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giovedì 22 agosto 2013

Civiltà nuragica. Terme, capanne lustrali o capanne del sudore?

Civiltà nuragica. Terme, capanne lustrali o capanne del sudore?

In giro per la Sardegna, nei principali siti nuragici, si notano strutture di difficile interpretazione, dedicate a una funzione che lega l'acqua e il fuoco. Intorno alla vasca centrale hanno un sedile circolare che può ospitare fino a una decina di persone. Sono piccole, e alcuni archeologi suggeriscono un utilizzo domestico. Fino a oggi le interpretazioni non sono giunte a una condivisione e le ipotesi sono suggestive: fornaci, terme, capanne per riti (ma non si sa quali) e altre. Oggi propongo un interessante articolo che riguarda la capanna sudatoria degli indiani d'America. Ho inserito un'immagine di un pannello espositivo del Museo Archeologico di Villanovaforru nel quale si racconta di un utilizzo simile. E nell'immagine sotto c'è una di queste capanne fotografata a Barumini.


Inipi: La capanna sudatoria

"C'è qualcuno che giace a terra in maniera sacra.
C'è qualcuno - sulla terra egli giace.
In maniera sacra l'ho fatto camminare".
Alce Nero


Fonte: http://www.ilcerchiosciamanico.it/inipi-capanna-sudatoria.php

Nelle parole dei suoi maestri, la parola “Inipi” significa nascere di nuovo per essere in relazione con tutto l’universo, è il canto di nonna terra che ci purifica e guarisce a tutti livelli. La capanna sudatoria è una preghiera per tutte le nostre relazioni. Questi antichi rituali costituiscono una grande fonte di guarigione, ci danno l’opportunità di riconnetterci con la nostra vera natura, con la Madre Terra e con tutto l’universo. I rituali creano magia e in questi momenti speciali diveniamo consapevoli che noi siamo in relazione con tutto quello che ci circonda e torniamo come neonati, semplici esseri meravigliati dalla bellezza che è tutta intorno.

La capanna sudatoria, o Inipi, è una delle cerimonie più importanti di purificazione dei nativi americani, anche se pratiche similari si trovano in altre parti del mondo (ad esempio il Temascal in Messico o il “Bagno degli Incas” in Perù). Anche nelle culture europee, soprattutto nel nord Europa, si sono trovate tracce di una antica pratica della capanna del sudore, come in Finlandia o nella tradizione celtica.
L’entrata nell’oscurità della capanna, l’atmosfera calda e umida, richiama il ritorno al grembo di Madre Terra, un momento dove ciascuno ha la possibilità di liberarsi dalle energie pesanti accumulate sin qui e potersi così trasformare e rinascere in una nuova forma e dimensione più libera e leggera. L’ambiente oscuro, umido, caldo e accogliente, richiamano le sensazioni oceaniche e paradisiache della nostra vita intrauterina dove ritroviamo sicurezza, protezione e soddisfacimento istantaneo e senza sforzo di tutte le nostre necessità. Il ritorno alla fase iniziale della nostra nascita e l’attraversamento dei vari passaggi fino alla nostra venuta al Mondo è una esperienza comune che i partecipanti possono vivere nella capanna del sudore. Questa esperienza può darci la possibilità di recuperare o integrare o quanto meno riconoscere parti perdute o frammentate del sé, magari causate momenti traumatici che hanno accompagnato la nostra nascita, od esperienze della vita adulta che li hanno ripetuti drammaticamente. Venendo alla luce, diamo la possibilità a queste energie oscure di trasformarsi e liberare ciò che hanno trattenuto sin qui.
Il viaggio interiore nel buio della nostra coscienza diventa, con l’aiuto degli spiriti, un momento catartico e al tempo stesso iniziatico di profonda trasmutazione e guarigione. L’atto fisico di purificazione che il corpo mostra nel lasciar uscire il sudore, quando “il popolo delle pietre”, o “gli anziani” come vengono chiamate dai Lakota, entrano nella capanna incandescenti e vivi, testimonia l’apertura della nostra anima verso infiniti spazi interiori alla quale, con l’accompagnamento e l’aiuto di preghiere, canti e dalla presenza degli spiriti, viene offerta una rinnovata possibilità di guarigione.

