lunedì 26 agosto 2013
Archeologia subacquea. In corso di scavo un villaggio villanoviano sommerso del IX a.C.
Archeologia subacquea. In corso di scavo un villaggio villanoviano sommerso del IX a.C.
di Laura Larcan
I sub sono al lavoro almeno da due ore senza mai riemergere, a una profondità di quattro metri. L’operazione è quanto mai delicata. Dal limo che ricopre il fondale sono riaffiorati negli ultimi giorni reperti di varia natura. Ci sono vasi, alcuni integri e ben conservati, piccoli rocchetti per filature, aghi da rete e ami, utensili in bronzo, frecce, un coltello, anellini metallici intrecciati quasi ad evocare un possibile «acchiappasogni». Ma soprattutto legni e fibre vegetali, delicatissimi perché impregnati d’acqua, e ad alto rischio distruzione, che testimoniano le strutture delle capanne del IX a.C. Siamo ad una sessantina di metri dalla costa del lago di Bolsena nel complesso archeologico sommerso del Villaggio preistorico del Gran Carro (o Gran Caro secondo la dicitura originaria), importantissimo insediamento d’età villanoviana, tra i più vasti e meglio conservati, scoperto nel 1959, ma da quasi trent’anni senza interventi di studio accurati, in balia dei tanti tombaroli subacquei che ne hanno approfittato.
Il guscio
È qui che il Nucleo di archeologia subacquea dell’Istituto superiore per la conservazione e il restauro diretto da Gisella Capponi conclude oggi la sperimentazione di un nuovo sistema hi-tech di recupero subacqueo di manufatti organici ad alto rischio, nell’ambito del progetto europeo Sasmap, di cui capofila è il National Museum of Denmark. «Abbiamo costruito una barella-guscio con fogli di carbonio e fogli di fibre sintetiche che hanno la caratteristica di essere ammortizzanti - racconta la responsabile scientifica Barbara Davidde - La particolarità è che questa sorta di culla può essere modellata direttamente sott’acqua e, prendendo la forma perfetta del manufatto, permette di recuperarlo in completa sicurezza. Una volta trasportata in laboratorio la barella può essere aperta e utilizzata dal restauratore come tavolo operatorio, dove iniziare la pulitura del manufatto dal sedimento e le operazioni di consolidamento e restauro». Un intervento provvidenziale, quello dell’Iscr, nella campagna di indagini sullo stato di conservazione delle strutture sommerse del villaggio.
Legno di quercia
Le immersioni, iniziate il 20 luglio scorso, si sono concentrate su un’area archeologica di circa 50 metri quadrati, dove sono state setacciate numerose teste dei pali di legno che quasi 3000 anni fa sorreggevano il sistema di capanne. Sono state le analisi effettuate da Manuela Romagnoli dell’università della Tuscia a riconoscerne ora l’origine di quercia. Come evidenzia la Petitti, quello del Gran Carro è uno degli insediamenti preistorici più interessanti al mondo, perché il suo stato di conservazione consente di fare luce sulla vita quotidiana di una delle prime testimonianze della civiltà villanoviana alla fine dell’età del Ferro. «La quantità di materiali emersa in questi giorni è enorme, impressionante, tra vasellame e strutture di legno», avverte Egidio Severi responsabile del Centro scuola sub. La scoperta di tracce di incendio su alcune teste dei pali potrebbe schiudere un nuovo scenario: «Bisogna verificare ora se è un incendio che ha devastato una sola capanna o tutto il villaggio - riflette Severi - Le cause dell’abbandono del sito sono ancora tutte da chiarire. Finora era emerso un innalzamento repentino, in antico, del livello delle acque forse dovuto alle origini vulcaniche del lago. Un incendio potrebbe essere la nuova ipotesi».
