domenica 10 agosto 2014
Archeologo? In Italia è un lavoro senza futuro.
Non sognare di fare
l'archeologo, in Italia è un lavoro senza futuro
di Daniela Giammusso
Il rapporto
stilato dalla Confederazione Italiana Archeologi nell'ambito del Progetto
Discovering Archaeologists in Europe parla di un settore da 45mila
professionisti stritolato tra precarietà e penuria di incarichi.
Donna. Età media
37 anni, prevalentemente impegnata per enti pubblici, ma come libera
professionista a partita Iva o con contratto a progetto. Stipendio annuo di
10.700 euro, nonostante la laurea, cui ha fatto seguito specializzazione o
dottorato. E' il ritratto dell'archeologo tipo italiano nel 2014, fotografato
dal primo rapporto sulla professione ad opera dalla Confederazione Italiana
Archeologi nell'ambito del Progetto Discovering Archaeologists in Europe
(DISCO). Ecco tutti i dati emersi.
In Italia nel
biennio 2012-2013 gli archeologi "attivi" sono 4.500. Più di 3.500
lavora fuori da enti pubblici, 400 nel Mibact, 371 nel Miur e 86 nel CNR. Le
società archeologiche sono circa 200, ma spesso si collabora anche con aziende
del campo edile o ingegneristico. La maggior parte dei professionisti lavora in
modo autonomo (65,9%).
Ben il 70,79%
degli archeologi italiani in attività sono donne. Età media 37 anni (36 per le
donne, 38 per gli uomini). Superata quella soglia, però, il gap si assottiglia
bruscamente, con le donne che abbandonano questa professione in mancanza di
garanzie certe. Inevitabilmente si studia molto: solo il 6,35% degli archeologi
si è fermato alla laurea triennale, mentre più della metà ha anche una
formazione post laurea (52%). Per lo più il luogo di lavoro è nei cantieri di
scavo (38%), seguono uffici, laboratori, biblioteche (35%) e musei (23%).
La maggior parte
degli archeologi italiani è concentrata al centro (40,9%, contro il 21,8% al
sud, il 18,95% al nord, il 16,5% nelle isole). Soprattutto nel Lazio (26,7%) e
a Roma (20%), sia per la presenza di numerose università e delle sedi centrali
del Mibact, ma soprattutto per il Piano regolatore generale della capitale che
impone la presenza di un archeologo su ogni cantiere che tocchi il sottosuolo.
Mediamente si
guadagnano 10.687 euro l'anno (nel 2010 erano 10.389), ma si può arrivare a
20-21 mila all'Università e al Mibact o, nel quarto più povero, toccare appena
i 5 mila. I freelance non vanno meglio (14.235 euro), anche se è un libero
professionista l'archeologo più "ricco" d'Italia, con 120 mila euro
l'anno.
I principali sono
le Università (20%), seguite dalle società archeologiche (17%), Mibact (15%),
Comuni (7,8%) e società turistiche (5,9%). Dal punto di vista delle percentuali
di reddito di chi opera full time, invece, al primo posto ci sono le società
archeologiche (31% dei redditi), poi il Mibact (20%) e infine l'Università
(17%). La lettura cambia per i part time, che indicano come prima fonte di
reddito le società (22,5%), poi l'Università (18,5%) e infine, alla pari con altri
ambiti non specificati, il Ministero (10%). Quanto ai contratti, nel 2013 meno
di un terzo degli archeologi ne possiede uno da dipendente (30%) e solo il 16%
è a tempo indeterminato. La norma è il lavoro autonomo (43%) spesso a partita
Iva (26,6%). Al momento del sondaggio, però, ben il 28% degli intervistati era
disoccupato. In tutto, disoccupati compresi, il 65,9% degli archeologi italiani
si dichiara lavoratore autonomo.
Al momento del
sondaggio il Ministero contava 400 archeologi, tra funzionari e soprintendenti,
il 99% dei quali con contratto a tempo indeterminato. I redditi variano dai 17
mila annui dei funzionari ai 79 mila dei dirigenti di prima fascia. La piramide
ha una grande base di donne (circa il 70% dei funzionari, come nella media
generale di categoria) e una testa prettamente maschile: 10 dirigenti uomini
contro 6 donne (62,5% a 37,5%). Lo stesso accade tra i 371 archeologi sparsi in
50 atenei: tra i professori di I fascia la presenza maschile supera del 40%
quella femminile (mentre in II fascia accade il contrario).
Fonte: www.unionesarda.it
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Che pessimo titolo per un articolo invece molto ben documentato. Perché parlare di mancanza di futuro quando emerge invece un quadro professionale particolarmente elevato? Semmai è il presente quello sotto accusa. Il futuro è da costruire, ma è lì pronto per essere vissuto.
RispondiEliminaSono d'accordo con te Claudio, ma così riporta l'autrice e non posso cambiarlo. C'è da osservare che questa professione è legata anche a motivazioni che esulano dal piano strettamente economico, e tutti sappiamo che quando si riesce a lavorare in un settore che ci appassiona...raggiungiamo una delle mete della nostra vita.
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