La sensazione di contenimento e connessione con gli altri e con il Tutto che si vivono durante l’esperienza permettono a chiunque di affidarsi con gioia ed amore ai canti, alle pietre, al calore, alle preghiere, certi che ogni reazione emozionale, ogni pianto o desiderio inespresso possano trovare uno spazio sicuro e amorevole ove potersi manifestare per poter portare a compimento la guarigione necessaria.
Rispetto, amore, sostegno e connessione emergono come risorse necessarie non solo allo sviluppo del processo di purificazione in atto durante la cerimonia ma come valori da recuperare e rendere manifesti in ogni momento della propria vita. E’ una esperienza di profonda guarigione ottenuta grazie agli elementi della natura, rappresentati tutti nella loro intima forza ed essenzialità, il fuoco al centro, l’acqua che porta la vita, la madre terra sotto di noi pronta ad accogliere le nostre sofferenze e a trasformarle, gli spiriti del vapore, dell’aria, che portano in alto le nostre preghiere.

La Cerimonia Lakota dell’Inipi

La capanna viene costruita solitamente con rami di salice inseriti nel terreno a forma circolare. I rami sono piegati verso il centro e legati assieme formando una cupola la cui dimensione può essere adattata in base al numero delle persone. L’ingresso può essere rivolto verso Est o Ovest (dipende dalle tradizioni e dal conduttore) e la struttura così ottenuta viene coperta tradizionalmente da pelli di bisonte, nelle cerimonie moderne da teli o coperte. In mezzo alla capanna si scava una culla dove verranno disposte le pietre (“gli anziani”) mano a mano che vengono portate all’interno della capanna. Un custode o portinaio apre e chiude la capanna dall’esterno, solitamente viene fatto quattro volte in tutto, segnando quattro momenti di passaggio durante la cerimonia.

Talvolta il conduttore chiede ai partecipanti di preparare dei nodi di preghiera, si scrivono su foglietti quegli aspetti di sé che si vogliono guarire o portare a trasformazione e si mettono all’interno di strisce colorate di stoffa, ritagliate a misura, e poi appese all’interno della capanna. Quando si entra nello spazio interno, si può dire “"Mitakuye Oyas'in", che in lingua Lakota significa siamo tutti fratelli, siamo tutti parenti, siamo tutti connessi. La porta, solitamente di misura inferiore al normale, costringe ad abbassare il capo in segno di rispetto e resa verso gli spiriti. Questa frase si ripete solitamente anche quando entrano “gli anziani” (le pietre). Si entra in senso orario, alcuni dispongono gli uomini da un lato e le donne dall’altro, e il conduttore chiama le prime pietre roventi che vengono disposte nella buca centrale e sistemate con corna di cervo. Chiusa la porta, si versa dell’acqua sulle pietre in modo che il vapore inizia a riempire lo spazio interno alla capanna e la temperatura inizia ad aumentare. Il conduttore inizia a pregare e cantare, se l’uomo di medicina ha un assistente può essere anch’egli colui che intona i primi canti e preghiere. Terminata la prima fase si apre la porta, vengono introdotte altre pietre, si richiude e si passa alla seconda fase e così via fino alla quarta e ultima fase. La durata dipende dai partecipanti, dal conduttore e dagli spiriti. Durante ciascuna fase, nella quale si alternano canti, preghiere e racconti differenti, i partecipanti possono vivere esperienze molteplici che arrivano a compimento nell’ultima fase, quando la porta viene aperta definitivamente.
La cerimonia non è competitiva, se qualcuno si sente male o vuole uscire può farlo, anche se affidandosi agli spiriti, alle preghiere e a Madre Terra si sente un profondo aiuto e sostegno che solitamente facilita l’esperienza e permette a tutti di arrivare sino alla fine senza difficoltà. Alla fine, il leader esce per primo, seguito dagli uomini e che terminano con l'assistente, in senso orario. Alla gente piace rinfrescarsi dopo la cerimonia, e qualche salto in un lago o nella neve, o semplicemente versare acqua su se stessi.

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