sepoltura a cassa litica punica di bambino (m 0,80, x 0,36), dove furono reperiti due brocchette fittili con beccuccio (biberon) ascrivibili al IV-III secolo a.C., mentre nel taglio a fianco venne alla luce una sepoltura infantile punica su anfora “a sacco” (enkytrismòs) lunga m 0,83 e del diametro di m 0,30.
venerdì 3 luglio 2015
Archeologia. Il modello di nuraghe di San Sperate, Pinuccio Sciola e i falsari con la penna
Archeologia. Il modello di nuraghe di San Sperate, Pinuccio
Sciola e i falsari con la penna
di Giovanni Ugas
Premessa
Finora
ho fatto finta di ignorare quanto ha scritto il Prof. Massimo Pittau sul
modello di nuraghe di San Sperate, nonostante la gravità delle sue affermazioni,
perché è una persona anziana, ancor prima che professore universitario, e
perché rispetto il pensiero degli altri, anche quando penso che sia errato. Ora,
però, considerato il suo insistere non solo sulle pagine di alcuni libri, ma
anche di recente in una nota dal titolo La sarabanda dei falsari archeologici, scritta in data 26 giugno 2015 per il blog di Pierluigi Montalbano, dunque rivolta a
lettori non tutti specialisti nel campo dell’archeologia, non posso esimermi dallo
scrivere agli stessi lettori per difendere l’immagine dello scultore Pinuccio
Sciola e degli archeologi sardi, coinvolti direttamente o indirettamente in
questa sua fantasiosa disamina.
Il linguista, riferendosi al modello di nuraghe di San Sperate, a
suo parere opera falsa dello scultore Pinuccio Sciola, scrive:
“In due miei libri (in
maniera particolare in “Lingua e civiltà di Sardegna”, Cagliari 2004, Edizioni
della Torre) io ho dimostrato – mai smentito da alcuno - che si tratta di un
grosso, pacchiano e ridicolo falso, perché:
1) presenta intatti tutti
i suoi spigoli, non smussati per nulla dal logorio dei secoli, insomma come se
fosse appena uscito dalla bottega di uno scultore;
2) il nuraghe raffigurato
poggia su una base costituita da un porticato, secondo una modalità non
presentata da nessun nuraghe reale e secondo una modalità assolutamente
impossibile in termini di staticità per un grande edificio fatto di enormi
massi;
3) sotto il ballatoio
delle quattro torrette la muraglia esterna dello pseudo-modellino di nuraghe
presenta una rientranza circolare, che anch'essa avrebbe compromesso la
staticità dell'edificio;
4) non presenta nessun
accenno dei finestroni che si trovano in tutti i nuraghi reali a più piani per
dare luce alla scala e alla seconda camera”.
Riguardo
a queste opinioni, il prof. Pittau è stato già ampiamente smentito da tanti studi
di archeologia che hanno preso in considerazione il modello di nuraghe di San
Sperate, ma per lui non contano le fatiche degli archeologi che scavano e studiano
per trovare un brandello di storia e valuta la loro ignoranza pari alla sua
conoscenza. Ora, ritengo opportuno informare correttamente ai lettori
gli elettori.
1.
La segnalazione del ritrovamento del
modello
L’importante
manufatto litico di San Sperate fu segnalato nel 1970 da Pinuccio Sciola. Lo scultore mi riferì che era
stato trovato dai contadini Lauro ed Eliseo Spiga mentre aravano un agrumeto
(Lotto E. Spiga) in località Su Stradoni de Deximu, ai margini dell’abitato campidanese.
Il reperto era pervenuto in due pezzi non combacianti, rotti e scheggiati in
più parti, pertinenti al corpo quadrilobato (il più grande, h. m 0,32) e alla torre centrale (l’altro più piccolo, h.
m 0,08) di un modello di nuraghe. A parte le fratture recenti, fresche, nette, il
manufatto conservava ancora la patina antica, poiché non era stato lavato, e
non aveva (e non ha) affatto parti spigolose nelle parti non lesionate, a meno
che non si riferisca ai tagli rettilinei dello spartito mensolare, tipico dei
modelli di nuraghe in pietra.
