lunedì 12 agosto 2013
Sardi, Shardana ed El Ahwat, di Giovanni Ugas
Sardi e Shardana: Le ragioni dell’identità e la questione di El Ahwat
di Giovanni Ugas
Recentemente, l'archeologo Giovanni Ugas ha parlato in Israele, in un convegno promosso dall’Università di Haifa, del ruolo degli Shardana del Vicino Oriente e della identificazione degli Shardana coi Sardi.
Finora sono decisamente limitate le ricerche sul terreno che hanno portato a individuare le tracce degli Shardana nel Vicino Oriente. Ricordo quelle di Moshè Dothan e di Jonathan Tubb. Non so se Adam Zertal avesse l’obiettivo di trovare a el Ahwat un insediamento degli Shardana, certo è che la sua indagine ha aperto una nuova strada investigativa sul campo che si innesta sull’antico percorso teorico avviato da De Rougée e da Chabas, quello dell’origine occidentale degli Shardana, troppo affrettatamente messo in disparte dall’archeologia e dalla storiografia dopo gli studi del Maspero. Con questo intervento, che procede lungo un analogo orientamento, intendo offrire il mio pensiero sulle problematiche dell’origine degli Shardana, sui loro possedimenti nel Vicino Oriente e sul significato di El Ahwat.
Presenze e stanziamenti degli Shardana nel Vicino Oriente
Nel Vicino Oriente al servizio dei re d’Egitto.
La storia degli Shardana nel Vicino Oriente inizia nel XV a.C. quando gli inviati delle Iww ḥiryw ib nw wɜḏ Wr, ossia delle “Isole nel cuore del Verde Grande” portano i loro doni per i re egizi Ashepsuth,Tuthmosis III e Amenofi II nelle tombe tebane dei visir Senmut, Useramon e Rekhmira. Infatti, diverse ragioni sostengono che fossero Shardana questi isolani che insieme ai principi Cretesi di Kephtyu portavano i loro prodotti ai faraoni. Innanzitutto, il colorito rosso bruno della pelle e le caratteristiche fisionomiche, alcuni capi d’abbigliamento, le spade a robusta lama triangolare e forse già lo scudo tondo degli abitanti delle Isole nel cuore sono peculiari anche degli Shardana raffigurati nei rilievi di Ramesse II (Figura 1) e Ramesse III. Inoltre, tra le genti delle Isole nel cuore, gli Shardana sono i primi e i soli che per circa 150 anni, almeno da tempi di Amenofi IV (prima metà XIV a.C.) al regno di Meremptah (ultimo quarto XIII), risultano esplicitamente menzionati nei documenti egiziani. Peraltro, le tavolette di el Amarna e di Ugarit, sebbene risalenti al XIV a.C., contengono informazioni che fanno retrocedere già ai tempi di Tuthmosis III e Amenofi II la più antica presenza degli Shardana nelle guarnigioni delle cittadelle del Vicino Oriente.
Pertanto, quando salì al trono Ramesse II, gli Shardana non erano affatto ignoti agli Egizi. Già prima di Kadesh, il grande faraone li definì “guerrieri dal cuore risoluto, invincibili sul mare” e non a caso li considera un valido alleato contro gli Ittiti e gli altri popoli dell’Est e, fin dai primi anni del suo regno, gli Shardana formano il corpo di guardia e, non di meno, sono schierati nella fanteria a Dapur e a Kadesh, come si evince dalle immagini di queste battaglie e dal papiro Anastasi I. Mirando ad ampliare i domini egizi nelle province del Nord-Est, Ramesse II assolda anche Mashuesh e Kahek del Nord Africa, facendoli passare, come gli Shardana, da “prigionieri di guerra”, ma di fatto essi hanno lo status di soldati mercenari compensati con terre e altri benefici. In Egitto, oltre a essere stanziati in fortezze, gli Shardana risultano assegnatari di fertili campi soprattutto su una fascia di 80 km nel medio Egitto, lungo il corso del Nilo e del canale di Bahr Yusuf (Gardiner, Kemp). Altri mercenari continuarono a essere stanziati nel Vicino Oriente per il controllo delle guarnigioni provinciali.
Scomparso Ramesse II, l’intesa con gli Shardana e i popoli del Nord Africa va in frantumi e, anzi, tra gli ex alleati inizia un lungo conflitto durato 50 anni, dal 5° anno di Meremptah (circa il 1224) all’anno 11° di Ramesse III (circa 1170 a.C). La guerra, condotta dagli Shardana coalizzati con altri Popoli del Mare e i Nord Africani Mashuesh, Libi e altri, era finalizzata a raggiungere un obiettivo ambizioso: l’abbattimento dei più grandi imperi del Mediterraneo, a cominciare dall’Egitto e da Hatti; tale progetto non poteva essere concepito senza un esercito forte e numeroso, e senza un’adeguata strategia politica e militare. Nel disegno prefissato, i popoli del Nord Africa miravano a estendere i loro domini sino al delta occidentale del Nilo mentre gli Shardana e gli altri Popoli del Mare tendevano a impadronirsi delle terre a Est del grande fiume. L’obiettivo fu raggiunto al tempo di Ramesse III (Figura 2);
il re a mala pena riuscì a conservare le terre bagnate dal corso del Nilo. Nel tempio di Medinet Habu, Ramesse III sostiene che i Popoli del Mare travolsero l’impero ittita e “tutto l’orbe terrestre”, partendo dall’Amurru che divenne una fondamentale base d’appoggio per le loro campagne di guerra a sud e a Nord. Ovviamente, il re tace sulle sconfitte che portarono alla perdita delle sue terre provinciali nel Vicino Oriente e ritrae i re dei popoli nemici prigionieri tra cui il capo ribelle degli Shardana.
1.2. I domini degli Shardana nel Vicino Oriente
Non è semplice restituire la porzione di territorio assegnata agli Shardana nella ripartizione delle terre strappate a Ramesse III dai Popoli de Mare nel Vicino Oriente. È da credere, però che sulle scelte insediative dei singoli popoli, Pelaset, Sikali, Shardana, Wshesh e Dayniun, abbia pesato il ruolo di coordinamento, se non di leadership, assunto dagli Shardana per la precedente esperienza maturata in tre secoli di presenze nelle cittadelle egizie del Vicino Oriente, presumibilmente, oltre che a Ugarit e Biblo, anche a Tiro sulla costa e a Megiddo, Bet Shean e Hazor all’interno. È presumibile, in sostanza che gli Shardana si siano stabiliti in terre ben note e meglio confacenti alle loro strategie economiche e politiche. Ma dove precisamente?
L’Onomasticon di Amenope, della fine del XII a.C., informa che gli Shardana erano insediati in sequenza dopo i Pelaset e i Sikali (Tjekker) che, stando al racconto del sacerdote egizio Unamon, dimoravano nella regione di Dor. I testi egizi esaminati da Gardiner e da Yadin e le considerazioni di M. Dothan sui reperti del Miceneo IIIC di Akko inducono a pensare che gli Shardana si stanziarono non solo più a Nord, ma anche prima dei Filistei. Ciò premesso, il passo del Vecchio Testamento (Giudici 4,1-23) relativo alla sconfitta inflitta presso il rio Qishon dagli Israeliti di Barak e Deborah al generale Sisara, che aveva la sua sede in Haroshet ha Goiym ed era dunque a capo di stranieri (non Cananei), porta a ritenere che gli Shardana avessero conquistato, tra gli altri territori, la valle di Jezrael. Qui, si trovavano le città di Iokneam, Megiddo, Taanak e Ybleam che non furono occupate da Israele al tempo di Giosuè e dei Giudici (Giosuè 3-21; Giudici 1,27), così come Beth Shean. I confini dei domini degli Shardana dovevano raggiungere e attraversare la fascia pianeggiante immediatamente a est del Giordano, controllata a sud del lago Tiberiade da Beth Shean e verosimilmente da Sartan, l’odierna Tel Sa’id’iydia, nell’importante area metallurgica presso il guado di Adam (I Re 7,46, Giosuè 3,16), dove gli Shardana, secondo J. Tubb erano stanziati alle dipendenze degli Egizi, ma è da credere che poi si stabilissero in conto proprio.
