Diretto da Pierluigi Montalbano

Ogni giorno un nuovo articolo divulgativo, a fondo pagina i 10 più visitati e la liberatoria per testi e immagini.

Directed by Pierluigi Montalbano
Every day a new article at the bottom of the 10 most visited and disclaimer for text and graphics.
History Archaeology Art Literature Events

Storia Archeologia Arte Letteratura Eventi

Associazione Culturale Honebu

Translate - Traduzione - Select Language

mercoledì 22 luglio 2015

I Sumeri, gli inventori della scrittura

I Sumeri, gli inventori della scrittura
di Pietro Mander

I Sumeri sono originari del Sud della Mesopotamia, dove fondarono alcune città-Stato. Al Centro e al Nord della Mesopotamia c’erano altre genti semitiche che parlavano l’accadico, la lingua dei Babilonesi e degli Assiri. La lingua dei Sumeri non ha parentele dirette con nessun altro idioma conosciuto. Era una lingua agglutinante, ossia che univa alla base della parola diversi elementi, attaccandoli secondo un ordine rigoroso. Per esempio, in sumerico «ai figli del re» si direbbe così: dumu.lugal.ak.ene.ra = figlio + (re del) plurale + a. Oggi esistono tante lingue agglutinanti (la più parlata è il turco), ma la lingua dei Sumeri non è affine a nessuna di esse.
La scrittura inventata dai Sumeri fu adottata dai popoli vicini, che parlavano lingue diverse tra loro: basti pensare all’accadico, all’ittita (indoeuropeo) e all’elamico (altra lingua agglutinante). Il sistema sumerico consisteva di oltre un migliaio di segni, ognuno dei quali non rappresentava i suoni delle parole (come le lettere del nostro alfabeto), bensì un’idea o un oggetto. I segni stessi, nella loro più antica forma, altro non erano che disegni schematizzati. Così, l’insieme di 5 segni ad angolo più la forma schizzata di un pesce (in sumerico ku) significa: «50 pesci». Naturalmente, siccome per poter scrivere di tutto sarebbero stati necessari milioni di
segni, si pensò di attribuire più valori a ogni singolo segno, secondo rapporti di affinità. Per esempio il segno che rappresentava la testa (sag) con l’aggiunta di un tratteggio nella mascella inferiore significava «bocca» (ka). Ma con la bocca si mangia e si parla, quindi con lo stesso segno di bocca si indicavano i verbi «mangiare» (gu) e «parlare» (dug), «parola» (enim), e altro.
In seguito, quando i disegni stilizzandosi assunsero la forma di chiodi o cunei (da qui il nome di scrittura cuneiforme), essi furono usati per indicare anche delle sillabe, senza curarsi del significato. Per scrivere la parola italiana barca, avremmo usato il segno bar (che in sumerico vuol dire «lato») 1 ka (bocca), senza riferimento all’idea di «lato 1 bocca», ma solo al suono delle due sillabe: il principio è lo stesso dei rebus che si trovano nelle odierne riviste di enigmistica.
Il numero di segni con il passare del tempo si ridusse (qualche centinaio) e con essi furono scritti poemi mitici, epici, cronache, inni e preghiere agli dei, esorcismi contro i demoni e trattati di divinazione per capire cosa gli dei avessero in serbo per il re. Furono redatti anche lettere e documenti amministrativi o contabili, creando vasti archivi che documentassero le attività che si svolgevano in templi, palazzi, centri mercantili.
La convivenza tra Sumeri e Semiti, che parlavano due lingue diverse tra loro, quanto possono esserlo l’italiano e il turco, creò una vasta area popolata da persone bilingui e, di conseguenza, le due lingue per interferenze reciproche subirono delle modificazioni: basti pensare al fatto che le lingue semitiche mettono il verbo in mezzo alla frase (per esempio, il re costruì il tempio), ma l’accadico, pur essendo lingua semitica, mette il verbo alla fine, proprio come fa il sumerico, a causa appunto dell’influenza di questo (il re il tempio costruì, che suonava lugal e mundu in sumerico, sharrum bitam ipush in accadico: comunque si vede da questo esempio quanto fossero diversi sumerico e accadico!). Chi parlava entrambe le lingue trovava più comodo costruire le frasi nello stesso modo, e sapeva che non ci sarebbe stata confusione, perché tutti erano bilingui.
