mercoledì 30 settembre 2015
Sant’Agostino e i Monaci Benedettini
Sant’Agostino e i Monaci
Benedettini
di Rolando Berretta
Il primo
a menzionare la chiesa di San Saturnino fu il diacono Ferrando,
biografo di san Fulgenzio di Ruspe, il quale soggiornò due volte, tra
il 507 e il 523, nel monastero dotato di scriptorium da
lui fondato iuxta basilicam sancti martyris Saturnini (presso
la basilica di san Saturnino martire). Fulgenzio giunse a Cagliari insieme agli
altri vescovi africani esiliati in Sardegna dal re vandalo Trasamondo nel
primo quarto del VI secolo. Nel 1089 il complesso venne
donato dal Giudice Costantino Salusio II di Cagliari ai monaci benedettini
dell'abbazia di San Vittore di Marsiglia
(Vittorini), che vi stabilirono un priorato. Questo è il periodo
che vede gli uomini di cultura andare in Spagna per imparare l’arabo per leggere
gli antichi autori greci. (l’Occidente aveva
martedì 29 settembre 2015
Gli Aztechi, gli antichi abitanti del Messico
Gli
Aztechi, gli antichi abitanti del Messico
Le fonti storiche giungono dai
conquistadores, i soldati spagnoli di Hernán Cortés, l'artefice della
distruzione della capitale azteca Tenochtitlán e del crollo dell'impero, e sono
arricchite dai documenti redatti dagli stessi Aztechi, costituiti da libri di
scorza d'albero battuta su cui erano annotati tributi, testi sacri e calendari
rituali.
Quando sbarcò Cortes, nel 1519, gli Aztechi erano insediati nella Valle di
Messico da circa due secoli. Dai desertici territori del Messico settentrionale
erano migrati verso sud, dove nel corso del millennio precedente si erano
succedute civiltà complesse, come quella di Teotihuacán e quella dei Toltechi.
L'eredità di queste comunità, antenate degli Aztechi, facilitò lo sviluppo di
un'efficiente organizzazione politica e sociale. Dopo avere fondato la capitale
e contratto alleanze con le comunità già stanziate nella Valle di Messico, gli
Aztechi intrapresero aggressive campagne espansionistiche, attraverso cui
riuscirono a sottomettere numerosi popoli e a controllare un esteso territorio.
Grazie a un sofisticato sistema agricolo, basato sulla coltivazione di mais,
fagioli e zucche, e alle ingenti quantità di tributi che affluivano dai
territori assoggettati, Tenochtitlán divenne una delle più importanti città del
mondo antico, con 300.000 abitanti. Gli Spagnoli la descrivono come una città
attiva e organizzata, che ospitava un vasto mercato ed era sede del potere
imperiale, rappresentato da un sovrano ereditario e dai nobili. L'impero
comprendeva numerose province che versavano periodicamente beni e prodotti al
sovrano ed era difeso da un potente esercito e da fortezze in prossimità dei
confini. L'incontro tra Cortés e l'ultimo imperatore azteco, Montezuma II,
avvenne l'8 novembre del 1519 all'ingresso di Tenochtitlán. Il 13 agosto del
1521, dopo mesi di assedio e una strenua ma inefficace resistenza degli
Aztechi, Tenochtitlán cadde: gli Spagnoli ne distrussero il centro cerimoniale
e di culto, su cui iniziarono subito dopo a costruire la nuova capitale
coloniale, Città di Messico, e assoggettarono i suoi abitanti. Nei decenni
successivi le epidemie decimarono la popolazione nativa, mentre l'opera di
evangelizzazione condotta dagli Spagnoli determinò la disintegrazione della
cultura e della religione azteche. La cultura azteca è documentata da opere
artistiche di pregio, con grandi statue di pietra che rappresentano le
principali divinità. Le vestigia architettoniche sono sepolto sotto l’urbanizzazione
coloniale. Il Templo Mayor, l'area sacra dell'antica Tenochtitlán, si trova
parzialmente sotto la cattedrale di Città di Messico, dove è stato riportato
alla luce un vasto complesso di templi, tra cui spiccano due piramidi gemelle
dedicate alle due divinità maggiori degli Aztechi. Anche la produzione di
ceramica è di eccellente livello artistico, e la sua diffusione documenta
l'ampiezza delle reti commerciali e la vasta estensione dell'impero. Gioielli,
pietre quali la giada e l'ossidiana e ornamenti di piume erano riservati ai
dignitari o al culto delle divinità. Il cibo degli Aztechi era costituito
essenzialmente da vegetali, alcuni dei quali come il pomodoro, il peperoncino,
il cacao e il mais crescevano solo in America e furono introdotti in Europa
dopo la conquista. Gli Aztechi con il mais facevano focacce, mentre dal cacao
ottenevano una bevanda che era offerta agli dei; la carne era quella di
tacchino (l'unico animale domestico, insieme al cane). In America, infatti, non
esistevano maiali, capre, pecore, buoi, cavalli, insomma tutti quegli animali
che popolavano le campagne europee.
lunedì 28 settembre 2015
I misteri del primo decapitato d'America. Scoperto in Brasile un cranio di 9.000 anni fa, coperto da entrambe le mani mozzate e disposte in senso opposto. Chi era, perché è stato ridotto così e dov'è il resto del corpo?
I misteri del primo decapitato
d'America. Scoperto in Brasile un cranio di 9.000 anni fa, coperto
da entrambe le mani mozzate e disposte in senso opposto. Chi era, perché è
stato ridotto così e dov'è il resto del corpo?
di Erika Engelhaupt
Gli archeologi hanno scoperto il più antico caso di
decapitazione del Nuovo Mondo. Il cranio appartiene a un giovane uomo sepolto
in Brasile 9.000 anni fa. Le mani dell'uomo, a loro volta mozzate, sono
disposte in modo particolare: la sinistra è stata appoggiata sul lato destro
della faccia con le dita rivolte verso l’alto, mentre la destra copre il lato
sinistro con le punte rivolte in basso. Nessuno, pare, ha mai visto finora
qualcosa del genere. Perché quest'uomo fu decapitato? Perché quella posa? E
dov'è il resto del corpo?
André Strauss del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology ha rinvenuto il cranio, ma ancora non è riuscito a rispondere a questi interrogativi. La scoperta è avvenuta nel sito di Lapa do Santo, nel Brasile orientale; il cranio era nascosto sotto una roccia, parzialmente schiacciato a causa del
André Strauss del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology ha rinvenuto il cranio, ma ancora non è riuscito a rispondere a questi interrogativi. La scoperta è avvenuta nel sito di Lapa do Santo, nel Brasile orientale; il cranio era nascosto sotto una roccia, parzialmente schiacciato a causa del
domenica 27 settembre 2015
Archeologia. La città perduta del Dio Scimmia.Scoperte nella giungla dell'Honduras le tracce di una civiltà scomparsa
Archeologia. La
città perduta del Dio Scimmia.Scoperte
nella giungla dell'Honduras le tracce di una civiltà scomparsa
di Douglas Preston, fotografie
di Dave Yoder
Le leggende parlavano di una
misteriosa "Città Bianca" o "Città del Dio Scimmia", ma
nessuno l'aveva mai trovata. Adesso un team di archeologi ha scoperto, in una
regione remota e disabitata dell'Honduras, le tracce di ampie piazze, lavori di
sterro, collinette e una piramide di terra: i resti di un'antica cultura che fiorì
un migliaio di anni fa e poi - a differenza di quella dei vicini Maya -
scomparve del tutto, tanto che gli studiosi non le hanno nemmeno ancora dato un
nome. Tra le rovine è stato ritrovato anche un deposito di sculture di pietra
mai più toccate da quando il sito è stato abbandonato.
Christopher Fisher, un archeologo della Colorado State
University specializzato in Mesoamerica che ha partecipato alla spedizione,
spiega che il ritrovamento di un sito intatto, mai saccheggiato è
"incredibilmente raro". Lo studioso ipotizza che le sculture,
nascoste in un deposito segreto alla base della piramide, fossero offerte agli
dei: "oggetti di grande valore tenuti fuori dalla circolazione: si tratta
di una potente manifestazione rituale".
Dalla terra spuntavano tracce di 52 oggetti; molti altri sono certamente ancora nel sottosuolo, forse accanto a resti umani. Tra i reperti: seggi cerimoniali di pietra (anche detti metates) e recipienti finemente decorati con serpenti, avvoltoi e figure zoomorfe.
Dalla terra spuntavano tracce di 52 oggetti; molti altri sono certamente ancora nel sottosuolo, forse accanto a resti umani. Tra i reperti: seggi cerimoniali di pietra (anche detti metates) e recipienti finemente decorati con serpenti, avvoltoi e figure zoomorfe.