Sciola,
pensava a prima vista che si trattasse della riproduzione di un castello
medioevale, ma qualcosa non lo convinceva e perciò si rivolse a me per avere un
parere. Egli manifestò anche l’idea che il reperto fosse stato impiegato in una
sepoltura punica perché i contadini segnalavano il reperimento durante le
arature di pezzi di sarcofagi in
arenaria nel lotto Spiga e una tomba a cassone in lastre di marna nell’agrumeto adiacente
(Lotto V. Schirru) .
2. Lo scavo nel lotto Spiga
Dato
l’interesse della scoperta, tra il 31 maggio e il 4 giugno del 1973, su
incarico del soprintendente Prof.
Ferruccio Barreca, feci un saggio di scavo stratigrafico, limitato dai filari
di aranci, nel punto in cui i contadini affermavano di aver trovato il
manufatto scultoreo, aprendo prima una trincea di m 2,70 x m 1 (poi m 1,15) e appresso
a fianco, parallelamente, un taglio di m 1,80 x m 1. Dallo scavo, sotto lo
strato di humus vegetale spesso m 0,25, venne alla luce una
sepoltura a cassa litica punica di bambino (m 0,80, x 0,36), dove furono reperiti due brocchette fittili con beccuccio (biberon) ascrivibili al IV-III secolo a.C., mentre nel taglio a fianco venne alla luce una sepoltura infantile punica su anfora “a sacco” (enkytrismòs) lunga m 0,83 e del diametro di m 0,30.
sepoltura a cassa litica punica di bambino (m 0,80, x 0,36), dove furono reperiti due brocchette fittili con beccuccio (biberon) ascrivibili al IV-III secolo a.C., mentre nel taglio a fianco venne alla luce una sepoltura infantile punica su anfora “a sacco” (enkytrismòs) lunga m 0,83 e del diametro di m 0,30.
La
tomba a cassa litica con una base di quattro lastrine in marna scistosa gialla,
giaceva tra lo strato di humus vegetale, in parte intaccato dai lavori agricoli,
e lo strato di argilla naturale. All’interno e a fianco della cassa trovammo alcuni
piccoli frammenti rotti del modello, uno dei quali combaciava con la sommità di
una delle torri laterali. Una testata e una fiancata della cassa erano
costituite da conci nuragici in calcare ben sagomati, che ho ipotizzato
facessero parte di un edificio sacro, ma che a posteriori posso ritenere fossero
pertinenti alla base d’altare in cui poggiava originariamente lo stesso il cippo
a foggia di nuraghe. Non vi erano tracce di uno strato nuragico ed è palese che
il modello fu reimpiegato come un cippo in una tomba punica, a protezione del
defunto, avendo mantenuto intatto per le genti sarde, ancora al tempo
dell’occupazione di Cartagine, il suo messaggio di sacralità, come avrebbe
scritto in seguito il prof. Lilliu. Il reperto è stato sapientemente restaurato
dal sig. Efisio Putzu e da altri tecnici nei laboratori della Soprintendenza Archeologica
di Cagliari e Oristano.
3. Il manufatto di San Sperate, primo modello di nuraghe quadrilobato
Il
modello di nuraghe di San Sperate è stato oggetto di studio per la prima volta da
chi scrive nella tesi di Specializzazione in Studi Sardi dal titolo “ Modello
di nuraghe quadrilobato da Su Stradoni de Deximu (San Sperate-CA) (Università
degli Studi di Cagliari, Relatori prof. Piero Meloni e prof. Giovanni Lilliu,
Anno 1973-1974 ).
Il
manufatto di Su Stradoni de Deximu è in assoluto il primo modello di nuraghe in
pietra del tipo polilobato ad essere stato trovato. Fino al 1970 si conoscevano
due soli modellini in miniatura in bronzo di cui uno solo integro e leggibile:
quello di Olmedo. Per il semplice fatto che fino ad allora i modelli di nuraghi quadrilobati in pietra non esistevano
nella letteratura archeologica Sciola,
non poteva certo riprodurne uno non poteva fare una copia di qualcosa che
non esisteva. In pietra era noto solo il
cippo monotorre della capanna 80 di Su Nuraxi di Barumini, considerato un
betilo dal prof. Lilliu. La restituzione
grafica del modello con la torre centrale completa sino al terrazzo è del tutto
ideale poiché nella realtà la torre centrale termina, come se fosse spezzata,
con una conca o coppa sacrificale. Conseguente è che nessuna persona poteva allora
riprodurre una conca alla sommità della torre centrale, un dettaglio che fa riconoscere
nell’oggetto un altare e di assegnare una funzione fino ad allora sconosciuta.