Non di meno, dovevano appartenere agli Shardana i territori di Neftali, il cui capoluogo Hasor era la sede di Yabin, alleato o capo politico di Sisara (Giosuè 11,1-14), e di Zabulon. Entrambe le regioni, secondo Isaia (8, 23), facevano parte della Gelil Goiym ossia “la Galilea degli Stranieri” e dovevano dipendere militarmente se non politicamente da Haroshet ha Goiym. Questi invasori di Gelil, come ritiene anche A. Zertal, possono ben essere le “genti delle Isole” note ai testi egiziani e menzionate in Genesi (10, 4-5). Il nome di Zabulon è identificato da G. Garbini col coronimo Sbrj che nell’Onomastico di Amenope indica una terra contigua a quella degli Shardana. Ora, poiché Neftali e Zabulon formano l’entroterra di Asher, ne consegue che facevano parte dei domini degli Shardana anche la stessa fascia d’approdo e costiera di Asher, a Nord dei litorali di Dor. In Asher erano ubicate non solo Akko, dove Moshé Dothan ha individuato uno strato di distruzione e d’occupazione attribuito agli Shardana, e Akziv, sito portuale non trascurabile, ma a giudicare dai confini tribali restituiti nelVetus Testamentum (Giosuè 19,28-29), anche le città fenicie di Tiro e Sidone. È assai probabile che nel citato itinerario del sacerdote Unamon, Tiro fosse la sede più rappresentativa degli Shardana, anche perché al tempo di Salomone, poco più di un secolo dopo, la città è il principale referente per Asher e per gli altri territori cananei in cui, oltre agli Shardana, si stabilirono anche le tribù israelitiche settentrionali.
In sintesi, si può supporre che gli Shardana si fossero stanziati in un’area relativamente vasta i cui confini correvano tra Abu Awam e Sidone o forse Biblo lungo le coste e, in parallelo, all’interno lungo il Giordano, dall’agro di Hazor o di Dan sino a Sartan (Figura 3). In ogni caso, secondo logica, è da escludere che, dopo aver cacciato gli Egiziani dalle loro province con una lunga e dura guerra, i Popoli del Mare avessero trascurato proprio il fertile territorio pianeggiante che raccordava il Mediterraneo al Giordano e che controllava le vie di comunicazione tra la Mesopotamia, l’Egitto, la Siria, Cipro e l’Anatolia. Culturalmente gli Shardana furono assorbiti in tempi brevi dagli autoctoni Cananei e il Vecchio Testamento non li distingue più anche perché gli uni e gli altri appartenevano allo stesso ceppo dei popoli rossi mediterranei.
Shardana e Sardi: in breve le ragioni di un’identità
La gran parte degli studiosi ritiene che vi sia una relazione tra gli Shardana e la Sardegna, ma per lo più sostiene che essi giunsero nell’isola dopo gli scontri con Ramesse III. Tuttavia ciò non è possibile perché, mentre si svolgeva la civiltà nuragica dal XVI al Xa.C., in Sardegna non avvennero mutamenti politici e sociali così radicali da far pensare all’arrivo di un’altra popolazione. Viceversa, molte ragioni mi inducono a prospettare la rotta inversa percorsa da Ovest a Est e a identificare gli Shardana con i Sardi.
Esattamente come le Isole nel cuore del Verde Grande, la Sardegna è immersa in mezzo al Mediterraneo, possiede grandi quantità d’argento e altri importanti minerali. L’isola era celebrata dagli antichi Greci non solo per la sua bellezza e il suo clima, ma anche per la ricchezza di bestiame, i prodotti agricoli e dunque era capace di mantenere una notevole popolazione. Nell’età del Bronzo la Sardegna era abitata da tre popoli: gli Iliesi (Iolaioi dei Greci; Ilienses dei Romani) di origine mediterranea sud-orientale, stanziati nel Centro Sud, i Corsi, di stirpe ligure e i Balari di origine iberica al Nord (Figura 4).
Nel XIII-XII a.C., su una superficie di kmq. 24.000, l’isola era densamente popolata (circa 450-700 mila abitanti), a giudicare dal numero elevato di nuraghi (circa 7.500) e dei villaggi (circa 2500-3000). La società nuragica era strutturata in tribù governate da un capo tribale, che risiedeva nel castello, munito di cinta esterna e difeso da una guarnigione, e da capi subalterni di distretti cantonali, che dimoravano nei castelli senza muraglia turrita esterna. La forza lavoro era affidata ai villaggi, dove si trovavano il tempio e l’autorità sacerdotale(Figura 5).
A giudicare dal numero dei castelli con cinta turrita esterna e dalle notizie della letteratura antica sul numero delle dinastie dei re iolei (Iliesi), nel complesso, le tribù assommavano a circa 50-60 e ognuna di esse disponeva di un territorio mediamente di non grande estensione (circa kmq 450-500). Come suggerisce, tra l’altro, il sacrificio rituale dei vecchi padri, la società nuragica era caratterizzata da un’arcaica successione ereditaria matrilineare che richiedeva la fondazione continua di nuovi nuraghi e villaggi. Questo sistema di popolamento, inizialmente positivo perché consentiva di controllare sempre più capillarmente il territorio e di assegnare nuove terre, a lungo andare portava alla progressiva parcellizzazione dell’agro tribale e alla saturazione dei terreni disponibili e perciò doveva provocare fenomeni di emigrazione per la ricerca di terre, analoghi a quelli delle popolazioni italiche (ver sacrum) e a quelli degli Shardana e di altri Popoli del Mare costretti alla fuga dalla loro terra e a diventare mercenari.
Nel tempo in cui si svolsero le vicende dei Popoli del Mare, la Sardegna conobbe una straordinaria civiltà. L’architettura nuragica coniuga le antiche esperienze megalitiche occidentali con le innovazioni tecnologiche e stilistico-formali dell’Est mediterraneo, offrendo una sensazione di vigoria e razionalità, armonia ed eleganza. Basta osservare i possenti castelli senza e con cinta esterna), alti anche 25-27 metri (esempi: Arrubiu- Orroli, Su Nuraxi- Barumini, su Mulinu-Villanovafranca, S. Antine Torralba; le tombe collettive con stele centinata che ricorda quelle egizie (esempio: Li Lolghi di Arzachena o senza stele (Madau di Fonni: e i templi ”a megaron” (Malchittu) e a pozzo (Ballao, S. Anastasia e Santa Cristina).
Non diversamente dall’isola degli Shardana, la Sardegna aveva stretti contatti con l’Egeo. Tra il XV e il XIII a.C. pervennero nell’isola molti manufatti cretesi e micenei, in ceramica (Nuraghe Arrubiu), pasta vitrea (San Cosimo) e avorio (Mitza Purdia), oltre che numerosi lingotti ox hide da Cipro, via Creta (Nuragus) e anche un sigillo a cilindro, di produzione cipriota se non ugaritica (Su Fraigu), mentre viceversa la ceramica nuragica giunse a Cannatello in Sicilia, a Tirinto e soprattutto a Kommòs porto di Festo in Creta (Figura 6).
I Sardi dell’età del Bronzo non facevano uso della scrittura, come gli Shardana, mentre utilizzavano un sistema di misura lineare e uno ponderale, basato su gr. 5,5 come quello egreo-micrasiatico, che agevolava i commerci con l’Egeo e l’Est del Mediterraneo. Anche la letteratura greca adombra rapporti, e non sempre pacifici, tra la Sardegna e l’Egeo. Simonide di Keos tramanda di un assedio dei Sardi a Creta difesa da Talos, l’eroe di bronzo al servizio di Minosse. Inoltre, Medusa regina dei Sardi e di altri popoli occidentali, avrebbe affrontato Perseo, re di Micene, restando sconfitta (decapitata), ma d’altra parte Igino (Fab. 275) e altri collocano Sarda, figlia di Stenelo e Medusa nella dinastia regale di Tirinto.
