giovedì 29 agosto 2013
Terremoti e tsunami, Creta minaccia l’intero Mediterraneo. 21 luglio 365: il giorno dell’orrore
Terremoti e tsunami, Creta minaccia l’intero Mediterraneo. 21 luglio 365: il giorno dell’orrore
di Giampiero Petrucci
Ecco quanto avvenne il 21 luglio 365 che nell’immaginario collettivo dell’epoca diventa, non a caso, il “giorno dell’orrore”. Dalla bella isola minoica, infatti, possono arrivare gravi pericoli per l’intero Mediterraneo
Il terremoto più forte del Mediterraneo. Da milioni di anni il Mediterraneo è sede dello scontro tettonico tra la placca europea e quella africana che nel mar Egeo va in subduzione (ovvero si immerge) al di sotto della cosiddetta microplacca Egea. Questo accade lungo il cosiddetto “arco ellenico”, un vero e proprio piano di subduzione, il quale geograficamente va dalle isole Ionie alle coste della Turchia, passando proprio per Creta che quindi, confermando i princìpi fondamentali della sismotettonica, diventa sede privilegiata di terremoti distruttivi. E’ noto come la Grecia sia una delle nazioni europee più soggette al rischio sismico, sin dall’antichità: già Erodoto parla dei terremoti mentre Aristotele tenta di spiegarli scientificamente tramite una specie di “vento interno” nella terra che muovendosi genererebbe appunto questi sismi.
Oggi sappiamo che non è così e siamo in grado di ricostruire scientificamente eventi catastrofici anche molto lontani nel tempo. E’ il caso appunto dell’anno 365. Il 21 luglio avviene infatti un tremendo terremoto, di magnitudo compresa tra 8.3 ed 8.5, il più forte mai verificatosi nel Mediterraneo, che provoca valori di PGA (picco massimo dell’accelerazione indotta nel terreno dalle scosse) pari addirittura a 1.0 g (ricordiamo per semplice paragone che il terremoto emiliano del maggio 2012 ha provocato un valore di PGA intorno a 0.3 g). Un sisma quindi devastante, della durata di circa un minuto, con numerosi aftershocks (le scosse seguenti la principale) di magnitudo comunque rilevanti, sviluppatesi nel giro di pochi minuti. L’epicentro dell’evento tellurico si trova a sud-ovest dell’angolo sud-occidentale dell’isola di Creta, a qualche km dalla costa e, come dimostrato dalla ricercatrice inglese Beth Shaw, la faglia originante non coincide esattamente col piano di subduzione (come ritenuto sino a pochi anni fa), bensì si trova sopra esso, sulla microplacca egea. Orientata in direzione nord-ovest/sud-est, questa faglia ha un andamento sub-orizzontale (angolo di inclinazione di circa 30°), è lunga un centinaio di km e si trova a circa 45 km di profondità. Caratteristiche molto importanti per lo sviluppo del sisma perché, rispetto ad una faglia sub-verticale, questo tipo di struttura richiede una sforzo totale ben maggiore per innescare il movimento e dunque un’energia considerevole all’atto del movimento tellurico.
Ecco perché il terremoto è così devastante: nella porzione più occidentale di Creta sono stati rilevati spostamenti cosismici del terreno fino a 9-10 metri di altezza, confermati dal ritrovamento in queste litologie di coralli ed altri organismi marini la cui datazione col metodo del radiocarbonio conferma l’ipotesi che essi siano stati spinti così in alto proprio dal sisma del 365. Il terremoto distrugge l’intera Creta dove molte città vengono abbandonate e mai più ricostruite, compresa Cnosso, già devastata duemila anni prima dal mitico disastro provocato da Santorini. Gravissimi danni si verificano anche nel Peloponneso ed in particolare a Patrasso, distruzione anche ad Olimpia e nell’isola di Kythera. Le scosse sono chiaramente avvertite in tutto il Mediterraneo orientale, dall’Egitto alla Turchia alla Palestina ma è difficile, data la scarsezza delle informazioni bibliografiche, recuperare notizie esatte sulle devastazioni relative.