Tanto meno uno scultore può riprodurre una
sostanza nera, derivata dalla bruciatura dell’olio delle lucerne, di cui è
impregnata una fiancata e la base del quadrilobato. Il modello di San Sperate è
infatti il primo cippo, trovato nei siti nuragici, che fungeva da altare, circa
10 anni prima che fosse edito il modello di trilobato di Cannevadosu e oltre 15
anni prima che nel complesso di Su Mulinu di Villanovafraca fosse messo in luce
un altro meraviglioso altare a foggia di nuraghe complesso.
4.
Gli studi sul modello di Su Stradoni de Deximu
Nel 1980 ho pubblicato il modello di San
Sperate, insieme ad altri, nell’articolo Altare
modellato a castello nuragico di tipo trilobato con figura in rilievo dal Sinis
di Cabras (Oristano), in Archeologia Sarda I, ESA, Sardalito, Quartu
S.E.-Cagliari 1980, pp. 7-32. Appresso tanti archeologi hanno preso in esame e
inserito nei loro studi il manufatto di Su Stradoni de Deximu che in seguito ha
trovato buona compagnia in decine e decine di modelli a foggia di nuraghe, in
pietra, bronzo e ceramica trovati nell’isola. Altre notizie e alcune immagini
dello scavo appaiono nel volume San Sperate dalle origini ai baroni, Della
Torre, Cagliari 1983, pp. 60-61, tav. XLIII: a-b.
5.
Le ragioni della scienza archeologica
Passando
ad analizzare alcuni dati che secondo il Pittau proverebbero la malafede e
l’imbroglio del falsario, occorre precisare che alla base, peraltro rotta, il
corpo quadrilobato del modello di San Sperate non presenta affatto un porticato
(sic), come afferma il linguista, ma
un duplicato del coronamento di mensole sulle cortine e sulle torri, se non si
vuole leggerlo come la serie delle feritoie, realizzate per finalità estetiche
con la stessa partitura dei coronamenti dei terrazzi. Infatti, in tanti modelli
stilizzati si riscontrano anomalie
formali, derivanti dal fatto
che la funzione primaria non era quella
di modelli architettonicamente realistici e perfetti, ma di cippi-altare e
pertanto l’artigiano intendeva richiamare il valore simbolico del nuraghe, in
particolare quello dell’antenato delle comunità nuragiche del I Ferro,
riconoscibile, ora in Norax, ora in
Sardo o in Iolaos, prestanome greco del capostipite delle tribù iliesi. D’altro
canto come faceva un falsario a proporre “un porticato”, come afferma il
Pittau, nella rappresentazione di un nuraghe? Sempre per scopi decorativi le
torricelle laterali del manufatto di San Sperate, come altri modelli di torri
(esempio cippi-torre di Tuppedili-Villanovafranca, Matzanni), presentano sotto
il coronamento delle mensole del terrazzo un anello talora con partitura simile
a quella dello stesso coronamento di mensole. Infine, come negli altri modelli
di nuraghe sono assenti le grandi porte finestre documentate nell’architettura
reale. Fa eccezione il cosiddetto doppio betilo di
S. Vittoria di Serri, che fino al 1980 non è mai stato considerato una
riproduzione di architetture nuragiche; questo manufatto mostra
nella sua parte alta finestre quadrangolari con cornici, segnalando la ristrutturazione ad edificio templare del nuraghe riprodotto.
Il
manufatto di San Sperate, formalmente e stilisticamente è affine, pur con le sue
ovvie specificità, agli altri oramai
numerosi, straordinari cippi e altari a foggia di nuraghe descritti ora nell’importante e bel libro di F. Campus e
V. Leonelli dal titolo Simbolo di
un simbolo, I modelli di nuraghi
(2012). Spero che il Pittau non
voglia assegnare a Sciola anche un secondo modello quadrilobato (con figurina
sacerdotale in rilievo), rinvenuto occasionalmente più di recente nell’abitato di
San Sperate in località Pauli Padru.