È palese che se i Sardi, come gli Shardana, mantenevano strette relazioni politiche e commerciali con Creta, oltre che con la Grecia Continentale e con Cipro, potevano allacciare rapporti anche con l’Egitto e col Vicino Oriente, benché l’archeologia non offra ancora chiare risposte. Peraltro, la Sardegna possedeva scorte di rame non inferiori a quelle delle più grandi potenze economiche del tempo e dunque era in grado di armare un grande esercito e una grande flotta. Stando a Herodotos, il mare Sardo si estendeva dal Tirreno allo stretto di Gibilterra (Colonne d’Eracle e ciò implica un antica talassocrazia occidentale dei Sardi. Ancora alla fine del VI a.C, i Sardi prima di perdere la loro indipendenza ad opera dei Cartaginesi li sconfissero in battaglia campale e, stando a Servius e a Diodoros Sikelos, li affrontarono anche in battaglia navale.
Dal quadro complessivo dei dati emerge che i Sardi erano guerrieri esperti nei compiti di guardia e di assedi ad alte mura, in particolare erano frombolieri, arcieri, e soprattutto formidabili spadaccini. Dalla fine del XVII almeno sino al XIV a.C. usarono spade da punta e da taglio, a larga lama triangolare tipo Sant’Iroxi/el Argar, decisamente simili alle spade dei principi delle isole raffigurati nella tombe tebane di Senmut e Rekhmira (Figura 7) e a quelle degli Shardana di Kadesh e Dapur. Anche più tardi (nel XII-IX a.C.) continuarono a preferire queste armi, sia pure oramai modificate, come le spade tipo Huelva di Monte Idda e Siniscola,e quelle costolate, strette e assai lunghe (m.1,20-1,40 tipo Villasor che ricordano quelle di tre cubiti dei Mashwesh.
I Sardi conservano a lungo i loro costumi, com’è ancora evidente dall’etnografia, e la bronzistica figurata del I Ferro (IX-VIII a.C.) restituisce ancora spadaccini che combattono con lo scudo tondo, indossano per copricapi elmi cornuti (Teti Figura 8), e vestono corazze di lino e di bronzo (Teti e Sardara) e gonnellini sia corti che a coda triangolare che ricordano quelli degli Shardana (Serri). La comparsa iconografica dello scudo tondo e dell’elmo cornuto a Micene (Vaso dei guerrieri) e a Cipro nel dio del lingotto di Enkomi è successiva alle prime presenze degli Shardana in Egitto (Battaglia di Dapur, di Kadesh) ed è da mettere in rapporto con i movimenti degli stessi Sardi, da mercenari e da invasori, alla fine del XIII e agli inizi del XII a.C. e non viceversa con movimenti dalla Grecia o da Cipro verso la Sardegna. Non diversamente dagli Shardana i Sardi erano marinai, e ancora nel I Ferro usavano navi con protomi zoomorfe sulla prua, sia di animali cornuti, come i vascelli reffigurati nel vaso di Skyros e in altri fittili del XII a.C., sia di uccelli (Su Mulinu) che richiamano più da vicino in particolare le navi dei Popoli del Mare che affrontarono la flotta di Ramesse III (Figura 9).
Occorre considerare ancora che la Sardegna è ubicata di fronte alla Tunisia , da riconoscere nel Djamah, vale a dire la terra di Giama (al tempo dei Romani la città regia dei Numidi) abitata dai Mashwesh (i Maxyes di Erodoto; Masaesiles in età romana) e dai Kahek. Questa relazione geografica spiega assai bene l’intesa tra i Popoli del Nord-Africa e gli Shardana e le preferenze insediative dei Popoli del Nord Africa, a Ovest del Nilo, e dei Popoli del Mare a Est.
I dati antropologici neolitici e dell’età del Bronzo, indicano che i Sardi Iliesi erano dolicomorfi prossimi ai Cretesi e agli Egizi (F. Germanà) e considerata anche la tradizione letteraria sull’ecista Sardo di stirpe libio-egizia (Pausania), essi appartenevano allo stesso ceppo degli Shardana e degli inviati delle Isole nelle tombe tebane, caratterizzati dal colorito rosso bruno della pelle che li identificava come genti mediterranee distinte da quelle semitiche e indoeuropee.
In breve, per nessun altro popolo (Illiri, Micenei, Libi, Anatolici occidentali, Colchi, Ciprioti e Siriani) si può portare a sostegno dell’identificazione con gli Shardana un complesso così organico di argomenti di carattere geografico, storico e culturale come quello che si può presentare per giustificare il riconoscimento degli Shardana con i Sardi.
3. El Ahwat e la civiltà nuragica
Le ricerche e gli studi di Adam Zertal hanno ben evidenziato la funzione militare e di residenza amministrativa della cittadella di el Ahwat nel periodo che corre tra la seconda metà del XIII a.C. e la prima metà del XII a.C., un periodo cruciale in cui i popoli del Mare s’insediarono nel Vicino Oriente, cacciando via gli Egizi. Ubicata a oltre m. 300 di quota in una formidabile posizione strategica, la cittadella di El Ahwat controllava sia la piana di Sharon in cui s’insediarono i Sekali, sia la piana di Megiddo, occupata dagli Shardana dopo la cacciata degli Egizi. Nell’architettura e nella cultura materiale della cittadella, Zertal ha intravvisto alcuni segni di un influsso occidentale e particolarmente sardo e corso.
Al riguardo è opportuno fare qualche considerazione. In ambito nuragico del XIII-XII a.C. i villaggi sono sguarniti di mura, mentre sono fortificate le residenze dei capi che, come si è visto, sono veri e propri castelli. Inoltre le case mostrano una pianta circolare, e solo nella piana del Campidano di Cagliari (Monte Zara di Monastir in Sardegna sono note case a più ambienti e a muri rettilinei in mattoni di fango su zoccolo di pietre piccole, come nell’abitato di el Ahwat.
Sul piano della monumentalità gli elementi dell’architettura di el Ahwat non possono essere avvicinati ai tholoi delle camere, alte da 7 a 12 metri (esempi nei Nuraghi Arrubiu e Is Paras, ai corridoi dei bastioni dei nuraghi (esempi Su Mulinu e S. Antine). Anche a el Ahwat mi sarei aspettato una grandiosità architettonica, paragonabile a quella che si osserva in Sardegna, e prossima a quella attestata nel XIII a.C. nei tholoi delle tombe micenee (Vedi foto), nelle porte con ingressi a taglio ogivale di Ugarit, Megiddo e Micene (Porta dei Leoni), nel corridoio delle mura di Tirinto nelle opere idrauliche di Micene (Fonte Perseia), Djarlo in Bulgaria, Megiddo e infine nell’armoniosa camera funeraria di Inerkau in Egitto.
Tuttavia, sul piano formale, le piccole celle coperte a cupola (tholos) ubicate sia all’interno della cittadella, come la U409 preceduta da un corridoio (sita presso la Tower 53), sia all’esterno delcity wall, come le U461-462 (vedi foto) richiamano palesemente le camere coperte con la volta delle torri dei nuraghi.
Pertanto, non è da escludere che le ridotte proporzioni delle costruzioni circolari di el Ahwat siano derivate da un processo di adattamento alle esigenze locali, determinato sia dall’impiego di pietrame di medio-piccola pezzatura, sia dalla funzione più modesta delle stesse, quella di ripostigli, guardiole o altro. Soprattutto è sorprendente l’analogia tecnica e formale con le torri nuragiche degli edifici circolari 461-462 di el Ahwat costruiti a filari con pietre di media e quasi grande pezzatura e provvisti di due paramenti murari. Per questi ultimi, se la cronologia è quella del XIII a.C., vedrei bene un apporto costruttivo occidentale, anche sardo.
