vita di Francesco d’Assisi dalla giovinezza alla morte, alternando gli episodi ufficiali a quelli cari alla leggenda popolare. Gli ultimi affreschi del ciclo non vennero però portati a termine da Giotto ma dai suoi collaboratori, perché l'artista fu chiamato dal papa a lavorare a Roma per il giubileo del 1300. Giotto era ormai un pittore di grande importanza.
domenica 3 gennaio 2016
Giotto e la pittura medievale
Giotto e la pittura
medievale
Giotto è l'artista che ha
rinnovato la pittura italiana, così come Dante, suo contemporaneo, è ritenuto
il padre della lingua italiana. La gloria di Giotto è affidata a opere sparse
in quasi tutta la penisola, da Roma a Firenze, da Assisi a Rimini fino a
Padova; la sua importanza fu tale da influenzare non solo le scuole pittoriche
del Trecento, ma anche gli artisti del Rinascimento. La leggenda più nota
fiorita intorno a Giotto di Bondone (nato a Colle di Vespignano nel Mugello
probabilmente nel 1267) è quella che narra il suo incontro con l'artista
Cimabue. Quest'ultimo avrebbe osservato il giovane pastore Giotto mentre
disegnava su una roccia una pecorella del suo gregge con tanta abilità da
convincerlo a portare il giovane nella sua bottega; così Cimabue sarebbe
divenuto il primo maestro di Giotto. Il giovane artista visitò Roma dove ebbe modo
di vedere i cicli pittorici della Roma antica e paleocristiana e le opere dei
più importanti pittori romani della fine del Duecento.
Dal 1296, Giotto fu chiamato a
realizzare gli affreschi della basilica superiore di Assisi. Il ciclo
pittorico, che già destava meraviglia nei fedeli dell'epoca, è diviso in 28
riquadri, che descrivono la
vita di Francesco d’Assisi dalla giovinezza alla morte, alternando gli episodi ufficiali a quelli cari alla leggenda popolare. Gli ultimi affreschi del ciclo non vennero però portati a termine da Giotto ma dai suoi collaboratori, perché l'artista fu chiamato dal papa a lavorare a Roma per il giubileo del 1300. Giotto era ormai un pittore di grande importanza.
vita di Francesco d’Assisi dalla giovinezza alla morte, alternando gli episodi ufficiali a quelli cari alla leggenda popolare. Gli ultimi affreschi del ciclo non vennero però portati a termine da Giotto ma dai suoi collaboratori, perché l'artista fu chiamato dal papa a lavorare a Roma per il giubileo del 1300. Giotto era ormai un pittore di grande importanza.
L'attribuzione del ciclo di
Assisi a Giotto è stata più volte messa in discussione per le differenze
stilistiche rilevate con la successiva attività del maestro a Padova. Tuttavia,
l'evidente diversità di stile tra Assisi e Padova può essere giustificata con
una maturazione del grande pittore avvenuta successivamente all'esperienza
romana del 1300.
Per cogliere la portata
rivoluzionaria di Giotto, si può partire da quello che di lui scrive con
entusiasmo Cennino Cennini, pittore e scrittore d'arte vissuto tra 14°e 15°
secolo: "Giotto rimutò l'arte del dipingere di greco in latino e ridusse
al moderno".
Con queste precise parole
Cennini vuole dire che l'artista toscano nella sua pittura abbandona le
immagini fisse, gli ori abbondanti e le astrazioni dell'arte bizantina, recuperando
il contatto con la realtà e la natura. Giotto costruisce innanzitutto lo spazio
del racconto pittorico in maniera illusionistica e tridimensionale,
impostandolo con una rigorosa prospettiva delle architetture, come ben si vede
nell'episodio del Presepe di Greccio del
ciclo di Assisi; in questa spazialità i personaggi si inseriscono con
equilibrio e in coerente rapporto con l'ambiente che li circonda.
Proprio nelle figure Giotto
presenta una delle sue novità più importanti: i personaggi non sono più le
figure piatte della tradizione precedente, ma persone concrete, reali, come si
vede dalle pieghe morbide e naturali degli abiti sotto cui si trovano i corpi
saldamente esistenti.
Quando Cennini afferma che
Giotto "ridusse al moderno" la pittura intende dire che il pittore
riesce a trovare un contatto con la società contemporanea, con i suoi usi e
costumi.
Illuminante in tal senso
l'episodio dell'Omaggio dell'uomo semplice, in
cui un uomo, certo della grandezza di Francesco, gli stende ai piedi il suo
mantello. La scena si svolge infatti lungo una via che gli spettatori potevano
facilmente riconoscere come una strada reale di Assisi, tra il Palazzo comunale
e il Tempio di Minerva; inoltre la presenza di personaggi in abito da borghese
dell'epoca che commentano il fatto poteva favorire l'identificazione dello
spettatore nella storia, annullando le distanze tra la pittura e il mondo reale
con il suo pubblico. Interessante anche la scena con la Rinuncia agli
averi, in cui è raffigurata l'ira
di Bernardone, padre di Francesco, alla vista della stravagante decisione del
figlio di restituire tutte le sue ricchezze e scegliere la povertà; qui i
contemporanei di Giotto, oltre ad apprezzare la verosimile posa di Bernardone e
lo straordinario studio anatomico del corpo del santo, potevano riconoscere la
piazza del Vescovado, realmente esistente ad Assisi.