L'oggetto più notevole tra quelli recuperati è la testa di
quello che Fischer chiama
sabato 26 settembre 2015
Archeologia e arte: Il Guerriero di Capestrano e Il nuovo Guerriero di Paladino: accoppiata vincente
Il Guerriero di Capestrano e Il nuovo Guerriero di Paladino: accoppiata vincente
di Romano Maria Levante
Il “Guerriero” di Capestrano è una delle più importanti sculture preclassiche europee e di certo la maggiore d’Abruzzo. Un artista contemporaneo, Mimmo Paladino, vi si è ispirato per la sua scultura "Il nuovo Guerriero", esposta con altre sculture in un percorso che da Villa Frigerj approda a Palazzo De Mayo. Lo storico palazzo è in fase di avanzata e radicale ristrutturazione per ospitarvi, oltre alle Fondazione bancaria Carichieti, una annessa struttura polivalente con biblioteche e spazi idonei a mostre d’arte e incontri letterari, conferenze e presentazioni, anche manifestazioni musicali: iniziative che animeranno la città a cura della Fondazione.
La presentazione dell’iniziativa è avvenuta nella sede dell’Associazione
di Romano Maria Levante
Il “Guerriero” di Capestrano è una delle più importanti sculture preclassiche europee e di certo la maggiore d’Abruzzo. Un artista contemporaneo, Mimmo Paladino, vi si è ispirato per la sua scultura "Il nuovo Guerriero", esposta con altre sculture in un percorso che da Villa Frigerj approda a Palazzo De Mayo. Lo storico palazzo è in fase di avanzata e radicale ristrutturazione per ospitarvi, oltre alle Fondazione bancaria Carichieti, una annessa struttura polivalente con biblioteche e spazi idonei a mostre d’arte e incontri letterari, conferenze e presentazioni, anche manifestazioni musicali: iniziative che animeranno la città a cura della Fondazione.
La presentazione dell’iniziativa è avvenuta nella sede dell’Associazione
venerdì 25 settembre 2015
Archeologia. Alimentazione, ambiente ed economia al tempo dei nuraghi
Alimentazione, ambiente ed economia al tempo dei nuraghi
di Mauro Perra
Sembrerebbero tre temi diversi fra loro, ma in realtà sono in connessione.
L’alimentazione riguarda ciò di cui si nutrivano in quel periodo. Gli archeologi stanno scoprendo gli alimenti consumati dai nuragici grazie alle nuove ricerche archeologiche, che si avvalgono di nuove tecniche di analisi chimica e fisica. Dal VI Millennio in poi, in Sardegna, l’uomo da predatore diventa produttore e, passando ad un’economia di produzione, deve adottare strutture economiche.
La produzione umana dei beni di sussistenza, così come avviene nei nostri tempi, si impatta sull’ambiente. Le attività dell’uomo lasciano tracce, a volte pesanti, sull’ambiente circostante e, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, si è cominciato a pensare al nuraghe non più come la “cattedrale nel deserto”, procedendo alla descrizione di ogni singola pietra e di ogni ceramica trovata dentro l’edificio, ma si è iniziato a fare una serie di studi che riguardano i tre temi dell’argomento:alimentazione, economia e ambiente.
Si è iniziato a cambiare il paradigma dell’archeologia e si è capito che gli archeologi non erano più quelli che, armati di piccozza, dovevano recuperare i manufatti, ma dovevano raccogliere anche più dati possibile, con nuove tecnologie. Ricordiamo che lo scavo è distruttivo, e una volta distrutto non lo si può recuperare. Bisogna quindi documentarlo nel migliore dei modi, con fotografie, disegni e analisi, altrimenti dopo non rimane più niente. Già dagli anni Settanta, in varie zone d’Europa, venivano applicate nuove tecniche che affiancavano il lavoro degli archeologi, perché si capì la connessione fra ambiente e strutture costruite.
Abbiamo una situazione nella quale l’uomo si alimenta, e per farlo deve produrre. Le sue attività hanno un impatto sull’ambiente circostante e lo trasformano.
L’alimentazione non è un puro fatto gastrico. È un elemento culturale complesso e importante, infatti ancora oggi c’è il pranzo quotidiano che riunisce la famiglia, o il pranzo di rappresentanza dove si mostra qualcosa di sé all’ospite, e il pranzo diventa una sorta di status symbol. Fino a pochi decenni fa c’era il pranzo dei morti: i parenti preparavano il pranzo per tutti i convenuti alla cerimonia funebre e la notte lasciavano qualcosa da mangiare per i defunti.
Se ci spostiamo nell’antichità greca, con il mito dei
di Mauro Perra
Sembrerebbero tre temi diversi fra loro, ma in realtà sono in connessione.
L’alimentazione riguarda ciò di cui si nutrivano in quel periodo. Gli archeologi stanno scoprendo gli alimenti consumati dai nuragici grazie alle nuove ricerche archeologiche, che si avvalgono di nuove tecniche di analisi chimica e fisica. Dal VI Millennio in poi, in Sardegna, l’uomo da predatore diventa produttore e, passando ad un’economia di produzione, deve adottare strutture economiche.
La produzione umana dei beni di sussistenza, così come avviene nei nostri tempi, si impatta sull’ambiente. Le attività dell’uomo lasciano tracce, a volte pesanti, sull’ambiente circostante e, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, si è cominciato a pensare al nuraghe non più come la “cattedrale nel deserto”, procedendo alla descrizione di ogni singola pietra e di ogni ceramica trovata dentro l’edificio, ma si è iniziato a fare una serie di studi che riguardano i tre temi dell’argomento:alimentazione, economia e ambiente.
Si è iniziato a cambiare il paradigma dell’archeologia e si è capito che gli archeologi non erano più quelli che, armati di piccozza, dovevano recuperare i manufatti, ma dovevano raccogliere anche più dati possibile, con nuove tecnologie. Ricordiamo che lo scavo è distruttivo, e una volta distrutto non lo si può recuperare. Bisogna quindi documentarlo nel migliore dei modi, con fotografie, disegni e analisi, altrimenti dopo non rimane più niente. Già dagli anni Settanta, in varie zone d’Europa, venivano applicate nuove tecniche che affiancavano il lavoro degli archeologi, perché si capì la connessione fra ambiente e strutture costruite.
Abbiamo una situazione nella quale l’uomo si alimenta, e per farlo deve produrre. Le sue attività hanno un impatto sull’ambiente circostante e lo trasformano.
L’alimentazione non è un puro fatto gastrico. È un elemento culturale complesso e importante, infatti ancora oggi c’è il pranzo quotidiano che riunisce la famiglia, o il pranzo di rappresentanza dove si mostra qualcosa di sé all’ospite, e il pranzo diventa una sorta di status symbol. Fino a pochi decenni fa c’era il pranzo dei morti: i parenti preparavano il pranzo per tutti i convenuti alla cerimonia funebre e la notte lasciavano qualcosa da mangiare per i defunti.
Se ci spostiamo nell’antichità greca, con il mito dei
giovedì 24 settembre 2015
Associazione Culturale Honebu. Ciclo di conferenze sulla "Storia di Cagliari". Alfonso Stiglitz racconta la Cagliari Punica
Associazione Culturale Honebu. Ciclo di conferenze sulla "Storia di Cagliari".
Buongiorno a tutti i lettori del quotidiano on line,
Buongiorno a tutti i lettori del quotidiano on line,
sono lieto di comunicare che Venerdì 25 Settembre, con inizio alle ore 19.00, nella sala conferenze dell'Associazione Culturale Honebu, in Via Fratelli Bandiera 100 a Cagliari - Pirri, si svolgerà il terzo incontro sul tema: "La Storia di Cagliari".
Relatore sarà l'archeologo Alfonso Stiglitz, direttore del Museo Archeologico di San Vero Milis.
Con l'ausilio di immagini, lo studioso illustrerà le trasformazioni socio culturali della città di Cagliari nella fase finale del periodo punico, un'epoca segnata dalle vicende di assestamento fra la consolidata organizzazione punica e la nuova amministrazione romana. Si parlerà della necropoli di Tuvixeddu e dello spostamento del porto in Via Roma.
L'ingresso alle serate è libero, con l'invito ai soci di portare amici e parenti per far conoscere la nostra associazione.
Con i migliori saluti, e preghiera di condivisione degli eventi.
mercoledì 23 settembre 2015
Sant’Agostino, Paolo Diacono, Liutprando e i saraceni. Nuove ricerche di Rolando Berretta
Sant’Agostino, Paolo Diacono, Liutprando e i saraceni a Sant'Antioco. Nuove
ricerche.
di Rolando Berretta
Sempre da Paolo Diacono:
Della ecclisse della Luna e del Sole, e della peste che infierì a Roma e a Ticino.