A. Zertal ha ravvisato delle somiglianze anche tra il corridoio ricurvo con nicchia ellittica U307 presso la Tower 50 disposto trasversalmente nel City Wall e i corridoi con celletta o nicchia presenti nei casteddi (Torra con cinta) di Cuccuruzzu e di Araghju in Corsica. L’analogia formale è innegabile, ma, come nel caso delle cellette ellittiche di Su Mulinu, questi elementi costruttivi torreani potrebbero appartenere già al XV-XIV a.C. e non al XIII- XII a.C. come la cittadella di el Ahwat.
Per quanto attiene la cultura materiale mobile, non si riscontra a el Ahwat alcun caso d’importazione di ceramica grigia sarda, ma si osserva qualche interessante affinità formale e ornamentale. Alcune forme di coppe nel profilo e nel labbro ingrossato di El Ahwat ricordano le coppe in ceramica grigio ardesia e gialle dell’isola e anche le grandi conche con orlo ingrossato “chiodiforme” e presa bilobata di el Ahwat richiamano simili conche sarde (Figura 10).
Sorprende, inoltre, in manufatti fittili di el Ahwat la presenza di fasce a zig-zag e a chevrons, impresse con un punteruolo; dunque si riscontrano tecniche e sintassi geometriche ornamentali apparse nell’isola già nel XIII a.C. (Madonna del Rimedio-Oristano, su Nuraxi di Barumini) e diffuse ampiamente tra il X e il IX a.C. (Lipari). Anche la decorazione stellare e a cerchi concentrici a punti impressi per decorare i pani, presente nei coperchi di el Ahwat, è frequente nei tegami in ceramica sardi (S. Antine) (Figura 11).
Alla scarsa visibilità degli Shardana (e dei Sardi) nel Vicino Oriente, può aver contribuito il fatto che essi militarono a lungo come mercenari e dunque potevano adattarsi più facilmente alla cultura locale, ma ci si attenderebbe almeno qualche manufatto d’importazione, in particolare qualche utensile e arma in bronzo che ai Sardi interessavano ben più della ceramica. Qualche segno sembra provenire dalle asce bipenni e dai pugnali di Tel Sa’id’iydia.
Le prime trovano confronto con asce sarde ma nell’ambito di un più ampio panorama mediterraneo; diversamente i pugnali di Sartan (Figura 12), richiamano puntualmente, per l’aspetto formale e l’ornato geometrico, analoghe armi sarde (esempi: Abini-Teti, Crescioleddu di Olmedo, S. Anastasia di Sardara (Figura 13), e si può ben prospettare una loro origine sarda, in luogo di quella micenea ipotizzata dal Tubb.
In conclusione, nell’area del Vicino Oriente in cui è presumibile che si siano stanziati gli Shardana, cominciano a emergere sia nell’architettura delle fortificazioni e dell’idraulica, sia nei manufatti mobili, segni non trascurabili della presenza dei Sardi nel Vicino Oriente prima e dopo le invasioni dei Popoli del Mare. El Ahwat offre un apporto notevole in questa prospettiva delle indagini ed è auspicabile una ripresa delle ricerche nel sito.
di Giovanni Ugas
Recentemente, l'archeologo Giovanni Ugas ha parlato in Israele, in un convegno promosso dall’Università di Haifa, del ruolo degli Shardana del Vicino Oriente e della identificazione degli Shardana coi Sardi.
Finora sono decisamente limitate le ricerche sul terreno che hanno portato a individuare le tracce degli Shardana nel Vicino Oriente. Ricordo quelle di Moshè Dothan e di Jonathan Tubb. Non so se Adam Zertal avesse l’obiettivo di trovare a el Ahwat un insediamento degli Shardana, certo è che la sua indagine ha aperto una nuova strada investigativa sul campo che si innesta sull’antico percorso teorico avviato da De Rougée e da Chabas, quello dell’origine occidentale degli Shardana, troppo affrettatamente messo in disparte dall’archeologia e dalla storiografia dopo gli studi del Maspero. Con questo intervento, che procede lungo un analogo orientamento, intendo offrire il mio pensiero sulle problematiche dell’origine degli Shardana, sui loro possedimenti nel Vicino Oriente e sul significato di El Ahwat.
Presenze e stanziamenti degli Shardana nel Vicino Oriente
Nel Vicino Oriente al servizio dei re d’Egitto.
La storia degli Shardana nel Vicino Oriente inizia nel XV a.C. quando gli inviati delle Iww ḥiryw ib nw wɜḏ Wr, ossia delle “Isole nel cuore del Verde Grande” portano i loro doni per i re egizi Ashepsuth,Tuthmosis III e Amenofi II nelle tombe tebane dei visir Senmut, Useramon e Rekhmira. Infatti, diverse ragioni sostengono che fossero Shardana questi isolani che insieme ai principi Cretesi di Kephtyu portavano i loro prodotti ai faraoni. Innanzitutto, il colorito rosso bruno della pelle e le caratteristiche fisionomiche, alcuni capi d’abbigliamento, le spade a robusta lama triangolare e forse già lo scudo tondo degli abitanti delle Isole nel cuore sono peculiari anche degli Shardana raffigurati nei rilievi di Ramesse II (Figura 1) e Ramesse III. Inoltre, tra le genti delle Isole nel cuore, gli Shardana sono i primi e i soli che per circa 150 anni, almeno da tempi di Amenofi IV (prima metà XIV a.C.) al regno di Meremptah (ultimo quarto XIII), risultano esplicitamente menzionati nei documenti egiziani. Peraltro, le tavolette di el Amarna e di Ugarit, sebbene risalenti al XIV a.C., contengono informazioni che fanno retrocedere già ai tempi di Tuthmosis III e Amenofi II la più antica presenza degli Shardana nelle guarnigioni delle cittadelle del Vicino Oriente.
Pertanto, quando salì al trono Ramesse II, gli Shardana non erano affatto ignoti agli Egizi. Già prima di Kadesh, il grande faraone li definì “guerrieri dal cuore risoluto, invincibili sul mare” e non a caso li considera un valido alleato contro gli Ittiti e gli altri popoli dell’Est e, fin dai primi anni del suo regno, gli Shardana formano il corpo di guardia e, non di meno, sono schierati nella fanteria a Dapur e a Kadesh, come si evince dalle immagini di queste battaglie e dal papiro Anastasi I. Mirando ad ampliare i domini egizi nelle province del Nord-Est, Ramesse II assolda anche Mashuesh e Kahek del Nord Africa, facendoli passare, come gli Shardana, da “prigionieri di guerra”, ma di fatto essi hanno lo status di soldati mercenari compensati con terre e altri benefici. In Egitto, oltre a essere stanziati in fortezze, gli Shardana risultano assegnatari di fertili campi soprattutto su una fascia di 80 km nel medio Egitto, lungo il corso del Nilo e del canale di Bahr Yusuf (Gardiner, Kemp). Altri mercenari continuarono a essere stanziati nel Vicino Oriente per il controllo delle guarnigioni provinciali.
