mercoledì 9 settembre 2015
La traslazione di Sant’Agostino dall’Africa a Cagliari, di Mons. Luigi Cherchi
La
traslazione di Sant’Agostino dall’Africa a Cagliari
di Mons.
Luigi Cherchi
La vita
di S. Agostino, grande pensatore e Dottore della Chiesa, è stata molto
movimentata. Nato a Tagaste, nell’Africa Settentrionale, nel 354 e morto a Ippona
nel 430, sempre in Africa, nei suoi settantasei anni di esistenza ebbe molti
travagli. Il padre, di nome Patrizio, era pagano, ma poi morì cristiano; la
madre Monica, ardente cristiana, ebbe molto da soffrire, da pregare e da
piangere perché il giovane figlio si era irretito malamente con gli eretici
Manichei, discepoli di Manete e che insegnavano: c’è un sommo Dio buono, autore
di ogni bene; ma c’è anche un sommo Dio perverso, autore di ogni male. Molto
intelligente, dotato di eloquenza ed oratoria non comune, diventa professore a
vent’anni; fugge di nascosto da Tagaste a Roma in cerca dì celebrità; arriva a
Milano dove trova il suo trionfo. Ma ivi trova anche la Grazia. Sa che il
vescovo della città, Ambrogio, parla al popolo in un modo altamente convincente:
anche lui è oratore, come Agostino stesso, ma dotato di un’oratoria diversa:
profonda, persuasiva, convincente. A Milano viene raggiunto dalla madre;
Agostino si arrende alla Grazia e si converte: il 387 si fa battezzare. Dietro
le suppliche di Monica, che muore durante il viaggio ad Ostia, ritorna in
patria. Ha abbandonato il libertinaggio della giovinezza, ha lasciano la donna
con cui viveva da anni; diventa prete, conduce una vita cenobitica col figlio
naturale Adeodato e con altri amici. Nel 396, morto Valerio, vescovo di Ippona,
viene a succedergli in quella cattedra, che sarebbe diventata famosa nel
mondo
intero. Travagliata la vita di Agostino, anche da vescovo, perchè dovette
combattere con eretici Manichei, Pelagiani e coi Donatisti, eretici violenti;
diverse volte fu nel pericolo di essere ucciso da loro. Quando muore, il 28
agosto del 430, la città è assediata, depredata e in parte incendiata dai
Vandali. Le sue spoglie mortali vengono deposte, molto probabilmente, nella
cattedrale detta "Basilica Pacis" e gelosamente custodite dai
cristiani di Ippona come racconta Possidio, il suo primo biografo, nella vita
che amorosamente ne ha scritto e di cui attualmente (dal 1955) abbiamo un
edizione critica, dovuta al professore di letteratura cristiana, oggi Card.
Michele Pellegrino (Agostino Trapè, Bibliotheca Sanctorum, vol. 1, col. 433).
In seguito il corpo di S. Agostino fu trasferito da Ippona in Sardegna e dalla
Sardegna a Pavia, dove riposa tuttora. Dunque anche le ossa del Santo vescovo hanno
avuto il loro travaglio! Queste due traslazioni sono certissime e diversamente
documentate, da vari autori. Più difficile docurnentare le due date relative e
le circostanze particolari. Poniamoci perciò queste due domande:
1) il
corpo di S. Agostino quando fu trasferto da Ippona in Sardegna?
2)
quando fu trasferito dalla Sardegna a Pavia?
Questione
storico-critica
Prima di
rispondere a questi due quesiti bisogna ricordare una pagina storica che
interessa in modo particolare la nostra Isola e la nostra città di Cagliari. Il
re vandalo ed ariano Trasamondo dall’Africa del Nord esiliò in Sardegna, e a
Cagliari in particolare, molti vescovi, monaci e cristiani con a capo S.
Fulgenzio da Ruspe, consacrato vescovo nel 507 (Bibl. Sanct. vol. V, col.
1306). La deportazione dovette avvenire dunque non prima del 507-508. Il
Baronio, nei suoi famosi "ANNALES" fissa la data al 504 (Tomo IX,
col. 46) e così altri autori. Ma la critica attuale sta per la data 507-508. La
fonte principale al riguardo è la "Vita Fulgentii" scritta dal
diacono cartaginese Ferrando (PL. LXV, col. 117-150; ediz. critica di G. G.
Lapeyre). Dal cap. XXIX, n. 64, apprendiamo che quando Fulgenzio morì a 65 anni
di età il primo gennaio 532 (Bibl. SS. vol. V, col. 1308) era al suo XXV anno di
episcopato. Da qui la data del 507 della sua consacrazione episcopale. Anche il
Tola ha ottenuto gli stessi risultati (anno 507) basandosi sulla vita scritta
da Ferrando (Tola, Codex,
I, dissertazione a pag. 86/B). Con Fulgenzio, il più giovane di tutti come consacrazione,
furono esiliati altri 120 vescovi: così scrive Vittore di Tunnuna nel suo
"Chronicon": il re vandalo "catholicorum ecclesias claudit et in
Sardiniam exilio ex omni africana Ecclesia CXX episcopos mittit. Eo tempore
Fulgentius, Ruspensis civitatis episcopus, in nostro dogmate claruit" (PL.
LXVIII, col. 948/49). Vittore mori dopo il 556. Paolo Diacono parla addirittura
di 220 vescovi (Hist. Romana, XVI, in M.G.H. Auctores antiquissimi, XIII, III,
pag. 217 cfr. Besta, I vol., pag. 7 e note). Per quanto riguarda il gruppo che
era con Fulgenzio, Ferrando parla di "sexaginta et eo amplius" (cap.
XX, n. 41). Penso si tratti, in questo caso, dei vescovi della provincia
Bizacena. Ad ogni modo il numero non si consideri eccessivo. Nell’Africa settentrionale
ogni piccola contrada aveva i suoi vescovi: i cosiddetti coreniscopi erano
molto numerosi. Per esempio: nel 484 il re Unnerico indisse un concilio, o
meglio una conferenza religiosa, per fare un dibattito coi vescovi cattolici.
Vittore de Vita ci ricorda che vi intervennero 466 vescovi, di cui fa l’elenco
nominativo, indicandone altresì la sede. Tra gli altri Lucifero II di Cagliari
ed altri vescovi sardi. (Historia persecutionis africanae provinciae: MGH. III,
pag. 63-71; PL. LVIII, col. 269-70). Ricordiamo che allora la Sardegna,
civilmente, dipendeva dall’Africa.