Dopo aver soggiornato a Roma,
Giotto viene chiamato a Padova per realizzare tra il 1303 e il 1305 la cappella
privata del ricco Enrico degli Scrovegni. Questi era figlio di uno degli usurai
più tristemente noti di Padova, come ci racconta anche Dante nell'Inferno, ed è probabile che abbia voluto erigere l'oratorio
religioso per espiare i peccati familiari.
Giotto affresca le pareti con Storie della
Vergine, Storie di
Cristo, figurazione di Vizi e virtù nel basamento e un grandioso Giudizio
finale in controfacciata, dove
compare anche il ritratto dello Scrovegni.
Qui l'artista raggiunge la sua
piena maturità: nella naturalezza e nella ricerca espressiva dei protagonisti,
nella ricchezza dei colori, nella capacità di costruzione architettonica e
prospettica dello spazio. Straordinaria, per esempio, la realistica drammaticità
e la forte intensità del Compianto sul Cristo morto, in
particolare per l'abbraccio carico d'amore materno che la Madonna riserva al
figlio; altrettanto intensa è la Cattura di Cristo, in cui tutta la composizione si incentra
sull'incrociarsi e il differenziarsi degli sguardi tra Gesù e Giuda nel momento
del tradimento: fermo e sereno quello di Cristo, vile e incerto quello del
traditore.
Emblema delle capacità
raggiunte da Giotto sono i cosiddetti coretti, due
piccole cappelle vuote, con finestrelle da cui si vede il cielo, dipinte sulla
parete: si tratta di un capolavoro assoluto di prospettiva e illusionismo, che
anticipa indubbiamente la pittura rinascimentale.
Giotto nella sua carriera si è
confrontato anche con i soggetti tradizionali della pittura del Duecento, come
la Crocifissione e la Madonna in trono (la cosiddetta Maestà), dandoci la possibilità di stabilire un confronto
con il suo maestro Cimabue.
Nel Crocifisso realizzato intorno al 1300 per la Chiesa fiorentina di
S. Maria Novella Giotto supera del tutto quei legami ancora esistenti tra
Cimabue e la pittura bizantina; il Cristo giottesco infatti, abbandonando la
linea che ancora costruiva la figura di Cimabue, realizza un'immagine più umana
e realistica; inoltre dispone la figura sulla croce con maggiore rispetto delle
leggi anatomiche.
Anche nella Vergine col
Bambino in trono, dipinta verso il 1310
per la Chiesa d'Ognissanti a Firenze e oggi conservata agli Uffizi, Giotto, pur
attenendosi all'immagine tradizionale, la rinnova profondamente; l'artista
tralascia l'atteggiamento solenne e distaccato e la stilizzazione lineare che
avevano caratterizzato in passato questo tipo di raffigurazione e conferisce
alla Vergine e al Bambino una maggiore solidità di forma e un senso tutto nuovo
di umana partecipazione alle vicende del mondo.
Riconosciuto come grande
artista già dai suoi contemporanei, Giotto lavorò per le più importanti città
italiane. Oltre ad Assisi, Roma, Padova e Firenze, egli fu attivo a Rimini nei
primissimi anni del Trecento ‒ dove realizzò un Crocifisso ‒, favorendo così la nascita di una scuola pittorica
giottesca. Dopo essere tornato ad Assisi per affrescare nella chiesa inferiore
la Cappella della Maddalena, Giotto lavorò soprattutto a Firenze, dipingendo
nella Chiesa di Santa Croce Storie di san Giovanni Battista e san
Giovanni Evangelista per la
Cappella Peruzzi (1315-20) e di nuovo Storie di san Francesco d'Assisi per la Cappella Bardi (1320-25).
Ormai all'apice della sua fama
Giotto fu conteso dai grandi committenti del suo tempo: tra il 1330 e il '33 fu
a Napoli chiamato da Roberto d'Angiò e tra il 1335 e il '36 a Milano presso
Azzone Visconti per affrescarne il palazzo. L'ultima opera superstite della
grande attività dell'artista riguarda però l'architettura: nel 1334 infatti la
Repubblica fiorentina gli aveva conferito la carica di capomastro dell'Opera
del Duomo; Giotto progettò così uno degli edifici più cari ai fiorentini, il celebre
campanile del Duomo, di cui gettò le fondamenta e diresse personalmente i
lavori fino al primo ordine dei rilievi. Morì a Firenze nel 1337.
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