano
state effettivamente viste con i propri occhi da un autorevole storico che
rispondeva al nome di Erodoto
... navigai anche fino a Tiro,
in Fenicia, poiché sapevo che lì c’è un venerato santuario di Eracle. E l’ho
visto, riccamente provveduto di molti doni votivi: tra di essi nel tempio
c’erano due stele (stēlai), una
d’oro puro, l’altra di pietra smeraldo, che di notte risplendeva
grandemente. (Hist. II, 44)
Per il Cappellano «Colonne d’Hercule & Temple d’Hercule sont
synonimes» (Baër 1762: 49). E in effetti l’identificazione di Eracle con
Melqart di Tiro e delle stele con le colonne era corretta, come mostrano
anche le monete della città dove sono riportate le due ambrosiai petrai legate
alla narrazione dell’origine di Tiro da due isole vaganti nel mare (Nonno
di Panopolis Dionisiache
XL, 465-500). La descrizione dello storico
greco trova una precisa rispondenza con quella biblica del tempio di Salomone
e con le sue due splendide colonne, Iachin e Boaz (1Re 7,15-21; 2 Cronache
3, 15-17), non a caso realizzato dall’artigiano fenicio Curam-Abi che Hiram re
di Tiro e alleato di Salomone inviò a Gerusalemme per sovrintendere ai lavori
(1Re 7, 13-14; 41-42; 2 Cronache 2, 10-15; 4, 11-12); anche se è possibile che
questa descrizione biblica sia da riportare in realtà al tempio di Tiro.
Comunque sia, l’assunto di Erodoto di una corrispondenza tra Eracle e
Melqart è confermata dal celebre ritrovamento delle iscrizioni bilingui di
Malta (CIS I, 122 –122 bis; I.G. XIV, 600; C.I.G. III, 5753), nelle quali al
testo
in fenicio rivolto a Melqart corrisponde quello in greco con la dedica a
Eracle (Amadasi Guzzo, Rossignani 2002). La forma del cippo posto al di
sopra della base con l’iscrizione porta agevolmente ad accostarlo alle
ambrosiai petrai del tempio di Tiro e, conseguentemente, rende plausibile la
localizzazione delle stēlai
di Eracle/Melqart in ogni tempio del
Mediterraneo dedicato a questa divinità, sulla falsariga di quello di Tiro: ai
cippi di Malta può oggi accostarsi quello, molto simile, rinvenuto a Cagliari
con la dedica a
lmqrt al hsr, a Melqart di Tiro (Guzzo Amadasi 2002), a
segnare una lunga rotta verso occidente, il cui punto di arrivo è Cadice con
le famose colonne poste nell’Herakleion
della città andalusa, note dalla
descrizione di Strabone (V. 5), forse derivata da Posidonio.
L’intuizione del Cappellano fu
foriera di stimoli per gli studiosi; aver dimostrato che le colonne di cui
parlava Platone (o per meglio dire Solone tramite Platone)
non erano necessariamente quelle di Cadice permetteva
un loro posizionamento ovunque all’interno del Mediterraneo. Baër stesso le
posizionò in Egitto.
il ne reste plus qu’à sçavoir,
si entre la mer Rouge & la Palestine
il y avoir un temple célébre, consacré à cette divinité & c’est ce que
Diodore de Sicile nous apprend en disant que l’une des embouchures
du Nil étoit appellée sōma Hraklē
ōtixon, embouchure d’Hercule, à
cause d’une ville & d’un fameux temple consacrés à cette divinité.
