Nel corso delle scorse settimane, i combattimenti fra i ribelli sciiti Houthi e le forze fedeli al presidente yemenita Abd Rabbuh Mansur Hadi, che godono del supporto aereo della coalizione saudita, hanno subito un'escalation attorno all'attuale città di
Le prime immagini dei danni subiti dalla diga sono apparse sui social media, e riprese dai media locali il 1
L'archeologa Iris Gerlach dell'Istituto Archeologico Tedesco (DAI) ha studiato e restaurato i resti della Grande Diga, di cui restano oggi solo le chiuse. Secondo le sue fonti a Marib, nel raid aereo sarebbe stata colpita la chiusa settentrionale, finora la meglio conservata.
Secondo le autorità yemenite, il raid che avrebbe danneggiato la diga sarebbe stato condotto dalle forze di coalizione saudite. L'ambasciata dell'Arabia Saudita negli Stati Uniti non ha risposto alla richiesta di commenti. L'Autorità Generale per le Antichità e i Musei dello Yemen ha condannato l'attacco e minacciato azioni legali contro il governo saudita.
Dall'VIII secolo a.C. fino al V o VI secolo d.C., la Grande Diga permise la fioritura della civiltà attorno a Marib, la città più grande dell'antica Arabia meridionale. Alto 15 metri e lungo 650, il muro di ritenzione in mattoni di fango (grande due volte la diga di Hoover), irreggimentava le precipitazioni delle periodiche piogge monsoniche provocate dalle vicine elevazioni montuose, permettendo l'irrigazione di circa 10.000 ettari di terreno coltivabile.
Durante i circa mille anni del suo utilizzo, la Grande Diga di Marib venne ricostruita più volte (un'iscrizione riporta che le riparazioni richiesero il lavoro di 20.000 uomini e oltre 14.000 cammelli); gli interventi di manutenzione divennero ancora più frequenti dopo la conquista del regno sabeo da parte dei vicini Himyariti, nel III secolo d.C. Fra la metà del VI secolo e la morte di Maometto, nel 632, le chiuse della diga si ostruirono in modo irreparabile, decretando la fine della diga; un evento di cui parla il Corano, che lo cita come punizione verso i Sabei per aver rifiutato Allah.
Le immagini apparse sui social media rivelano danni alla torre alta sette metri della chiusa settentrionale, costruita in blocchi di calcare. Molti di questi sembrano provenire da precedenti costruzioni della diga e presentano iscrizioni sabee e himyarite.
Le fonti yemenite hanno riferito a Gerlach che anche il sito sabeo di Sirwah, situato 35 chilometri più a ovest di Marib, avrebbe subito danni considerevoli durante i recenti combattimenti nelle vicinanze del palazzo del governatorato locale. Non si conosce ancora la sorte di uno dei più importanti monumenti di Sirwah, un'iscrizione lunga 7 metri che descrive le gesta del più potente sovrano del regno, Karibil il Grande.
Gerlach sottolinea che il DAI ha fornito all'UNESCO una lista dei siti archeologici nello Yemen da inoltrare al governo saudita affinché li evitasse nei raid aerei. “Non c'è molto che possiamo fare”, ammette l'archeologa, “a parte questo”.
Nel frattempo, un altro attacco aereo saudita ha distrutto il Museo Regionale del Dhamar, il museo principale del governatorato situato 145 chilometri a sudovest di Marib. Il museo custodiva oltre 150 antiche iscrizioni sudarabiche, tra cui le più antiche iscrizioni conosciute degli altopiani dello Yemen.
Le iscrizioni del museo sopravvivono online grazie al progetto dell'Università di Pisa che ha inventariato e digitalizzato oltre 700 antiche iscrizioni provenienti da nove musei dello Yemen. Alessandra Avanzini, direttore del progetto, afferma che l'obiettivo del DASI ( l'archivio digitale per gli studi delle iscrizioni arabe pre-islamiche) era quello di salvare e mettere a disposizione degli studiosi queste testimonianze della storia pre-islamica della regione. “A dire il vero, quando abbiamo iniziato il progetto non immaginavo che la parola 'salvare' assumesse un significato così letterale", commenta amareggiata la studiosa.
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