Scomparso Ramesse II, l’intesa con gli Shardana e i popoli del Nord Africa va in frantumi e, anzi, tra gli ex alleati inizia un lungo conflitto durato 50 anni, dal 5° anno di Meremptah (circa il 1224) all’anno 11° di Ramesse III (circa 1170 a.C). La guerra, condotta dagli Shardana coalizzati con altri Popoli del Mare e i Nord Africani Mashuesh, Libi e altri, era finalizzata a raggiungere un obiettivo ambizioso: l’abbattimento dei più grandi imperi del Mediterraneo, a cominciare dall’Egitto e da Hatti; tale progetto non poteva essere concepito senza un esercito forte e numeroso, e senza un’adeguata strategia politica e militare. Nel disegno prefissato, i popoli del Nord Africa miravano a estendere i loro domini sino al delta occidentale del Nilo mentre gli Shardana e gli altri Popoli del Mare tendevano a impadronirsi delle terre a Est del grande fiume. L’obiettivo fu raggiunto al tempo di Ramesse III (Figura 2);
il re a mala pena riuscì a conservare le terre bagnate dal corso del Nilo. Nel tempio di Medinet Habu, Ramesse III sostiene che i Popoli del Mare travolsero l’impero ittita e “tutto l’orbe terrestre”, partendo dall’Amurru che divenne una fondamentale base d’appoggio per le loro campagne di guerra a sud e a Nord. Ovviamente, il re tace sulle sconfitte che portarono alla perdita delle sue terre provinciali nel Vicino Oriente e ritrae i re dei popoli nemici prigionieri tra cui il capo ribelle degli Shardana.
1.2. I domini degli Shardana nel Vicino Oriente
Non è semplice restituire la porzione di territorio assegnata agli Shardana nella ripartizione delle terre strappate a Ramesse III dai Popoli de Mare nel Vicino Oriente. È da credere, però che sulle scelte insediative dei singoli popoli, Pelaset, Sikali, Shardana, Wshesh e Dayniun, abbia pesato il ruolo di coordinamento, se non di leadership, assunto dagli Shardana per la precedente esperienza maturata in tre secoli di presenze nelle cittadelle egizie del Vicino Oriente, presumibilmente, oltre che a Ugarit e Biblo, anche a Tiro sulla costa e a Megiddo, Bet Shean e Hazor all’interno. È presumibile, in sostanza che gli Shardana si siano stabiliti in terre ben note e meglio confacenti alle loro strategie economiche e politiche. Ma dove precisamente?
L’Onomasticon di Amenope, della fine del XII a.C., informa che gli Shardana erano insediati in sequenza dopo i Pelaset e i Sikali (Tjekker) che, stando al racconto del sacerdote egizio Unamon, dimoravano nella regione di Dor. I testi egizi esaminati da Gardiner e da Yadin e le considerazioni di M. Dothan sui reperti del Miceneo IIIC di Akko inducono a pensare che gli Shardana si stanziarono non solo più a Nord, ma anche prima dei Filistei. Ciò premesso, il passo del Vecchio Testamento (Giudici 4,1-23) relativo alla sconfitta inflitta presso il rio Qishon dagli Israeliti di Barak e Deborah al generale Sisara, che aveva la sua sede in Haroshet ha Goiym ed era dunque a capo di stranieri (non Cananei), porta a ritenere che gli Shardana avessero conquistato, tra gli altri territori, la valle di Jezrael. Qui, si trovavano le città di Iokneam, Megiddo, Taanak e Ybleam che non furono occupate da Israele al tempo di Giosuè e dei Giudici (Giosuè 3-21; Giudici 1,27), così come Beth Shean. I confini dei domini degli Shardana dovevano raggiungere e attraversare la fascia pianeggiante immediatamente a est del Giordano, controllata a sud del lago Tiberiade da Beth Shean e verosimilmente da Sartan, l’odierna Tel Sa’id’iydia, nell’importante area metallurgica presso il guado di Adam (I Re 7,46, Giosuè 3,16), dove gli Shardana, secondo J. Tubb erano stanziati alle dipendenze degli Egizi, ma è da credere che poi si stabilissero in conto proprio.
Non di meno, dovevano appartenere agli Shardana i territori di Neftali, il cui capoluogo Hasor era la sede di Yabin, alleato o capo politico di Sisara (Giosuè 11,1-14), e di Zabulon. Entrambe le regioni, secondo Isaia (8, 23), facevano parte della Gelil Goiym ossia “la Galilea degli Stranieri” e dovevano dipendere militarmente se non politicamente da Haroshet ha Goiym. Questi invasori di Gelil, come ritiene anche A. Zertal, possono ben essere le “genti delle Isole” note ai testi egiziani e menzionate in Genesi (10, 4-5). Il nome di Zabulon è identificato da G. Garbini col coronimo Sbrj che nell’Onomastico di Amenope indica una terra contigua a quella degli Shardana. Ora, poiché Neftali e Zabulon formano l’entroterra di Asher, ne consegue che facevano parte dei domini degli Shardana anche la stessa fascia d’approdo e costiera di Asher, a Nord dei litorali di Dor. In Asher erano ubicate non solo Akko, dove Moshé Dothan ha individuato uno strato di distruzione e d’occupazione attribuito agli Shardana, e Akziv, sito portuale non trascurabile, ma a giudicare dai confini tribali restituiti nelVetus Testamentum (Giosuè 19,28-29), anche le città fenicie di Tiro e Sidone. È assai probabile che nel citato itinerario del sacerdote Unamon, Tiro fosse la sede più rappresentativa degli Shardana, anche perché al tempo di Salomone, poco più di un secolo dopo, la città è il principale referente per Asher e per gli altri territori cananei in cui, oltre agli Shardana, si stabilirono anche le tribù israelitiche settentrionali.
In sintesi, si può supporre che gli Shardana si fossero stanziati in un’area relativamente vasta i cui confini correvano tra Abu Awam e Sidone o forse Biblo lungo le coste e, in parallelo, all’interno lungo il Giordano, dall’agro di Hazor o di Dan sino a Sartan (Figura 3). In ogni caso, secondo logica, è da escludere che, dopo aver cacciato gli Egiziani dalle loro province con una lunga e dura guerra, i Popoli del Mare avessero trascurato proprio il fertile territorio pianeggiante che raccordava il Mediterraneo al Giordano e che controllava le vie di comunicazione tra la Mesopotamia, l’Egitto, la Siria, Cipro e l’Anatolia. Culturalmente gli Shardana furono assorbiti in tempi brevi dagli autoctoni Cananei e il Vecchio Testamento non li distingue più anche perché gli uni e gli altri appartenevano allo stesso ceppo dei popoli rossi mediterranei.
Shardana e Sardi: in breve le ragioni di un’identità
La gran parte degli studiosi ritiene che vi sia una relazione tra gli Shardana e la Sardegna, ma per lo più sostiene che essi giunsero nell’isola dopo gli scontri con Ramesse III. Tuttavia ciò non è possibile perché, mentre si svolgeva la civiltà nuragica dal XVI al Xa.C., in Sardegna non avvennero mutamenti politici e sociali così radicali da far pensare all’arrivo di un’altra popolazione. Viceversa, molte ragioni mi inducono a prospettare la rotta inversa percorsa da Ovest a Est e a identificare gli Shardana con i Sardi.
Esattamente come le Isole nel cuore del Verde Grande, la Sardegna è immersa in mezzo al Mediterraneo, possiede grandi quantità d’argento e altri importanti minerali. L’isola era celebrata dagli antichi Greci non solo per la sua bellezza e il suo clima, ma anche per la ricchezza di bestiame, i prodotti agricoli e dunque era capace di mantenere una notevole popolazione. Nell’età del Bronzo la Sardegna era abitata da tre popoli: gli Iliesi (Iolaioi dei Greci; Ilienses dei Romani) di origine mediterranea sud-orientale, stanziati nel Centro Sud, i Corsi, di stirpe ligure e i Balari di origine iberica al Nord (Figura 4).
Nel XIII-XII a.C., su una superficie di kmq. 24.000, l’isola era densamente popolata (circa 450-700 mila abitanti), a giudicare dal numero elevato di nuraghi (circa 7.500) e dei villaggi (circa 2500-3000). La società nuragica era strutturata in tribù governate da un capo tribale, che risiedeva nel castello, munito di cinta esterna e difeso da una guarnigione, e da capi subalterni di distretti cantonali, che dimoravano nei castelli senza muraglia turrita esterna. La forza lavoro era affidata ai villaggi, dove si trovavano il tempio e l’autorità sacerdotale(Figura 5).