In
questi giorni nell'ottava indizione la Luna patì un'eclisse. Parimente il Sole
s'eclissò quasi nel medesimo tempo all'ora decima del
giorno 5 maggio (verso il 680); dopo di che venne una fierissima peste, che
durò tre mesi, cioè luglio, agosto e settembre: e tanta fu la moltitudine dei
morti nella città di Roma, che i padri coi figli, e i fratelli colle sorelle, a
due a due posti sulla medesima bara, venivano trasportati al sepolcro. Similmente
questo morbo spopolò Ticino, cosicchè fuggendo tutti i cittadini per le cime
dei monti, o per altri luoghi deserti, nella piazza e nelle contrade della
città nascevano l'erbe, e gli arbusti, Allora apparvero visibilmente il buono
ed il cattivo angelo, i quali notte tempo andavano in giro per la città, e ad
un cenno dell'angelo buono, il cattivo angelo che vedeasi stringere in mano uno
spiedo, quante volte col ferro battea alla porta di qualche
martedì 22 settembre 2015
La Tabula Capuana, di Massimo Pittau
Il Liber
Acheronticus della Tabula Capuana
di Massimo Pittau
La Tabula Capuana, fatta con terracotta
bruna (cm 62 x 48/49 cm) e detta impropriamente anche Tegula perché assomiglia lontanamente a una tegola, è stata trovata
a Santa Maria di Capua Vetere, in Campania, nel 1898. Purtroppo non fu
acquisita dal Museo di Napoli perché il suo direttore la ritenne un falso,
mentre fu riconosciuta come autentica e pertanto acquistata da uno studioso
tedesco, Ludwig Pollak. Poco dopo entrò a far parte del patrimonio del Museo di
Berlino, del quale attualmente costituisce uno dei cimeli più importanti e
preziosi.
Molto probabilmente
la Tabula è stata trovata nella
necropoli dell’antica città etrusca. Una forte conferma di questa circostanza
del ritrovamento viene dal fatto che la Tabula
contiene un «Calendario di cerimonie funerarie». Tanto è vero che quasi tutte
le divinità citate appartengono al gruppo degli «Dèi Inferi», con in testa LEΘAM
= Lethe cioè «Ade, Plutone».
La Tabula è scritta secondo la modalità
bustrofedica, con avvio sinistrorso, cioè da destra a
lunedì 21 settembre 2015
Archeologia. Raid aerei colpiscono la Grande Diga di Marib, meraviglia ingegneristica dell'antichità
Colpita la Grande Diga di
Marib, meraviglia ingegneristica dell'antichità
Danneggiato durante un raid
aereo saudita nello Yemen il sito archeologico più importante dell'antico regno
della regina di Saba, risalente al primo millennio avanti Cristo
L'antica Marib era la capitale
del Regno sabeo, ritenuto il leggendario reame della biblica regina di Saba,
fiorito durante il primo millennio avanti Cristo. Assieme ai resti della diga -
considerata il più importante sito archeologico yemenita e una delle principali
ragioni della straordinaria fioritura della cultura sabea - gli scavi condotti
nell'antica capitale hanno portato alla luce due complessi templari
pre-islamici dedicati ad Almaqah, la principale divinità del regno.
Nel corso delle scorse settimane, i combattimenti fra i ribelli sciiti Houthi e le forze fedeli al presidente yemenita Abd Rabbuh Mansur Hadi, che godono del supporto aereo della coalizione saudita, hanno subito un'escalation attorno all'attuale città di
Nel corso delle scorse settimane, i combattimenti fra i ribelli sciiti Houthi e le forze fedeli al presidente yemenita Abd Rabbuh Mansur Hadi, che godono del supporto aereo della coalizione saudita, hanno subito un'escalation attorno all'attuale città di
domenica 20 settembre 2015
Archeologia. Falsi "impresentabili" al museo Salinas. Tenuti negli scantinati saranno esposti mercoledì a Palermo.
Falsi
"impresentabili" al museo Salinas. Tenuti negli scantinati saranno esposti mercoledì a
Palermo.
La storia dell'arte e
l'archeologia sono costellate da falsificazioni, manipolazioni, piccole grandi
truffe storiche. I magazzini del museo archeologico Salinas di Palermo sono
pieni di oggetti "autenticamente falsi" che fino a oggi sono stati considerati
"impresentabili". E perciò sepolti negli scantinati, condannati al
buio e banditi dagli studiosi. Ma ora proprio dai depositi affiora una storia
dell'Ottocento per la prima volta consegnata al pubblico con tutto il corredo
di segreti che non potevano essere raccontati. Mercoledì questi oggetti saranno
esposti in occasione di una conferenza di Flavia Frisone dell'Università del
Salento: "Veramente falsi. I reperti impresentabili del museo
Salinas". In mezzo alle straordinarie collezioni del museo queste opere
false sono state riportate alla luce durante lavori di restauro.
Si tratta di stranissimi oggetti, animali fantastici, incredibili figure umane e iscrizioni misteriose. Sono stati rinvenuti a metà dell'Ottocento a Giardini-Naxos, sotto Taormina, e sono legati a un'intricata vicenda di dubbi, inchieste e sequestri alla fine della quale furono nascosti per sempre alla vista del pubblico.
Ma prima riuscirono a fare il giro d'Europa nel mercato internazionale dei "cacciatori di antichità". Come in un giallo, sarà indagato lo spazio in cui un tempo operavano fianco a fianco, e talvolta in un rapporto di complicità, illustri archeologi e scavatori clandestini. Oltre all'aspetto curioso del lavoro dei falsari, spesso segnato da tanta ingenuità, si parlerà dell'idea dell'antico plasmata da un'archeologia ai suoi primi passi. Sarà ricostruita così una stagione in cui i falsi costituivano un vero e proprio percorso alternativo di conoscenza. Insomma, erano falsi ma anche utili e a volte perfino preziosi elementi di studio e di ricerca.
Si tratta di stranissimi oggetti, animali fantastici, incredibili figure umane e iscrizioni misteriose. Sono stati rinvenuti a metà dell'Ottocento a Giardini-Naxos, sotto Taormina, e sono legati a un'intricata vicenda di dubbi, inchieste e sequestri alla fine della quale furono nascosti per sempre alla vista del pubblico.
Ma prima riuscirono a fare il giro d'Europa nel mercato internazionale dei "cacciatori di antichità". Come in un giallo, sarà indagato lo spazio in cui un tempo operavano fianco a fianco, e talvolta in un rapporto di complicità, illustri archeologi e scavatori clandestini. Oltre all'aspetto curioso del lavoro dei falsari, spesso segnato da tanta ingenuità, si parlerà dell'idea dell'antico plasmata da un'archeologia ai suoi primi passi. Sarà ricostruita così una stagione in cui i falsi costituivano un vero e proprio percorso alternativo di conoscenza. Insomma, erano falsi ma anche utili e a volte perfino preziosi elementi di studio e di ricerca.
Fonte: ANSA
sabato 19 settembre 2015
...ancora su Sant'Agostino e la Carta de Logu
...ancora su Sant'Agostino e la Carta de Logu
di Rolando Berretta
Esiste la Carta de Logu,
codice giuridico, contenente solo articoli di legge. Niente e nessuno ha mai vietato
di indicarla come Carta d’Arborea o Carta di Eleonora o in altro modo.
(Sul sito della Regione
Sardegna Cultura si può scaricare il pdf completo.)
Nel 1845 fece la sua comparsa
una diversa Carta d’Arborea. Nel 1870
una commissione scientifica dell’Accademia
delle Scienze di Berlino,
presieduta da Theodor Mommsen, ne decretò la totale falsità. Quindi, come si sente la
parola, Carte d’Arborea, prestare la massima attenzione. In quelle false sono
riportati una serie di pezzi che “dovrebbero” essere copie di antichi
documenti, andati persi, provenienti, forse, da un archivio di Cagliari. Dopo
il 1870 si aprirono gli occhi ma il danno era stato fatto; studiosi famosi vi
avevano attinto. Occhio alle due date e ai nuovi documenti del periodo.
Torniamo
a sant’Agostino.
(Bullettino archeologico sardo n°2 - anno IV - febbraio 1858 - dal Can. Cav.
Giovanni Spano - pag. 23)
(così) … coi
novelli documenti.