Lo tsunami. Più certo invece quanto accade dopo, quando il terremoto innesca un grande tsunami che si riversa per tutto il Mediterraneo centro-orientale. Modelli numerici di ricostruzione associati alle ricerche sulle varie sponde portano ad ipotizzare, con buona approssimazione, come possa essersi sviluppato il fenomeno. Partendo a sud-ovest di Creta, con altezze limitate ed intorno al metro, le onde si diramano nelle quattro direzioni cardinali: a nord vengono in parte arrestate dalle Sporadi mentre nella costa meridionale di Creta raggiungono i 9 metri di altezza. Ad est arrivano dapprima a Cipro (8 metri) e quindi finiscono la corsa in Palestina (6 metri). Ad ovest, la zona che più è per noi interessante, nel giro di 60-75 minuti giungono sulle coste di Calabria e Sicilia, con altezze intorno ai sette metri. Ciò è stato recentemente confermato da alcuni sondaggi eseguiti nel ragusano, in particolare nella zona del Pantano Morghella, un’area lagunare costiera nei pressi di Pachino, dove sono stati individuati livelli di sabbia a circa un metro di profondità intercalati alle argille. Tali sabbie, gialle e del tutto simili a quelle della spiaggia attuale prospiciente la laguna, contengono foraminiferi e frammenti di conchiglie tipicamente marini: la datazione tramite Carbonio 14 ha permesso di attribuire loro un’età compatibile col 365. Si presume quindi ragionevolmente che esse siano tsunamiti ovvero testimonianza dell’ingressione marina la quale avrebbe in quel punto raggiunto la distanza di almeno un km dalla linea di costa.
Studi analoghi, condotti tra gli altri dalla d.ssa Smedile dell’INGV, indicano una situazione similare per la baia di Augusta che pure sarebbe stata quindi interessata da questo evento. Ma lo tsunami di Creta provoca i danni più gravi a sud. La batimetria dei fondali e la morfologia delle coste amplificano gli effetti delle onde, in particolare nella città di Apollonia, in Libia, dove le onde arrivano fino a 15 metri di altezza, sommergendo l’intero litorale e creando devastazione totale. Stessa situazione nel delta del Nilo che, per il suo territorio ricco di vie d’acqua e canali, non offre particolare resistenza all’avanzata dello tsunami. Ad Alessandria, dove si trova lo storico Ammiano Marcellino che descrive gli eventi, le acque dapprima si ritirano, con la popolazione che si reca in massa al porto a vedere il fenomeno, poi tornano con estrema violenza (12 m di altezza), distruggendo tutto (ma non il celebre faro che resiste tetragono), penetrando per circa 2 km e provocando almeno cinquemila vittime che vanno a sommarsi alle altre 45mila stimate per tutto il Mediterraneo. Un evento dunque geograficamente molto vasto al punto che viene definito, non senza ragione, la prima catastrofe “globale” della storia mediterranea e che rimarrà a lungo nell’immaginario collettivo delle popolazioni, portando pure (secondo diversi storici) al definitivo declino dell’Impero Romano ed alla sua separazione in due porzioni, con la nascita dell’Impero Bizantino. Un disastro poco considerato nel nostro paese, ma che invece dimostra perfettamente come per le nostre coste il pericolo possa giungere anche da oriente e come il mare intorno a Creta sia, in definitiva, una sorgente tsunamigenica di primaria importanza.
BIBLIOGRAFIA
• De Martini P.M. ed altri, A Unique 4000 Years Long Geological Record of Multiple Tsunami Inundation in the Augusta Bay, Marine Geology 276, 2010
• Lorito S. ed altri, Earthquake-generated Tsunamis in the Mediterranean Sea: Scenarios of Potential Threats to Southern Italy, Journal of Geophysical Research, Vol, 113, 2008
• Papadopulos G.A., Large Earthquakes & Tsunamis in the Mediterranean Segment of North Africa, IGNOA, 2010
• Shaw B. ed altri, Eastern Mediterranean Tectonics and Tsunami Hazard Inferred from the AD 365 Earthquake, Nature Geoscience, Vol. 1, April 2008
• Shaw B., Active Tectonics of the Hellenic Subduction Zone, Springer Theses, Springer-Verlag Berlin Heidelberg, 2012
• Smedile A. ed altri, Identification of Paleotsunami Deposits in the Augusta Bay Area (Eastern Sicily, Italy): Paleoseismological Implication, XXVI Convegno GNGTS, Extended Abstract Volume, 207-211, 2007
• Smedile A. ed altri, Paleotsunami Evidence in the Augusta Bay (Eastern Sicily, Italy), GNGTS, 2008
di Giampiero Petrucci
Ecco quanto avvenne il 21 luglio 365 che nell’immaginario collettivo dell’epoca diventa, non a caso, il “giorno dell’orrore”. Dalla bella isola minoica, infatti, possono arrivare gravi pericoli per l’intero Mediterraneo
Il terremoto più forte del Mediterraneo. Da milioni di anni il Mediterraneo è sede dello scontro tettonico tra la placca europea e quella africana che nel mar Egeo va in subduzione (ovvero si immerge) al di sotto della cosiddetta microplacca Egea. Questo accade lungo il cosiddetto “arco ellenico”, un vero e proprio piano di subduzione, il quale geograficamente va dalle isole Ionie alle coste della Turchia, passando proprio per Creta che quindi, confermando i princìpi fondamentali della sismotettonica, diventa sede privilegiata di terremoti distruttivi. E’ noto come la Grecia sia una delle nazioni europee più soggette al rischio sismico, sin dall’antichità: già Erodoto parla dei terremoti mentre Aristotele tenta di spiegarli scientificamente tramite una specie di “vento interno” nella terra che muovendosi genererebbe appunto questi sismi.
