giovedì 14 gennaio 2016
Archeologia. Considerazioni sulla relazione del prof. R. Mondazzi sulle statue di Monte Prama, di Franco Laner
Archeologia. Considerazioni sulla relazione del prof. R. Mondazzi sulle
statue di Monte Prama
di Franco Laner
Quelle che seguono vogliono
essere alcune osservazioni a seguito della "perizia": Brevi considerazioni tecniche sulle
sculture “Giganti di Mont’e Prama” del prof. Raffaele
Mondazzi, Torino dic. 2015 nell'articolo di questo quotidiano on line in data 11 Gennaio 2016:
http://pierluigimontalbano.blogspot.it/2016/01/archeologia-brevi-considerazioni.html/
Ho usato la
parola “perizia”. Non sia intesa in modo riduttivo, ma nell’ampiezza della
sua accezione. Infatti il carattere dell’attenta disamina del prof. Mondazzi, è
volutamente “neutro”: il prof-scultore scrive ciò che vede, ciò che la sua
competenza gli suggerisce e si astiene da giudizi e pareri.
Mette in condizione altri di
trarre conclusioni, proprio come dovrebbe essere compilata una “perizia” di
tribunale!
A ben leggere, considerato che
è difficile staccarsi completamente dall’oggetto in esame, c’è, accanto
all’asetticità tecnologica, anche l’interpretazione, come quando il prof.
conclude la disamina con l’immagine di una “Dea Madre” neolitica (quella di
Decimoputzu), che giudica di “eccessiva bellezza” quasi a dire: “Se vogliamo
parlare d’arte possiamo farlo per questa Dea, per i Giganti di Mont’e Prama
sospendo il giudizio. Non vedo arte!”
In un recente colloquio con
Pinuccio Sciola, anche il Maestro mi ha risposto con un simile, secco,
giudizio:
“Mi addolora vedere
l’accanimento e l’esaltazione dei media sui Giganti, modesti e nemmeno sardi.
L’attenzione andrebbe spostata a valorizzare altri e più importanti prodotti
dell’arte nuragica, ivi compresa l’architettura dei pozzi, dei nuraghi, delle
tombe di giganti”.
Sulla questione Sciola e
valore artistico delle statue, tornerò con un prossimo post.
Attenzione comunque, non sto
parlando del valore documentale e archeologico dei guerrieri di MP!
L’osservazione del professor
Mondazzi sugli attrezzi per scolpire di diversa tipologia e uso di ferro, pur
non chiudendo del tutto a qualche impiego di bronzo o pietra dura, fa pensare
ad uno scultore molto “attrezzato”, non agli esordi. D’accordo che gli
strumenti da soli non fanno maestria, ma si presume che
almeno chi li usa
sappia fare il suo mestiere, non solo scolpire una statua, ma soprattutto
scolpirla affinché stia in qualche modo in piedi! Qui concorda in toto con il
giudizio di Peter Rockwell (v. “Le sculture di Mont’e Prama – Conservazione e
restauro”, Gangemi editore, Roma, 2014)
Questo tema costringe il prof
ad ipotizzare tre appoggi (manca però traccia del terzo), perché le due
caviglie non hanno sufficienza strutturale. Ipotizza anche un aggancio ad un
sostegno verticale. Possibile. Anche per Rockwell. Comunque non c’è alcuna
prova certa che i guerrieri siano stati messi in piedi, pur nell’ovvietà che
siano stati scolpiti per stare in piedi!
Alcuni anni fa ipotizzai che
la verticalità dei guerrieri sarebbe stata possibile se i guerrieri fossero
stati “compressi” da un carico superiore (esempio trave caricata sopra la
testa) e mi convinsi della loro funzione di telamoni, anche a causa della loro
mancanza di plasticità e per la loro staticità scultorea, priva di valore
estetico (attenzione, non ne nego l’importanza e valore documentario), tozze e
disarmoniche.
Ora, dopo il rinvenimento
degli ultimi due guerrieri (2014), quelli che il soprintendente Minoia definisce
guerrieri con lo scudo avvolto (ci voleva un’altra tipologia di pugilatore con
scudo, inaudibile quanto inverosimile, dopo quella del pugilatore con lo scudo
sopra la testa!) sto pensando che nessuna delle statue scolpite siano mai state
messe in piedi. Entrambi i guerrieri dello scavo 2014 hanno già le caviglie
rotte, ancora in fase di lavorazione iniziale di sbozzatura.
Anche qui i due scultori e
storici, Rockwell e Mondazzi concordano. Si chiedono come le statue potessero
stare in piedi, proprio per elementari leggi di statica Su due appoggi, e per
di più sottili, le caviglie, non v’è dubbio che serviva un terzo punto di
sostegno!
Ecco perché avanzo l’ipotesi
che il ritrovamento di Mont’e
Prama sia il ritrovamento di un “laboratorio” di scultura abortito.
E’ il ritrovamento di una
scelta azzardata e velleitaria, condannata da subito all’insuccesso e quindi
all’abbandono, in discarica.