Allorquando Trasamondo, re dei Vandali
(a. 504), mandava in esilio in Sardegna i vescovi africani, che rimasti
incrollabili nella fede di Cristo, aveano ricusato di piegar la fronte alle
dottrine d'Ario, tra questi illustri esuli annoveravansi l' insigne vescovo di
Ruspa S. Fulgenzio, ed il vescovo d'Ippona. Quest' ultimo condusse seco a
Cagliari il sagro corpo di S. Agostino, che tolto avea dal suo santuario, onde
salvarlo dalle vandaliche profanazioni. Non v'ha dubbio che la Sardegna essendo
allora dominata dagli stessi Vandali, il vescovo d'Ippona abbia studiato il
modo di tenere occulte in Cagliari quelle sagre spoglie, onde ivi non
soffrissero quelle profanazioni che aveva inteso cansare, togliendole dal
santuario africano. È perciò che torna naturale il credere che lo stesso sagro
corpo siasi offerto alla venerazione dei pietosi cagliaritani, dopo che, colla
caduta della signoria vandalica, tornò la pace alla chiesa sarda sotto quella
degl'imperatori bizantini. La tradizione non mai interrotta della chiesa
istessa ci chiariva infallantemente che il corpo del Santo veniva depositato
nel sito stesso che poco anzi abbiamo mentovato, e che alla chiesa sovrapposta
stava unito un monastero, i di cui membri tenevano in custodia quelle reliquie.
Ciò trae conferma dal palinsesto (mentovato in questo stesso bullettino, anno
primo, pag. 106) il quale, nei caratteri sottoposti, presenta un brano di
cronaca, scritta dodici anni dopo della prima invasione di Cagliari fatta dagli
Arabi nei primi lustri del secolo ottavo. Ricaviamo, infatti, dalla medesima
che la chiesa ove stava il sagro deposito era prossima alla riva del mare, e
che il monastero vi andava congiunto. Ad un tempo questo palinsesto ci dà altri
preziosi particolari sovra i fatti che accompagnarono il riscatto del corpo del
santo vescovo, operato dai legati di Liutprando, re dei Longobardi. Non sì
tosto per l'orbe cristiano si sparse la memoria della profanazione delle cose
sacre in Sardegna e specialmente in Cagliari, che cadde finalmente sotto la
spada degli Arabi nell' anno 720 circa, il mentovato Liutprando inviò a
Cagliari dei legati, acciocchè riscattassero dagli Arabi le sagre spoglie di
Sant' Agostino e le conducessero in Pavia, sede del suo regno. Regnava allora
in Sardegna il re Gialeto, e tanto per lui quanto pei pietosi cagliaritani ed i
religiosi del monastero che custodivano le venerate ossa, fu un giorno di lutto
immenso quello dell'arrivo dei legati. Gialeto, per conservare quelle reliquie
sul patrio suolo, ne ordinava il rapimento: ma invano. Appena si poterono salvare
le vestimenta del Santo per opera d'un Analogeo, che insieme con certi Giono, e
Laderto (ai quali due ne tornò male) avevano tentato quel pio rapimento. La
stessa cronaca ci narra che fra gli Arabi ed i legati intervenne questo
patteggiare sul prezzo del riscatto. Non contenti gl' infedeli alla
prima offerta , vi aggiunsero i legati altre due libre d'oro ed otto d'
argento: e come queste non bastarono a saziare la ingordigia dei primi, i
legati furono costretti di aggiungere all'offerta altre tre libre d'oro e dodici
d' argento. Rogatosene l’atto di vendita, rimunerato dai legati il lavoro di
chi lo scrisse, e assuntosi anche dagli Arabi venditori l'obbligo di consegnare
ancora entro due mesi le vesti del Santo dottore, i legati sovra i loro omeri
condussero alle navi la venerata urna, e sciolsero tosto le vele per l'Italia.
Ciò avvenne fra mezzo alla straordinaria commozione dei Cagliaritani e
sopratutto dei monaci che si atteggiarono a resistenza per impedire la perdita
delle sante reliquie. Se non che gli Arabi colla potenza delle armi schiacciarono i
tumultuanti: sette monaci perirono nel conflitto ; molti nobili cittadini
furono incarcerati; gran numero d'altri Cagliaritani si salvarono colla fuga,
ed andarono a ripararsi nelle spelonche dove giorno e notte durarono nel pianto
sulle patrie sventure. Unico conforto ebbero nella salvezza delle rapite vesti,
che con molti altri oggetti sacri furono custodite nella spelonca di San
Giovenale, vescovo cagliaritano (1). Rimane ora a vedere l'epoca precisa del
riscatto. Anche questo punto di storia, col conforto degli altri documenti già
mentovati in questo bullettino nel luogo citato, è oramai tolto dalle antiche
dubbiezze. Sappiamo che la morte del re Gialeto segui nel 722, e poco dopo che
il dolore, per l'invasione degli Arabi, e sopratutto per la vendita di quelle
venerande reliquie, avea dato l'estremo crollo al suo corpo sommamente affranto
dalle pene e dalle fatiche per la difesa della patria. Ciò posto, bene si
appose il Muratori quando, seguendo Ermanno Contratto,
credette che il 722 fosse l'epoca precisa in cui si effettuava il riscatto del
corpo del santo dottore della chiesa. Per maggiore dilucidazione dell'
argomento è forza anche di notare che la struttura della chiesa e sacristia
lascia credere che siano opere del sec. XI , o XII. E se lecito è il
conghietturare nelle tenebre di quell'età, crediamo che sia probabile opinione,
che dopo le distruzioni operate dagli Arabi, e specialmente quelle di Musato
nelle sue invasioni ripetute più volte nella prima metà del secolo XI,
essendosi proceduto, come apprendiamo da alcuni monumenti della stessa età ,
alla restaurazione dei sacri templi, anche allora siasi pensato a dare migliori
e nuove forme a quello ove si venerava il loco che una volta aveva accolto le
spoglie di San' Agostino. Ma di questo tempio, dietro ai fatti sopramentovati
dei tempi di Filippo II, solo si mantenne quella parte che corrispondeva al
sito consacrato un tempo alla custodia delle sante OSSA. Crediamo che l'esserci
troppo diffusi in questa materia non verrà a noja di qualunque abbia tenerezza
delle patrie cose, e sovra tutto ponga mente alla dilucidazione che ne nasce
non solo per i fasti della sarda chiesa, ma anche per quelli che ragguardano
all'intero orbe cattolico, che tanto si onora del grande vescovo di Ippona.
(1) Questa memoria viene in appoggio della tradizione che
appartengano alle vestimenta del corpo di S. Agostino, alcune reliquie d'abiti
pontificali, che i minori conventuali di Cagliari serbano nel muro dell' altare
maggiore della loro chiesa, e tanto più hanno in venerazione, in quanto che da
tempi vetustissimi
furono, sempre riputate come avanzi delle vesti del Santo tolte dalla cassa,
prima che i Saraceni ne vendessero il corpo.
Personalmente
non ho mai creduto alla versione longobarda ma, con le “nuove fonti”, si entra
nei particolari del riscatto del corpo del Santo. E’ vero che i saraceni provarono
ripetutamente a conquistare l’isola della Sardegna. Anche Cagliari fu saccheggiata
nel 711 ma la flotta degli arabi affondò tutta. Ci sono tante testimonianze incerte per quel
periodo, anche
quella del Venerabile Beda.
Le
varie incursioni sembra che riguardino, secondo me, Sant’Antioco. L’isola della
Sardegna fu abbandonata dalla flotta bizantina. Fu difesa sotto i Giudicati.
Poi la popolazione si mise al sicuro. Sicuramente fu ostruito ogni accesso
all’acqua potabile. I Sardi si dovettero difendere da soli per diversi secoli. Nel 1615, con la caccia alle reliquie, voluta
dall’arcivescovo di Cagliari Francisco d’Esquivel, si ritrovarono le catacombe
e le reliquie del Santo. Il processo di ripopolamento avvenne in epoca sabauda.
Idem per Carlofoforte.
Questa
era l’Isola ai tempi del Fara ("Chorographia Sardiniae"):
Plumbea,
seu Molybodes insula a Ptolomaeo, Enosin a Plinio, et Sancti Antiochi vulgo dicta…
…Iacet
nunc deserta, solis piratis, qui eam frequenter adeunt, praebens stationem. (1580
circa). (aggiungo io: erano PIRATI di
tutte le razze). Adesso un paio di
considerazioni generali.
Gli
Arabi, solo DOPO aver conquistato, imponevano una tassa agli infedeli. Per
imporla ai Sardi…fa venire il primo dubbio: quando mai l’hanno
conquistata? Non avranno sbagliato Isola?
Anche
il “riscatto” prevederebbe tutta una serie di circostanze completamente diverse
dal raid descritto. C’è una piccola
pista che riguarda le reliquie di Sant’Agostino:
L’ulna,
del braccio destro del Santo, fu mandata al Vescovo di Tunisi...(c’è tutto il
carteggio relativo). Questa volta la commissione medica è stata più attenta. Ci
sono le misure e lo stato d’usura. Era
il 12 ottobre del 1842 Mercoledì.
Le
misure sono riportate con il Piede di Parigi che dovrebbe equivalere a 344 millimetri.
(Il
piede va suddiviso in 12 parti e ogni parte va suddivisa in ulteriori 12 parti;
sono 144 parti).
