venerdì 16 agosto 2013
Archeologia in Sardegna. Dal villaggio nuragico Su Brunk'e Somu germina la Bannari storica
Archeologia in Sardegna. Dal villaggio nuragico Su Brunk'e Somu germina la Bannari storica
di Vitale Scanu
Morgongiori, Pau, Usellus, Villa Urbana…, ognuno di essi ha la sua parte montana di riferimento e di appartenenza. Anche Bannari (oggi Villa Verde) ha una zona di monte sulla quale fin dalla preistoria gravita, rappresentata dalla Mitza Mraxiãi e suoi dintorni.
A questa terra noi bannaresi moderni ci sentiamo appartenere in modo intimo e naturale. Ci sentiamo una scheggia di questa terra: più che dire questa terra appartiene a noi, è giusto dire che noi apparteniamo a questa terra. Viviamo da sempre in simbiosi con essa e con essa condividiamo l’aria, le acque, le temperie stagionali, il sole, su lugòri della notte, tutte le vicis-situdini belle o tristi, i lavori dei campi, perfino le cellule e gli atomi, invisibili ma pure in essa presenti, dei nostri padri antichi. Conosciamo intimamente ogni angolo, ogni siepe, ogni tratturo, ogni tana, ogni sentiero, e li chiamiamo addirittura per nome: Muntãiedda, Lĩus Arbus, Minda ‘Uréu, Giuabi, Mind’e Pira, Carongi’arrùbiu, Trunchéddu, Prã Monti, Padènti, Mitza Mraxiãi, sa Cannìga, Bosãu… Quando li pronunciamo ci si illumina un’idea, un’immagine localizzata ben precisa e unica. Quando diciamo “Atziaus a mònti”, ci si materializza una meta e un percorso ben chiari e definiti; se siamo sulla montagna e diciamo “Abaxiáus a bidda”, intendiamo immancabilmente quei viottoli sotto le ombre che andiamo a percorrere. Sentiamo la "nostra" montagna come casa nostra. Anche un abitatore preistorico ragionava così e così interagiva col territorio. Come noi diciamo “la nostra montagna”, così è lecito ipotizzare che i nostri antenati preistorici abbiano detto “la nostra valle”. Da tutto ciò, a dedurne che la Bannari storica è germinata dai preistorici abitatori di su Brunk’e s’Omu, il passo è assai breve. E il motivo è semplice: non c’è un discorso alternativo.
Un dato comprensorio, è stato rimarcato dagli etnologi, presenta identiche e marcate peculiarità nei suoi abitanti; al contrario, quelli che vivono ai margini di esso, esternano culture, usi, parlata, modi di vivere poco o tanto divergenti, estranei alle caratteristiche dell’area “nostra”. In altre parole: gli abitatori della montagna di Baini condividevano peculiarità identiche, che contribuivano a formare un comprensorio "bainese", caratteristiche rimaste inalterate lungo i secoli. Con il loro DNA essi ci hanno trasmesso, lungo una carsica continuità millenaria, anche il carattere (per gli animali diciamo sa intĩa), le attitudini e sicuramente pure tante parole del loro dialetto arcaico che noi a tutt’oggi usiamo nel parlare, e che non hanno riscontro, non solo con le semantiche di altre lingue conosciute, ma spesso neanche con particolari dialettali di comunità viciniori. Come il paesaggio bannarese si è mantenuto sostanzialmente identico, non adulterato da intrusioni o modifiche da parte dell’uomo, così abbiamo ereditato un paesaggio spirituale ed etnico condiviso con i nostri avi nuragici.
Dalla fase della caccia e della raccolta dei frutti spontanei, verso la fase della coltivazione, ossia dell’agricoltura. Conoscendo le cifre storiche del tracciato di civilizzazione percorso da tutti gli altri popoli e stabilendo analogie con quelli impliciti con la realtà dell’ossidiana, diciamo, a buona ragione, che il primitivo nucleo abitato di su Brunk’e s’Omu, situato a poche decine di metri dalla fonte di Mitza Mraxiãi (creduta acqua salutifera fin dai tempi più antichi), può essere ritenuto il fulcro antropico da cui, fin da tempi remotissimi, germinò una migrazione a valle originata dalla ricerca di un’esistenza più agevole, verso l’agricoltura. Noi, bannaresi di oggi, possiamo pertanto chiamare gli abitatori di su Brunk'e s'Omu i nostri “compaesani” della preistoria.
L’ubicazione montana del villaggio di questo villaggio era giustificata da una scelta elettiva, riconosciuta nei popoli primitivi, più per le alture che per le valli, per la presenza di ottime e abbondanti acque, per l’abbondanza della cacciagione, per l’aria più fine e salubre, per la vicinanza ai giacimenti dell’ossidiana, per essere un sito più adatto per la propria difesa, per essere un importante incrocio lungo l’asse pedemontano che correva lungo lo zoccolo sud-orientale dell’Arci. Il nucleo, riqualificato verosimilmente in periodo romano, slitterà verso un logico nuovo assetto più a valle: dalla pastorizia e dalla caccia verso l’agricoltura stanziale.