Fulgenzio,
accolto amabilmente dall’arcivescovo di Cagliari Brumasio (altri scrivono
Primasio) ebbe la possibilità di far vita in comune con altri esiliati vescovi,
monaci, ecclesiastici. Tra gli altri, il suo biografo, ricorda "Illustrem
et Januarium, coepiscopos suos" (cap. XX, n. 43). Poi fu invitato in
Africa dallo stesso re Trasamondo, che voleva conoscere per scritto il pensiero
del giovane e dotto vescovo su alcune questioni religiose. Rimasto a Cartagine
(Ferrando, cap. XXI, n. 45) per circa due anni, rientrò a Cagliari e fondò a
sue spese, presso la basilica di S. Saturnino, un ampio cenobio "procul a
strepitu civitatis", favorito ancora dall’arcivescovo Brumasio (Ferrando, Vita Fulgentii, PL. LXV, col.
138-143). In quel monastero conviveva con oltre 40 "fratelli"
seguendo una regola cenobitica (cap. XXVII, n. 51). L’esilio finì nel 523
quando, morto Trasamondo, gli succedette nel trono Ilderico, che richiamò in
patria gli esiliati (Bibl. Sanctorum, vol. V, col. 1307). Erano passati oltre
15 anni e non fu senza un influsso benefico di religiosità, di liturgia, di
apostolato per Cagliari e per altri centri, più o meno vicini alla città. In
quel tempo era Papa di Roma un sardo, S. Simmaco (Papa dal 498 al 514) e non
mancò di consolare ed aiutare gli esiliati con scritti, con indumenti e viveri
di ogni genere (Mansi, vol. VII, col. 217-218). Il "Liber
Pontificalis" scrive al riguardo: "Hic omni anno per Africam vel
Sardiniam ad episcopos, qui exilio erant retrusi, pecunias et vestes
ministrabat" (MGH, ed. Theodorus Mommsen, 1898, p. 125). Questa è storia
autentica, attinta dalla vita di Fulgenzio, scritta da Ferrando, suo discepolo
e (pare) parente; e da altri autori antichi. E facile supporre che questi
vescovi e monaci venendo dall’Africa avranno portato reliquie, immagini, libri,
qualche piccola statua, ecc. Sono cose che noi pensiamo e che sono, del resto,
naturali, ma la storia non ce io dice in modo esplicito. Portarono con loro
anche le relique (ossia le ossa) di S. Agostino? Questa domanda, riguarda in
particolare S. Fulgenzio, capo e guida degli esiliati a Cagliari. Ferrando, la
fonte diretta che racconta la storia di quell’esilio, non ne fa alcun cenno.
Anzi ci riporta due circostanze che rendono meno probabile la traslazione di
dette relique. Per il primo esilio, Fulgenzio è a Ruspe, nella sua provincia,
la Bizacena, allorché i ministri del re lo presero "repente"
(all’improvviso) e io aggregarono agli altri esiliandi da deportare in Sardegna
(cap. XX, n. 40). Egli "navim crucifixio corde et corpore nudus ascendit,
habens secum plurimas divitias scientiae salutaris" (id. cap. XX, n. 40).
La seconda volta, a Cartagine, fu strappato dalla sua abitazione "in
Tempesta nocte, populo ignorante" (id. cap. XXV, n. 49): nel cuore della
notte e all’insaputa del popolo. Come in tali contingenze, lontanissimo da
Ippona, abbia potuto dare opera o, a dire meglio, abbia potuto dirigere il
trasporto delle reliquie di Agostino, è un problema senza termini di soluzione.
Anche la lettura dei capitoli XXV e XXVII della stessa vita ci persuadono di
escludere tale asserita traslazione delle dette reliquie del grande santo ad
opera di Fulgenzio. Eppure, come vedremo più innanzi, gli autori della storia
sarda dal 1500 al 1900 attibuiscono a Fulgenzio la traslazione del corpo di S.
Agostino a Cagliari.
Alcuni
autori nostrani affermano direttamente che fu il vescovo di Ippona, città della
Numidia superiore, a portare seco le preziose reliquie. La vita di S. Fulgenzio
non ne fa il nome, nè fa cenno ad un vescovo di Ippona compreso tra gli
esiliati. L’Enciclopedia Cattolica alla voce "Ippona" (vol. VII, col.
180-181, art. di Enrico Josi) ricorda alcuni vescovi prima di S. Agostino e
conclude: "Ignoti sono i vescovi di Ippona dopo l’invasione vandalica e
durante la dominazione bizantina". Non dimentichiamo che proprio mentre
moriva S. Agostino, la città fu distrutta, saccheggiata e in parte incendiata!
P. Agostino C. De Romanis dice che i vescovi ad Ippona sono di nuovo ricordati
solo all’inizio del 600 (p. 409). Nonostante quello che ho già scritto, gli
storici sardi, o gli storici che si interessano delle cose nostre, scrivono in
modo sostanzialmente identico (tranne piccoli particolari). Vi cito due autori
noti per valentia e critica: Enrico Besta, storico di fama internazionale, e
mons. Damiano Filia, storico illustre della Sardegna cristiana. Nel 1908 il
Besta dice: "v’era tra loro Fulgenzio, il neo eletto di Ruspe, e Feliciano
di Cartagine e Illustre e Gianuario, vescovi di sede ignota, e il vescovo di
Ippona, che esulando portava con sè i resti venerati di S. Agostino,
l’immortale suo predecessore" (Sardegna Medioevale, vol. I, p. 7, Palermo
1908). Nel 1909 il Filia scrive a sua volta: "Fra gli esiliati erano il
celebre teologo e monaco Fulgenzio, da poco eletto vescovo del piccolo porto di
Ruspe, Feliciano di Cartagine, Illustre e Gianuario, di sede ignota, e il
vescovo di Ippona. Questi confessori di Cristo portarono seco nell’esilio le
reliquie venerate di S. Agostino, che stettero a Cagliari 200 anni (vol. I, p.
92). E cita Darras, Storia generale della Chiesa, Torino 1879, vol. II, p. 84.
Come si vede il Filia ripete, più o meno, il testo del Besta.
A
proposito di vescovi esiliati dobbiamo precisare alcuni equivoci (sic!).