6.
Falsari con la penna
In conclusione, nessun archeologo si è
mai sognato di considerare non antico il modello di nuraghe da Su Stradoni de
Deximu, scolpito in un blocco di tenera arenite tufacea a grana fine, gialla a
venature rosa, decisamente diversa dalle altre pietre adoperate da Sciola per
le sue sculture (altra inesattezza del Pittau).
Far
passare ingiustamente, subdolamente o no, una persona per ignorante, come ha
fatto con tutti gli archeologi che hanno preso in esame il modello di nuraghe
di Su Stradoni de Deximu, è una cosa deplorevole ma non è un reato; ben più
grave è accusare falsamente una persona, nel caso Pinuccio Sciola, di aver
realizzato un oggetto per spacciarlo come antico, dunque diffamandola e presentandola, come un soggetto disonesto, un
imbroglione.
Chi
legge può ben capire chi è il falsario
in questa vicenda; si tratta di un falsario con la penna, non è certo Pinuccio
Sciola, il quale oltre uno scultore straordinario è anche una persona ospitale,
generosa e onestissima.
San Sperate, modello di nuraghe: Didascalie immagini
1. Modello di nuraghe da Su Stradoni de Deximu in San
Sperate. Dopo il restauro, si può notare ancora alla base il nero prodotto
dall’accensione delle lucerne su una
tavola in cui poggiava l’altare a foggia di nuraghe (foto di G. Ugas).
2. Modello di nuraghe da Su Stradoni de Deximu in San
Sperate. A lato in secondo piano il disegno restitutivo ideale. Disegno di
Salvatore Atzeni; rielaborazione di Marinella Olla. Fotocomposizione: Campus
Leonelli 2012, fig 3.
3. Modello di nuraghe da Su Stradoni de Deximu in San
Sperate. frammento con il corpo
quadrilobato (Foto Nanni Pes).
4. Modello di nuraghe da Su Stradoni de Deximu in San
Sperate. Disegno (autentico) su acquerello di Pinuccio Sciola.
5. Su Stradoni de Deximu in San Sperate. Saggio di scavo in
corso sul luogo di ritrovamento del modello di nuraghe (foto di G. Ugas).
6. Su Stradoni de Deximu in San Sperate. Saggio di scavo al
termine, con gli oggetti in situ e il riposizionamento ipotetico del modello di nuraghe (foto di G. Ugas).
Venerdì 26 giugno 2015
di Massimo Pittau
(pubblicata in questo blog)
Ho letto con attenzione e con vivissimo interesse l'intervista
che è stata fatta al prof. Franco Laner, della Facoltà di Architettura
dell'Università di Venezia, sul suo giudizio relativo a un falso che sarebbe
stato effettuato con la testa di uno dei Guerrieri di Monti Prama di Cabras,
quella meglio conservata, quella meglio riuscita,“perfetta”, che campeggia in
tutte le pubblicazioni e le raffigurazioni degli ormai famosi reperti. Con la
solita chiarezza di linguaggio e sicurezza di argomentazione il prof. Laner mi
ha convinto appieno. E sono d'accordo con lui nel ritenere che il falsario non
sarebbe alla sua prima prova, ma avrebbe altri precedenti. Invece io escluderei
che in questo imbroglio siano coinvolti anche tutti gli archeologi che hanno
scavato e studiato quei reperti, archeologi che invece risultano essere i primi
imbrogliati. Ma la vera e grande imbrogliata e danneggiata è la nostra povera
Sardegna, la quale non si meriterebbe affatto la odierna sarabanda di falsari,
mossi da un molto discutibile amor di patria e anche dal desiderio di suscitare
e accrescere attenzione attorno alla propria persona.