Oggi sappiamo che non è così e siamo in grado di ricostruire scientificamente eventi catastrofici anche molto lontani nel tempo. E’ il caso appunto dell’anno 365. Il 21 luglio avviene infatti un tremendo terremoto, di magnitudo compresa tra 8.3 ed 8.5, il più forte mai verificatosi nel Mediterraneo, che provoca valori di PGA (picco massimo dell’accelerazione indotta nel terreno dalle scosse) pari addirittura a 1.0 g (ricordiamo per semplice paragone che il terremoto emiliano del maggio 2012 ha provocato un valore di PGA intorno a 0.3 g). Un sisma quindi devastante, della durata di circa un minuto, con numerosi aftershocks (le scosse seguenti la principale) di magnitudo comunque rilevanti, sviluppatesi nel giro di pochi minuti. L’epicentro dell’evento tellurico si trova a sud-ovest dell’angolo sud-occidentale dell’isola di Creta, a qualche km dalla costa e, come dimostrato dalla ricercatrice inglese Beth Shaw, la faglia originante non coincide esattamente col piano di subduzione (come ritenuto sino a pochi anni fa), bensì si trova sopra esso, sulla microplacca egea. Orientata in direzione nord-ovest/sud-est, questa faglia ha un andamento sub-orizzontale (angolo di inclinazione di circa 30°), è lunga un centinaio di km e si trova a circa 45 km di profondità. Caratteristiche molto importanti per lo sviluppo del sisma perché, rispetto ad una faglia sub-verticale, questo tipo di struttura richiede una sforzo totale ben maggiore per innescare il movimento e dunque un’energia considerevole all’atto del movimento tellurico.
Ecco perché il terremoto è così devastante: nella porzione più occidentale di Creta sono stati rilevati spostamenti cosismici del terreno fino a 9-10 metri di altezza, confermati dal ritrovamento in queste litologie di coralli ed altri organismi marini la cui datazione col metodo del radiocarbonio conferma l’ipotesi che essi siano stati spinti così in alto proprio dal sisma del 365. Il terremoto distrugge l’intera Creta dove molte città vengono abbandonate e mai più ricostruite, compresa Cnosso, già devastata duemila anni prima dal mitico disastro provocato da Santorini. Gravissimi danni si verificano anche nel Peloponneso ed in particolare a Patrasso, distruzione anche ad Olimpia e nell’isola di Kythera. Le scosse sono chiaramente avvertite in tutto il Mediterraneo orientale, dall’Egitto alla Turchia alla Palestina ma è difficile, data la scarsezza delle informazioni bibliografiche, recuperare notizie esatte sulle devastazioni relative.
Lo tsunami. Più certo invece quanto accade dopo, quando il terremoto innesca un grande tsunami che si riversa per tutto il Mediterraneo centro-orientale. Modelli numerici di ricostruzione associati alle ricerche sulle varie sponde portano ad ipotizzare, con buona approssimazione, come possa essersi sviluppato il fenomeno. Partendo a sud-ovest di Creta, con altezze limitate ed intorno al metro, le onde si diramano nelle quattro direzioni cardinali: a nord vengono in parte arrestate dalle Sporadi mentre nella costa meridionale di Creta raggiungono i 9 metri di altezza. Ad est arrivano dapprima a Cipro (8 metri) e quindi finiscono la corsa in Palestina (6 metri). Ad ovest, la zona che più è per noi interessante, nel giro di 60-75 minuti giungono sulle coste di Calabria e Sicilia, con altezze intorno ai sette metri. Ciò è stato recentemente confermato da alcuni sondaggi eseguiti nel ragusano, in particolare nella zona del Pantano Morghella, un’area lagunare costiera nei pressi di Pachino, dove sono stati individuati livelli di sabbia a circa un metro di profondità intercalati alle argille. Tali sabbie, gialle e del tutto simili a quelle della spiaggia attuale prospiciente la laguna, contengono foraminiferi e frammenti di conchiglie tipicamente marini: la datazione tramite Carbonio 14 ha permesso di attribuire loro un’età compatibile col 365. Si presume quindi ragionevolmente che esse siano tsunamiti ovvero testimonianza dell’ingressione marina la quale avrebbe in quel punto raggiunto la distanza di almeno un km dalla linea di costa.