L’enciclopedia Treccani alla voce "Trasamondo" (senza firma
dell’articolista) dice che il re vandalo ne esiliò molti in Sardegna: "Il
più famoso fu Eugenio vescovo di Cartagine" (sic!). Di Eugenio sappiamo
invece che morì nel 505, come scrive Vittore Tunnenense nel suo
"Chronicon" (PL. LXXVIII, col. 950: anno 505): "Eugenius
Cartaginensis episcopus confessor moritur". Morì in esilio nella Gallia,
ad Alby. La sua sede rimase vacante sino a quando Ilderico (nel 523) concesse la
libertà ai vescovi esiliati; allora fu consacrato il nuovo vescovo Bonifacio
(vedi la voce "Cartagine" di Pietro Romanelli nell’Enciclopedia
Cattolica, vol. III, col. 946). Si fa il nome di Feliciano, come vescovo di
Cartagine (Filia, Besta). Abbiamo già detto che Cartagine, al tempo dei vescovi
esiliati in Sardegna, era sede vacante. L’equivoco, a mio parere nasce dal
fatto che Ferrando, nella vita di S. Fulgenzio, nomina Feliciano come
successore di S. Fulgenzio di Ruspe; ed è proprio a lui che dedica il suo
lavoro (PL. LXV, col. 117-118)! Eppure il racconto della traslazione delle
reliquie del grande santo, avvenuta ad opera degli esiliati, si ripete nei
nostri storici dal secolo XVI in poi, attribuita o a S. Fulgenzio o al vescovo
di Ippona o agli esiliati in genere. Permettete che vi ricordi i nomi di questi
autori:
1580:
Mons. Giovanni Francesco Fara (1543-1591) nei suo De rebus Sardois, libro I, p.
156 (Fulgenzio).
1595:
Giovanni Proto Arca: De
Sanctis Sardiniae, libro III, p. 65 (Fulgenzio)
1624:
Serafino Esquirro, Santuario
de Caller, libro I, cap. I, pag. 1-5 (Fulgenzio)
1680: P.
Giorgio Aleo, cappuccino, Successor
generales, MS. VI, cap. 68, §. 412 pag. 283 (Fulgenzio).
1780:
Giuseppe Cossu, Della città di
Cagliari: Notizie compendiose, pag. 95 (Fulgenzio).
1826:
Giuseppe Manno, Storia della
Sardegna, vol. II, pag. 75-78 (Vescovo di Ippona).
1839:
Pietro Martini, Storia
ecclesiastica, vol. I, pag. 101 (Fulgenzio).
1861:
Pasquale Tola, Codex
Diplomaticus, I, pag. 87/A, e cita il Baronio, anno 504.
1861:
Giovanni Spano, Guida della
città e dintorni di Cagliari (vescovo
di Ippona pag. 190-191).
1881:
Padre Francesco Sulis, mercedario: Brevi
cenni sulla istituzione, antichità ed eccellenza dell’archidiocesi di Cagliari (pag. 37 e 63), (esiliati).
1897:
Efisio Serra, Una pagina d’oro
della storia ecclesiastica di Sardegna, pag. 30 e 31 (Fulgenzio col vescovo
di Ippona).
1908:
Besta, citato (vescovo di Ippona).
1909:
Filia, parimenti citato (plurale: i confessori di Cristo).
1935:
Raimondo Carta Raspi, La
Sardegna nell’alto medioevo, pag. 109: (vescovo di Ippona).
1964:
Mons. Ottorini Pietro Alberti, La
Sardegna nella storia dei Concili (pag.
26: "furono trasportate" e cita il Baronio.
1973:
Camillo Bellieni, La Sardegna
e i sardi nella civiltà dell’alto medioevo, vol. I, pag. 475 e 486 (vescovo
di Ippona).
1978:
Alberto Boscolo, La Sardegna
bizantina e alto giudicale, (pag. 20-21: vescovo di Ippona).
Poiché
il Boscolo è l’ultimo autore che cito, data la sua fama meritata di storico, mi
permetto di citarlo letteralmente. Scrive dunque: "Giungevano così in
Sardegna, nel 507, numerosi ecclesiastici esiliati; secondo alcuni erano
centoventi, secondo altri duecentoventi. Erano fra questi il vescovo di
Cartagine, Feliciano (svarione già rilevato!), quello di Ippona, che portava
con sè i resti del suo predecessore S. Agostino, e quello di Ruspe, Fulgenzio,
da poco eletto" (pag. 20-21).
1979:
Kirova K. Tatiana, La Basilica
di S. Saturnino in Cagliari (Fulgenzio,
pag. 24).
Gentilissimi
uditori, è tempo di chiederci: da dove nasce questa pacifica affermazione, seza
citazioni di fonti, senza discussione critica, fatta anche da autori di
rilievo, nella loro storia generale della Chiesa, come Joseph Darras e Renato
Rohrbacher (vedi Bibliografia)?
Nel
secolo XVI comparvero i famosi "Annales" di Card. Cesare Baronio
(nato il 1538 e morto il 1607). Egli fa propria questa versione dei fatti e
scrive: "Tunc plane accidisse perhibetur, ut Hipponensis episcopos et alii
eius provinciae Numidiae sacerdotes, occulte (ut licuit) sacrum ferrent secum...
corpus... Augustini": mitra, bacolo, vesti (Tomus IX, Lucae MDCCXLI, col.
46). "Perhibetur", dice. Parolina insinuante e traditrice.
"Perhibetur" - lo sappiamo bene - vuol dire: "si racconta, si
narra, viene riferito". Ma i nostri autori citati hanno giurato "in
verbo magistri" e non sono andati a cercare su quali documenti storici si
basava questa parola "si racconta, si narra". Si riferiscono al
Baronio e, più spesso, lo citano in modo esplicito. Presero dunque per buona la
sua narrazione. Non c’è troppo da rimproverarli. Solo più tardi i Bollandisti,
nella vita di S. Agostino al 28 di agosto (Acta SS. vol. VI Augusti, pag.
363-365) riportarono quanto espose il Baronio e ne fecero ampia critica: Prima
edizione 1643-1940 (Antverpiae - Anversa - MDCCXLIII).
Tuttavia
se i nostri storici fossero stati attenti a quanto racconta il celebre
annalista nell’anno 504 e a quanto riferisce nell’anno 725, sarebbero venuti ad
incontrare la vera fonte, in cui in buona fede il Baronio credette fermamente
(Annales, Tomo XI, col. 320-324). Si tratta di una lettera che Pietro Oldradi,
arcivescovo di Milano, avrebbe indirizzata a Carlo Magno nel 796. In essa
l’autore espone, per filo e per segno, tutte le vicende particolari della
traslazione delle reliquie di S. Agostino dall’Africa in Sardegna e dalla
Sardegna a Pavia, per opera del re Longobardo Liutprando verso il 725. La
lettera fu pubblicata per la prima volta a Roma nel 1587 ad opera
dell’agostiniano P. Agostino da Fivizzano, come appendice ad una breve
biografia del Santo. L’intestazione esatta è la seguente: "Domino regum
piissimo Carolo Magno Petrus Oldradus indignus mediolanensium archiepiscopus
perennem in Christo coronam" - Datum in urbe Mediolani anno salutiferae
incarnationis DCCLXXXXVI - (796). Gli storici e i critici l’hanno definita
falsa, adulterina, suppositizia. Ludovico Antonio Muratori la esclude in modo
assoluto (Ad annum 722: cfr. A. C. De Romanis, La duplice traslazione... pag.