Non sappiamo se e quando i Sumeri siano giunti in Mesopotamia; le fasi più antiche della loro storia sono per noi oscure. Avevano diviso il loro territorio in regioni autonome, ognuna retta da una capitale: queste città-Stato erano spesso in conflitto tra loro, ma erano unite dalle stesse concezioni religiose. Infatti, ogni città era sede di una particolare divinità e tutte insieme rappresentavano l’assemblea degli dei. La città di Nippur era sede del re degli dei, Enlil, e per questa ragione fu sempre onorata e rispettata; tuttavia non si impose mai come città egemone sulle altre.
L’articolazione del territorio in città-Stato si riflette anche nel mito che racconta la storia delle loro origini. I Sumeri, infatti, ritenevano che gli dei, per dare inizio alla civiltà, avessero «fatto scendere» (così è detto esattamente in due testi letterari, fra cui la Lista reale sumerica) in terra la regalità e il culto. I re, a cominciare dal più antico, regnarono, di volta in volta, su singole città, ognuna delle quali, a turno, si diceva fosse sede della regalità. Così al primo re, Alulim, succedette Alagar ed entrambi regnarono a Eridu, la città più meridionale della Mesopotamia. Il terzo, quarto e quinto re però regnarono nella città di Bad-Tibira, perché la regalità s’era «trasferita» (così dice il testo) da Eridu in quella città. In seguito, anche Bad-Tibira fu abbandonata e la regalità s’installò nella città di Larak. Abbiamo così un lungo elenco di re distribuiti per città egemoni che si succedono dall’inizio della civiltà, addirittura prima del diluvio universale. Infatti, dopo Larak, furono le città di Sippar e Shuruppak (con un solo re ciascuna) le sedi della regalità, ma poi il diluvio «spazzò via tutto». L’ultimo re, Ubar-Tutu, divenne il Noè mesopotamico, perché costruì un’arca con cui salvò sé stesso, la sua famiglia e una coppia di ogni specie animale. Egli, poiché era figlio del dio demiurgo Enki, fu avvertito per tempo della catastrofe incombente. Ognuno di questi re, secondo il mito dei Sumeri, regnò per un incredibile numero di anni.
Dopo il diluvio, a mano a mano che si procede verso i periodi storici, i re gradualmente durano per un numero di anni meno fantasioso, fino a giungere ai re di cui abbiamo le prove che siano davvero esistiti, cui sono attribuiti gli anni effettivi di regno. Bisogna dire che la Lista reale sumerica non rispecchia la realtà, infatti, non è vero che una città alla volta abbia esercitato il potere regale in Mesopotamia. La storia è più complessa. Inoltre, questa tradizione è molto selettiva. Dal novero delle città è esclusa l’importante città di Lagash, sulla quale abbiamo delle informazioni in più. Infatti sappiamo che essa ingaggiò un conflitto (tra il 2450 e il 2300 a.C.) con la vicina città di Umma, per il possesso di un territorio ricco di grano: il Guedena. Gli dei delle due città, il dio Shara di Umma e il dio Nin-Girsu di Lagash, avevano ricevuto in Cielo, da Enlil, il tracciato del confine, confine che in Terra era stato realizzato dall’antichissimo re Mesalim; quando il re di Umma violò il confine, si scatenò la guerra, vero ‘giudizio di Dio’, per ripristinare l’ordine divino violato. Attorno al 2350 il re di Uruk Lugalzagghesi riuscì a imporre il suo dominio sulla Mesopotamia del Sud, ma fu sconfitto da Sargon di Akkad (2335-2279), un oscuro personaggio salvato dalle acque, che fondò il primo impero semitico a noi noto. I barbari Gutei scesero in Mesopotamia e l’Impero accadico crollò attorno al 2190; fu solo la riscossa del re di Uruk a decretarne la sconfitta. In seguito, il principe della città di Ur, Ur-Namma, prese il potere, dando inizio alla terza dinastia di Ur, che unificò la Mesopotamia dal 2112 al 2004, data in cui Ur fu distrutta. Questo evento segna l’uscita di scena dei Sumeri come popolo dominante, ma la loro lingua (come il latino nel Medioevo) continuò a essere usata fino al III secolo d.C.

Fonte: www.treccani.it
Nell'immagine: Lo stendardo di Ur


Nessun commento:

Posta un commento