A giudicare dal numero dei castelli con cinta turrita esterna e dalle notizie della letteratura antica sul numero delle dinastie dei re iolei (Iliesi), nel complesso, le tribù assommavano a circa 50-60 e ognuna di esse disponeva di un territorio mediamente di non grande estensione (circa kmq 450-500). Come suggerisce, tra l’altro, il sacrificio rituale dei vecchi padri, la società nuragica era caratterizzata da un’arcaica successione ereditaria matrilineare che richiedeva la fondazione continua di nuovi nuraghi e villaggi. Questo sistema di popolamento, inizialmente positivo perché consentiva di controllare sempre più capillarmente il territorio e di assegnare nuove terre, a lungo andare portava alla progressiva parcellizzazione dell’agro tribale e alla saturazione dei terreni disponibili e perciò doveva provocare fenomeni di emigrazione per la ricerca di terre, analoghi a quelli delle popolazioni italiche (ver sacrum) e a quelli degli Shardana e di altri Popoli del Mare costretti alla fuga dalla loro terra e a diventare mercenari.
Nel tempo in cui si svolsero le vicende dei Popoli del Mare, la Sardegna conobbe una straordinaria civiltà. L’architettura nuragica coniuga le antiche esperienze megalitiche occidentali con le innovazioni tecnologiche e stilistico-formali dell’Est mediterraneo, offrendo una sensazione di vigoria e razionalità, armonia ed eleganza. Basta osservare i possenti castelli senza e con cinta esterna), alti anche 25-27 metri (esempi: Arrubiu- Orroli, Su Nuraxi- Barumini, su Mulinu-Villanovafranca, S. Antine Torralba; le tombe collettive con stele centinata che ricorda quelle egizie (esempio: Li Lolghi di Arzachena o senza stele (Madau di Fonni: e i templi ”a megaron” (Malchittu) e a pozzo (Ballao, S. Anastasia e Santa Cristina).
Non diversamente dall’isola degli Shardana, la Sardegna aveva stretti contatti con l’Egeo. Tra il XV e il XIII a.C. pervennero nell’isola molti manufatti cretesi e micenei, in ceramica (Nuraghe Arrubiu), pasta vitrea (San Cosimo) e avorio (Mitza Purdia), oltre che numerosi lingotti ox hide da Cipro, via Creta (Nuragus) e anche un sigillo a cilindro, di produzione cipriota se non ugaritica (Su Fraigu), mentre viceversa la ceramica nuragica giunse a Cannatello in Sicilia, a Tirinto e soprattutto a Kommòs porto di Festo in Creta (Figura 6).
I Sardi dell’età del Bronzo non facevano uso della scrittura, come gli Shardana, mentre utilizzavano un sistema di misura lineare e uno ponderale, basato su gr. 5,5 come quello egreo-micrasiatico, che agevolava i commerci con l’Egeo e l’Est del Mediterraneo. Anche la letteratura greca adombra rapporti, e non sempre pacifici, tra la Sardegna e l’Egeo. Simonide di Keos tramanda di un assedio dei Sardi a Creta difesa da Talos, l’eroe di bronzo al servizio di Minosse. Inoltre, Medusa regina dei Sardi e di altri popoli occidentali, avrebbe affrontato Perseo, re di Micene, restando sconfitta (decapitata), ma d’altra parte Igino (Fab. 275) e altri collocano Sarda, figlia di Stenelo e Medusa nella dinastia regale di Tirinto.
È palese che se i Sardi, come gli Shardana, mantenevano strette relazioni politiche e commerciali con Creta, oltre che con la Grecia Continentale e con Cipro, potevano allacciare rapporti anche con l’Egitto e col Vicino Oriente, benché l’archeologia non offra ancora chiare risposte. Peraltro, la Sardegna possedeva scorte di rame non inferiori a quelle delle più grandi potenze economiche del tempo e dunque era in grado di armare un grande esercito e una grande flotta. Stando a Herodotos, il mare Sardo si estendeva dal Tirreno allo stretto di Gibilterra (Colonne d’Eracle e ciò implica un antica talassocrazia occidentale dei Sardi. Ancora alla fine del VI a.C, i Sardi prima di perdere la loro indipendenza ad opera dei Cartaginesi li sconfissero in battaglia campale e, stando a Servius e a Diodoros Sikelos, li affrontarono anche in battaglia navale.
Dal quadro complessivo dei dati emerge che i Sardi erano guerrieri esperti nei compiti di guardia e di assedi ad alte mura, in particolare erano frombolieri, arcieri, e soprattutto formidabili spadaccini. Dalla fine del XVII almeno sino al XIV a.C. usarono spade da punta e da taglio, a larga lama triangolare tipo Sant’Iroxi/el Argar, decisamente simili alle spade dei principi delle isole raffigurati nella tombe tebane di Senmut e Rekhmira (Figura 7) e a quelle degli Shardana di Kadesh e Dapur. Anche più tardi (nel XII-IX a.C.) continuarono a preferire queste armi, sia pure oramai modificate, come le spade tipo Huelva di Monte Idda e Siniscola,e quelle costolate, strette e assai lunghe (m.1,20-1,40 tipo Villasor che ricordano quelle di tre cubiti dei Mashwesh.
I Sardi conservano a lungo i loro costumi, com’è ancora evidente dall’etnografia, e la bronzistica figurata del I Ferro (IX-VIII a.C.) restituisce ancora spadaccini che combattono con lo scudo tondo, indossano per copricapi elmi cornuti (Teti Figura 8), e vestono corazze di lino e di bronzo (Teti e Sardara) e gonnellini sia corti che a coda triangolare che ricordano quelli degli Shardana (Serri). La comparsa iconografica dello scudo tondo e dell’elmo cornuto a Micene (Vaso dei guerrieri) e a Cipro nel dio del lingotto di Enkomi è successiva alle prime presenze degli Shardana in Egitto (Battaglia di Dapur, di Kadesh) ed è da mettere in rapporto con i movimenti degli stessi Sardi, da mercenari e da invasori, alla fine del XIII e agli inizi del XII a.C. e non viceversa con movimenti dalla Grecia o da Cipro verso la Sardegna. Non diversamente dagli Shardana i Sardi erano marinai, e ancora nel I Ferro usavano navi con protomi zoomorfe sulla prua, sia di animali cornuti, come i vascelli reffigurati nel vaso di Skyros e in altri fittili del XII a.C., sia di uccelli (Su Mulinu) che richiamano più da vicino in particolare le navi dei Popoli del Mare che affrontarono la flotta di Ramesse III (Figura 9).
Occorre considerare ancora che la Sardegna è ubicata di fronte alla Tunisia , da riconoscere nel Djamah, vale a dire la terra di Giama (al tempo dei Romani la città regia dei Numidi) abitata dai Mashwesh (i Maxyes di Erodoto; Masaesiles in età romana) e dai Kahek. Questa relazione geografica spiega assai bene l’intesa tra i Popoli del Nord-Africa e gli Shardana e le preferenze insediative dei Popoli del Nord Africa, a Ovest del Nilo, e dei Popoli del Mare a Est.
I dati antropologici neolitici e dell’età del Bronzo, indicano che i Sardi Iliesi erano dolicomorfi prossimi ai Cretesi e agli Egizi (F. Germanà) e considerata anche la tradizione letteraria sull’ecista Sardo di stirpe libio-egizia (Pausania), essi appartenevano allo stesso ceppo degli Shardana e degli inviati delle Isole nelle tombe tebane, caratterizzati dal colorito rosso bruno della pelle che li identificava come genti mediterranee distinte da quelle semitiche e indoeuropee.