Cosa
direbbe un Antropologo? nell'attesa che: Santo Sepolcro … vulgo dicto… sveli i
suoi segreti.
venerdì 18 settembre 2015
Archeologia. Scoperto nel Caucaso un arsenale del Paleolitico con milioni di reperti in ossidiana
Archeologia. Scoperto nel Caucaso un arsenale del Paleolitico con milioni di reperti in ossidiana
In una regione dell'Armenia, crocevia dell'umanità fin
dall'alba dei tempi, gli archeologi stanno riportando alla luce milioni di armi
e strumenti in ossidiana
In una nuvolosa giornata d'inverno,
il versante orientale del Monte Arteni, in Armenia (nella foto), appare una
monotona landa desolata. Con i suoi 2.046 metri d'altezza, sembra una collina
rispetto alla cima innevata del vicino Monte Aragats, che con i suoi oltre
quattromila metri è vetta più elevata della repubblica di Armenia. L'unico
segno di vita sono dei cespugli d'erba sferzati dai venti gelidi del Caucaso.
Ma all'improvviso tra le nubi si apre uno squarcio e l'Arteni sembra scintillare come coperto da un mosaico di piccoli specchi. Ogni metro quadro della sua superficie, a perdita d'occhio, è tappezzato da frammenti di ossidiana, gran parte dei quali scheggiati a formare armi e strumenti affilati.
“Questo era una gigantesca fabbrica all'aria aperta", racconta l'archeologo Boris Gasparyan dell'Istituto nazionale Armeno di Archeologia ed Etnologia. Da questo sito montuoso, miriadi di lame, asce manuali, raschiatoi, punte di freccia e
Ma all'improvviso tra le nubi si apre uno squarcio e l'Arteni sembra scintillare come coperto da un mosaico di piccoli specchi. Ogni metro quadro della sua superficie, a perdita d'occhio, è tappezzato da frammenti di ossidiana, gran parte dei quali scheggiati a formare armi e strumenti affilati.
“Questo era una gigantesca fabbrica all'aria aperta", racconta l'archeologo Boris Gasparyan dell'Istituto nazionale Armeno di Archeologia ed Etnologia. Da questo sito montuoso, miriadi di lame, asce manuali, raschiatoi, punte di freccia e
giovedì 17 settembre 2015
Archeologia. Conferenza di Carlo Tronchetti sulla Cagliari del periodo fenicio punico. Honebu, Venerdì 18 Settembre.
Associazione Culturale Honebu. Ciclo di conferenze sulla "Storia di Cagliari".
Buongiorno a tutti i lettori del quotidiano on line,
Buongiorno a tutti i lettori del quotidiano on line,
sono lieto di comunicare che Venerdì 18 Settembre, con inizio alle ore 19.00, nella sala conferenze dell'Associazione Culturale Honebu, in Via Fratelli Bandiera 100 a Cagliari - Pirri, si svolgerà il secondo incontro sul tema: "La Storia di Cagliari".
Relatore sarà l'archeologo Carlo Tronchetti, già direttore del Museo Archeologico di Cagliari e scopritore, negli Anni Settanta, delle sculture in pietra a tutto tondo note con il nome di "Giganti di Monte Prama.
Con l'ausilio di immagini, lo studioso illustrerà le trasformazioni socio culturali della città di Cagliari nel momento di passaggio dalla preistoria al periodo fenicio punico, un'epoca segnata dall'intensificarsi degli scambi commerciali internazionali e dal contatto fra nuragici e genti mediterranee lungo le coste meridionali della Sardegna.
L'ingresso alle serate è libero, con l'invito ai soci di portare amici e parenti per far conoscere la nostra associazione.
Con i migliori saluti, e preghiera di condivisione degli eventi.
mercoledì 16 settembre 2015
Archeologia. Gilgamesh, Noè e gli uccelli, strumenti di navigazione nel mondo antico
Archeologia. Gilgamesh, Noè e gli uccelli, strumenti di navigazione nel mondo antico
di Pierluigi Montalbano
di Pierluigi Montalbano
Secondo
l'opinione di illustri specialisti dei sistemi di navigazione nel mondo antico,
i comandanti delle navi minoiche e micenee, ossia delle flotte più importanti
del Mediterraneo dell'età del bronzo, portassero a bordo, nei lunghi viaggi per
mare, qualche uccello che servisse al preciso scopo di fornire un aiuto
direzionale durante la navigazione. Una traccia sicura di questa pratica la
possiamo trovare ritrovare nel mito di Giasone. Il viaggio degli Argonauti
segnava un itinerario che rendeva percorribile la rotta verso la Colchide e,
nel contempo, fondava misticamente la possibilità di seguire una via marittima
mai tracciata prima di allora.
Tutto
il complesso del mito di Giasone parrebbe confermare l'ipotesi relativa all'uso
degli uccelli come elemento per favorire la navigazione. Significativo, a
questo proposito, è l'episodio delle rocce Simplegadi. Gli Argonauti avevano
superato quell'ostacolo lasciando volare un non precisato uccello davanti alla
nave, vogando poi a gran forza riuscirono a passare tra
martedì 15 settembre 2015
Archeologia. Nuove scoperte da Stonehenge
Archeologia. Nuove scoperte da Stonehenge
Un'importante scoperta
archeologica: i resti di un vasto sito neolitico con 90 monoliti sepolti e
disposti a forma di arena sono stati individuati dai radar a meno di 3 km
da Stonehenge. Gli aggiornamenti su un lavoro durato 5 anni.Gli scienziati dello Stonehenge Hidden Landscaped
Project hanno annunciato di aver individuato, a meno di 3 km da
Stonehenge, i resti di 90 monoliti sepolti sotto l'erba, alcuni dei quali
dovevano essere originariamente alti 4,5 m. Le strutture che risalgono forse a
4600 anni fa, si troverebbero sotto al complesso di Durrington Walls, e
compongono una sorta di arena a forma di "C".
I megaliti sono stati
individuati con avanzate tecniche di scansione radar del sottosuolo ma non
disseppelliti. Una trentina sarebbe ancora intatta ma rovesciata, mentre degli
altri si
lunedì 14 settembre 2015
Il Relitto di Ulu Burun, una nave di 3350 anni fa nei fondali della costa sud della Turchia.
Il Relitto di Ulu Burun, una nave di 3350 anni fa nei fondali della costa sud della Turchia.
di Pierluigi Montalbano
Nel 1982 il pescatore di spugne Mehemet Cakir scopre a Uluburun, a 8,5
km a Sud Est di Kas nel sud della Turchia, il relitto di una nave dell’età del
bronzo. L'Istituto di Archeologia della nautica (INA) nella campagna di scavo
tra il 1984 e il 1994 ha portato alla luce uno dei più ricchi assemblaggi di
oggetti del Bronzo Tardo trovati nel Mediterraneo. Il natante giace su un
ripido pendio roccioso a una profondità di circa 50 metri. La datazione
dendrocronologia di un piccolo pezzo di legna suggerì il 1350 a.C. per il
naufragio della nave, il periodo di
domenica 13 settembre 2015
Sant'Agostino, la Cosmografia di Sebastian Munster, Sigismondo Arquer e la Carta De Logu sono collegati?
Sant'Agostino, la Cosmografia di Sebastian Munster, Sigismondo Arquer e la Carta De Logu sono collegati?
di Rolando Berretta
Abbiamo
visto, nell’anno 523, gli esuli rientrare in Africa mentre il corpo del Santo
restò a Cagliari.
