mercoledì 13 agosto 2014
L’organizzazione dei Giudicati in Sardegna
L’organizzazione
dei Giudicati in Sardegna
di
Alberto Massazza
Formatisi in un lungo percorso di trasformazione
durato circa tre secoli, dal 700 al 1000 d.C., conseguenza del progressivo
indebolirsi dei rapporti dell’isola con Bisanzio, causato dall’espansione
inarrestabile degli arabi nel Mediterraneo, i Giudicati sardi apparvero sulla
ribalta della storia nel corso dell’XI secolo, all’indomani dell’estenuante
lotta, intrapresa dall’alleanza tra essi e le Repubbliche Marinare di Pisa e
Genova contro i tentativi di invasione di Mujahid al-Amiri (italianizzato in
Museto, Musetto o Muscetto), schiavo affrancato di origine slava, divenuto
governatore di Denia e delle Baleari grazie alle sue straordinarie doti
militari, politiche e intellettuali. Mujahid era riuscito a instaurare dei
presidi stabili lungo la costa settentrionale dell’isola, tra Alghero e Olbia,
e da qui aveva comandato spedizioni veloci e improvvise a Luni e a Pisa, approfittando
del temporaneo impegno delle truppe pisane nel sud Italia per fronteggiare
altri pirati arabi. Coordinati dal Papa, sardi, pisani e genovesi si
coalizzarono per scacciare Mujahid dalle basi sarde. Si aprì una guerra
destinata a durare per quasi trent’anni, con il condottiero arabo costretto a
indietreggiare, ma sempre pronto a riorganizzarsi e a rifarsi minaccioso. Solo
con la morte dell’ormai ultraottantenne Mujahid (pare per mano di un soldato
sardo) nella spedizione degli alleati contro la roccaforte algerina di Bona
(Ippona) nel 1044, il Tirreno fu definitivamente liberato dalle incursioni
saracene.
Ristabilita la tranquillità del mare, la Sardegna fu
interessata dall’espansione commerciale delle due Repubbliche Marinare e dalla
volontà del papato di portare la chiesa sarda, fossilizzata sul rito bizantino,
nell’orbita di Roma, in un periodo di forte tensione tra latini e greci,
sfociato nello scisma del 1054. Mercanti e monaci diedero l’impulso alla
ripresa dell’utilizzo della scrittura, necessaria per le operazioni mercantili,
ma soprattutto utilizzata dai monaci per redigere i Condaghes, termine
greco-bizantino con cui si indicano i registri delle attività dei monasteri.
Questi registri, oltre che come fonte diretta di notizie, sono importanti anche
perchè la lingua utilizzata è un latino volgare che si va trasformando in
sardo, tanto da potersene considerare le più antiche testimonianze scritte.
L’esempio dei condaghes fu seguito anche all’interno delle corti giudicali,
facendo aumentare esponenzialmente le notizie sulle vicende storiche e
sull’organizzazione della vita quotidiana di quei tempi. Affiorarono così
regnanti dai nomi esotici (Torchitorio, Barisone, Orzocco), contrasti tra
giudicati, traffici (non solo mercantili) pisani e genovesi, ma soprattutto
un’organizzazione politica e amministrativa capace di sbalordire, se
confrontata con le coeve esperienze statuali europee e mediterranee.
A capo del Giudicato (Logu o Rennu) c’era il Giudice,
con le stesse prerogative di un re (Iudex sive rex), eletto in discendenza
ereditaria per linea maschile (raramente femminile, più comune la reggenza per
conto di un erede maschio in minore età). Ma non era un sovrano assoluto: la
sua politica era sottoposta al vaglio di un parlamento (Corona de Logu), composto
dai maggiorenti (majorales) del Giudicato, da membri della gerarchia
ecclesiastica e da rappresentanti del territorio. La Corona de Logu investiva
formalmente l’erede designato in un’assemblea, detta Collectu. Il Giudice
regnava sostenuto da un patto col popolo (bannus consensus), venuto meno il
quale al popolo era riconosciuto il diritto alla detronizzazione ed al
tirannicidio. Il suo patrimonio personale era distinto dal patrimonio del
regno, per il quale il Giudice aveva il potere esclusivo di amministrazione,
con il consenso della Corona de Logu. Nella sua attività, il Giudice era
coadiuvato da un Cancelliere appartenente alla gerarchia ecclesiastica e da
funzionari detti Majores, il più importante dei quali era il Majore de Camera.
Ma è nell’amministrazione locale che l’organizzazione
giudicale ha mostrato i suoi aspetti più sorprendenti. Il Regno era diviso in
distretti amministrativi, detti Curatorìe (Curadorìas), variabili nei confini
in modo che la popolazione di ogni distretto fosse grossomodo equivalente. Il
governo delle Curatorie era esercitato dalla Corona de Curadoria, a capo della
quale stava il Curatore. Gli uomini liberi di ogni Curatorìa eleggevano un
proprio rappresentante da inviare alla Corona de Logu. Il Curatore nominava,
previo consenso della relativa assemblea curatoriale, i funzionari locali: il
Majore de Bidda (villaggio), una sorta di sindaco dei centri più popolosi del
territorio, che aveva anche il compito di amministrare la giustizia; il Majore
de Scolca, a capo di una guardia (Scolca), archetipo della tradizionale
istituzione delle Compagnie Barraccellari, ancora esistenti in Sardegna, con il
compito di salvaguardare le zone rurali; il Majore de Armentos, preposto al
controllo dell’allevamento e della pastorizia. Nel periodo giudicale si
contavano quasi mille villaggi e sessanta curatorìe in tutta l’isola, queste
ultime in buona parte corrispondenti alla tradizionali sub regioni storiche
della Sardegna.
Secondo il padre dell’archeologia nuragica Giovanni
Lilliu le curatorìe erano modellate sulla falsariga degli antichi cantoni
nuragici, i territori che facevano capo alle regge nuragiche. Indubbiamente,
nell’organizzazione amministrativa giudicale sono presenti elementi ereditati
da tutte le fasi della civiltà sarda succedutesi dal periodo nuragico a quello
bizantino, comprese le consuetudini e le tradizioni popolari, unitamente a
influenze delle contemporanee burocrazie imperiale e papale. Ciò che risulta
del tutto assente nell’organizzazione giudicale è l’elemento feudale,
predominante nell’Europa contemporanea e introdotto in Sardegna solo dopo la
definitiva conquista Catalano-Aragonese. La servitù nel periodo giudicale era
tenuta solo alla cessione di una parte del prodotto del proprio lavoro e in
nessun modo i maggiorenti potevano disporre della loro vita. Un’organizzazione,
dunque, che appare, relativamente ai suoi tempi storici, un unicum con elementi
di assoluta modernità che appaiono come fasi embrionali di politica federale e
di partecipazione democratica.
Fonte: http://albertomassazza.wordpress.com
Immagini di http://www.circolosardegna.brianzaest.it e http://www.quattromorilivorno.it
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