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sabato 10 agosto 2013

Ossidiana in Sardegna: Bannari "satellite" preistorica.

Bannari "satellite" preistorica dell'ossidiana
di Vitale Scanu


L’esistenza del paese di Bannari (oggi Villa Verde), ipotizzando una continuità temporale dalla preistoria fino ad oggi, si spinge ben oltre i duemila anni convissuti con il cristianesimo. Almeno fino ad altri 1500 anni avanti Cristo. L’ossidiana, con la sua realtà storica trascina la piccola storia della gente del monte Arci. Bannari e Pau, “per circa mille anni” (Giovanni Lilliu, Manlio Brigaglia, Cornelio Puxeddu…) furono l’epicentro di questo rilevante periodo di civiltà della Sardegna. La loro esistenza è in stretta coerenza con l'ossidiana.
Così, figurandoci l’esistenza storico-geografica di Bannari come un grande ponte, possiamo immaginare come prima campata quella che va, convenzionalmente, da oggi fino all’imperatore Marcus Salvius Otho (amico di Nerone e compagno delle sue dissolutezze), perché di lui, anni fa, è stata trovata una moneta lungo i sentieri di Villa Verde (in foto moneta di Salvius Otho) segno fattuale che la frequentazione romana – evidentemente in relazione alla Colonia Iulia Augusta Uselis (distante otto chilometri), fondata in età tardo-repubblicana attorno al secondo secolo a.C. - ha già raggiunto il comprensorio di Bannari. Siamo al 69 dopo Cristo.
La seconda campata possiamo immaginarla dunque a partire dal periodo romano, senza soluzione di continuità, fino all’era dell’ossidiana, sa pedra crobĩa del monte Arci, conosciuta e diffusa già dal quarto millennio a.C. In Sardegna l’ossidiana, una roccia amorfa detta anche vetro vulcanico, si trova esclusivamente nel monte Arci, complesso eruttivo risalente al ciclo vulcanico tardo-pliocenico.
La realtà dell’ossidiana – quella che lo storico naturalista Plinio nel suo “Naturalis historia” chiamava “lapis obsianus” - che coinvolge e interessa largamente il nostro territorio, ci obbliga a guardare con attenzione a questa seconda (o prima) campata, che si perde nei tempi più remoti, fino al periodo nuragico (1800-238 a.C.) e addirittura fino al limitare del Neolitico (6000-2800 a.C.), quando già “l’intero territorio regionale era abitato“ dai prenuragici (v. Carlo Lugliè, “L’ossidiana del monte Arci”, Sardaprogetti Ales). In altre parole, attorno all’ossidiana si costruisce un contesto dal quale non si possono estrapolare, cronologicamente, i nuclei abitati da essa coinvolti.

L’ossidiana è stata studiata nella sua composizione chimica, che varia a seconda del luogo di provenienza. Esaminando il dosaggio degli elementi compositivi, bario, zirconio, cesio, rubidio e boro, si riesce a individuare i diversi giacimenti di provenienza. L’ossidiana sarda, studiata dal Dipartimento di Archeologia dell’Università di Cagliari, è più ricca di bario e tre volte più ricca di rubidio rispetto alle ossidiane di Lipari, Pantelleria e Palmarola, che sono gli altri giacimenti di ossidiana esistenti fuori del monte Arci. Tali peculiari caratteristiche consentono di conoscere perfino quali dei versanti del monte Arci fossero sfruttati nelle diverse epoche e quali direzioni prendessero le differenti varietà di ossidiana nella loro distribuzione insulare ed extrainsulare: l’ossidiana dalla composizione chimica riscontrata in quella del monte Arci, è stata trovata in Toscana, nel Lazio e nella Francia meridionale, esportata, ovviamente, mediante contatti e scambi tra genti neolitiche che utilizzarono le famose navicelle o il ponte terrestre rappresentato dal promontorio sardo-corso all’arcipelago toscano. Non poté essere diversamente.
La fittissima concentrazione dei centri di raccolta e di officine per la sua lavorazione attorno al monte Arci, dimostra in modo inequivocabile, che "tutti gli abitanti della zona furono attivissimi esportatori dell'oro nero per un lunghissimo periodo di tempo, sicuramente per oltre mille anni”, dal IV millennio a.C. fino all'arrivo dei metalli (archeologo Cornelio Puxeddu, “Diocesi di Ales-Usellus-Terralba”). La conseguente densità demografica del comprensorio di Bannari, documentata dal numero dei nuraghi per chilometro quadrato (0,576/kmq), la più alta della zona (Morgongiori 5 nuraghi 0,110 per kmq; Pau 3 nuraghi 0,213 per kmq; Usellus 12 nuraghi 0,341 per kmq), postula contestualmente un’attività economica diffusa e una necessaria rete logistica seppur primordiale, indispensabile per l’estrazione, il trasporto e lo scambio dell’ossidiana, vero “oro nero” di quei remoti antenati nostri, i quali, migliaia di anni fa, spesso con mezzi inadeguati e tantissimi pericoli, affrontavano innumerevoli insidie per commercializzare il prezioso materiale, estratto con arnesi rudimentali da “minatori” specializzati.

Osservando con attenzione, è facile constatare come i nuraghi di Bannari siano piazzati in una postazione strategica, come a corona su un vasto cerchio d'orizzonte (cartina topografica)quasi a monitorare, sorvegliare e garantire una sicurezza alle cose e alle persone esistenti nella valle in una comunità unitaria e “laboriosa” (come il Casalis definisce ancora, nel 1831, la popolazione bannarese). La visuale di tutti i nuraghi è posizionata in direzione della valle: da Nurax’e Mãu, a su Brunk’e s’Omu, al Nurax’e Trùttiris, a Mont’e Aba, a Grégui (G iniziale di Genova), sembra di vedere come altrettanti ciclopici “castiadòris” (vigilantes) che seguono con occhio vigile tutta l’attività del vasto comprensorio. Attorno ai nuraghi gravitavano infatti altrettante piccole comunità vive e vitali, intente a molteplici attività: uomini, donne, bambini, giovani, parenti e nonni e nonne: le preistoriche matrioske dalle quali, di generazione in generazione, sono originate le nostre vite… Il Casalis nel suo “Dizionario” ci riferisce di 17 nuraghi; l’archeologo Puxeddu ne calcola una decina. Ipotizzando una media minimale di venti-trenta persone per nuraghe (necessarie, oltretutto, per spiegare l’edificazione di edifici tanto imponenti), arriviamo a circa 450-500 individui. Forse, la valle di Bannari era allora molto più abitata e movimentata di oggi.

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