Ma all'improvviso tra le nubi si apre uno squarcio e l'Arteni sembra scintillare come coperto da un mosaico di piccoli specchi. Ogni metro quadro della sua superficie, a perdita d'occhio, è tappezzato da frammenti di ossidiana, gran parte dei quali scheggiati a formare armi e strumenti affilati.
“Questo era una gigantesca fabbrica all'aria aperta", racconta l'archeologo Boris Gasparyan dell'Istituto nazionale Armeno di Archeologia ed Etnologia. Da questo sito montuoso, miriadi di lame, asce manuali, raschiatoi, punte di freccia e
di lancia partivano verso destinazioni lontane seguendo una vasta rete di scambi che precede di gran lunga le più antiche testimonianze di attività commerciali vere e proprie.
L'area di diffusione stimata dei manufatti dell'Arteni è stupefacente. Si ritiene che la produzione attiva risalga già al Paleolitico inferiore, quando gli artigiani della regione erano Neandertal. I loro successori attinsero allo stesso materiale fino al primo millennio avanti Cristo. Gasparyan e gli altri archeologi del team internazionale negli anni hanno raccolto ad Arteni e in altri siti migliaia di strumenti paleolitici.
Ciononostante, il loro lavoro è appena all'inizio: "È impossibile identificare il numero di strumenti in ossidiana prodotti qui in periodi diversi, dal Paleolitico all'Età del Bronzo e del Ferro. Siamo nell'ordine dei milioni di reperti".
Nel 2011, racconta l'antropologo Ellery Frahm della University of Minnesota, era ormai normale per i ricercatori raccogliere in Armenia mezzo migliaio di manufatti in una sola giornata, un numero che non ha precedenti nelle ricerche tradizionali.
Il sistema convenzionale impiegato a questo scopo però era costoso e lungo, e richiedeva che il materiale venisse polverizzato e analizzato in laboratori lontani dai luoghi di scavo. Davanti all'enorme mole di manufatti armeni, dice Frahm, era cruciale che quel lavoro venisse svolto sul campo.
La sua soluzione si chiama pXRF, uno strumento portatile per la fluorescenza a raggi X, grande più o meno come un trapano, che analizza la composizione chimica di un reperto in pochi secondi e senza bisogno di polverizzarlo. Dal 2011, da quando cioè ha deciso di ulilizzarlo sul campo adattandolo allo scavo di Gasparyan, “abbiamo analizzato più reperti in ossidiana di quanto fosse stato fatto in tutti i precedenti studi condotti in Armenia".
Nel 2014 Frahm ha aggiunto anche un'altro metodo d'analisi, stavolta sviluppato all'Institute for Rock Magnetism della University of Minnesota, finalizzato a misurare i minuscoli granelli di magnetite - un ossido di ferro con proprietà magnetiche - che conferiscono all'ossidiana il suo color ebano. Le misurazioni, spiega Frahm, “rivelano le differenze in termini di dimensioni, forma e composizione dei granelli di un flusso lavico rispetto ad un altro".
Questa tecnica di analisi permette quindi di restringere ulteriormente il campo di ricerca, rivelando le abitudini degli antichi costruttori di questi utensili: ad esempio, preferivano attingere allo stesso flusso o andavano da uno all'altro per ragioni a noi sconosciute? L'obiettivo, spiega Frahm, è gettare luce sulle strategie di rifornimento dei Neandertal in Armenia.
Se a questo si aggiunge che il Caucaso era uno dei più importanti ponti di terra utilizzati durante la prima diffusione umana, il vasto raggio di circolazione degli strumenti di ossidiana assume un significato di enorme importanza.
Le rotte euroasiatiche battute dagli strumenti di ossidiana paleolitici sono straordinariamente simili a quelli dei commerci anche medioevali che sarebbero seguiti da lì a millenni dopo, compresa, secondo Gasparyan, la celebre Via della Seta. Le testimonianze più recenti indicano però che queste rotte pre-commerciali siano comunque solo uno degli ultimi capitoli di una saga che va ancora più indietro nel tempo.
Verso la fine del 2013, i paleoantropologi georgiani guidati da David Lordkipanidze hanno annunciato la scoperta dei più antichi resti umani mai rinvenuti fuori dall'Africa orientale: cinque crani di Homo erectus (nella foto, uno dei reperti) risalenti a 1,8 milioni di anni fa. Il luogo della scoperta, Dmanisi, in Georgia, si trova solo a pochi chilometri di distanza dal confine con l'Armenia.
Alcuni reperti in ossidiana del sito di Arteni sono già stati datati a oltre 1,4 milioni di anni fa, ricorda Frahm: “Sonopressoché certo", afferma lo studioso, del fatto "che i membri del genere Homo abbiano usato strumenti di ossidiana fin dalla loro comparsa”.
Come sempre post interessanti
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