Forse si
era in attesa di vedere quale fosse la situazione del momento in Africa e come
si sarebbero evoluti i tempi. (Questi i
tempi secondo la wikipedia)
Nel 533 il gotico Goda, funzionario e governatore di
Sardegna, si ribellò al potere centrale e proclamò un regno sardo indipendente
di cui lui stesso assunse la reggenza, con capitale Caralis. Goda allora per
mantenere questo nuovo regno cercò appoggio internazionale e lo trovò in Giustiniano,
imperatore dell'Impero Romano d'Oriente. Il 22 giugno 533 le armate bizantine
salparono da Costantinopoli con l'obiettivo di muovere guerra
contro
sabato 12 settembre 2015
Archeologia. Le grotte naturali con rinvenimenti archeologici di cultura Monte Claro in Sardegna
Archeologia. Le grotte naturali con rinvenimenti archeologici di
cultura Monte Claro in Sardegna
Luca Doro
L’uso di
cavità naturali da parte delle genti di cultura Monte Claro è noto già da tempo
grazie alle testimonianze archeologiche presenti in quasi tutto il territorio
isolano. Lo studio, presentato in sintesi in questa sede, è stato effettuato
attraverso l’analisi dei dati editi in letteratura; ulteriori informazioni sono
state raccolte grazie alla collaborazione dei gruppi speleologici e alla
consultazione del catasto regionale delle grotte. Sono state censite 60 grotte
e 7 ripari sotto roccia per un totale di 67 siti. Tutte le grotte analizzate
sono di tipo carsico e sono distribuite nelle aree della Sardegna costituite in
prevalenza da calcari mesozoici, olocenici e miocenici. I ripari, invece, sono stati
individuati nelle aree con una prevalenza di roccia granitica, la quale,
attraverso l’erosione degli agenti atmosferici ha subito un processo di
tafonatura che in alcuni casi ha prodotto delle grandi cavità. La regione
sulcitana è quella che ha la più alta percentuale di attestazioni in grotta
della cultura di Monte Claro (62% del totale): venti cavità solo nel territorio
del comune di Iglesias.La presenza del Monte Claro in grotta è altresì
rilevante nel territorio sassarese. L’individuazione della cultura in esame è
stata possibile grazie al rinvenimento della caratteristica ceramica con
decorazione scanalata. Purtroppo nella maggior parte dei casi(72%) queste
ceramiche provengono da recuperi d’urgenza all’interno di grotte già ogget-to
di scavi clandestini. Dai dati emersi in seguito allo studio dei contesti
censiti si può affermare che le genti di cultura Monte Claro abbiano utilizzato
le cavità naturali prevalentemente a scopo funerario, essendo state rinvenute,
nella maggior parte dei casi, ossa umane. In diciannove cavità sono stati
individuati dei veri e propri ossari. Di contro l’assenza di ossa umane e la
presenza di muri concorrono ad ipotizzare un uso
venerdì 11 settembre 2015
Archeologia. Un relitto di 2300 anni fa svela i segreti della medicina antica
Archeologia. Un relitto di 2300 anni fa svela i segreti della medicina antica
di Martina Calogero
Al largo della costa toscana, nel 130 a.C., affondò un’elegante imbarcazione greca con un massiccio albero in legno di noce che trasportava cristalleria siriana, ma soprattutto medicinali. Il ritrovamento del suo carico avvenne venti anni fa ma solo oggi gli archeobotanici hanno svelato la composizione dei farmaci usati in Grecia nell’antichità: infatti, le analisi del Dna hanno rivelato che ogni compressa conteneva dieci estratti di piante diverse, dal sedano all’ibisco.
Nel corso del IV International Symposium on Biomolecular Archaeology di Copenaghen, Alain Touwaide, studioso dello Smithsonian Institution’s National Museum of Natural History di Washington, ha raccontato che nell’imbarcazione era preesente una scatola quasi intatta contenete farmaci. Così, è stato possibile studiare i frammenti di Dna contenuti nelle due compresse conservate meglio e mettere in confronto i risultati con le sequenze archiviate nel database GenBank dei National Institutes of Health statunitensi. Il sistema ha identificato nel farmaco tracce di ravanelli, cipolla selvatica, carota, sedano, quercia, achillea, erba medica e cavolo. L’analisi ha anche rilevato estratto di ibisco, forse importato dall’Oriente.
La maggior parte di queste piante sono conosciute per il largo utilizzo che ne facevano gli antichi nella cura di diverse malattie. Per esempio, il medico e farmacologo Pedanio Dioscoride, vissuto a Roma nel primo secolo dopo Cristo, descrive la carota come un toccasana per una serie di problemi di salute, quali il morso dei serpenti e l’infertilità. I dati forniti dallo studio hanno anche alimentato alcuni dubbi: infatti, l’analisi delle antiche compresse ha evidenziato la presenza di semi di girasole, una pianta che sinora si pensava non crescesse in Europa prima della scoperta dell’America. Se verrà confermata questa ipotesi, i botanici saranno costretti a rileggere la tradizionale storia del girasole e della sua diffusione, anche se per adesso è impossibile stabilire che non si tratti solamente di una contaminazione moderna.
Fonte: Archeorivista
di Martina Calogero
Al largo della costa toscana, nel 130 a.C., affondò un’elegante imbarcazione greca con un massiccio albero in legno di noce che trasportava cristalleria siriana, ma soprattutto medicinali. Il ritrovamento del suo carico avvenne venti anni fa ma solo oggi gli archeobotanici hanno svelato la composizione dei farmaci usati in Grecia nell’antichità: infatti, le analisi del Dna hanno rivelato che ogni compressa conteneva dieci estratti di piante diverse, dal sedano all’ibisco.
Nel corso del IV International Symposium on Biomolecular Archaeology di Copenaghen, Alain Touwaide, studioso dello Smithsonian Institution’s National Museum of Natural History di Washington, ha raccontato che nell’imbarcazione era preesente una scatola quasi intatta contenete farmaci. Così, è stato possibile studiare i frammenti di Dna contenuti nelle due compresse conservate meglio e mettere in confronto i risultati con le sequenze archiviate nel database GenBank dei National Institutes of Health statunitensi. Il sistema ha identificato nel farmaco tracce di ravanelli, cipolla selvatica, carota, sedano, quercia, achillea, erba medica e cavolo. L’analisi ha anche rilevato estratto di ibisco, forse importato dall’Oriente.
La maggior parte di queste piante sono conosciute per il largo utilizzo che ne facevano gli antichi nella cura di diverse malattie. Per esempio, il medico e farmacologo Pedanio Dioscoride, vissuto a Roma nel primo secolo dopo Cristo, descrive la carota come un toccasana per una serie di problemi di salute, quali il morso dei serpenti e l’infertilità. I dati forniti dallo studio hanno anche alimentato alcuni dubbi: infatti, l’analisi delle antiche compresse ha evidenziato la presenza di semi di girasole, una pianta che sinora si pensava non crescesse in Europa prima della scoperta dell’America. Se verrà confermata questa ipotesi, i botanici saranno costretti a rileggere la tradizionale storia del girasole e della sua diffusione, anche se per adesso è impossibile stabilire che non si tratti solamente di una contaminazione moderna.
Fonte: Archeorivista
giovedì 10 settembre 2015
Associazione Culturale Honebu. Venerdì 11 Settembre: Cagliari nella preistoria.
Associazione Culturale Honebu.
Venerdì 11 Settembre: "Cagliari nella preistoria".
Buongiorno a tutti i lettori del quotidiano on line,
Venerdì 11 Settembre: "Cagliari nella preistoria".
Buongiorno a tutti i lettori del quotidiano on line,
sono lieto di comunicare che Venerdì 11 Settembre, con inizio alle ore 19.00, nella sala conferenze dell'Associazione Culturale Honebu, in Via Fratelli Bandiera 100 a Cagliari - Pirri, inizierà la stagione autunnale di incontri con la storia e l'archeologia della Sardegna.
Abbiamo pensato di offrire un ciclo di serate dedicate alla città di Cagliari, con approfondimenti legati ai vari periodi storici, in collaborazione con docenti universitari, archeologi e
mercoledì 9 settembre 2015
Archeologia. Straordinaria scoperta: una dimora del 600 a.C. sul colle del Quirinale.
Straordinaria scoperta: una dimora del 600 a.C. sul colle del Quirinale.
Si tratta di una dimora arcaica del 600 a.c. La scoperta è
avvenuta sotto le fondamenta di Palazzo Canevari, tra Via Veneto e la stazione
Termini. All'inizio si pensava che la base del palazzo poggiasse sotto
un'antica necropoli e invece la scoperta rivoluziona parte degli studi recenti:
"Questa antica abitazione si presenta come una delle più importanti
scoperte archeologiche avvenute negli ultimi anni e induce a rivedere le nostre
conoscenze sullo sviluppo della città nel VI a.C." A parlare è Francesco
Prosperetti, soprintendente per l’Area Archeologica di Roma.
Gli scavi preventivi della soprintendenza seguivano i lavori di
scavo di un immenso tempio del V a.C. che era emerso negli anni scorsi. La
villa, a pianta rettangolare con due ambienti, secondo le prime rilevazioni era
utilizzata come dimora ed era di proprietà di una famiglia ricca. L'area verrà
destinata ai turisti anche se non è ancora chiaro quando sarà aperta al pubblico.
Fonte: www.ilgiornale.it
La traslazione di Sant’Agostino dall’Africa a Cagliari, di Mons. Luigi Cherchi
La
traslazione di Sant’Agostino dall’Africa a Cagliari
di Mons.