di Laura Larcan
I sub sono al lavoro almeno da due ore senza mai riemergere, a una profondità di quattro metri. L’operazione è quanto mai delicata. Dal limo che ricopre il fondale sono riaffiorati negli ultimi giorni reperti di varia natura. Ci sono vasi, alcuni integri e ben conservati, piccoli rocchetti per filature, aghi da rete e ami, utensili in bronzo, frecce, un coltello, anellini metallici intrecciati quasi ad evocare un possibile «acchiappasogni». Ma soprattutto legni e fibre vegetali, delicatissimi perché impregnati d’acqua, e ad alto rischio distruzione, che testimoniano le strutture delle capanne del IX a.C. Siamo ad una sessantina di metri dalla costa del lago di Bolsena nel complesso archeologico sommerso del Villaggio preistorico del Gran Carro (o Gran Caro secondo la dicitura originaria), importantissimo insediamento d’età villanoviana, tra i più vasti e meglio conservati, scoperto nel 1959, ma da quasi trent’anni senza interventi di studio accurati, in balia dei tanti tombaroli subacquei che ne hanno approfittato.
Il guscio
È qui che il Nucleo di archeologia subacquea dell’Istituto superiore per la conservazione e il restauro diretto da Gisella Capponi conclude oggi la sperimentazione di un nuovo sistema hi-tech di recupero subacqueo di manufatti organici ad alto rischio, nell’ambito del progetto europeo Sasmap, di cui capofila è il National Museum of Denmark. «Abbiamo costruito una barella-guscio con fogli di carbonio e fogli di fibre sintetiche che hanno la caratteristica di essere ammortizzanti - racconta la responsabile scientifica Barbara Davidde - La particolarità è che questa sorta di culla può essere modellata direttamente sott’acqua e, prendendo la forma perfetta del manufatto, permette di recuperarlo in completa sicurezza. Una volta trasportata in laboratorio la barella può essere aperta e utilizzata dal restauratore come tavolo operatorio, dove iniziare la pulitura del manufatto dal sedimento e le operazioni di consolidamento e restauro». Un intervento provvidenziale, quello dell’Iscr, nella campagna di indagini sullo stato di conservazione delle strutture sommerse del villaggio.
Legno di quercia
Le immersioni, iniziate il 20 luglio scorso, si sono concentrate su un’area archeologica di circa 50 metri quadrati, dove sono state setacciate numerose teste dei pali di legno che quasi 3000 anni fa sorreggevano il sistema di capanne. Sono state le analisi effettuate da Manuela Romagnoli dell’università della Tuscia a riconoscerne ora l’origine di quercia. Come evidenzia la Petitti, quello del Gran Carro è uno degli insediamenti preistorici più interessanti al mondo, perché il suo stato di conservazione consente di fare luce sulla vita quotidiana di una delle prime testimonianze della civiltà villanoviana alla fine dell’età del Ferro. «La quantità di materiali emersa in questi giorni è enorme, impressionante, tra vasellame e strutture di legno», avverte Egidio Severi responsabile del Centro scuola sub. La scoperta di tracce di incendio su alcune teste dei pali potrebbe schiudere un nuovo scenario: «Bisogna verificare ora se è un incendio che ha devastato una sola capanna o tutto il villaggio - riflette Severi - Le cause dell’abbandono del sito sono ancora tutte da chiarire. Finora era emerso un innalzamento repentino, in antico, del livello delle acque forse dovuto alle origini vulcaniche del lago. Un incendio potrebbe essere la nuova ipotesi».
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Molto bello ed interessante. Spero che io ricercatori provvedano a datazioni assolute dei materiali ma anche del contenuto fossile degli strati fangosi. Si potrebbe così collegare gli eventi riconoscibili da un punto di vista archeologico con eventi di portata più vasta, come i cambiamenti climatici.
RispondiEliminaInoltre se si trovasse che l'intero villaggio stato interessato da un incendio, e che parte delle strutture risultano disconnesse ed affondate nel sedimento, spero che ipotizzino anche delle cause naturali, e non solo belliche. Come un forte sisma, ad esempio...
Ciao, grazie della segnalazione, Francesco Vitale