396). Giuseppe Antonio Sassi (bibliografia "Saxii") già Prefetto
della Biblioteca Ambrosiana, nella storia critica degli arcivescovi di Milano
la condanna senza equivoci (pag. 266-268). Del resto noi stessi, senza essere
storici e critici, sentiamo subito il senso della falsità esaminando soltanto
il titolo della lettera in questione. I vescovi nel secolo ottavo, e per lungo
tempo ancora, non firmavano mai col cognome del proprio casato, come ha fatto
il supposto Pietro Oldradi; e a Milano il primo ad usurpare il titolo di
"arcivescovo" fu proprio lui (Sassi, pag. 266)! Carlo fu detto "Magno"
soltanto dopo la sua morte (+ 814). Siamo dunque di fronte a un documento
falso! Tutti i nostri storici dunque, hanno attinto in buona fede. E non basta.
Pietro
Martini, il grande innamorato delle "Pergamene di Arborea" vi ha
attinto largamente. Basta leggere la sua opera, "Illustrazioni e aggiunte
alla Storia ecclesiastica di Sardegna", Cagliari 1858, pag. 32; oppure
leggere a pag. 190-191 la Guida di Cagliari dello Spano, che lo cita
abbondantemente sul caso che trattiamo! E come se ciò non bastasse, vi dirò che
anche il grande Besta, quando parla della traslazione delle reliquie di S.
Agostino, nel testo da noi già riportato letteralmente, aggiunge in nota:
"Anche a questo riguardo le pergamene arborensi, p. 336, valsero a
accreditare notizie del tutto inattendibili".
Ora
sappiamo che le pergamene di Arborea furono un clamoroso falso
storico-letterario del secolo scorso (vedi Filia, vol. I, pag. 19-20).
A
completare il quadro dei racconti e delle supposizione sulla traslazione delle
ossa del grande vescovo devo citare un’opera recente: Tatiana K. Kirova, La Basilica di S. Saturnino in
Cagliari, la sua storia e i suoi restauri, Cagliari 1979. A pagina 24
suppone che Fulgenzio "abbia potuto avere il permesso di portare con sè il
corpo di S. Agostino" nel 519, quando Trasamondo lo rimandò per la seconda
volta in esilio in Sardegna perché la prima partenza fu "forse
affrettata". A questa supposizione abbiamo risposto precedentemente: nella
prima partenza, da Ruspe, Fulgenzio fu associato "repente" (all’improvviso)
agli altri esiliandi; nella seconda, da Cartagine, fu fatto partire "nocte
in tempesta, ignorante populo, come dice Ferrando nella vita del Santo (cap.
XXV, n. 49). A completare la supposizione, la Kirova (pag. 33) scrive
addirittura: "è più attendibile supporre che Fulgenzio e i suoi compagni
vescovi, fra cui quello di Ippona, città dov’erano conservate le spoglie di S.
Agostino prima del suo (loro) trasferimento in Sardegna, si siano prodigati per
edificare una degna dimora, atta ad ospitare i resti del S. Dottore della
Chiesa "restaurando ed ampliando la basilica paleocristiana di S.
Saturnino" (per lei è S. Saturnino di Tolosa!).
Come
avete sentito, carissimi uditori, si tratta di supposizioni, una dietro
l’altra; ma sappiamo che la storia critica aborrisce delle supposizioni ed
esige, giustamente, documenti probanti! Lo studioso può, anzi deve avanzare
delle supposizioni e ipotesi di lavoro; ma poi deve portare le prove! Fra tanti
autori citati debbo dire che il Fara non fece in tempo a consultare il Baronio.
Il primo volume degli Annales uscì infatti nel 1588 (Encicl. Cattolica, vol.
II, voce "Baronio", col. 885). Egli, nel suo racconto, si ispira a
Beda, a vari autori e, come egli stesso afferma, all’autore agostiniano Fra
Giordano di Sassonia, provinciale di Germania e morto a Vienna nel 1380. Nella
vita che egli scrisse di S. Agostino, parlando dell’esilio dei vescovi ad opera
di Trasamondo, afferma genericamente: Allora il corpo di S. Agostino fu tolto
da Ippona e portato in Sardegna "pridie Kalendas martii", ma non dice
da chi. (Cfr. De Romanis, pag. 400, n. 32, pubblicata in Hommey: Supplementum
Patrum, Parigi 1684, pag. 569ss). Fra Giordano è il primo autore che parli di
questa traslazione.
Il Fara
cita ancora quanche altro autore a noi ignoto e le lezioni del breviario
agostiniano (De Rebus Sardois, pag. 33-34). Possiamo perciò affermare
che il Fara è un autore documentato, come era possibile ai suoi tempi, e resta
un testimone della tradizione agostiniana sarda, che ha saputo abbellire con
particolari vari l’arrivo delle reliquie di S. Agostino (corpo, bacolo, mitra,
vesti sacre): presenza del clero, scene commoventi, popolo plaudente.. (ivi)!
Fantasia pia e devota, ben lontana da una storia critica e documentata! Dunque
- concludendo - dobbiamo dire: non si può dimostrare criticamente che le
spoglie mortali di S. Agostino siano state portate in Sardegna durante l’esilio
del 507-508 ad opera degli esiliati africani. E allora - mi direte - le spoglie
di S. Agostino sono state sì o no in Sardegna? La risposta è certissima: sì;
tanto è vero che il re Liutprando le portò a Pavia, dove sono collocate nella
celebre chiesa di San Pietro in Ciel d’oro, come subito diremo.
Dopo
tutta la discussione critica che ho dovuto fare restano ancora in piedi i due
quesiti propostici:
1) Le
reliquie di S. Agostino quando furono trasferite dall’Africa in Sardegna?
2)
Quando furono trasferite dalla Sardegna a Pavia?
La
traslazione dall’Africa in Sardegna
A
risolvere questo quesito ci viene incontro una annotazione del grande scrittore
e santo, Beda il Venerabile, benedettino inglese, vissuto dal 675 al 735. In
uno dei tanti libri da lui composti, esattamente nel "Chronicon de sex
aetatibus mundi", all’anno VIIII Leonis (il IX anno dell’imperatore Leone
Isaurico III (717-741), corrisponde al 724-725: Motzo, L’attività guerriera... pag.
