martedì 27 agosto 2013
Linguistica Sardegna. MERE/I: «padrone-a», appellativo sardo illustre ma controverso.
MERE/I «padrone-a», appellativo sardo illustre ma controverso
di Massimo Pittau
Il sardo log. mere, camp. meri «padrone-a», diminutivo mericheddu, merigheddu, merixeddu-a «padroncino-a» (AIS 1602), è un appellativo pansardo, ossia diffuso e adoperato in tutta l'Isola, esclusi il Sassarese e la Gallura, ma la sua etimologia od origine è molto controversa.
Della sua etimologia si erano interesseati il Maestro della linguistica romanza o neolatina. Wilhelm Meyer-Lübke (Romanisches Etymologisches Wörterbuch, III Auflage, Heidelberg 1935, C. Winters Universitätsbuchhandlung, REW 5247) e il Maestro della linguistica sarda, Max Leopold Wagner, Historische Lautlehre des Sardischen, Halle 1941 §§ 62 e 356; Dizionario Etimologico Sardo, I-III, Heidelberg 1960-1964, s. v.), e d'accordo avevano concluso che l'appellativo sardo deriva direttamente dal lat. maior(e) attraverso le forme supposte *maire, *meire.
Senonché a questa spiegazione etimologica si oppongono due grosse difficoltà, una fonetica e una storica: I) Il lat. maior(e) ha dato regolarmente nel sardo medievale major e majore, nel sardo centrale odierno majore e nel log. maore; II) L'appellaivo mere/i non compare in nessun documento medievale (cfr. M. T. Atzori, Glossario di Sardo Antico – documenti dei secoli XI e XIV, Parma 1953) e particolarmente nei documenti dei “condaghi”, documenti nei quali invece, nella loro precipua caratteristica di atti di acquisto o di permuta di possedimenti, quel vocabolo sarebbe dovuto comparire parecchie volte.
Non sono in grado di documentare quando il vocabolo sia attestato la prima volta; a me risulta soltanto nel 1832, nel Nou Dizionariu Universali Sardu-Italianu, Casteddu [= Cagliari] di Vincenzo Porru.
Ciò premesso, io sono dell'avviso che invece il vocabolo sardo sia derivato dal francese maire. Questo attualmente significa «sindaco» e «prefetto», ma nel francese antico significava «maggiore» ed effettivamente deriva dal lat. maiore (REW 5247).
Io ritengo che questo vocabolo francese sia stato importato in Sardegna nei primi decenni del '700, quando l'Isola passò dalla Spagna al Piemonte, nel 1718. È abbastanza noto infatti che non soltanto nella corte dei Savoia, ma pure nel ceto colto piemontese, la lingua di cultura non era affatto l'italiano, ma era il francese.
Ebbene il francese maire «maggiore» degli amministratori e dei militari piemontesi entrò nel corrispondente linguaggio degli amministratori, militari e delle famiglie nobiliari sarde, finendo pure per entrare nel linguaggio di tutti i Sardi.
Successivamente al Meyer-Lübke e al Wagner erano intervenuti due autori per presentare due differenti etimologie del nostro appellativo mere/i: M. F. M. Meikeljohn (in “L'Italia Dialettale”, XXVI, Pisa 1963, pgg. 145-146) dalla locuzione al vocativo lat. mi ere «o mio padrone»; e Nunzio Cossu (Il volgare in Sardegna e studi filologici sui testi, Cagliari 1968, pg. 20) dal toscano medievale messere; spiegazioni che io avevo in successione di tempo accettato nelle mie opere: Grammatica del Sardo-Nuorese (Bologna, II edizione 1972, 5ª ristampa 1986, § 108; Dizionario della Lingua Sarda - fraseologico ed etimologico, I vol., Cagliari 2000, s. v. Senonchè anche a queste due spiegazioni si oppongono, con la medesima pesantezza, le due forti difficoltà che, come ho detto, si oppongono a quella del Mayer-Lübke e del Wagner.
di Massimo Pittau
Il sardo log. mere, camp. meri «padrone-a», diminutivo mericheddu, merigheddu, merixeddu-a «padroncino-a» (AIS 1602), è un appellativo pansardo, ossia diffuso e adoperato in tutta l'Isola, esclusi il Sassarese e la Gallura, ma la sua etimologia od origine è molto controversa.