Ed ho letto con interesse pure la risposta alle argomentazioni
del Laner data in un'altra intervista dallo scultore Pinuccio Sciola. Ma non mi
ha convinto in nulla e per nulla: egli nella questione ha solamente annaspato,
dando l'impressione di un individuo che si tuffi in mare senza saper nuotare;
in altre parole, dimostrando di parlare di cose che non conosce né ha mai
approfondito. Infatti, egli arriva a sostenere queste strabilianti tesi, senza
darne una sola ombra di dimostrazione:
1) Le statue di Monti Prama non sarebbero state fatte da Sardi;
2) sarebbero state fatte in Sardegna ma da un individuo venuto
dall'Oriente;
3) Le statue non avrebbero nulla a che fare con la cultura
nuragica né coi bronzetti;
4) Platone avrebbe parlato dell'esistenza fra la Sicilia e la
Tunisia di un'”isola turrita dove non si moriva mai”. Ma su questo preciso
argomento lo provoco io: lo Sciola citi l'opera e gli estremi esatti del passo
dell'opera nella quale Platone sosterrebbe queste finora del tutto sconosciute
notizie sulla Sardegna antica.
Lo scultore Sciola parli
invece di cose che conosce alla perfezione. Ci parli di un reperto che egli
sostenne di aver rinvenuto nelle campagne di San Sperate, un cippo-statua in
pietra arenaria a venature gialle e rosate, che rappresenterebbe un nuraghe
polilobato e che tuttora campeggia nel Museo Archeologico di Cagliari. In due
miei libri (in maniera particolare in “Lingua e civiltà di Sardegna”, Cagliari
2004, Edizioni della Torre) io ho dimostrato – mai smentito da alcuno - che si
tratta di un grosso, pacchiano e ridicolo falso, perché:
1) presenta intatti tutti
i suoi spigoli, non smussati per nulla dal logorio dei secoli, insomma come se
fosse appena uscito dalla bottega di uno scultore;
2) il nuraghe raffigurato
poggia su una base costituita da un porticato, secondo una modalità non
presentata da nessun nuraghe reale e secondo una modalità assolutamente
impossibile in termini di staticità per un grande edificio fatto di enormi
massi;
3) sotto il ballatoio
delle quattro torrette la muraglia esterna dello pseudo-modellino di nuraghe
presenta una rientranza circolare, che anch'essa avrebbe compromesso la
staticità dell'edificio;
4) non presenta nessun
accenno dei finestroni che si trovano in tutti i nuraghi reali a più piani per
dare luce alla scala e alla seconda camera.
Di certo tra gli scultori
sardi la pratica del “falso” non è infrequente: una quarantina di anni fa un mio
amico sorprese, nella sua bottega, uno scultore che stava scolpendo una falsa
iscrizione che intendeva spacciare a me per farmi sfigurare di fronte agli
archeologi se avessi abboccato. Il tentativo di falso e di imbroglio non andò
in porto perché lo scultore comprese che il mio amico non avrebbe fatto a meno
di mettermi in guardia...
Povera Sardegna nostra!
Quale sorte hai avuto nel generare individui, a iniziare dai falsari delle
carte di Arborea, che hanno riempito le pagine della tua storia di numerosi e
grossi falsi credendo di darti lustro, mentre hanno finito col caricarti di
ridicolo
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Massimo Pittau scrive:
RispondiEliminaNel suo intervento relativo allo pseudo-modellino di nuraghe di San Sperate e contrario al mio giudizio di falso, l'archeologo Giovanni Ughas è stato piuttosto prolisso, mostrando quasi di ritenere che nelle discussioni conta e vale il numero delle considerazioni prospettate e la loro lunghezza. A me invece piace essere sempre molto essenziale e stringato ed oggi lo faccio con queste sole e semplici tre considerazioni:
Ugas difende a spada tratta la “archeologia”, ma io non l'ho attaccata mai. Però ho già scritto questa tesi lapalissiana: nessun archeologo ha il diritto di identificarsi con l'archeologia. Ugas difende a spada tratta i “numerosi archeologi” che si sarebbero interessati dello pseudo-reperto di San Sperate. Senonché dal suo lungo intervento risulta chiaro che in realtà si è interessato ex-professo dello pseudo-reperto solamente Ugas, ragion per cui, dietro la difesa dell'archeologia e degli altri archeologi, Ugas sta tentando di difendere solamente se stesso. Ed è del tutto comprensibile che a uno studioso “brucia” e “brucia parecchio” il fatto di essere stato gabbato da un falsario.
Al di là delle sue molte parole, in effetti Ugas ha sorvolato sulle precise ragioni che mi hanno spinto a ritenere un falso quello pseudo-reperto e quasi nulla ha detto contro di esse. Ed io su questo punto lo sfido a presentare una sola prova vera che dimostri che i nuraghi reali avevano un ballatoio uguale o almeno simile a quello dello pseudo-reperto di San Sperate.
Egli ha anche parlato degli scavi da lui effettuati nel territorio di San Sperate su siti che sono risultati punici e quindi lontani dal nostro argomento. Infine si è rifugiato nella “storiella” dei numerosi, troppo numerosi “modellini di nuraghe”, ovviamente ignorando ciò che ho scritto sull'argomento in una appendice dell'ultima edizione della mia opera “La Sardegna Nuragica” del 2013. Veda prima di leggerla e dopo ne possiamo eventualmente parlare.
Giovanni Ugas scrive:
RispondiEliminaLei, Prof. Pittau giudica prolissi i testi di archeologia e sfugge chi scrive di archeologia perché altrimenti avrebbe chiesto scusa già da tempo a Pinuccio Sciola per la sua visionaria accusa. Quanto alle sue sfide sull'architettura nuragica, ho già risposto ampiamente e mi spiace che Lei non se ne sia accorto.
Un saluto, Giovanni Ugas.
L'autorevolezza non la si puó esigere. É un riconoscimento. Anche i lettori "apassionati" (e profani), frequentatori di questo blog, sanno distinguere tra le righe le argomentazioni fondate sulla presunzione e la supponente autoreferenzialitá.
RispondiEliminaMassimo Pittau scrive:
RispondiEliminaIl "marchio di falsità".
L'altra sera ero con un gruppo di amici in un bar all'aperto, nel tentativo di sfuggire alla calura imperante, e in seguito si sono avvicinate anche altre persone. Siccome molti dei presenti seguono con attenzione e interesse la diatriba che è inziata in internet sui “falsi archeologici”, ovviamente sono stato sollecitato a riprendere l'argomento nell'occasione che ci si presentava. Ed è avvenuto che a seguito della discussione ormai aperta, mi è venuto in mente un nuovo argomento, probabilmente quello principale, che dimostra che l'ormai noto “modellino di nuraghe” di San Sperate è realmente un “falso”, un grande, grossolano e ridicolo falso. Nuovo argomento che metto subito in circolazione nel presente sito internet, a disposizione dei numerosissimi lettori che ci stanno seguendo.
C'è da richiamare un fatto di comune esperienza: i fabbricanti di quasi tutti i manufatti tengono moltissimo a mettervi il “marchio di autenticità” contro gli eventuali falsari. Ebbene, a mio giudizio il supposto “modellino di nuraghe di San Sperate” non ha di certo il “marchio di autenticità”, ma ha propriamente il “marchio di falsità”. Questo consiste in un particolare costruttivo, che è totalmente falso, che più falso non si può: quella specie di rigonfiamento finale con cui termina ciascuna delle quattro torrette e che dovrebbe raffigurare un “ballatoio”. Io ho già fatto osservare che la tecnica costruttiva di quei tempi non consentiva affatto un ballatoio simile, tanto meno lo consentiva la tecnica costruttiva dei nuraghi, fatti di sola pietra e senza alcuna malta.
Di questo ballatoio finale nessun archeologo ha mai fornito la prova della sua esistenza in qualcuno dei nuraghi reali. Io invece ho dimostrato, con tanto di foto di tre nuraghi reali, che il nostro monumento terminava non con un ballatoio, bensì con una corona di massi sporgenti a raggiera per ornamento e forse anche con una raffigurazione simbolica del Sole, divinità che sicuramente anche i Nuragici adoravano.
Ciò si può verificare osservando la cima di uno dei Tresnuraches di Nùoro, di quello Albucciu di Arzachena, di un nuraghe del territorio di Baunei. Adesso attendiamo la controprova presentata da qualche archeologo