In breve, per nessun altro popolo (Illiri, Micenei, Libi, Anatolici occidentali, Colchi, Ciprioti e Siriani) si può portare a sostegno dell’identificazione con gli Shardana un complesso così organico di argomenti di carattere geografico, storico e culturale come quello che si può presentare per giustificare il riconoscimento degli Shardana con i Sardi.
3. El Ahwat e la civiltà nuragica
Le ricerche e gli studi di Adam Zertal hanno ben evidenziato la funzione militare e di residenza amministrativa della cittadella di el Ahwat nel periodo che corre tra la seconda metà del XIII a.C. e la prima metà del XII a.C., un periodo cruciale in cui i popoli del Mare s’insediarono nel Vicino Oriente, cacciando via gli Egizi. Ubicata a oltre m. 300 di quota in una formidabile posizione strategica, la cittadella di El Ahwat controllava sia la piana di Sharon in cui s’insediarono i Sekali, sia la piana di Megiddo, occupata dagli Shardana dopo la cacciata degli Egizi. Nell’architettura e nella cultura materiale della cittadella, Zertal ha intravvisto alcuni segni di un influsso occidentale e particolarmente sardo e corso.
Al riguardo è opportuno fare qualche considerazione. In ambito nuragico del XIII-XII a.C. i villaggi sono sguarniti di mura, mentre sono fortificate le residenze dei capi che, come si è visto, sono veri e propri castelli. Inoltre le case mostrano una pianta circolare, e solo nella piana del Campidano di Cagliari (Monte Zara di Monastir in Sardegna sono note case a più ambienti e a muri rettilinei in mattoni di fango su zoccolo di pietre piccole, come nell’abitato di el Ahwat.
Sul piano della monumentalità gli elementi dell’architettura di el Ahwat non possono essere avvicinati ai tholoi delle camere, alte da 7 a 12 metri (esempi nei Nuraghi Arrubiu e Is Paras, ai corridoi dei bastioni dei nuraghi (esempi Su Mulinu e S. Antine). Anche a el Ahwat mi sarei aspettato una grandiosità architettonica, paragonabile a quella che si osserva in Sardegna, e prossima a quella attestata nel XIII a.C. nei tholoi delle tombe micenee (Vedi foto), nelle porte con ingressi a taglio ogivale di Ugarit, Megiddo e Micene (Porta dei Leoni), nel corridoio delle mura di Tirinto nelle opere idrauliche di Micene (Fonte Perseia), Djarlo in Bulgaria, Megiddo e infine nell’armoniosa camera funeraria di Inerkau in Egitto.
Tuttavia, sul piano formale, le piccole celle coperte a cupola (tholos) ubicate sia all’interno della cittadella, come la U409 preceduta da un corridoio (sita presso la Tower 53), sia all’esterno delcity wall, come le U461-462 (vedi foto) richiamano palesemente le camere coperte con la volta delle torri dei nuraghi.
Pertanto, non è da escludere che le ridotte proporzioni delle costruzioni circolari di el Ahwat siano derivate da un processo di adattamento alle esigenze locali, determinato sia dall’impiego di pietrame di medio-piccola pezzatura, sia dalla funzione più modesta delle stesse, quella di ripostigli, guardiole o altro. Soprattutto è sorprendente l’analogia tecnica e formale con le torri nuragiche degli edifici circolari 461-462 di el Ahwat costruiti a filari con pietre di media e quasi grande pezzatura e provvisti di due paramenti murari. Per questi ultimi, se la cronologia è quella del XIII a.C., vedrei bene un apporto costruttivo occidentale, anche sardo.
A. Zertal ha ravvisato delle somiglianze anche tra il corridoio ricurvo con nicchia ellittica U307 presso la Tower 50 disposto trasversalmente nel City Wall e i corridoi con celletta o nicchia presenti nei casteddi (Torra con cinta) di Cuccuruzzu e di Araghju in Corsica. L’analogia formale è innegabile, ma, come nel caso delle cellette ellittiche di Su Mulinu, questi elementi costruttivi torreani potrebbero appartenere già al XV-XIV a.C. e non al XIII- XII a.C. come la cittadella di el Ahwat.
Per quanto attiene la cultura materiale mobile, non si riscontra a el Ahwat alcun caso d’importazione di ceramica grigia sarda, ma si osserva qualche interessante affinità formale e ornamentale. Alcune forme di coppe nel profilo e nel labbro ingrossato di El Ahwat ricordano le coppe in ceramica grigio ardesia e gialle dell’isola e anche le grandi conche con orlo ingrossato “chiodiforme” e presa bilobata di el Ahwat richiamano simili conche sarde (Figura 10).
Sorprende, inoltre, in manufatti fittili di el Ahwat la presenza di fasce a zig-zag e a chevrons, impresse con un punteruolo; dunque si riscontrano tecniche e sintassi geometriche ornamentali apparse nell’isola già nel XIII a.C. (Madonna del Rimedio-Oristano, su Nuraxi di Barumini) e diffuse ampiamente tra il X e il IX a.C. (Lipari). Anche la decorazione stellare e a cerchi concentrici a punti impressi per decorare i pani, presente nei coperchi di el Ahwat, è frequente nei tegami in ceramica sardi (S. Antine) (Figura 11).
Alla scarsa visibilità degli Shardana (e dei Sardi) nel Vicino Oriente, può aver contribuito il fatto che essi militarono a lungo come mercenari e dunque potevano adattarsi più facilmente alla cultura locale, ma ci si attenderebbe almeno qualche manufatto d’importazione, in particolare qualche utensile e arma in bronzo che ai Sardi interessavano ben più della ceramica. Qualche segno sembra provenire dalle asce bipenni e dai pugnali di Tel Sa’id’iydia.
Le prime trovano confronto con asce sarde ma nell’ambito di un più ampio panorama mediterraneo; diversamente i pugnali di Sartan (Figura 12), richiamano puntualmente, per l’aspetto formale e l’ornato geometrico, analoghe armi sarde (esempi: Abini-Teti, Crescioleddu di Olmedo, S. Anastasia di Sardara (Figura 13), e si può ben prospettare una loro origine sarda, in luogo di quella micenea ipotizzata dal Tubb.
In conclusione, nell’area del Vicino Oriente in cui è presumibile che si siano stanziati gli Shardana, cominciano a emergere sia nell’architettura delle fortificazioni e dell’idraulica, sia nei manufatti mobili, segni non trascurabili della presenza dei Sardi nel Vicino Oriente prima e dopo le invasioni dei Popoli del Mare. El Ahwat offre un apporto notevole in questa prospettiva delle indagini ed è auspicabile una ripresa delle ricerche nel sito.
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Caro Pierluigi
RispondiEliminaLa recentissima edizione del volume contenente lo studio complessivo dello scavo di El-Ahwat ha, parere mio e non solo, chiuso definitivamente l'ipotesi di un eventuale legame con la Sardegna, visto che nessun elemento ivi riportato ha una qualche attinenza con la nostra isola. Il capitolo del libro dedicato ai rapporti con la Sardegna è francamente deludente (a essere buoni) a dimostrazione della scarsa dimestichezza del gruppo di Zertal con l'archeologia del Mediterraneo occidentale.
A questo si potrebbero aggiungere le nuove analisi al carbonio 14 pubblicate da Finkelstein e altri, che abbassano di un paio di secoli le datazioni di El-Ahwat, escludendo, peraltro, la pertinenza a elementi estranei al mondo cananeo, oltre che riportare alcune strutture all'epoca romana.
Per cui temo che il capitolo El-Ahwat possa dormire tranquillamente nelle nuvole delle fascinazioni parabibliche, con tutto il rispetto per un collega come Gianni Ugas di cui ho molta stima pur non condividendone molte delle ipotesi e, soprattutto, l'impostazione delle analisi con una mescolanza di dati letterari presi qua e là (e senza un'analisi filologica degli stessi) confrontati con dati archeologici (peraltro in buona parte ormai vecchi), come se potessero essere messi sullo stesso piano, attraverso un percorso circolare per cui i primi dimostrano i secondi che dimostrano i primi, e così via.