Nous demandons à nos lecteurs si ce ne sont pas là les Colonnes dont les
Egyptiens ont voul u parler dans le récit qu’il sont fait à Solon. La
chose nous paroît plus que vraisemblable ; mais nous en laissons la
décision à des Juges plus éclairés. (Baër 1762: 49-50)
E, quindi, una piccola carta
Una piccola carta (20 x 28 cm)
dall’invitante titolo: Carte de l’Atlantide,
d’après Platon et Diodore
(Fig. 1), edita a Parigi nel 1775 da mani ignote,
rappresenta, a una scala approssimativa di 1:6.000.000, il Mediterraneo
occidentale compreso tra le coste centro-settentrionali dell’Italia,
quelle
meridionali della Francia, quelle orientali della Spagna e quelle
settentrionali dell’Africa. Lo spazio compreso tra questi lidi è quasi
interamente occupato da una grande isola che ingloba la Sardegna,
la Corsica e Minorca, lasciando fuori Maiorca e Ibiza. Quest’isola è
Atlantide; al centro è il Royaume d’Atlas con la capitale, circondato dai nove
arcontati di Eudaimon, di Amphères con le miniere di Oricalco, di Mestore
(quest’ultimo inglobante la Corsica) a nord e attraversati trasversalmente dai
monti della grande catena del Nord; quelli di Elasippo (comprendente
Minorca), di Mneseus (comprendente il nord Sardegna) e di Azaës
(comprendente la parte centromeridionale della Sardegna) al centro; quelli di
Autochton con il fiume di Nettuno e il Porto di Atlantide, di Diaprèpes e di
Eumélos, con un porto (comprendente l’estremità sudoccidentale della Sardegna)
a sud. Al centro, come detto, il regno di Atlante comprendente la città
capitale, la montagna di
Evenore, la foresta di Leucippo e un canale, il
canale dei Re che parte dalla città e taglia dritto verso il sud attraversando
il regno e l’arcontato di Diaprèpes.
La Sardegna e la Corsica sono
caratterizzate da una linea che va da nord a sud, con il segno dei monti e la
definizione di “Debris de l’Atlantide”, che può tradursi come resti di
Atlantide: si tratta delle dorsali montuose delle due isole, che per la
Sardegna comprende i monti della Gallura, il Gennargentu e il Sarrabus-Gerrei.
Se per questo documento non è certa l’attribuzione, più
elementi abbiamo per una carta, di poco più recente, contenuta nel Recueil
de cartes geographiques et d’estampes pour l’histoire philosophique du monde primitif,
edito nel 1793 da autore sconosciuto. La Carte du monde primitif à l’epoque de
la fondation des premieres Empires connus rappresenta il mondo compreso tra la
Cina e la Spagna; per quanto riguarda il Mediterraneo occidentale, denominato
Mer Interieure, comprende alcune grandi isole: la
Tyrrenide,
che corrisponde all’attuale Italia centrale, la
Sicile e l’isle Atlantide, che ingloba la Sardegna
e la Corsica, esplicitamente menzionate. Questa seconda carta è sicuramente collegata con l’opera citata nel
titolo della raccolta, edita da Jean-Baptiste-Claude Del isle de Sales nel 1793
e nella quale la Sardegna, la Corsica e la Sicilia sarebbero l’ultimo residuo
di una immensa terra, Atlantide, nata da una grande conflagrazione
vulcanica (Delisle de Sales 1793: 185-194). Alcuni elementi di questo testo
ci portano a ipotizzare che anche la prima carta sia dovuta all’opera di
questo autore: la definizione della Sardegna come “un des débris de
l’Atlantide” (ivi:185) così come la Corsica e, qualche pagina più in
là, la dichiarazione esplicita «et je concilie Platon avec Diodore,
sans altérer la géographie, et sans blesser la raison» (ivi:187).
La ricostruzione del filosofo francese vuole essere la soluzione al
problema di Atlantide, riportandola nel Mediterraneo:
Si l’on suppose, par exemple,
que l’Isle de Platon, ét ait située au milieu de la Méditérannée, vers le vingt
neuvième degré de longitude, et le quarante - unième de latitude, à–peuprès
dans la position de notre Sardaigne, qui n’existait pas alors ou qui
est plutôt un des débris de
l’Atlantide, il se trouvera
qu’on aura rempli à-peuprès toutes les
conditions du problème. (Ivi:185)
Questa ipotesi necessita uno spostamento delle Colonne d’Ercole,
collocate ora in uno dei templi di Cartagine:
«or, Carthage était, comme l’on sait, une
Colonie des Tyriens: on y regardait Hercule comme le Dieu tutelaire de la
nation» (ivi: 184).
In De Lisle sono presenti tutti gli elementi che hanno portato molti
autori moderni, generalmente semplici appassionati, a identificare l’isola
con Atlantide. Egli appare, quindi, il primo
autore ad aver messo in
connessione la Sardegna con Atlantide, anche se, a dire il vero, una
precedente associazione venne fatta circa 1500 anni prima da Claudio
Eliano (De natura animalium, XV, 2) che raccontava come il vello degli arieti
del mare delle bocche di Bonifacio servisse per realizzare il diadema dei re di
Atlantide (Vidal-Naquet 2006: 25, della trad. italiana).