Della sua etimologia si erano interesseati il Maestro della linguistica romanza o neolatina. Wilhelm Meyer-Lübke (Romanisches Etymologisches Wörterbuch, III Auflage, Heidelberg 1935, C. Winters Universitätsbuchhandlung, REW 5247) e il Maestro della linguistica sarda, Max Leopold Wagner, Historische Lautlehre des Sardischen, Halle 1941 §§ 62 e 356; Dizionario Etimologico Sardo, I-III, Heidelberg 1960-1964, s. v.), e d'accordo avevano concluso che l'appellativo sardo deriva direttamente dal lat. maior(e) attraverso le forme supposte *maire, *meire.
Senonché a questa spiegazione etimologica si oppongono due grosse difficoltà, una fonetica e una storica: I) Il lat. maior(e) ha dato regolarmente nel sardo medievale major e majore, nel sardo centrale odierno majore e nel log. maore; II) L'appellaivo mere/i non compare in nessun documento medievale (cfr. M. T. Atzori, Glossario di Sardo Antico – documenti dei secoli XI e XIV, Parma 1953) e particolarmente nei documenti dei “condaghi”, documenti nei quali invece, nella loro precipua caratteristica di atti di acquisto o di permuta di possedimenti, quel vocabolo sarebbe dovuto comparire parecchie volte.
Non sono in grado di documentare quando il vocabolo sia attestato la prima volta; a me risulta soltanto nel 1832, nel Nou Dizionariu Universali Sardu-Italianu, Casteddu [= Cagliari] di Vincenzo Porru.
Ciò premesso, io sono dell'avviso che invece il vocabolo sardo sia derivato dal francese maire. Questo attualmente significa «sindaco» e «prefetto», ma nel francese antico significava «maggiore» ed effettivamente deriva dal lat. maiore (REW 5247).
Io ritengo che questo vocabolo francese sia stato importato in Sardegna nei primi decenni del '700, quando l'Isola passò dalla Spagna al Piemonte, nel 1718. È abbastanza noto infatti che non soltanto nella corte dei Savoia, ma pure nel ceto colto piemontese, la lingua di cultura non era affatto l'italiano, ma era il francese.
Ebbene il francese maire «maggiore» degli amministratori e dei militari piemontesi entrò nel corrispondente linguaggio degli amministratori, militari e delle famiglie nobiliari sarde, finendo pure per entrare nel linguaggio di tutti i Sardi.
Successivamente al Meyer-Lübke e al Wagner erano intervenuti due autori per presentare due differenti etimologie del nostro appellativo mere/i: M. F. M. Meikeljohn (in “L'Italia Dialettale”, XXVI, Pisa 1963, pgg. 145-146) dalla locuzione al vocativo lat. mi ere «o mio padrone»; e Nunzio Cossu (Il volgare in Sardegna e studi filologici sui testi, Cagliari 1968, pg. 20) dal toscano medievale messere; spiegazioni che io avevo in successione di tempo accettato nelle mie opere: Grammatica del Sardo-Nuorese (Bologna, II edizione 1972, 5ª ristampa 1986, § 108; Dizionario della Lingua Sarda - fraseologico ed etimologico, I vol., Cagliari 2000, s. v. Senonchè anche a queste due spiegazioni si oppongono, con la medesima pesantezza, le due forti difficoltà che, come ho detto, si oppongono a quella del Mayer-Lübke e del Wagner.
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Stavo riflettendo sul significato di meridiano (mezzo/giorno: latino.)
RispondiEliminaSu Meri… mi sembra, tanto, una canzonatura (una presa in giro usata con un tono ironico) al padrone di casa. “Su Meri” sarebbe il padrone “apparente” perché chi comanda veramente, e non compare mai direttamente, è la consorte.
Rolando