Studi analoghi, condotti tra gli altri dalla d.ssa Smedile dell’INGV, indicano una situazione similare per la baia di Augusta che pure sarebbe stata quindi interessata da questo evento. Ma lo tsunami di Creta provoca i danni più gravi a sud. La batimetria dei fondali e la morfologia delle coste amplificano gli effetti delle onde, in particolare nella città di Apollonia, in Libia, dove le onde arrivano fino a 15 metri di altezza, sommergendo l’intero litorale e creando devastazione totale. Stessa situazione nel delta del Nilo che, per il suo territorio ricco di vie d’acqua e canali, non offre particolare resistenza all’avanzata dello tsunami. Ad Alessandria, dove si trova lo storico Ammiano Marcellino che descrive gli eventi, le acque dapprima si ritirano, con la popolazione che si reca in massa al porto a vedere il fenomeno, poi tornano con estrema violenza (12 m di altezza), distruggendo tutto (ma non il celebre faro che resiste tetragono), penetrando per circa 2 km e provocando almeno cinquemila vittime che vanno a sommarsi alle altre 45mila stimate per tutto il Mediterraneo. Un evento dunque geograficamente molto vasto al punto che viene definito, non senza ragione, la prima catastrofe “globale” della storia mediterranea e che rimarrà a lungo nell’immaginario collettivo delle popolazioni, portando pure (secondo diversi storici) al definitivo declino dell’Impero Romano ed alla sua separazione in due porzioni, con la nascita dell’Impero Bizantino. Un disastro poco considerato nel nostro paese, ma che invece dimostra perfettamente come per le nostre coste il pericolo possa giungere anche da oriente e come il mare intorno a Creta sia, in definitiva, una sorgente tsunamigenica di primaria importanza.
BIBLIOGRAFIA
• De Martini P.M. ed altri, A Unique 4000 Years Long Geological Record of Multiple Tsunami Inundation in the Augusta Bay, Marine Geology 276, 2010
• Lorito S. ed altri, Earthquake-generated Tsunamis in the Mediterranean Sea: Scenarios of Potential Threats to Southern Italy, Journal of Geophysical Research, Vol, 113, 2008
• Papadopulos G.A., Large Earthquakes & Tsunamis in the Mediterranean Segment of North Africa, IGNOA, 2010
• Shaw B. ed altri, Eastern Mediterranean Tectonics and Tsunami Hazard Inferred from the AD 365 Earthquake, Nature Geoscience, Vol. 1, April 2008
• Shaw B., Active Tectonics of the Hellenic Subduction Zone, Springer Theses, Springer-Verlag Berlin Heidelberg, 2012
• Smedile A. ed altri, Identification of Paleotsunami Deposits in the Augusta Bay Area (Eastern Sicily, Italy): Paleoseismological Implication, XXVI Convegno GNGTS, Extended Abstract Volume, 207-211, 2007
• Smedile A. ed altri, Paleotsunami Evidence in the Augusta Bay (Eastern Sicily, Italy), GNGTS, 2008
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Un articolo interessante.
RispondiEliminaOttima idea quella di produrre i riferimenti, cosa rara, nei Weblog.
'Tsunamigenico' non si può proprio leggere, né pronunciare.
Comunque, va detto a chiare lettere che i maremoti maggiori del Mediterraneo:
1) sono sempre stati di natura sismica vulcanica (non meteorica, o altro);
2) hanno sempre interessato la parte orientale del Mediterraneo ( Egeo e Turkia sono 'nodo' sismicamente tra i più attivi nel mondo) anche quando sono partiti dall'area sismogena (o sismogenetica) dell'Etna.
3) i molto pubblicizzati maremoti del Tirreno sono sempre stati di intensità trascurabile, anche quando causati da terremoti estremamente distruttivi (vedi Messina).
Il che è provato scientificamente (vedi studi internazionali promossi dalla National Geographic Foundation) e smentisce in modo definitivo le favolette che qualcuno ha messo in giro qualche anno fa.
Il terremoto dell'Eruzione esplosiva del Thera -Santorini del 1626 a.C, è riportato come il più forte in assoluto, (fu di forza V.E.I. 5), a quello che mi risulta: ma questo non sposta di un millimetro le considerazioni di cui sopra, che sono le uniche importanti.