La supposizione di De Lisle e
di tutti gli altri ricercatori dell’isola nel
Mediterraneo, così come nel Nuovo Mondo, venne demolita con una
poderosa memoria da Thomas Henri Martin, docente di Letteratura
classica all’Università di Rennes, che così conclude:
On a cru la [Atlantide] reconnaitre dans le Nouveau-Monde.
Non: elle appartient à un autre monde, qui n’est pas dans le domaine
de l’espace, mais dans celui de la pensée. (Martin 1841: 332)
Da allora la Sardegna dorme in
pace, salvo sporadici risvegli da parte di semplici appassionati e, in qualche
caso, sorprendentemente ma non del tutto (supra e
infra), da parte di autorevoli studio
si che, direttamente o indirettamente,
riportano il tema sulle nostre sponde, anch’essi attraverso autorevoli
correzioni di Platone.
Altre Atlantidi
Nel
‘900 sono stati diversi i percorsi intrapresi per collocare l’isola
atlantidea nel Mediterraneo, chi in quello orientale, tra cui Thera/Santorini
(Luce 1969), la più famosa di tutte e chi in quello occidentale. Per
quest’ultimo, a parte un’estemporanea suggestione sarda di età fascista,
è originale l’ipotesi avanzata da uno dei massimi archeologi italiani,
Massimo Pallottino (1952) in una recensione-saggio dell’opera di Wilhelm
Brandenstein (1951), di cui accetta la interpretazione del racconto
atlantideo come saga preplatonica da riportare al II millennio a.C., e in
particolare:
1) Nell’aver definito i
racconti di Crizia come una saga antica ed
accreditata, a nucleo storico; 2) nell’aver ricondotto la ricerca agli
spunti storici della saga entro l’ambiente delle civiltà protostoriche del
Mediterraneo orientale (Pallottino 1952: 230)
Il percorso dello studioso lo porta a ipotizzare una connessione tra
fatti storici noti a Platone sui quali si inseriscono precedenti immagini
quale quella di «un’isola leggendaria ad occidente del mondo greco ...
[che] si inquadra ovviamente nei ‘racconti di navigazione’ dei
marinai, commercianti e coloni egei» (Ivi: 232).
Dopo un ampio
excursus omerico, Pallottino individua nell’isola dei Feaci, Scheria,
l’adattamento che il poeta fa di una saga più antica che ha tutti gli elementi
per essere identificata con il racconto-saga platonico: «la
Grecia micenea conosceva bene una versione della saga atlantidea,
localizzata ad occidente» (ivi: 234-236, corsivo dell’autore).
Oltre a una serie di altre osservazioni connesse a Creta, lo studioso
giunge a concludere che la saga di Atlantide si porta con sé tre tradizioni
che sono state fuse tra loro probabilmente nel periodo saitico, quello del
viaggio di Solone: «quella mediterranea di Scheria, quella Attica dei
conflitti tra Creta e Atene, e quella orientale delle grandi invasioni da
occidente» (ivi: 240), quelle dei “Popoli del Mare”, tra i quali richiama i
Plst-Filistei e soprattutto gli “Sherdani” forse da identificare con i Sardi
(ivi: 237).
Su un percorso parallelo ma con conclusioni differenti si muove M.
Rousseaux (1970) che attraverso un complesso discorso opta per la
localizzazione di Atlantide in Sardegna. Il racconto del sacerdote egizio di
Sais a Solone sarebbe un confuso ricordo di avvenimenti avvenuti mezzo
millennio prima e legati alle attività dei “Popoli del Mare” di cui i Tursha,
che diventeranno poi gli Etruschi e gli “Shardina” (ivi: 349, 353). A parere
dell’autore la Sardegna racchiude tutte le caratteristiche dell’isola di
Atlante e, in particolare, la città di Cagliari circondata dagli stagni (ivi:
354), posta al di là delle Colonne d’Ercole che l’Autore situa nello stretto di
Sicilia (ivi: 348).