87), così scrive tra l’altro: "Liutprandus audiens quod Sarraceni
depopulata Sardinia etiam loca foedarent illa, ubi ossa Sancti Augustini
episcopi propter vastationem barbarorum olim translata et honorifice fuerant
condita, misit et dato pretio accepit et transtulit ea in Ticinis (= Pavia:
n.d.r.) ibique cum debito tanto patri honore recondidit" (Ediz. Momnsen,
in MGH, Scriptores
antiquissimi XIII, III, pag. 321).
L’altro
grande storico medioevale, Paolo Varnefrido, detto Paolo Diacono (Cividale del
Friuli: visse dal 730 al 797) ripete quasi parola per parola quanto ha scritto
il Beda (De Gestis Longobardorum, lib. VI, cap. XLVIII, PL. vol. XCV,
col. 655).
Quello
che per adesso ci interessa è la frase in cui si dice (traduco dal latino):
"le ossa di S. Agostino tempo addietro (olim) furono trasferite in
Sardegna a causa della devastazione operata dai barbari nell’Africa". A
che tempo possiamo riferirci? A quale data? Chi sono questi barbari? Abbiamo
escluso il tempo dell’esilio per i motivi critici e anche perché in quel
periodo gli imperatori Vandali non compirono devastazioni: ma espulsero
dall’Africa i vescovi e i monaci di cui abbiamo parlato e li richiamarono in
Africa nei 523. E allora: chi sono i barbari che compiono le devastazioni? Non
i vandali ma i Musulmani, risponde P. Agostino C. De Romanis (pag. 409, n. 5).
I
"barbari", secondo l’espressione di S. Beda, non possono essere i
vandali anche per un altro motivo. Il grande scrittore benedettino non chiama
mai con questo appellativo i vandali e gli altri popoli invasori dell’impero.
Nello stesso "Chronicon", da cui apprendiamo la notizia che ci
interessa, li chiama "gens": gens Hunnorum, gens Halanorum, Gothorum,
gentes Scithicae (pag. 289), gentes Scothorum et Pictorum (pag. 299) e,
parlando dell’invasione dell’Africa e della devastazione di Ippona, proprio
mentre moriva S. Agostino il 28 agosto del 430, chiama gli invasori
"effera gens Vandalorum, Hulanorum et Gothorum (pag. 302). Ma non li
chiama "barbari". E sempre lo stesso vocabolo di "gens" o
"gentes" viene usato dal Beda quando parla dei popoli Sassoni, Angli
e Longobardi (cfr. pag. 303-305, 307-309: De Romanis, pag. 405-406). Dunque i
"barbari" sono da ricercarsi nei Musulmani. Sappiamo dalla storia che
l’Islam sotto il comando di Utman (644-656) e sotto il 5° Califfo degli Umajj’di,
Abdalmalik (685-705), devastarono l’Africa settentrionale e ne cancellarono
ogni segno di vita cristiana (Moscati, Enc. Catt. VII, col. 262).
Nel 488
- come abbiamo detto in precedenza - si contavano, presenti ai Concilio di
Cartagine convocato da Unnerico, ben 466 vescovi, tutti dell’Africa
settentrionale occidentale. Ora c’è la devastazione, la persecuzione contro i
cristiani. I Musulmani avevano imposto la legge della scimitarra: o ti converti
all’Islam o avrai la morte sicura. Per Beda questi possono essere i barbari e
non i vandali. Siamo alla fine del 600 e all’inizio del 700. E quanti poterono
esularono portando seco le cose più care al cuore dei cristiani proprio quando
l’impero bizantino, comprendente anche la Sardegna, si stava dissolvendo. Henri
Leclercq, nell’articolo "Afrique" del dictionnaire d’archèologie
chrètienne, Paris 1921, col. 591, scrive che moltri cristiani che non vollero convertirsi
all’islamismo emigrarono in Italia, nelle Gallie e anche in Germania:
"Beaucoup émigrant, s’en allererente en Italie, en Gaule...
Germanie".
In
questo periodo il Padre De Marinis, per le ragioni su esposte, pone la
traslazione del corpo di S. Agostino in Sardegna. La prova non è di un’evidenza
assoluta, ma le parole dello storico S. Beda devono pure evere un senso: le
ossa di S. Agostino tempo addietro (olim) furono trasferite in Sardegna a causa
della devastazione operata dai barbari in Africa". Questa espressione è
ripetuta anche nel Martirologio scritto dallo stesso Beda. Al 28 agosto ricorda
S. Agostino, "qui primo de sua civitate propter barbaros translatus,
"nuper" a Liutprando rege Langobardorum Ticinis relatus et honorifice
conditus est" (PL. XCIV, col. 1023).
La
stessa frase è riportata anche nel Martirologio Romano, al 28 agosto:
"Eius reliquiae, primo de sua civitate propter barbaros in Sardiniam
advectae et postea a Rege Longobardorum Liutprando Papiam translatae, ibi
honorifice conditae sunt".
Questi
‘barbari" non sono i vandali, ma i musulmani o Saraceni, i quali - invasa
anche la Sardegna - richiamarono l’attenzione e l’intervento di Liutprando.
È degno
di rilievo rilevare che Jacopo da Varazze ci ha tramandato questa tradizione
quando scrive: "alcuni anni dopo la sua morte i barbari, che erano
divenuti padroni della città, profanovano le chiese; allora i fedeli presero il
corpo del santo e lo trasportarono in Sardegna: erano passati 280 anni dalla
sua morte" (pag. 223, ultime righe). La morte avvenne nel 430 + 280 - 710.
Anche se approssimativo, il racconto di Jacopo è molto interessante per quanto
stiamo esponendo. Cfr. Leclercq, citato a pag. 15.
Ancora
nella lettera di Oldradi, nella quale non tutto è bugia, c’è evidente un
richiamo a S. Beda e dice "Barbarorum infinita multitudo Sardiniam
expugnare est aggressa ecc." (pag.4). I barbari sono i saraceni di cui
appunto parla S. Beda, che devastarono la Sardegna ("Sardinia
depopulata").
La tesi
esposta dal Padre De Romanis non è peregrina; ma ha a suo vantaggio i fatti
storici e il testo di Beda. Tant’è vero che, parlando dei Saraceni, S. Beda
dice che avevano "depopulata Sardinia", parola corrispondente a
"vastatione" (devastazione) operata dai barbari nell’Africa.
L’espressione è stata cambiata solamente per evitare una ripetizione cacofonica
e inopportuna.
Quindi
possiamo dire che con documenti alla mano (S. Beda) le reliquie di S. Agostino
vennero trasferite dall’Africa in Sardegna; non sappiano nè la data precisa nè
il nome di coloro che le trasportarono fra noi.
