Dalla terra spuntavano tracce di 52 oggetti; molti altri sono certamente ancora nel sottosuolo, forse accanto a resti umani. Tra i reperti: seggi cerimoniali di pietra (anche detti metates) e recipienti finemente decorati con serpenti, avvoltoi e figure zoomorfe.
un "giaguaro mannaro". Forse rappresenta uno sciamano in uno stato di trasfigurazione indotto da uno spirito, oppure potrebbe essere collegato a uno dei giochi rituali con la palla tipici della Mesoamerica precolombiana. "La figura sembra indossare una specie di casco", dice Fisher.
Oscar Neil Cruz, archeologo dell'Istituto di Antropologia dell'Honduras (IHAH) e membro del team, ritiene che gli oggetti risalgano a un periodo tra il 1000 e il 1400. Gli oggetti sono stati inventariati ma lasciati sepolti. Per proteggere il sito dai saccheggiatori, la sua posizione precisa per ora non sarà rivelata.
Da almeno un secolo che esploratori e prospettori minerari che si erano avventurati in quella giungla raccontavano di aver scorto tra la fitta vegetazione i bianchi bastioni di una città perduta. Anche i racconti delle popolazioni indigene parlavano di una "casa bianca" o di un "posto del cacao" dove i loro antenati si erano rifugiati durante la conquista spagnola: una sorta di mistico paradiso terrestre da cui nessuno era mai tornato.
Fin dal 1920, diverse spedizioni erano partite in cerca di questa Ciudad Blanca. La più famosa fu promossa nel 1940 dall'eccentrico esploratore Theodore Morde, sotto l'egida del Museum of the American Indian di Washington.
Morde tornò dalla Mosquitia con migliaia di reperti, sostenendo di essere entrato nella Città Bianca e raccontando che, secondo gli indigeni del luogo, vi era sepolta la gigantesca statua di un dio scimmia. L'esploratore, però, si rifiutò di rivelare la posizione della città per paura dei saccheggiatori. Qualche anno dopo si suicidò, e il sito - se davvero l'aveva scoperto - non fu mai ritrovato.
Per effettuare la ricognizione aerea hanno ottenuto la collaborazione del Center for Airborne Laser Mapping della University of Houston. Un Cessna Skymaster, fornito di uno scanner Lidar da un milione di dollari, ha sorvolato la valle gettando una luce laser sulla volta arborea.
La tecnologia Lidar - “Light Detection and Ranging” - è in grado di mappare un territorio anche se coperto da una densa foresta pluviale, delineando le tracce di eventuali strutture archeologiche presenti. Una volta lavorate, le immagini hanno mostrato conformazioni innaturali presenti su una lunghezza di circa un chilometro e mezzo nella valle. Dall'analisi delle immagini Fisher si è accorto che il terreno lungo il fiume era stato modificato artificialmente. Erano visibili tracce di strutture pubbliche e cerimoniali, di giganteschi lavori di sterro e terrapieni, e forse anche di canali d'irrigazione e laghi artificiali: Fisher ne ha dedotto che quell'insediamento doveva davvero essere una città precolombiana.
La spedizione ha confermato sul campo tutte le caratteristiche scoperte dalle immagini Lidar, e molto di più. Tuttavia gli archeologi non credono più alle leggende che parlano di un'unica Ciudad Blanca perduta. Ritengono invece che la Mosquitia nasconda parecchie città del genere, che tutte insieme rappresenterebbero qualcosa di ben più importante: un'intera civiltà scomparsa.
"È sicuramente la foresta pluviale più intatta dell'America Centrale", dice Mark Plotkin, l'etnobotanico della spedizione, che ha passato 30 anni in Amazzonia. "È un luogo di importanza eccezionale".
Virgilio Paredes Trapero, direttore dell'IHAH, l'istituto sotto i cui auspici si è tenuta la spedizione, conclude: "Se non agiamo subito, gran parte della foresta e della valle sparirà nel giro di otto anni. Il governo dell'Honduras vuole impegnarsi per proteggere la zona, ma non ha abbastanza soldi. Abbiamo urgente bisogno di aiuti internazionali".
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