Puoi trovare una chiara recensione del volume di Zertal on line:
http://www.academia.edu/1460905/Sardinians_in_Central_Israel_The_Excavator_of_El-Ahwat_Makes_His_Final_Case_Review_
mentre un'anteprima del libro è visibile in: http://books.google.it/books?id=jUYmL40bm5EC&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false
Cordialmente
Alfonso
Grazie del contributo Alfonso. Da parte mia aggiungo che questo scritto presenta alcuni punti che non condivido:
RispondiElimina1) La società nuragica era strutturata in tribù governate da un capo tribale, che risiedeva nel castello, munito di cinta esterna e difeso da una guarnigione, e da capi subalterni di distretti cantonali, che dimoravano nei castelli senza muraglia turrita esterna.
-*La mia idea è che la società nuragica fosse pacifica e si dedicasse alla produzione agricola e all'allevamento all'interno, alla pesca lungo le coste e, soprattutto, alle attività legate alla metallurgia, dalla ricerca dei minerali alla lavorazione e vendita.*-
2) Come suggerisce, tra l’altro, il sacrificio rituale dei vecchi padri, la società nuragica era caratterizzata da un’arcaica successione ereditaria matrilineare che richiedeva la fondazione continua di nuovi nuraghi e villaggi.
-*Questa frase la rigetto totalmente perché priva di elementi oggettivi. Nessun documento epigrafico o archeologico supporta tale affermazione.*-
3) I Sardi dell’età del Bronzo non facevano uso della scrittura
-*Come si può affermare che non utilizzassero una scrittura quando, allo stesso tempo, si vuole provare che frequentavano il Vicino Oriente? In quelle zone la scrittura c’era da secoli, e non solo una. E’ evidente che i sardi parlassero e scrivessero una lingua internazionale condivisa dalle popolazioni con le quali entravano in contatto nelle zone portuali. Gli approdi sono l’interfaccia delle popolazioni divise dal mare: separano e uniscono contemporaneamente. Forse avevano un “dialetto” per le comunicazioni verbali interne…ma certamente una lingua scritta dovevano pur utilizzarla. Oggi, chi si reca all’estero per lavoro conosce l’inglese. All’epoca c’era la lingua del Vicino Oriente. Scelga lei quale…ma c’era. Senza quella non si potevano svolgere tutte quelle attività che lei ha ben descritto nell’articolo. Sarebbero stati analfabeti…ma ciò contrasta fortemente con tutti gli indizi che oggi abbiamo, e che lei ha segnalato a profusione.
Caro Pierluigi
RispondiEliminapersonalmente non credo che esistano società "pacifiche" o società "violente" (o se preferisci "guerriere"); ritengo che la società nuragica (o meglio le società nuragiche) fosse estremamente complessa e gerarchizzata e che questo comprenda anche elementi di dominio, con conseguenti atti di autoritarismo ecc. D'altra parte penso che non esista una società nuragica, ma diverse società sia nel tempo (quella del Bronzo medio è differente da quella del Primo Ferro, ovviamente) sia nello spazio; niente ci dice che fossero o si considerassero una società unica.
Per quanto riguarda l'uccisione dei vecchi credo anch'io che sia basata sulla mera estrapolazione di fonti tardive, senza alcun riscontro.
Più complesso e interessante è il tema della scrittura; però in ambito scientifico non ha alcun peso l'assunto "non potevano non conoscere"; ci si deve basare su dati, verificati e vagliati secondo basi metodologiche scientifiche. In questo senso non abbiamo ancora alcun dato che ci permetta di asserire che esisteva una scrittura nuragica (lasciamo perdere le fantasie di Sanna), intesa come uno strumento scrittorio elaborato in modo originale in Sardegna, e neanche come elaborazione di altre scritture, come è avvenuto per l'etrusco (derivato dalla scrittura greca) o dell'iberico o del libico, derivanti dal fenicio. Abbiamo l'attestazione di usi di codici scrittori altrui, come nel caso delle lettere incise sulle ceramiche, ma è troppo poca cosa per darci elementi significativi. Un elemento interessante è sicuramente lo spillone di Antas, ma anche qui è troppo poco. D'altra parte tieni conto che è nel primo millennio (l'interessante fase di passaggio tra il Bronzo finale e la Prima età del Ferro) che abbiamo la diffusione della scrittura nel Mediterraneo occidentale, intesa come sistema per registrare testi che non siano meri marchi su ceramica o lingotti. Il fatto che, come mostrano lo spillone di Antas e le lettere nelle ceramiche, ci sia una maggiore diffusione in Sardegna in questo periodo ci fa pensare che ci troviamo in una fase nella quale possono esserci stati tentativi (fruttuosi o effimeri) Sarà il proseguo delle ricerche a permetterci, forse, di dare una risposta alla domanda.
Alfonso
Egr. Sig. Alfonso
Eliminaspero che non sia autoreferenziale, e, dato che le Sue affermazioni mi hanno sorpreso, e non poco, ho una piccola richiesta: potrebbe essere così gentile e indicarmi le fonti, dove Lei ha letto che l'etrusco è derivato dal greco e il libico dal fenicio? La ringrazio in anticipo.
Antonio
buongiorno,
RispondiEliminavorrei dare un contributo linguistico all'enigma ShRDN, le vocali aggiunte sono arbitrarie e non possono avere alcun valore di riferimento. Un sistema di confronto di toponimi e idronimi arcaici mi rivela il significato di ShRDN = il grande fiume, ShuRuDun è il nome con il quale i Giordani chiamano il loro fiume, con la vocalizzazione quasi inesistente che sembra una "u" quel fiume che noi scriviamo Giordano, viene traslitterato dall'arabo Jurudun,
Eridano e il nome antico del Po che ci è stato tramandato in forma italianizzata, ma se vi aggiungiamo l'antico articolo che troviamo incrostato in altri fiumi come Sillaro, Santerno, Savio, Savena, Sellustra, Serio, Serchio, Stura, etc. i ottiene Seridano, provate a pronunciare alla bolognese come la metà dei fiumi emiliani elencati...
... in Italia tutti i toponimi simili a Sardinia in realtà sono idronimi e indicano laghi e specchi d'acqua di cui alcuni prosciugati come quello di Sardagna in Trentino, l'unico toponimo che si trova in Sardegna è Serdiana che in realtà è l'idronimo che indica lo stagno in riva al quale sorgeva l'antico borgo, abbandonato nel medioevo a causa di una epidemia di peste,
altri idronimi in Italia, lago di Sardegnana in prov, di Bg, Sedrina in riva al Serio e Sedriano nella bassa Milanese dove è probabile vi fosse una grande pozza di risorgiva, altro idronimo simile in Svizzera e alcuni in Catalonya: Cerdanyola del Vallet, Cerdania, etc.
Non prendo in considerazione il termine toscano Sardigna > muntonarzu > muntronaxu, per evidente derivazione del disprezzo che nel medioevo "quei" portavano per l'isola dei Sardi. Dal punto di vista strettamente linguistico il termine ShRDN combacia perfettamente con il modo di chiamare i grandi fiumi > Sh è articolo antico presente in Akad ma tuttora in uso nei luoghi di lingua Armena, in medioriente, in Africa > il Senegal dei francesi viene detto Sunugal, alcuni intendono Su > il Nu > nostro Gal > fiume, io penso più a > Il fiume-fiume.
molti grandi fiumi ripetono il termine fiume-fiume come il Ro-Dano > UruDan e così è per
Sh-Ru-Dun o ShRDN, -R- > Uru = fiume, DN > Don, Duna, Dunarea etc. = grande fiume, per cui penso che quei ShRDN guerrieri erano così detti perchè Gente di Fiume,
forse dei Nilotti?
saludus - antoni