Ubicato ai piedi del nuraghe omonimo di tipo complesso (la cui esplorazione, condotta nel 2005 dai responsabili scientifici del sito: Emerenziana Usai, Giuseppina Ragucci, Carmen Locci, Gabriella Puddu e Sandrina Carta, ancora non è stata completata), il villaggio è ben definito nella descrizione che Diodoro Siculo (90-27 a.C., Bibliotheca historica, IV, 30) fa delle abitazioni dei coevi plessi nuragici degli Ilienses, «che hanno le proprie sedi sui monti, dove abitano certi luoghi impervi e di accesso difficile…, abituati a nutrirsi di latte e di carni, perché vivono di pastorizia e non hanno bisogno di grano. Abitano in dimore sotterranee, scavandosi gallerie al posto di case, e così evitano con facilità i pericoli delle guerre. Perciò, quantunque i Cartaginesi ed i Romani spesso li abbiano inseguiti colle armi, non poterono mai ridurli all’obbedienza». E aggiunge: «Sebbene i Cartaginesi al vertice della loro potenza si fossero impadroniti dell’isola, non poterono però ridurre in servitù gli antichi possessori, essendosi gli Iliensi rifugiati sui monti ed ivi, fattesi abitazioni sottoterra, mantenendo quantità di bestiame, si alimentavano di latte, di formaggio e di carne, cose che avevano in abbondanza. Così, lontani dalle pianure, si sottrassero anche alle fatiche del coltivare la terra e seguitano ancora oggi a vivere sui monti, senza pensieri e senza fatiche, contenti dei cibi semplici… In tal modo essi si preservarono liberi»... «Infine, i romani, potentissimi per il loro vasto impero, avendo fatto spessissimo la guerra, per nessuna forza militare che impiegassero, poterono giungere a soggiogarli.»
Con corretta analogia possiamo giustapporre le abitazioni e la vita semplice ma libera degli abitatori di su Brunk’e s’Omu alla descrizione che lo storico greco fa dei villaggi e dei popoli nuragici. Essi hanno in comune non solo la loro primitiva condizione economico-sociale, ma soprattutto condividono lo status di uomini “liberi”, unici padroni di se stessi. E’ verosimile che, se lo storico Diodoro, vissuto nel primo secolo avanti Cristo, è nella condizione di descrivere tanto minuziosamente i popoli neolitici della Sardegna (come quello di su Brunk’e s’Omu), viventi ancora nelle loro condizioni primitive, questi uomini abbiano vissuto nelle condizioni neolitiche fino a incontrarsi con i romani.
di Vitale Scanu
Morgongiori, Pau, Usellus, Villa Urbana…, ognuno di essi ha la sua parte montana di riferimento e di appartenenza. Anche Bannari (oggi Villa Verde) ha una zona di monte sulla quale fin dalla preistoria gravita, rappresentata dalla Mitza Mraxiãi e suoi dintorni.
A questa terra noi bannaresi moderni ci sentiamo appartenere in modo intimo e naturale. Ci sentiamo una scheggia di questa terra: più che dire questa terra appartiene a noi, è giusto dire che noi apparteniamo a questa terra. Viviamo da sempre in simbiosi con essa e con essa condividiamo l’aria, le acque, le temperie stagionali, il sole, su lugòri della notte, tutte le vicis-situdini belle o tristi, i lavori dei campi, perfino le cellule e gli atomi, invisibili ma pure in essa presenti, dei nostri padri antichi. Conosciamo intimamente ogni angolo, ogni siepe, ogni tratturo, ogni tana, ogni sentiero, e li chiamiamo addirittura per nome: Muntãiedda, Lĩus Arbus, Minda ‘Uréu, Giuabi, Mind’e Pira, Carongi’arrùbiu, Trunchéddu, Prã Monti, Padènti, Mitza Mraxiãi, sa Cannìga, Bosãu… Quando li pronunciamo ci si illumina un’idea, un’immagine localizzata ben precisa e unica. Quando diciamo “Atziaus a mònti”, ci si materializza una meta e un percorso ben chiari e definiti; se siamo sulla montagna e diciamo “Abaxiáus a bidda”, intendiamo immancabilmente quei viottoli sotto le ombre che andiamo a percorrere. Sentiamo la "nostra" montagna come casa nostra. Anche un abitatore preistorico ragionava così e così interagiva col territorio. Come noi diciamo “la nostra montagna”, così è lecito ipotizzare che i nostri antenati preistorici abbiano detto “la nostra valle”. Da tutto ciò, a dedurne che la Bannari storica è germinata dai preistorici abitatori di su Brunk’e s’Omu, il passo è assai breve. E il motivo è semplice: non c’è un discorso alternativo.