Luigi Cherchi
La vita
di S. Agostino, grande pensatore e Dottore della Chiesa, è stata molto
movimentata. Nato a Tagaste, nell’Africa Settentrionale, nel 354 e morto a Ippona
nel 430, sempre in Africa, nei suoi settantasei anni di esistenza ebbe molti
travagli. Il padre, di nome Patrizio, era pagano, ma poi morì cristiano; la
madre Monica, ardente cristiana, ebbe molto da soffrire, da pregare e da
piangere perché il giovane figlio si era irretito malamente con gli eretici
Manichei, discepoli di Manete e che insegnavano: c’è un sommo Dio buono, autore
di ogni bene; ma c’è anche un sommo Dio perverso, autore di ogni male. Molto
intelligente, dotato di eloquenza ed oratoria non comune, diventa professore a
vent’anni; fugge di nascosto da Tagaste a Roma in cerca dì celebrità; arriva a
Milano dove trova il suo trionfo. Ma ivi trova anche la Grazia. Sa che il
vescovo della città, Ambrogio, parla al popolo in un modo altamente convincente:
anche lui è oratore, come Agostino stesso, ma dotato di un’oratoria diversa:
profonda, persuasiva, convincente. A Milano viene raggiunto dalla madre;
Agostino si arrende alla Grazia e si converte: il 387 si fa battezzare. Dietro
le suppliche di Monica, che muore durante il viaggio ad Ostia, ritorna in
patria. Ha abbandonato il libertinaggio della giovinezza, ha lasciano la donna
con cui viveva da anni; diventa prete, conduce una vita cenobitica col figlio
naturale Adeodato e con altri amici. Nel 396, morto Valerio, vescovo di Ippona,
viene a succedergli in quella cattedra, che sarebbe diventata famosa nel
martedì 8 settembre 2015
Sassari, la “Città dei Sassi”.
Sassari,
la “Città dei Sassi”
di
Massimo Pittau
Sassari (Sássari) (capoluogo di provincia). L’abitante Sassaresu, Tattaresu.-
In
documenti medioevali, ad iniziare da uno del 1131 e dopo in numerosi altri
successivi, ad es. negli Statuti
della Repubblica di Sassari (42, 1; 44, 1), il toponimo ricorre nella forma di Sassari, Sassaris, Sassaro, Sasser. La forma Sacer che ricorre nel contratto stipulato a
Vercelli il 25 luglio 1202 per il matrimonio di Bonifacio marchesino di Saluzzo
con Maria figlia di Comita giudice di Torres (V. Angius s. v. Logudoro, IX, 712 nota 1), ha tutta l’aria di
essere una etimologia popolare provocata dall'uso della lingua latina adoperata
nel contratto. D'altra parte in altri documenti antichi il nostro toponimo
ricorre come Thathari (CSPS 83,
104, 147, 253, 254, 355, 395, 421, 439) e Thathar in
un documento dell'anno 1135 (CDS I 209/2)
(è da precisare che nella lingua sarda il passaggio ss < th o viceversa è frequente).Quest’ultima pronunzia si è conservata tale e
quale nella zona del Nuorese fino a un cinquantennio fa e si conserva tuttora
in numerose località del Logudoro come Táttari.-
lunedì 7 settembre 2015
Archeologia. Le rotonde nuragiche: nel X a.C. governo, economia e religiosità si incontrano
Le rotonde nuragiche: nel X a.C. governo e religiosità si incontrano
di Pierluigi Montalbano
Intervento in occasione del convegno su Santa Vittoria di Serri
In assenza di scrittura, ciò che si conosce oggi sulla cultura nuragica si deve agli studi effettuati sui monumenti (nuraghi, villaggi, santuari, tombe) e sui ritrovamenti dei manufatti venuti alla luce durante gli scavi. Molti oggetti realizzati con materiali organici come legno, sughero, paglia, lana e cuoio sono andati perduti per via della loro deperibilità, ma anche una quantità indeterminabile di oggetti realizzati in metallo e vetro non sono arrivati fino a noi perché sono stati riutilizzati dopo un semplice processo di fusione.
Fra gli edifici, i più semplici sono le capanne, il cui utilizzo sprofonda nel Neolitico. La tipica capanna nuragica ha pianta circolare o ellittica e struttura portante in pietra costituita da una muratura di base di circa due metri sormontata da una copertura in materiali deperibili (legno, canne, paglia), o in pietra. La forma originaria era simile a strutture ancora oggi esistenti nella loro integrità: si tratta delle pinnettas, rifugio temporaneo e deposito degli attrezzi di pastori e agricoltori.
Nella prima metà del II Millennio a.C. si assiste a un cambiamento del paesaggio archeologico sardo. I primi nuraghi a corridoio, inquadrabili cronologicamente a partire dall’inizio del XVII a.C., sono caratterizzati da una planimetria irregolare, da una massa muraria decisamente prevalente rispetto agli angusti spazi interni, e da camere con un profilo ellittico. A partire dal XIV a.C. l’architettura sarda acquisisce un’idea costruttiva che mira ad aumentare gli
di Pierluigi Montalbano
Intervento in occasione del convegno su Santa Vittoria di Serri
In assenza di scrittura, ciò che si conosce oggi sulla cultura nuragica si deve agli studi effettuati sui monumenti (nuraghi, villaggi, santuari, tombe) e sui ritrovamenti dei manufatti venuti alla luce durante gli scavi. Molti oggetti realizzati con materiali organici come legno, sughero, paglia, lana e cuoio sono andati perduti per via della loro deperibilità, ma anche una quantità indeterminabile di oggetti realizzati in metallo e vetro non sono arrivati fino a noi perché sono stati riutilizzati dopo un semplice processo di fusione.
Fra gli edifici, i più semplici sono le capanne, il cui utilizzo sprofonda nel Neolitico. La tipica capanna nuragica ha pianta circolare o ellittica e struttura portante in pietra costituita da una muratura di base di circa due metri sormontata da una copertura in materiali deperibili (legno, canne, paglia), o in pietra. La forma originaria era simile a strutture ancora oggi esistenti nella loro integrità: si tratta delle pinnettas, rifugio temporaneo e deposito degli attrezzi di pastori e agricoltori.
Nella prima metà del II Millennio a.C. si assiste a un cambiamento del paesaggio archeologico sardo. I primi nuraghi a corridoio, inquadrabili cronologicamente a partire dall’inizio del XVII a.C., sono caratterizzati da una planimetria irregolare, da una massa muraria decisamente prevalente rispetto agli angusti spazi interni, e da camere con un profilo ellittico. A partire dal XIV a.C. l’architettura sarda acquisisce un’idea costruttiva che mira ad aumentare gli
domenica 6 settembre 2015
Archeologia a Domus De Maria. Due serate imperdibili.
Archeologia a Domus De Maria. Due serate imperdibili.
Ieri, a Domus de Maria, è stata una serata straordinaria di
cultura con oltre 150 partecipanti. Il sindaco Concetta Spada ha iniziato i
lavori con i saluti alla comunità e ai turisti. La parola è poi passata al
coordinatore scientifico Pierluigi Montalbano che ha presentato i tre relatori
della serata, sul tema "Gli scavi dell'acropoli di Bithia": il
soprintendente archeologico della Sardegna Marco Edoardo Minoja, l'archeologa Carlotta
Bassoli, responsabile degli scavi dal 2010, e
l'archeologa Valentina Chergia, responsabile dello scavo di Bithia dal
2012. Al termine delle relazioni, nelle quali è stato evidenziato il ruolo di
approdo commerciale monumentalizzato, frequentato da greci, etruschi,
cartaginesi e italici, le archeologhe hanno mostrato al pubblico, in anteprima,
i reperti portati alla luce nell'ultima campagna di scavo.
La serata è proseguita con un banchetto a base di porchetta arrosto, pane locale e vino
rosso, apprezzatissimi dai convenuti. A tarda serata è iniziato lo spettacolo musicale
con una blues band che ha acceso l'entusiasmo del pubblico, coinvolto nei brani
di Eric Clapton, Rolling Stones, Elvis Presley, Blues Brothers, Yoe Cocker,
Jimi Endrix e tanti altri. Oggi, dalle 19.30, sempre con ingresso libero, sarà
trattato il tema della navigazione preistorica, con Salvatore Loi, Carlo
Tronchetti, Pierluigi Montalbano e Giovanni Ugas. A seguire, banchetto
luculliano e spettacolo musicale. Imperdibile. Partecipate numerosi.
Archeologia. Minosse, un ambiguo regno nel Mare Mediterraneo dell'età del Bronzo
L’ambiguo regno di Minosse: il mare e l’immaginario egeo
di Pietro Militello - Università degli Studi di Catania
Cliccare sulle immagini per ingrandirle.