Si portrait il y a, c’est de
toute évidence un portrait composite, qui
permet de conclure que l’Atlantide, c’est à la fois la terre d’Atlas et de ses
descendants, l’île des Sardes avec sa plaine bien irriguée, ses ports savants
sur des lagunes et sa couronne de monts, les provinces lointaines comme
l’Étrurie, la mer enfin, sillonnée de courriers et où jadis se profilait le
mirage d’une « île » immense, anéantie un jour non par un
cataclysme, mais par la décadence de ceux qui
la peuplaient. (Ivi: 356)
Sulla scia di Pallottino, pur senza un preciso riconoscimento della
filiazione, si muove Giovanni Ugas (2015,
2016: 63-66) che riprende le
vecchie collocazioni in nordafrica. Con l’utilizzo di fonti storiche e
mitografiche, egiziane, greche e latine, di varia epoca, anche distanziate di
quasi due millenni tra di loro (dalla stele poetica di Tuthmosi III a Diodoro
e oltre), ma poste sullo stesso piano, l’Autore identifica Atlantide con il
nordafrica, partendo dalla duplicità semantica del termine greco
nesos:
‘terra circondata dal mare’ /
‘terra lambita dal mare’che rimanderebbe
all’egiziano iw (Ugas 2015: 95-96); su questa base non manca di
seguire lo scivoloso argomento delle assonanze come ad esempio «l’espressione
geografica egizia iww wtc ty’(Iuu Utantiu) [...] che designava l’Africa
Nord-Occidentale e che alle orecchie dei Greci doveva essere percepita come
‘Isole di Utantiu’, dunque ‘Isole di Atlante’»
(Ugas 2015: 96; cfr. anche Ugas:
233, nota 30).
A questo punto si può supporre che il nome greco di Atlante
(Atlas/Atlantos), che indicava ad un tempo la
divinità che sorregge il
cielo ai confini del mondo e la regione africana nord occidentale dei
Monti Atlanti, sia stato coniato sull’egizio Utantiu e che la terra di Iww Wt
ntyu (Isole di Utantiu), corrisponda all’isola di
Atlante nota dal Timeo e dal Crizia di Platone. (Ugas
2016: 66)
Inoltre le gesta della guerra descritta da Platone sarebbero da
riportare alla seconda metà del II millennio per alcuni «fondamenti
evenemenziali [Quali i] cocchi da guerra a due cavalli, i metalli impiegati
nelle mura delle città, le armi in bronzo, tra cui i piccoli scudi circolari
(mikraspida) apparsi con i Popoli del Mare, l’assenza di ferro (ivi:97) e, in
particolare, vengono connesse alle devastanti attività dei Popoli del mare, tra
i quali, ovviamente, i Sardi, cioè gli Shardana. Per concludere,dunque, Platone
ha attinto realmente a documenti egizi, ma ha
inventato del tutto l’alleanza di Atene con l’Egitto contro i mitici
Atlantidei, vale a dire i Nordafricani avversari dei Ramessidi,
con l’intento di richiamare l’incombente pericolo occidentale di Cartagine, la
nuova Atlantide, e di contrapporgli l’alleanza di Atene con l’Egitto, cioè con
la Persia che lo governava. (Ivi: 99)
Infine, un
qualche fracasso
«sono venuto a conoscenza di
un libro lanciato con qualche
fracasso..» (Vidal-Naquet 2006: 108, della trad. italiana), così lo studioso
francese che ha dedicato più di mezzo secolo al tema platonico dà conto
dell’uscita di un libro, preceduto e poi accompagnato dal sostegno del
massimo quotidiano italiano, La Repubblica, di un giornalista che identifica
l’isola di Atlantide con la Sardegna (Frau 2002).
Alla pubblicazione sono seguite alcune mostre e convegni (presso
l’Accademia dei Lincei a Roma e presso l’Unesco a Parigi) e,
successivamente, un libro di asserito
‘bilancio’ delle ricerche, dalla veste
accattivante e l’originale edizione del doppio libro a stampa invertita
(Faraglia, Frau 2004; Frau, Manca 2004). La tesi del giornalista può essere riassunta nella collocazione delle
Colonne d’Ercole in Sicilia,
nell’identificazione della Sardegna con l’isola di Atlante e nella distruzione
che nel 1175 un immane tzunami avrebbe portato nell’isola abbattendo e
sommergendo di fango i nuraghi sino a quelli di Barumini e Villanovaforru posti
rispettivamente a 238 e 408 m s.l.m. La catastrofe avrebbe provocato la fine
della Civiltà nuragica e il trasferimento dei superstiti in Etruria.