Sottrarre dalla massa
calcarea, vulnerabile, la materia per lasciare parti esili, come lo scudo,
l’arco è una operazione difficile e rischiosa, per me impossibile. Ma anche per
Mondazzi, che cerca invano l’altra soluzione, che sarebbe quella di appiccicare
queste parti al corpo, cozzando contro un’altra realtà: non è dimostrabile
l’uso del trapano!
Alcuni guerrieri sono stati
portati ad un buon compimento di finitura, ma al momento della loro messa in
opera, o pronti per il trasporto, le caviglie hanno ceduto. Altri tentativi
hanno seguito la sorte di quelli già ammucchiati in discarica, altri,
incompiuti e appena sbozzati, sono stati lasciati in loco (i due pugilatori con
lo scudo avvolto del 2014 sono un chiaro esempio!).
Il ritrovamento della
“discarica” (la definizione è dell’archeologo del primo scavo, Carlo
Tronchetti) coi 5280 pezzi è un coacervo di frammenti.
Il primo ritrovamento è stato
un enigma, senza alcun precedente, o riferimento. Lilliu e compagni l’hanno
impreziosito con frasi esaltanti e di effetto, col facile paragone ai bronzetti
guerrieri, in sintonia con la certezza militare nuragica e l’autoreferenzialità
interpretativa, integrando il tutto con quell’ “aiutino” di messa in bella che
confermasse l’interpretazione e rendesse esibibili i reperti.
Per questo argomento il prof.
Mondazzi si lascia andare ad un accenno di giudizio. Non è una novità -scrive-
che i reperti, per essere mostrabili, abbiano sempre, storicamente, subito
quelle aggiunzioni, protesi e sottrazioni, tali da renderli più facilmente
comprensibili, in particolare ad un pubblico di bocca buona. In pratica
giustifica un possibile “ritocco”. Il “ritocco” è certo. Il problema è quanto
questo ritocco sia stato “profondo” e interpretativo!
Già Margherite Yourcenar in
“Il Tempo, grande scultore” aveva mirabilmente scritto sul desiderio di
rimettere in buono stato un oggetto rinvenuto. Ad una statua mutila si
aggiungevano gli arti e gli sfregi venivano ricomposti, spinti dal bisogno di
ricreare ed esibire una statua completa. Grandi collezionisti di cose antiche
hanno restaurato per pietà o spinti dalla semplice vanità del possesso.
Ciò che il primo scavo
consentiva di esporre, due teste, un torso, il braccio dell’arciere, i piedi
sul piedistallo, la mano che tiene l’arco, fu esibito al Museo di Cagliari.
Dopo quarant’anni si consolida, attraverso l’uso ideologico dei resti giganti (giganti
perché appena maggiori della scala 1:1), l’esaltazione di nuovi primati di una
Sardegna, ormai uscita dalla “vergogna di sé” (Placido Cherchi), primatista nel
Mediterraneo anche nel campo della statuaria. Va così che in Sardegna la
scultura precede di qualche secolo la Grecia! Le statue dei guerrieri sono,
infatti, ufficialmente datate nel IX a.C., senza alcuna prova attendibile,
comunque due-tre secoli prima della statuaria greca!
Da qui il clamore dovuto ad
una esaltazione collettiva che passa anche attraverso l’uso strumentale
dell’archeologia, a costo di rasentare il ridicolo con l’esibizione di una
sorta di Frankenstein, ricomposto con pezzi adespoti, tenuto in piedi da
protesi metalliche, con disarmoniche proporzioni, dove più che i pezzi autentici
trionfano il cemento e le resine, che consentono di attaccare e mostrare una
scudo in testa di un fantomatico pugilatore.
Museo di Cabras. Pugilatore
con lo scudo avvolto, secondo la definizione del soprintendente Minoia.
Fra questo reperto e i precedenti la distanza è abissale. O meglio la statua è
sbozzata, pronta per sottrarre ulteriore materia dal blocco che contiene il
braccio sinistro e forse uno scudo e procedere alle finiture. Ma le caviglie
sono già spezzate e quindi inutile procedere. Il progetto è fallito, abortito.
Qualcosa non ha funzionato.
Le discrasie che gemmano da
questo coacervo di archeologia, ideologia, primati e interpretazioni porta al
ridicolo. Il Soprintendente Minoia assume il nono secolo come periodo di
realizzazione dei guerrieri. Poi data al terzo secolo la loro distruzione da
parte dei Cartaginesi (?). I guerrieri rimangono dunque per sei secoli a
guardia dei pozzi di sepoltura e altri 23 secoli sotto terra e da li escono
teste ben levigate…Dapprima il calcare, tenero e sensibile è esposte agli
attacchi atmosferici e soprattutto agli aerosol trasportati dall’adiacente
stagno di Cabras, poi agli attacchi del terreno che li copre e corrode e infine
voilà, ecco due teste magnificamente conservate ed esibibili!
Ora si costruisce un Museo.
Un Museo, in Italia, non si
nega a nessun Comune.
Un Museo significa posti di
lavoro e, viste le risibilissime entrate, assistenza continuativa statale.
Un Museo costruito per esibire
una ipotesi.
Un Museo del dubbio e
dell’incertezza, dove per certo, almeno l’Arte, è assente.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento