Eleonora, col marito ad occuparsi delle questioni politiche e militari ed il figlio ormai prossimo ad emanciparsi dalla sua tutela, maturò il disegno di riprendere il lavoro giuridico del padre per revisionarlo e completarlo. Nacque così la Carta de Logu, una delle più interessanti opere legislative del medioevo europeo, frutto di un sincretismo tra diritto romano e canonico, tradizione giudicale e consuetudinaria, esperienze statutarie comunali e signorili; capace di sorprendente lungimiranza, tanto da essere adottata dai colonizzatori per i successivi 430 anni; ma, soprattutto, con aspetti precursori dello stato di diritto, del welfare e dell’emancipazione femminile.
giovedì 14 agosto 2014
La Carta de Logu, l’opera legislativa più interessante del medioevo europeo
La Carta de Logu, l’opera
legislativa più interessante del medioevo europeo
di Alberto Massazza
La Carta de Logu è sicuramente
il frutto più sorprendente della plurisecolare Civiltà dei Giudicati sardi.
Venne promulgata con ogni probabilità il giorno di Pasqua del 1392, come atto
conclusivo della reggenza di Eleonora d’Arborea, a causa dell’acquisita
emancipazione dalla tutela materna del figlio Mariano, al compimento del suo
quattordicesimo anno d’età. La Giudicessa Eleonora diventò reggente alla morte
di suo fratello Ugone III (ucciso in una sommossa popolare causata dalla
sua condotta tirannica ed abilmente cavalcata dagli aragonesi) per conto dei
figli Federico, morto nel 1387 in età ancora immatura, e Mariano. Entrambi i
figli furono il frutto delle nozze che Eleonora contrasse nel 1376 con
Brancaleone Doria, discendente della potente famiglia genovese. I due sposi,
entrambi piuttosto attempati per quei tempi, si stabilirono dapprima a
Castelgenovese (Castelsardo), dove verosimilmente avvenne il concepimento dei
due figli, e successivamente a Genova. Nella città ligure ebbe modo di mostrare
le sue capacità diplomatiche, concedendo un prestito di quattromila fiorini
d’oro al doge Nicolò Guarco e giungendo ad un accordo di massima per il futuro
matrimonio tra suo figlio Federico e la di lui figlia Bianchina.
Pochi mesi dopo, all’inizio di
marzo del 1383, non appena le giunse la notizia della morte violenta del
fratello Ugone III, si precipitò ad Oristano per rimettere ordine e far valere
il diritto del suo primogenito alla successione. Intanto, il marito si era
recato a Barcellona per intessere trame diplomatiche con la corte di Pietro il
Cerimonioso. Questa politica del doppio binario, rafforzare l’intesa con Genova
e mantenere buoni rapporti di facciata con Barcellona, riportava l’ormai
prossima famiglia reale in continuità con l’opera del titanico padre d’Eleonora
Mariano IV, dopo l’interregno di guerra aperta e totale di Ugone III. Ma una
volta ottenuta la reggenza del Giudicato, Eleonora palesò l’intenzione di
riprendere la politica paterna antiaragonese. Pietro IV, per tutta risposta, fece
arrestare Brancaleone, che ancora soggiornava a Barcellona, per poi trasferirlo
a Cagliari ed usarlo per riportare Eleonora a una condotta più remissiva, ma la
Giudicessa, da buona sarda e degna figlia di Mariano, tenne lungamente testa al
Re, cedendogli solo nel 1388, con un accordo piuttosto vantaggioso per gli
aragonesi. Brancaleone venne liberato solo due anni più tardi e, preso il
comando militare del Giudicato, compì vittoriose campagne antiaragonesi,
rinverdendo i fasti del suocero.
Eleonora, col marito ad occuparsi delle questioni politiche e militari ed il figlio ormai prossimo ad emanciparsi dalla sua tutela, maturò il disegno di riprendere il lavoro giuridico del padre per revisionarlo e completarlo. Nacque così la Carta de Logu, una delle più interessanti opere legislative del medioevo europeo, frutto di un sincretismo tra diritto romano e canonico, tradizione giudicale e consuetudinaria, esperienze statutarie comunali e signorili; capace di sorprendente lungimiranza, tanto da essere adottata dai colonizzatori per i successivi 430 anni; ma, soprattutto, con aspetti precursori dello stato di diritto, del welfare e dell’emancipazione femminile.
Eleonora, col marito ad occuparsi delle questioni politiche e militari ed il figlio ormai prossimo ad emanciparsi dalla sua tutela, maturò il disegno di riprendere il lavoro giuridico del padre per revisionarlo e completarlo. Nacque così la Carta de Logu, una delle più interessanti opere legislative del medioevo europeo, frutto di un sincretismo tra diritto romano e canonico, tradizione giudicale e consuetudinaria, esperienze statutarie comunali e signorili; capace di sorprendente lungimiranza, tanto da essere adottata dai colonizzatori per i successivi 430 anni; ma, soprattutto, con aspetti precursori dello stato di diritto, del welfare e dell’emancipazione femminile.
Si suppone che il termine
Carta de Logu fosse stato usato già in precedenza, quantomeno a partire dal XIII
secolo, in tutti o quasi i Giudicati. Ne fanno fede numerosi riferimenti in
varie fonti epistolari e memoriali, soprattutto per quanto concerne il
Giudicato di Cagliari. Mariano IV, ancor prima di divenire Giudice, redasse una
Carta de Logu per riorganizzare e bonificare i suoi possedimenti del Goceano e
della Marmilla. Una volta salito al trono nel 1347, promulgò dapprima un codice
rurale, atto a regolamentare le attività agricole, pastorali, venatorie e
forestali, riprendendo e ampliando la fortunata esperienza legislativa fatta da
Conte del Goceano e della Marmilla. Negli ultimi anni di regno, consolidato il
potere su buona parte dell’isola, ampliò ulteriormente la sua opera
legislativa, promulgando la sua Carta de Logu, della quale non è rimasta alcuna
traccia diretta. Eleonora riprese in blocco il lavoro paterno, lo aggiornò ed
ampliò i punti più carenti. La Carta promulgata da Eleonora ci è giunta da un
manoscritto di qualche decennio più tardo e da un’edizione ad incunabolo della
fine del XV secolo. Il manoscritto è composto da 163 capitoli ed è giudicato
spurio e di cattiva qualità linguistica, mentre l’incunabolo consta di 190
capitoli (i capitoli in più corrispondono al Codice rurale di Mariano), divisi
in dieci sezioni ed è considerato fedele all’archetipo, a parte l’aggiunta del
suddetto codice. Il testo è scritto in volgare campidanese e le disposizioni
vengono chiamate Ordinamentos.
Difficile stabilire con
precisione quanto sia attribuibile ad Eleonora e quanto a Mariano.
Verosimilmente, la sensibilità femminile della Giudicessa arricchì la sagace
opera del padre con un’attenzione decisamente innovativa per la difesa delle
fasce deboli. E’ il caso degli ordinamentos in materia di stupri, con
salatissime multe (con amputazione della gamba in caso di non ottemperanza),
variabili a seconda che si trattasse di una vittima sposata, da maritare o
vergine. Nel capitolo 21 tra le pene per così dire accessorie viene
riconosciuto alla vittima, se nubile e in età da marito, il diritto di veto sul
matrimonio riparatore e la pena alternativa per il violentatore di provvedere
alla sua dote. Implicitamente, lo stupro viene considerato reato contro la
persona, cosa di non poco conto se si considera che nella legislazione
italiana, fino a non molti decenni fa, tale reato era considerato contro la
moralità e il buon costume. Particolare attenzione viene mostrata anche nei
confronti degli orfani, compresi i figli dei condannati a morte (pena capitale
prevista per un numero limitato di delitti particolarmente gravi), al cui
sostentamento dovevano provvedere le autorità del villaggio di appartenenza.
Un altro aspetto decisamente
interessante e innovativo da attibuire ad Eleonora è il fatto che, se pure non
mancano le invocazioni a Gesù e a Dio padre, il testo fa continuo riferimento
al legame tra il Giudice e il suo popolo, elemento che evidenzia l’afflato
costituzionale della Carta de Logu. La ragion d’essere della Carta era
esplicitamente riconosciuta dalla legislatrice nel garantire sicurezza e
protezione ai cittadini onesti, contro le sopraffazioni dei violenti e dei
delinquenti. I principi basilari si richiamavano alla certezza della pena e
all’uguaglianza dei sudditi di fronte alla legge. Altri aspetti interessanti,
probabilmente concepiti da Mariano e perfezionati dalla figlia, riguardano le
disposizioni per la regolamentazione della attività rurali. In particolare, per
prevenire gli incendi, veniva fatto obbligo alle comunità dei villaggi di
provvedere per tempo all’eliminazione delle stoppie, pratica ancora diffusa
come efficace strumento di prevenzione. Per combattere l’omertà, tanto
radicata nella cultura agropastorale sarda, i villaggi che davano protezione a
un reo di omicidio, erano tenuti a risponderne con pene pecuniarie gravanti sia
sulle autorità che sulla cittadinanza.
In definitiva, la Carta de
Logu promulgata da Eleonora, seppur inserita nella temperie tardo-medievale,
offre slanci sorprendenti di modernità e innovazione, confermando la
complessità strutturale della società giudicale e la sapienza governativa di
Mariano e della figlia. Nel 1421, il Re Alfonso il Magnanimo, dopo aver
affermato definitivamente la propria sovranità su tutta l’isola, a seguito
della cessione dei diritti da parte dell’ultimo Giudice d’Arborea Guglielmo III
di Narbona, estese la giurisdizione della Carta su tutta la Sardegna. Per oltre
quattro secoli, l’opera legislativa di Eleonora e Mariano regolamentò i
rapporti tra i sudditi del regno, fino a quando non venne sostituito nel 1827,
in piena epoca sabauda, dal codice emanato da Carlo Felice.
Fonte: http://albertomassazza.wordpress.com
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