lunedì 25 gennaio 2016
Da grande volevo fare l’archeologo. Analisi semiseria di una professione in equilibrio precario.
Da grande volevo fare l’archeologo.
Analisi semiseria di una professione in equilibrio precario.
Articolo di www.professionearcheologo.it (Non ho trovato l'autore e lo inserisco integralmente)
Il post
di “Professione Archeologo“, sul prezzo da pagare per essere archeologo, ha
ricevuto quasi 20000 visite e un numero imprecisato di like, oltre ad essere
stato twittato, condiviso e commentato in rete. Tra i commenti apparsi
in calce al post, quello che vi presentiamo di seguito è senza dubbio il più
toccante perché amaro, commovente e soprattutto realistico. Ed è per questo che abbiamo deciso di farne un
guestpost, nel qual, lo sappiamo, molti di noi si rispecchieranno. Lo condividiamo con la segreta speranza che le
storie di chi investe anni, fatica, entusiasmo ed energia in una formazione
decennale e poi è costretto ad abbandonare il sogno di poter vivere della
propria professione, diventino una minoranza rispetto alle storie di chi invece
riesce ad essere non solo un archeologo appassionato, ma un archeologo
professionista. Molto spesso, se il
giovane in questione vuole imparare a scavare, parteciperà ad almeno una o due
campagne all’anno e quindi la triennale diventerà di 4 o 5 anni e la magistrale
di 3 o 4, anche perché lo studio del passato e il prepararsi ad una professione
altamente specializzata come quella dell’archeologo, non sono imprese da poco
tempo, anzi. La preparazione di certi esami, lungi dal
volerci
sottomettere alle logiche da credito formativo universitario (25 ore di impegno
per ogni CFU) è molto complessa, difficile, lunga. O almeno dovrebbe, e per qualcuno
è. Occorre studiare testi su testi, fare confronti, per capire, per
memorizzare, per conoscere, per interiorizzare. Partecipare a convegni e
conferenze, e qualche volta viene chiesto di fare un po’ di segreteria in certi
eventi. Altro tempo. E se quel solito giovane scava una o due volte
l’anno, gli si chiederà, e giustamente, di lavorare sui dati e sui materiali
anche quando trowel e picconi saranno fermi e freddi. E le tesi? Se sono
“sperimentali” è meglio, quelle sui materiali non vanno più tanto di moda,
quelle sul territorio sono la scelta giusta oggi. Tempo, tempo, tempo. Tempus fugit. Dieci anni
sono spesso l’inizio. Se continuerai vedrai: scuole di specializzazione
gestite dai soliti professori, con i soliti programmi di triennale e magistrale.
A caro prezzo e necessariamente propedeutiche a possibili ma in realtà
improbabili dottorati con borsa, a meno di non avere rapporti personali con i
caporaletti o baronetti di turno. Vedrai: progetti di dottorato “vinti”
ma trascurati perché prima bisogna portare avanti le incombenze che ti danno i
tutor. Le verifiche non sono un problema, se resti indietro con la ricerca la
verifica la passi lo stesso perché siamo tutti amici, e poi ci sono tre anni di
tempo, a voglia scrivere! e poi c’è un quarto anno aggiuntivo, sì certo, è
senza borsa, ma non è un problema, se resisti e ti barcameni il sistema ti
coopta. Ci sono persone, che sono quasi personaggi, che ciclicamente prendono
assegni di ricerca e ricerca non ne fanno mai: passano il tempo fra un social e
una convention, a fare un sacco di cose, tutto, tranne che la ricerca per la
quale sono pagati. Questo per dire che 7-10 anni per triennale
magistrale specializzazione e dottorato mi sembrano un po’ troppo svelti.
Giustamente occorrono, per essere competitivi, i livelli corretti e certificati
di lingua inglese, altro tempo, altri denari. Arrivato ad una certa età, che
non è venerabile e rientra giusta giusta entro i termini di certi bandi
vergognosi, ti rendi conto che per inseguire il sogno hai fermato tante cose.
Sulla carta d’identità c’è scritto archeologo, è vero, ma l’indirizzo è
ancora quello di casa dei genitori, lo stato civile è celibe o nubile, il conto
in banca è quasi vuoto e persone o istituzioni o amministrazioni ti devono denari,
o ti devono favori, o ti devono dati scientifici, e che non vedrai mai niente
di tutto questo. Dopo soli dieci anni hai capito l’antifona (e sai anche
da dove deriva questo modo di dire, e son soddisfazioni!): il sogno ha smesso
di essere tale e tu hai smesso di inseguirlo. Il sogno è diventato un incubo e
adesso è lui che insegue te. Dopo soli dieci anni ritieni di essere uno dei
fortunati che non ne investirà altri dieci in una impresa così disperata.
Hai capito che c’è la fregatura e realizzare che dietro la fregatura c’è
una grande ingiustizia e pensare che le cose potrebbero essere molto diverse, e
migliori, non significa che cambieranno necessariamente e soprattutto non ti
risolve i problemi immediati: affitti, se non vivi ancora con i tuoi, bollette,
pranzi e cene, una spuntatina ai capelli ogni tanto. Hai capito che perseverare
non sarebbe diabolico, ma solamente molto stupido e ingenuo, hai capito perché
molti colleghi non si laureano più: hanno paura del “dopo”, hanno paura di
rendersi conto di essere stati fregati, hanno paura di risvegliarsi dal sogno e
allora più o meno inconsciamente continuano a dormire. E tu cosa fai?
Hai la passione per l’archeologia? Puoi studiare lo stesso, nel tempo libero, e
senza assilli. Sul serio, puoi fare ricerca e in modo anche abbastanza serio,
se la tua molla è la passione. Ma la passione non è la ricerca in sé. La
passione è per quegli ambienti, per l’accademia, per i corridoi, per il
conteggio delle pubblicazioni su Dyabola, per quella scritta sul documento, per
le facce degli interlocutori quando gli dici che lavoro fai. Per darti delle
arie. Per dire alla fine: ce l’ho fatta, sono con loro, sono come loro! Vedrai
anche questo, ma sarebbe ingiusto dire che vedrai solo questo. Dopo soli
dieci anni capisci che il sistema-Italia ti permette di fare altri lavori,
basta che non siano quelli per cui ti sei formato. Sei un bravo
archeologo, ma firmi un contratto a tempo indeterminato (un applauso) per fare
l’educatore professionale, sarai a contatto con bambini con Disturbi Specifici
dell’Apprendimento, con utenti diversamente abili, con sofferenti mentali,
senza avere assolutamente idea di cosa fare, da dove iniziare e cercando di
fare meno danni possibile. Sì certo, studi da una vita e ora cambierai libri,
imparerai cose nuove. Ma hai uno stipendio, ti pagano tutte le ore, e la
benzina anche. Hai tempo libero, leggi, ti riposi, non ci sono più sogni né
incubi che coinvolgano la sfera lavorativa: hai capito che cameriere o
professore sei un produttore di reddito, ed è giusto, perché il lavoro costa.
Fai una famiglia, ti perdi nella bellezza delle relazioni umane profonde con le
persone che ami. Sei diventato adulto
Fonte: http://www.professionearcheologo.it
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