La
traslazione dalla Sardegna a Pavia
Ammessa
l’ipotesi del P. Agostino De Romanis, per le sue ragioni storiche e critiche,
poco tempo restarono in pace le sante reliquie in terra sarda. Gli antichi
cagliaritani hanno scritto nella cripta di S. Agostino, Largo C. Felice, che
ivi riposarono le ossa del Santo per CCXXI anni. Il conto è presto fatto. Il
Baronio fissava la prima traslazione all’anno 504; comunemente si fissava la
seconda traslazione - dalla Sardegna a Pavia - nel 725: 725 sono esattamente
CCXXI anni.
Ma anche
la data del 725 non è esatta. Seguiamo per un momento i fatti storici.
Nell’anno
710 (buona stagione del 711: 92 dell’Egira = Motzo, L’attività..., pag. 88), gli
Arabi fecero una grande scorreria in Sardegna e in Spagna. Tutto era preparato
da Musa Ibn Nusair, con 7000 uomini, perché mirava alla conquista della
Sardegna; e le spedizioni durarono alcuni anni (Motzo, L’attività... pag. 88). Altre
incursioni veramente minacciose vennero poi fatte nel 735, proprio nell’anno in
cui morì lo storico Beda. Dietro queste spedizioni il re Liutprando, che aveva
iniziato il suo regno con ottimi rapporti con il Papa di Roma, nei suoi primi
14 anni (Motzo, dal 712, anno primo del suo regno, sino al 726) condusse una
politica di relativa pace (non mancarono le battaglie): riordinò lo stato, creò
una cappella palatina, eresse chiese e conventi, occupò (più tardi) e restituì
al Papa il territorio di Sutri (nel Lazio) che divenne come il nucleo del
futuro Stato Pontificio (Enc. Ital, Augusto Lizier; anche Enc. Catt.: Innocenzo
Giuliani alla voce "Liutprando").
Nel 726,
essendo scoppiata in modo violento la lotta iconoclastica (distruzione delle
immagini sacre) nell’Esarcato di Ravenna, sferrò una guerra senza quartiere
(Motzo, Lizier, Giuliani) contro i Bizantini che lo dominavano. Tutto questo ci
dice che Liutprando - non si sa come ne venisse informato - avendo saputo del
pericolo che correvano le spoglie mortali di S. Agostino, le riscattò e le
portò a Pavia, che era diventata la capitale del regno. In quele anno? Nel 725?
Il Motzo
ritiene che ciò avenne nel periodo detto "pacifico" del re
Longobardo: cioè fra il 712 e il 720 (pag. 88); c’era anche un motivo politico
- dice il Motzo - : il re aveva paura che la
Sardegna e la Corsica potessero cadere (o le credeva già cadute?) in mano
araba. Fu pure questo motivo a spingerlo ad agire subito (Motzo, pag. 90).
La
notizia il Beda la scrive nell’anno "VIIII" di Leone III Isaurico,
che corrisponde all’anno 724-725 (Motzo, L’attività
guerriera ... pag. 87). Sotto
la stessa data parla anche dell’assedio di Costantinopoli, avvenuto però negli
anni 717-718 (Motzo, o.c. pag. 87). Poi prosegue col testo che abbiamo letto e
che rileggiamo per comodità di tutti: "Liutprandus audiens quod Sarraceni
depopulata Sardinia etiam loca foedarent illa, ubi ossa Sancti Augustini
episcopi, propter vastationem barbarorum olim translata et honorifice fuerant
condita, misit et dato pretio accepit et transtulit ea in Ticinis (Pavia)
ibique cum debito tanto patri honore recondidit" (Ed. Momnsen, in M. G. H. Scriptores antiquissimi, XIII,
III, pag. 321).
Dal
testo del Beda dobbiamo trarre questa conclusione: egli scriveva nel 724-725,
ma la traslazione delle ossa del grande Santo è avvenuta certamente anni prima,
come l’assedio di Costantinopoli ricordato nella stessa data 724-725, ma
avvenuto negli anni 717-718. A questa conclusione ci porta la lettura di altre
due cronache: quella di S. Amando, apostolo del Belgio (+675: Biblioteca
sanctorum, vol. I, col. 918-923), e quella di Noyon in Francia.
Il
"Chronicon S. Amandi" di Elnon (Fiandre) scrive: "DCCXXII:
corpus S. Augustini a Sardinia Ticiniis transfertur, agente Leutprando rege
Langobardorum" (Edmond Martène e Durand Ursini, Thesaurus novus anedoctorum,
Tomo III, Parigi 1717, col. 1392).
Gli
Annales Novesienses (=Noyon) si riferiscono all’anno 721. Così infatti
scrivono: "DCCXXI - Ossa S. Augustini hipponensis episcopi, olim translata
ad Sardiniam, vastata modo a Sarracenis Sardinia, Liuthprandus rex
Longobardorum, dato magno pretio transfert Papiam (Martène Edmond, Veterum scriptorum et monumentorum,
Parigi, Tomo IV, 1724, col. 532).
La data
esatta forse non la sapremo mai; tuttavia, tenuto conto delle indicazioni
riferite dai tre cronisti (ai quali si aggiunge l’italiano Paolo Varnefrido,
detto Paolo Diacono, già ricordato) possiamo dire che la traslazione avvenne
verso il 721, anno riferito dagli "Annales di Noyon": quindi verso il
720-721.
Eppure
un bravo cultore di storia, residente a Cagliari, Felice Cherchi Paba, nella
sua opera recente: La
repubblica Teocratica Sarda nell’alto Medioevo, Cagliari 1971, sostiene due
cose: l’avvenimento deve portarsi all’anno 727 perché in quell’anno si scatenò
la guerra della iconoclastia: perciò chi diede le spoglie di S. Agostino ai
messaggeri di Liutprando non sono i Saraceni, ma gli iconoclasti, quelli cioè
che distruggevano le statue e le immagini sacre! Le vendettero dopo averne
ricevuto una forte somma (Capitolo II, specialmente a pag. 36).
Devo
rispondere che una simile interpretazione non è sostenibile perché sconvolge
tutti i testi che abbiamo citato: Beda, Paolo Diacono, il Chronicon S. Amandi e
gli Annales Novesienses.
Vi è poi
un altro motivo: Beda parla di Saraceni devastatori e non di iconoclasti. Non
dice neppure che a trattare il prezzo furono i Saraceni; potevano essere i
Superiori (Primores) della città, che vennero incontro ai desideri di
Liutprando per il timore di invasioni e di profanazioni future.
