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martedì 28 luglio 2015

Archeologia. Il gran pasticcio di un escavatore contro i giganti di Monte Prama

Il gran pasticcio di un escavatore contro i Giganti di Monte Prama

E' di questi giorni la notizia che nello scavo in corso a Monte Prama, nella Penisola del Sinis, si siano verificate alcune situazioni al limite del buon senso, se non della legalità visto che politica e forze dell'ordine sono state coinvolte nei fatti. Il motivo del contendere sono i segni lasciati dalla benna di un mezzo meccanico, un piccolo escavatore, utilizzato per "accelerare" i tempi nel portare alla luce un piccolo pezzetto di storia nuragica. Il soprintendente Marco Minoja minimizza i danni e getta acqua sul fuoco delle polemiche affermando che nessun danno rilevante ha interessato i reperti. Solo qualche graffio in alcune lastre di copertura delle tombe millenarie e un paio di abrasioni nella testa di un gigante di pietra. L'archeologo Alessandro Usai, direttore degli scavi o qualcosa del genere, tenta in qualche modo di spegnere le polemiche offrendo una versione più o meno coerente con le dichiarazioni di
Minoja (per approfondimenti cliccare quì per vedere l'articolo pubblicato ieri sul quotidiano) .
Fra le giustificazioni addotte si parla di terra di riporto, tuttavia c'è una incongruenza evidente, ossia la presenza di una testa scheggiata dalla benna (vedi foto sopra) che se fosse stata nella terra di riempimento costituirebbe una "dimenticanza" degli scavi precedenti, ossia come se chi scavò il sito prima di questi avesse lasciato una testa nel terreno anziché sistemarla con cura nel museo.
Resta il dibattito che vede l'opinione pubblica e le istituzioni confrontarsi su piani paralleli, se non divergenti: è lecito utilizzare nel 2015 un escavatore con benna per "accelerare" i tempi di uno scavo archeologico?
Quì intervengono varie questioni e si nota un paradosso: da una parte c'è l'esigenza da parte di chi scava di "trovare il tesoro" più rapidamente possibile, attività riservata generalmente ai tombaroli ma questa volta incredibilmente svolta dai responsabili dello scavo, chiunque essi siano. In opposizione a ciò c'è la sensibilità degli studiosi (e degli appassionati dilettanti) che vorrebbero salvaguardati  e tutelati i reperti, ma passano per disturbatori, se non strumentalizzatori, di una banale superficialità professionale in cui è caduta l'organizzazione dei lavori nel sito.
E poi c'è chi cerca l'equilibrio, e io mi pongo fra questi, come sempre cerco di fare per indole, formazione e forma mentis.
Ebbene, l'equilibrio questa volta non c'è. Non riesco a dare una spiegazione plausibile agli errori degli specialisti. Hanno disatteso il principio base della metodologia dello scavo archeologico, insegnato all'università e disatteso utilizzando, per propria ammissione, un mezzo non idoneo all'uopo. E' come se per pescare un polpo si utilizzasse un fucile mitragliatore se non una bomba. Ma ciò che più stupisce è la mancanza di senso di colpa da parte di chi ha commesso questa serie di errori. Avrei preferito che si fossero cosparsi il capo di cenere, avessero chiesto scusa per la superficialità e si fossero rimboccati le maniche per porre rimedio al problema. Niente di tutto ciò. Continueranno a indagare come se nulla fosse successo, e con la benedizione della barracciu (volutamente minuscolo), una donna che per lavorare consuma tonnellate di carburante a spese dei contribuenti.
A questo punto, per ricucire lo strappo servono provvedimenti seri e professionali. Osserverò gli eventi futuri per cercare di capire chi ci è e chi ci fa.

2 commenti:

  1. Il tuo punto di vista é piú che condivisibile.

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  2. e una vergogna incommentabile senza parole!!!
    anno dato l'appalto alle coperative non sarde per giunta !!!
    e guarda che scempio!! che vergogna!!

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