La totale
mancanza di scientificità della proposta (cfr. Clemente 2007)
non è oggetto di questa nota, se non per sottolineare l’evidenza del
proseguo della Civiltà nuragica anche dopo il 1175 e per molti secoli, con
straordinarie realizzazioni architettoniche (ad es. pozzi sacri) e
artistiche (statue di Mont’e Prama e bronzetti), nonché la totale assenza di
tracce di un devastante tzunami nella totalità dei nuraghi scavati. Quello che
invece merita un accenno è il paradossale, ma non tanto inaspettato, supporto
di alcuni studiosi di chiara fama per i quali vale la precisa descrizione di
Pietro Janni. Ci sono anche studiosi qualificati che, forse per paura di
apparire appunto aridi pedanti, concedono liberalmente il loro avallo a certi
geniali dilettanti: ‘sorprendente, stimolante, costringe a ripensare cose
che credevamo assodate’
(così pressappoco suona il frasario di
prammatica). (Janni 2004: 110 n. 73)
È del tutto evidente che qui si passa dall’evoluzione del pensiero
storico-filosofico nel quale l’idea di Atlantide ha rappresentato un serio
argomento di discussione, a una narrazione spettacolare alla quale si
piegano illustri studiosi immemori del monito di Antonio Gramsci che
arrivò a creare un’apposita categoria alla quale diede il nome di
Lorianismo, dedicandogli uno dei quaderni speciali scritti nel carcere, il
28.
De hoc satis
Fonte:
Stiglitz, Alfonso, Come le nuvole
all’imbrunire. Il Cappellano di Svezia e la
ricerca delle Atlantidi mediterranee: la Sardegna,
“Medea”, III, 1, 2017, DOI:
http://dx.doi.org/10.13125/medea-3009
Mi spaventa l'arroganza di coloro che negano l'esistenza di un fenomeno del quale non sanno nemmeno trascrivere il nome (tsunami e non tzunami!!!). Il che la dice davvero lunga su certi personaggi che neganno l'esistenza di ciò che non conoscono basandosi sul "sentito dire".
RispondiEliminaMa per favore!
Albino Nieddu
Cosa ci fanno, allora le tombe romane de Su Nuraxi, se non a testimoniare, che nessuna Onda, ha colpito la Sardegna? Cosa avrebbero potuto insegnare, i Sardi del Bronzo ai Faraoni ? Non scherziamo.
RispondiEliminaCaro Pierluigi, ti ringrazio per la condivisione. Posso suggerirti di aggiungere l'epigrafe che ho messo all'inizio dell'articolo, la sua assenza non permette di capire il titolo. "come le nuvole all'imbrunire"è infatti l'espressione utilizzata da Diderot per criticare il Cappellano di Svezia e i cercatori di Atlantide, equiparandoli ai bambini che al cadere del sole guardano le nuvole e in esse ognuno di loro vede quello che vuole, un viso, un animale ecc. L'epigrafe è questa:
RispondiEliminaje veux mourir si vous ne regardez l’auteur comme un enfant qui s’amuse à observer les nuées à la chute du jour. Le jour est bien tombé depuis environ deux mille cinqcents ans que Platon écrivait, et M. l’aumônier de Suède a vu dans les nuées de l’auteur grec,tout ce qu’il a plu à son imagination, aidée de beaucoup de connaissances, d’étude et de pénétration.
Excellent mémoire à lire pour apprendre à se méfier des conjectures des érudits.
che, tradotta in italiano suona grossomodo così:
Voglio morire se non guardi all'autore come a un bambino che ama osservare le nuvole alla fine della giornata. Il giorno è sceso per circa duemila e cinquecento anni da quando ha scritto Platone e il cappellano svedese ha visto nelle nuvole dell'autore greco,tutto ciò che ha amato nella sua immaginazione, aiutato da molta conoscenza, studio e penetrazione.
Eccellente memoria da leggere per imparare a diffidare delle congetture degli studiosi.
Alfonso
Scrive Rolando Berretta a proposito della carta, allegata, che riporta l’Atlantide.
RispondiEliminaCredo che l’Autore abbia raffigurato l’isola di Atlantide –dentro- il Mediterraneo per rendere immediata la lettura delle proporzioni. Quell’isola va vista fuori ma sullo stesso parallelo.
( e si risparmia sulla pergamena )
Gentile Rolando
RispondiEliminami dispiace smentirla ma la carta indica con esattezza dove si pensava essere esistita Atlantide: per Jean-Baptiste-Claude Delisle de Sales, l'ispiratore della carta, la Sardegna e la Corsica sarebbero l’ultimo residuo di una immensa terra, Atlantide, nata da una grande conflagrazione vulcanica: "Si l’on suppose, par exemple, que l’Isle de Platon, était située au milieu de la Méditérannée, vers le vingt neuvième degré de longitude, et le quarante- unième de latitude, à-peu-près dans la position de notre Sardaigne, qui n’existait pas alors ou qui est plutôt un des débris de l’Atlantide, il se trouvera qu’on aura rempli à-peuprès toutes les conditions du problème": J.-B.-C. Delisle de Sales, Histoire philosophique du monde primitif, Tome VI, Paris 1793 (4e éd)p. 185. Nessuna volontà di risparmiare sulla pergamena.
Alfonso Stiglitz
Dottor Stiglitz …. questo è il suo testo:
RispondiElimina… E, quindi, una piccola carta
Una piccola carta (20 x 28 cm) dall’invitante titolo: Carte de l’Atlantide, d’après Platon et Diodore (Fig. 1), edita a Parigi nel 1775 da mani ignote, rappresenta, a una scala approssimativa di 1:6.000.000, il Mediterraneo occidentale compreso tra le coste centro-settentrionali dell’Italia, quelle meridionali della Francia, quelle orientali della Spagna e quelle settentrionali dell’Africa. …. La data dice 1775.
Jean-Baptiste-Claude Delisle de Sales, l'ispiratore della carta, scrisse la sua opera nel 1793.
(Delisle de Sales 1793: 185-194)
Resto della mia idea:
l’Autore della carta del 1775 “ha risparmiato” sulla pergamena e non è Jean-Baptiste-Claude Delisle de Sales.
Rolando Berretta
Gentile Rolando, le riporto il testo integrale:
RispondiEliminaSe per questo documento [quello del 1775] non è certa l’attribuzione, più elementi abbiamo per una carta, di poco più recente, contenuta nel Recueil de cartes geographiques et d’estampes pour l’histoire philosophique du monde primitif, edito nel 1793 da autore sconosciuto. La Carte du monde primitif à l’epoque de la fondation des premieres Empires connus rappresenta il mondo compreso tra la Cina e la Spagna; per quanto riguarda il Mediterraneo occidentale, denominato Mer Interieure, comprende alcune grandi isole: la Tyrrenide, che corrisponde all’attuale Italia centrale, la Sicile e l’isle Atlantide, che ingloba la Sardegna e la Corsica, esplicitamente menzionate. Questa seconda carta è sicuramente collegata con l’opera citata nel titolo della raccolta, edita da Jean-Baptiste-Claude Del isle de Sales nel 1793 e nella quale la Sardegna, la Corsica e la Sicilia sarebbero l’ultimo residuo di una immensa terra, Atlantide, nata da una grande conflagrazione vulcanica (Delisle de Sales 1793: 185-194). Alcuni elementi di questo testo ci portano a ipotizzare che anche la prima carta sia dovuta all’opera di questo autore: la definizione della Sardegna come “un des débris de l’Atlantide” (ivi:185) così come la Corsica e, qualche pagina più in là, la dichiarazione esplicita «et je concilie Platon avec Diodore, sans altérer la géographie, et sans blesser la raison» (ivi:187". Resto dell'idea che il cartografo non aveva problemi di risparmio.
Alfonso
P.S. Non mi risulta fosse in pergamena.
Fate finta di niente ma è passata molta acqua sotto quel mulino da quando il Frau diede alle stampe il suo libro. Nel frattempo vi sono state nuove scoperte e nuovi libri, di altri autori, che confermano l'identità tra Sardegna e Atlantide, che non parlano di Sardegna nuragica e si attengono alle date fornite a Solone dai sacerdoti di Sais. Rimanete arroccati sulle vostre torri nuragiche ad insistere sull'inesistenza di un "tzunami" nell'epoca del bronzo, per compiacere il defunto Marsilio Ficino che forse non era al corrente che già dal 5701 a.C. vi era un calendario civile in Egitto della durata di 365 giorni.
RispondiElimina5701? addirittura? Forse rifarei qualche calcolo o leggerei qualche serio libro sugli egizi.
RispondiEliminaL'acqua sotto il mulino è stata veramente molta è ha portato via tutto il fango gettato da Frau sulla Sardegna. Comunque non mi risultano nuove scoperte né nuovi libri, ancorché anonimi come lei.
Alfonso