Vanno
relegate nella leggenda: la sollevazione del popolo col re Gialeto, la lotta
fatta dai frati eremitani di S. Agostino, che riuscirono a mandare in salvo il
bacolo e la mitria presso gli agostiniani di Valencia, mentre riuscirono a
salvare per Cagliari le sole vesti pontificali del Santo (cfr. Fara, pag. 47-48;
Martini, Storia delle
invasioni, pag. 73-75; G. Spano, Guida
di Cagliari, pag. 190-191).
Liutprando
sborsò una grossa somma e collocò onoratamente le ossa del Santo a Pavia, nella
vetusta chiesa di S. Pietro in Ciel d’oro, detta così per la volta che adorna
la basilica. Attualmente sono in un monumento marmoreo, artistico e sontuoso
(datato 1632: Encicl. Catt. voce "Pavia", vol. IX, col 1005). Nella
cripta v’è un’urna, anch’essa di marmo, che custodisce le ceneri di Severino
Boezio (475+525) venerato come martire. Presso la cripta sono custodite le
reliquie del grande re Liutprando (re dal 712 al 744).
(Sulla
basilica di S. Pietro vedi Gianari Faustino, La
basilica di S. Pietro in Ciel d’oro nella storia e nell’arte, Pavia 1965).
Ho avuto
la fortuna di visitare la chiesa di S. Pietro, questa opera d’arte, di fede e
di pietà, ed invito la comunità di questa chiesa di promuovere un
pellegrinaggio a Pavia per venerare quella basilica e le relique di S.
Agostino, che tanto onore portarono, con la loro presenza, alla chiesa sarda.
Non vi
parlo del viaggio miracolistico, compiuto via mare sino a Genova e da Genova a
Pavia, perché è tutta una leggenda, scritta da anime ferventi e immaginarie
(Cfr. Fara, De Rebus Sardois, pag. 47-47; Jacopo da Varazze, pag. 224; Lettera
di Oldradi ecc.) ma ben lontana dallo stile sobrio e critico dello storico Beda
e di quanti amano i fatti non inventati, ma realmente accaduti e comprovati da
documenti autentici!
Bacolo,
Mitria e vesti
Prima di
finire devo spendere una parola sulla sorte delle reliquie minori di S.
Agostino: bacolo, mitria e vesti sacerdotali. La notizia su queste reliquie
l’abbiamo sempre nella famosa lettera di Pietro Oldradi. Poi la ripeterono
Mons. Giovanni Francesco Fara (De rebus sardois) e tanti altri autori,
in particolare Pietro Martini (Storia delle invasioni... 73-75) che si
serve delle false "Pergamene d’Arborea".
Il
bacolo e la mitria, secondo il Fara (De rebus sardois, pag. 47-48) e
secondo un’attestazione del 1611, sarebbero state portate nella chiesa degli
Agostiniani di Valencia in Spagna (Efisio Serra, Una pagina d’oro ... pag. 85: relazione di Martin
Carrillo).
Le vesti
(una tunicella, una dalmatica e una cappa), dopo essere state per molto tempo
nella chiesa di S. Francesco di Stampace, dopo il crollo della stessa chiesa,
avvenuto l’11 gennaio 1875, furono custodite nella cripta della Cattedrale
(Serra, pag. 87-91) e attualmente sono conservate nel suo museo. L’Arcivescovo
Mons. Paolo Maria Serci le inviò alla mostra archeologica, che si tenne ad Orvieto
nell’ottobre del 1896, in occasione del XIV Congresso Eucaristico
internazionale (Puxeddu, pag. 9-10; Serra, pag 120).
Ed ecco,
puntuale, nell’anno successivo, comparire un articolo critico del P. Hartmann
Grisar, gesuita, sommo storico e di cultura non comune. Parlando delle
"vesti" di S. Agostino scrive che non possono essere del tempo in cui
visse il santo. Sono "vesti di origine apertamente assai più tarda, ma
certo non di poco pregio" (Nuovo Bollettino di archeologia cristiana,
1897, da pag. 1 a pag. 44; in particolare a pag. 41 e 42). Egli pensa che
furono vesti usate in onore di S. Agostino pr qualche circostanza particolare e
poi, impropriamente, dette di S. Agostino (pag. 42).
Altrettanto,
penso, si debba dire per il bacolo e la mitria.
Conclusione
Gentilissimi
uditori, detta anche quest’ultima parola, che reputavo necessaria, credo di
poter formulare queste conclusioni:
1 - È molto verosimile che le reliquie di
S. Agostino siano state portate in Sardegna quando furono esiliati i vescovi e
gli ecclesiastici nel 507-508. Mentre gli esiliati erano a Cagliari risulta che
diversi cristiani da Cartagine venivano a Cagliari per vedere Fulgenzio e gli
altri esiliati, per rendersi conto della loro situazione e riferirne poi in
patria. Questo avveniva nel primo periodo dell’esilio. La vita di S. Fulgenzio
ne parla in modo esplicito. La fama degli esiliati - dice il testo - perveniva
in Africa e a Cartagine: "Haec fama per dies singulos crescens,
Carthaginensis quoque Ecclesiae populos ad majora gaudia provocabat, et
certissimis testibus ex illa provincia venientibus beatum Fulgentium
commendabat absentibus" (Ferrando, cap. XX, n. 43). Ma dalla
verosimiglianza - dalla occasione che sembrava la più favorevole - gli storici
delle nostre cose, invece di basarsi esclusivamente su documenti certi sono
passati a rifugiarsi su documenti criticamente non probanti, come la lettera di
Pietro Oldradi e le false pergamene d’Arborea.
2 - Le reliquie di S. Agostino furono
certamente in Sardegna e poi da Liutprando trasferite a Pavia.
3 - La città di Cagliari non viene
nominata; ma se c’è una città che può vantare di aver posseduto le spoglie di
S. Agostino questa è propria Cagliari.
I
contatti fra l’Africa, da cui dipese la Sardegna, sotto i Bizantini e sotto i
Vandali, e la città di Cagliari furono continui. Il fatto stesso che un gruppo
di esiliati in Sardegna dal re Trasamondo, li troviamo con S. Fulgenzio a
Cagliari (Vita Fulgentii) favorisce, a prescindere dalla data e dai modi, la
traslazione del corpo di S. Agostino a Cagliari. Aggiugiamo che nessuna
località sarda ha mai vantato di aver avuto le reliquie di S. Agostino; e
nessuna di esse ha una presenza di religiosi agostiniani come Cagliari, che li
ricorda sin dal 1421 (Martini, III, pag. 458-459): i conventi delle altre città
sorsero dopo. A completare il ragionamento, in favore di Cagliari, si aggiunga
il fatto che i Saraceni invadevano più facilmente le coste meridionali sarde,
fra le quali quelle del golfo di Cagliari, posta di fronte all’Africa.