Un dato comprensorio, è stato rimarcato dagli etnologi, presenta identiche e marcate peculiarità nei suoi abitanti; al contrario, quelli che vivono ai margini di esso, esternano culture, usi, parlata, modi di vivere poco o tanto divergenti, estranei alle caratteristiche dell’area “nostra”. In altre parole: gli abitatori della montagna di Baini condividevano peculiarità identiche, che contribuivano a formare un comprensorio "bainese", caratteristiche rimaste inalterate lungo i secoli. Con il loro DNA essi ci hanno trasmesso, lungo una carsica continuità millenaria, anche il carattere (per gli animali diciamo sa intĩa), le attitudini e sicuramente pure tante parole del loro dialetto arcaico che noi a tutt’oggi usiamo nel parlare, e che non hanno riscontro, non solo con le semantiche di altre lingue conosciute, ma spesso neanche con particolari dialettali di comunità viciniori. Come il paesaggio bannarese si è mantenuto sostanzialmente identico, non adulterato da intrusioni o modifiche da parte dell’uomo, così abbiamo ereditato un paesaggio spirituale ed etnico condiviso con i nostri avi nuragici.
Dalla fase della caccia e della raccolta dei frutti spontanei, verso la fase della coltivazione, ossia dell’agricoltura. Conoscendo le cifre storiche del tracciato di civilizzazione percorso da tutti gli altri popoli e stabilendo analogie con quelli impliciti con la realtà dell’ossidiana, diciamo, a buona ragione, che il primitivo nucleo abitato di su Brunk’e s’Omu, situato a poche decine di metri dalla fonte di Mitza Mraxiãi (creduta acqua salutifera fin dai tempi più antichi), può essere ritenuto il fulcro antropico da cui, fin da tempi remotissimi, germinò una migrazione a valle originata dalla ricerca di un’esistenza più agevole, verso l’agricoltura. Noi, bannaresi di oggi, possiamo pertanto chiamare gli abitatori di su Brunk'e s'Omu i nostri “compaesani” della preistoria.
L’ubicazione montana del villaggio di questo villaggio era giustificata da una scelta elettiva, riconosciuta nei popoli primitivi, più per le alture che per le valli, per la presenza di ottime e abbondanti acque, per l’abbondanza della cacciagione, per l’aria più fine e salubre, per la vicinanza ai giacimenti dell’ossidiana, per essere un sito più adatto per la propria difesa, per essere un importante incrocio lungo l’asse pedemontano che correva lungo lo zoccolo sud-orientale dell’Arci. Il nucleo, riqualificato verosimilmente in periodo romano, slitterà verso un logico nuovo assetto più a valle: dalla pastorizia e dalla caccia verso l’agricoltura stanziale.
Ubicato ai piedi del nuraghe omonimo di tipo complesso (la cui esplorazione, condotta nel 2005 dai responsabili scientifici del sito: Emerenziana Usai, Giuseppina Ragucci, Carmen Locci, Gabriella Puddu e Sandrina Carta, ancora non è stata completata), il villaggio è ben definito nella descrizione che Diodoro Siculo (90-27 a.C., Bibliotheca historica, IV, 30) fa delle abitazioni dei coevi plessi nuragici degli Ilienses, «che hanno le proprie sedi sui monti, dove abitano certi luoghi impervi e di accesso difficile…, abituati a nutrirsi di latte e di carni, perché vivono di pastorizia e non hanno bisogno di grano. Abitano in dimore sotterranee, scavandosi gallerie al posto di case, e così evitano con facilità i pericoli delle guerre. Perciò, quantunque i Cartaginesi ed i Romani spesso li abbiano inseguiti colle armi, non poterono mai ridurli all’obbedienza». E aggiunge: «Sebbene i Cartaginesi al vertice della loro potenza si fossero impadroniti dell’isola, non poterono però ridurre in servitù gli antichi possessori, essendosi gli Iliensi rifugiati sui monti ed ivi, fattesi abitazioni sottoterra, mantenendo quantità di bestiame, si alimentavano di latte, di formaggio e di carne, cose che avevano in abbondanza. Così, lontani dalle pianure, si sottrassero anche alle fatiche del coltivare la terra e seguitano ancora oggi a vivere sui monti, senza pensieri e senza fatiche, contenti dei cibi semplici… In tal modo essi si preservarono liberi»... «Infine, i romani, potentissimi per il loro vasto impero, avendo fatto spessissimo la guerra, per nessuna forza militare che impiegassero, poterono giungere a soggiogarli.»
Con corretta analogia possiamo giustapporre le abitazioni e la vita semplice ma libera degli abitatori di su Brunk’e s’Omu alla descrizione che lo storico greco fa dei villaggi e dei popoli nuragici. Essi hanno in comune non solo la loro primitiva condizione economico-sociale, ma soprattutto condividono lo status di uomini “liberi”, unici padroni di se stessi. E’ verosimile che, se lo storico Diodoro, vissuto nel primo secolo avanti Cristo, è nella condizione di descrivere tanto minuziosamente i popoli neolitici della Sardegna (come quello di su Brunk’e s’Omu), viventi ancora nelle loro condizioni primitive, questi uomini abbiano vissuto nelle condizioni neolitiche fino a incontrarsi con i romani.
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