Fonte: Convegno "Mare, Uomini e Merci nel Mediterraneo Antico" a cura di Bianca Maria Giannattasio
Il rapporto tra uomo e mare nell’area del Mediterraneo non può essere ricondotto ad una unica cifra, ma si fraziona in una molteplicità di relazioni legate al contesto geografico ed alle strutture sociali, variabili pertanto non solo nello spazio, ma anche nel tempo. In questa prospettiva pluralistica bisognerebbe parlare di tante tradizioni iconografiche, o sistemi iconologici, quante sono le aree ed i periodi. Ancora più opportuno sarebbe parlare di iconografie in continuo divenire che si influenzano reciprocamente e nelle quali i significati si trasformano, decostruendosi e ricomponendosi in contesti culturali differenti, diventando cioè “symbols in action”, pur nella persistenza di alcuni temi di fondo (come il rapporto tra il mondo dell’acqua e la nascita o la vita). Per cogliere la dinamicità di questi simboli proporremo oggi una lettura dell’immaginario marino nella Età del Bronzo egea articolata geograficamente e diacronicamente. Un discorso a parte si impone per le immagini delle navi, sulle quali si è focalizzata l’attenzione degli archeologi fin dalle prime scoperte del mondo egeo. Gli studi, avviati già dai primi anni del Novecento, sono sfociati nei lavori più ampi sulla marineria antica, come quelli di Casson, Johnston e Basch, o in quelli più specifici sulla tecnica navale minoica e micenea I problemi relativi alla tipologia delle navi, ai mezzi di propulsioni o alle tecniche di navigazione hanno assorbito la maggior parte delle energie. I criteri di classificazione sono stati
di Pietro Militello - Università degli Studi di Catania
Cliccare sulle immagini per ingrandirle.
Fonte: Convegno "Mare, Uomini e Merci nel Mediterraneo Antico" a cura di Bianca Maria Giannattasio
Il rapporto tra uomo e mare nell’area del Mediterraneo non può essere ricondotto ad una unica cifra, ma si fraziona in una molteplicità di relazioni legate al contesto geografico ed alle strutture sociali, variabili pertanto non solo nello spazio, ma anche nel tempo. In questa prospettiva pluralistica bisognerebbe parlare di tante tradizioni iconografiche, o sistemi iconologici, quante sono le aree ed i periodi. Ancora più opportuno sarebbe parlare di iconografie in continuo divenire che si influenzano reciprocamente e nelle quali i significati si trasformano, decostruendosi e ricomponendosi in contesti culturali differenti, diventando cioè “symbols in action”, pur nella persistenza di alcuni temi di fondo (come il rapporto tra il mondo dell’acqua e la nascita o la vita). Per cogliere la dinamicità di questi simboli proporremo oggi una lettura dell’immaginario marino nella Età del Bronzo egea articolata geograficamente e diacronicamente. Un discorso a parte si impone per le immagini delle navi, sulle quali si è focalizzata l’attenzione degli archeologi fin dalle prime scoperte del mondo egeo. Gli studi, avviati già dai primi anni del Novecento, sono sfociati nei lavori più ampi sulla marineria antica, come quelli di Casson, Johnston e Basch, o in quelli più specifici sulla tecnica navale minoica e micenea I problemi relativi alla tipologia delle navi, ai mezzi di propulsioni o alle tecniche di navigazione hanno assorbito la maggior parte delle energie. I criteri di classificazione sono stati
sabato 5 settembre 2015
Archeologia. Perché fu costruito il primo nuraghe?
Perché fu costruito il primo nuraghe?
Su questa domanda ci si può sbizzarrire, però c’è un’ipotesi intrigante: che i nuraghe a corridoio abbiano preceduto la prima torre. Gli archeologi, sebbene le prove stratigrafiche siano lontane dall’indicarlo in modo indiscutibile, ne paiono convinti (ed effettivamente è un’ipotesi assai ragionevole). Se così fosse, l’avvento della prima torre apparirebbe assai meno improvviso di come tanti sembrano ritenere.
Si tratterebbe allora di porsi il problema della comparsa dei nuraghe a corridoio, ma, in questo caso, si tratterebbe di un chiaro esempio di proprietà emergente da un progressivo mutare della stratificazione sociale delle comunità neolitiche, con la formazione di una “classe elevata” che rivendica una posizione di prestigio attraverso l’edificazione di un edifico ad un tempo abitazione e simbolo di status, la stessa che, in un secondo momento, richiederà la costruzione di una torre. Il nuraghe a corridoio, stratigrafie alla mano, mostra lo stesso tipo di accumulo antropico delle torri, senza eccezione, indicando che funzione e senso dovevano essere gli stessi.
Posta in questi termini, la comparsa della torre non appare più come una cesura, piuttosto come un’evoluzione, anche se, apparentemente, parrebbe rimanere il problema delle differenze architettoniche tra le due tipologie di edifici (ne riparleremo oltre).
Allo stesso modo, la sovrapposizione delle tipologie stratigrafiche tra nuraghe a corridoio e torri, indicandone la medesima funzione e senso, chiarisce come le strampalate ipotesi che vorrebbero i nuraghe dei templi o degli edifici di mero carattere simbolico, sia da scartare (pur sottolineando che l’edificio, di per sé, riveste necessariamente un forte carattere simbolico come indicatore di status e/o centro di aggregazione simbolica della comunità e/o altro).
Nell’ipotesi ragionevole che il nuraghe a corridoio preceda la torre, ci troveremmo semplicemente di fronte ad una classe dirigente che, in luogo circoscritto e preciso, decide di realizzare la prima con le medesime finalità che hanno portato all’edificazione dei precedenti edifici, immaginando, a ragione, visto il successo, che un edificio di questo tipo avrebbe maggiormente soddisfatto le proprie necessità. La prima torre venne edificata pensando semplicemente ad un edificio che avesse le stesse finalità di un nuraghe a corridoio, ma ne rappresentasse una versione “evoluta” sia in senso funzionale che simbolico.
È bene ricordare, a tale proposito, che mentre le torri ci sono pervenute praticamente intatte, salvo la struttura del ballatoio (sulla quale si discute assai spesso), i nuraghe a corridoio sono mancanti dell’eventuale struttura lignea soprastante quella in pietra, la cui percentuale rispetto all’intero edificio, non è nota. Alcune osservazioni ragionevoli (ad esempio lo stesso Lilliu a proposito di Brunku Madugui), suggeriscono che
Su questa domanda ci si può sbizzarrire, però c’è un’ipotesi intrigante: che i nuraghe a corridoio abbiano preceduto la prima torre. Gli archeologi, sebbene le prove stratigrafiche siano lontane dall’indicarlo in modo indiscutibile, ne paiono convinti (ed effettivamente è un’ipotesi assai ragionevole). Se così fosse, l’avvento della prima torre apparirebbe assai meno improvviso di come tanti sembrano ritenere.
Si tratterebbe allora di porsi il problema della comparsa dei nuraghe a corridoio, ma, in questo caso, si tratterebbe di un chiaro esempio di proprietà emergente da un progressivo mutare della stratificazione sociale delle comunità neolitiche, con la formazione di una “classe elevata” che rivendica una posizione di prestigio attraverso l’edificazione di un edifico ad un tempo abitazione e simbolo di status, la stessa che, in un secondo momento, richiederà la costruzione di una torre. Il nuraghe a corridoio, stratigrafie alla mano, mostra lo stesso tipo di accumulo antropico delle torri, senza eccezione, indicando che funzione e senso dovevano essere gli stessi.
Posta in questi termini, la comparsa della torre non appare più come una cesura, piuttosto come un’evoluzione, anche se, apparentemente, parrebbe rimanere il problema delle differenze architettoniche tra le due tipologie di edifici (ne riparleremo oltre).
Allo stesso modo, la sovrapposizione delle tipologie stratigrafiche tra nuraghe a corridoio e torri, indicandone la medesima funzione e senso, chiarisce come le strampalate ipotesi che vorrebbero i nuraghe dei templi o degli edifici di mero carattere simbolico, sia da scartare (pur sottolineando che l’edificio, di per sé, riveste necessariamente un forte carattere simbolico come indicatore di status e/o centro di aggregazione simbolica della comunità e/o altro).
Nell’ipotesi ragionevole che il nuraghe a corridoio preceda la torre, ci troveremmo semplicemente di fronte ad una classe dirigente che, in luogo circoscritto e preciso, decide di realizzare la prima con le medesime finalità che hanno portato all’edificazione dei precedenti edifici, immaginando, a ragione, visto il successo, che un edificio di questo tipo avrebbe maggiormente soddisfatto le proprie necessità. La prima torre venne edificata pensando semplicemente ad un edificio che avesse le stesse finalità di un nuraghe a corridoio, ma ne rappresentasse una versione “evoluta” sia in senso funzionale che simbolico.
È bene ricordare, a tale proposito, che mentre le torri ci sono pervenute praticamente intatte, salvo la struttura del ballatoio (sulla quale si discute assai spesso), i nuraghe a corridoio sono mancanti dell’eventuale struttura lignea soprastante quella in pietra, la cui percentuale rispetto all’intero edificio, non è nota. Alcune osservazioni ragionevoli (ad esempio lo stesso Lilliu a proposito di Brunku Madugui), suggeriscono che
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