Fatte
queste necessarie precisazioni, non mi resta che congratularmi con tutti quanti
hanno organizzato e voluto queste conversazioni. E mi auguro che il culto e la
devozione dei cagliaritani per S. Agostino, manifestati nell’antica chiesa di
Stampace (oggi c’è la cripta al Largo Carlo Felice n. 12) e in questa più
recente di via Baylle, continui con rinnovato slancio e fervore ad opera del
gruppo volitivo di Villanova, animati e guidati dal giovane sacerdote Don
Vincenzo Fois, bramoso di creare di questa chiesa un centro di devozione e di
cultura per tutto il popolo. L’iniziativa è ottima: ai cuori generosi
alimentarla e aiutarla e a S. Agostino proteggerla e benedirla efficacemente.
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scrive Rolando Berretta (in due parti)
RispondiEliminaDiciamoci la verità: abbiamo, tutti, sentito parlare di Paolo Orosio per la sua opera dove ricorda i cruenti sacrifici umani dei Cartaginesi. E ci andò pesante a proposito del primo trattato fra Roma e Cartagine : III 71 ritengo che anche il primo trattato che in quel tempo venne stipulato con i Cartaginesi si debba annoverare tra i mali soprattutto perchè da esso provennero sciagure che ebbero inizio immediatamente dopo. 2 402 anni dopo la fondazione di Roma furono mandati ambasciatori a Roma e fu firmato un trattato. 3 Le testimonianze della storia , l'infamia gettata sui luoghi e l'abominio decretato contro i giorni in cui quei fatti accaddero , attestano la grandine di mali e le ininterrotte tenebre di incessanti sciagure che seguirono l'arrivo dei Cartaginesi in Italia. Si vide la notte estendersi per la maggior parte del giorno e una grandine di chicchi grossi come pietre cadde dalle nubi a lapidar la terra.. (serve per rinfrescare la memoria sui trattati!)
Abbiamo prestato poco attenzione al fatto che fosse un discepolo di sant’Agostino. Se Orosio era, solo, un discepolo immaginiamo quanto fosse dotto il Maestro e lo spessore culturale degli altri discepoli. Andiamo avanti.
Sul finire del V secolo d.C., a seguito della conquista dell'Isola da parte delle armate di Genserico, finì in Sardegna l'epoca romana ed iniziò quella vandalica. Il re Trasamondo deportò in città vari ecclesiastici africani fra cui il vescovo San Fulgenzio da Ruspe e il vescovo Feliciano il quale trasportò con sé, da Cartagine, le spoglie di Sant'Agostino che vennero deposte in una chiesa, oggi scomparsa, che sorgeva nei pressi di Largo Carlo Felice. Diciamo che erano quasi a casa; Cagliari era piena di ex Cartaginesi. Di quei Cartaginesi che, già dai tempi antichi, giuravano su Iolao.
Il guppo di Fulgenzio fu imbarcato, a forza, di notte con quel poco che avevano addosso e furono accolti nella BASILICA di S.Saturnino.
Feliciano organizzò meglio le cose; trasportò il Santo. Trasportò sicuramente tanti documenti!
L’esilio finì nel 523 quando, morto Trasamondo, gli succedette nel trono Ilderico, che richiamò in patria gli esiliati (Bibl. Sanctorum, vol. V, col. 1307). Erano passati circa 15 anni. Gli esuli, nel ritornare in Africa, dovrebbero aver riportato indietro le reliquie del Santo. Invece furono lasciate a Cagliari. (1° mistero!) In quel luogo non è mai sorta una Basilica: era il minimo.
Precedentemente le armate di Genserico avevano messo fuori uso l’acquedotto romano.
sempre Rolando Berretta (seconda parte)
RispondiEliminaPrecedentemente le armate di Genserico avevano messo fuori uso l'acquedotto romano.
I Cagliaritani si arrangiarono con le vecchie cisterne. Quelli che occuparono la cripta di sant’Agostino disponevano di una fonte di acqua corrente. Da quel poco, che ho letto, ho capito che l’acqua potabile era salatissima. Quindi i paramenti, in seta e oro, del Santo dovrebbero avere un’altra origine; posteriore. Tutto il materiale manoscritto fu portato in un luogo asciutto. Quella, purtroppo, era la zona delle terme romane rimaste a secco. Una grotta c’era. Torniamo alla cripta miracolosa. In quel luogo nel 1491 il P. Generale Anselmo da Montefalco acquistò il sepolcro di S. Agostino, facendosi interprete del desiderio di tutto l’Ordine di avere una casa sul luogo che custodì le ossa del fondatore fino alla loro traslazione a Pavia.
Pisa nel 1016 contribuì alla cacciata dalla Sardegna di Mugahid, detto Musetto, nel 1052 conquistò la Corsica e nel 1115 le Baleari. Inoltre l'odierna città di Cagliari trae le sue origini dal trasferimento del suo cuore politico e religioso e militare nella rocca fortificata di Castel di Castro, edificata da un gruppo dai mercanti pisani nel 1216/17.
La Basilica di San Pietro in Ciel d'Oro consacrata da Papa Innocenzo II nel 1132, (2°mistero) vanta grande prestigio e notorietà nel mondo cattolico in quanto ospita, da oltre un millennio, le spoglie di sant'Agostino da Ippona. Ha la dignità di basilica minore.
Io sto cercando di capire che fine fecero alcuni documenti che mi interessano. Fino all’arrivo dei Pisani, in geografia, eravamo messi male. Claudio Tolomeo era un vago ricordo: lo citerà Brunetto Latini, fiorentino, nel Tesoretto.
Arrivarono i Pisani e, con tanto di permesso, si soffermarono, a Cagliari, nella vecchia e abbandonata Città delle Città della Sardegna; nella Cagliari romana. Sistemarono il porto e fecero le prime chiese; materiale ne avevano in abbondanza. (I nuovi Cagliaritani erano a S.Igia). Pietra dopo pietra, tutto in salita, arrivarono sul cucuzzolo. Avevano, pure, provato a costruire una chiesa direttamente su una grotta, con tanto di fonte battesimale a fianco, ma si bloccarono. (3°mistero)
Sono 15 (quindici) che cerco di capire da dove, i Pisani, tirarono fuori le “carte” per fare il primo portolano. Sono sicuro che quella grotta fu rovistata da cima a fondo. Molto finì a Pisa.
Assodato che a Cagliari non c’è mai stata una Basilica dedicata ad Agostino.
Assodato che la prima Basilica, dedicata, risale al 1132, ognuno tragga le sue conclusioni.