Archeologia. Launeddas, uno strumento musicale nuragico che vive in
Sardegna da almeno 3000 anni
In
occasione della serata Honebu sulla storia delle launeddas, organizzata il 13
Novembre 2015, a Cagliari/Pirri, in Via Fratelli Bandiera 100, nella quale sarà
relatore Dante Olianas, abbiamo deciso di proporre un articolo su questo
strumento musicale millenario.
Le launeddas, rimaste per lo più inalterate
nell'aspetto e nelle caratteristiche costruttive, possono essere inscritte
nella famiglia di aerofoni policalami, tutt'ora presenti nel Mediterraneo, aventi
come antenati comuni i clarinetti bicalami egizi e sumeri. Una delle
caratteristiche peculiari delle launeddas è la presenza, oltre alla canna di
bordone (la più lunga e priva di fori, denominata "su tumbu"), di due
canne melodiche. La canna intermedia, detta "sa mancosa manna", è
legata al "tumbu" con uno spago e assieme vengono tenute dalla mano
sinistra; quella più piccola, "sa mancosedda", è tenuta con la mano
destra. Le due canne melodiche sono provviste di cinque fori quadrangolari:
quattro vengono diteggiati con le falangette delle mani, mentre sul quinto,
detto "s'arrefinu", viene apposta della cera d'api per perfezionare
l'intonazione dello strumento. All'estremità delle tre canne viene infisso un
cannellino, "sa cabitzina", dal quale si ricava, per incisione di tre
lati, l'ancia. Si tratta di uno strumento musicale di origini
molto antiche, ancora oggi usato nella
regione meridionale e centro occidentale
della Sardegna; un aerofono ad ancia semplice battente, costituito da tre canne
di diversa misura:
tumbu,
mancosa e
mancosedda. La presenza millenaria delle
launeddas in Sardegna è documentata dal ritrovamento, reso pubblico nel 1907
dall'archeologo Antonio Taramelli, del celeberrimo bronzetto nuragico datato
intorno al VI-VII sec. a.C. e denominato “Itifallico", nel territorio non
ben precisato delle campagne di Ittiri (SS). Il repertorio tradizionale delle launeddas è
fortemente legato al ballo tradizionale, che ad una prima lettura si sviluppa
attorno alla crescente variazione tematica continua di temi noti,
is nodas, ed in minor misura
all'accompagnamento della liturgia della Messa, delle processioni religiose e,
perdendo il carattere di strumento solista, all'accompagnamento del canto. Il
tipico suono continuo, caratteristica comune alla zampogna, alla cornamusa e ad
altri strumenti musicali a fiato dell'area mediterranea (come ad esempio
l'arghul), è permesso dal flusso d'aria ininterrotto che fuoriesce dalla bocca
del suonatore, grazie alla tecnica chiamata respirazione circolare o
"fiato continuo". Questa tecnica consente all'esecutore di accumulare
nelle guance una piccola riserva d'aria, che sarà utilizzata ogniqualvolta avrà
necessità di riprendere fiato, senza alcuna interruzione della musica.
E’ una tecnica di respirazione che consente di
effettuare una o più inspirazioni durante l'esecuzione di un brano musicale
senza MAI interrompere il flusso d'aria che fuoriesce dalla sua bocca, e
perciò, senza mai far interrompere la produzione del suono nel proprio
strumento. La respirazione circolare è decisamente più semplice
da applicarsi con strumenti a fiato la cui imboccatura si introduce in bocca,
ovvero con strumenti ad ancia, semplice o doppia, siano essi moderni o
popolari, oppure con gli ottoni, nei quali la produzione del suono avviene
attraverso la vibrazione delle labbra del suonatore, appoggiate, con differente
pressione e tensione, sul bocchino dello strumento. La respirazione circolare è
più difficile e complessa da attuare su strumenti a fiato come il flauto
traverso e la sua famiglia, poiché in questi strumenti il flusso d'aria
responsabile della produzione del suono, va ad infrangersi contro lo spigolo, o
meglio il bordo, dell'imboccatura dello strumento, senza essere convogliato
completamente all'interno dello strumento, attraverso un contatto completo ed
una chiusura delle labbra sull'imboccatura, come avviene negli strumenti
musicali a fiato sopra citati.
La respirazione
circolare sicuramente stupisce l'ascoltatore non avvezzo a questo tipo di
tecniche. A lui sembra una tecnica inverosimile e difficilissima da apprendere.
Il suonatore tradizionale d'altra parte nulla fa per sminuirne l'estrema
difficoltà. Anzi, ci calca a volte la mano, aumentandone la mitizzazione.
Questa tecnica diventa quindi, agli occhi esterni, una tecnica strabiliante,
che solo pochi eletti possono mettere in atto.
Il repertorio delle launeddas è legato principalmente ai
momenti della festa, occasione in cui, in passato più che oggi, svolgevano una
funzione fortemente socializzante. Nelle occasioni religiose le launeddas
vengono utilizzate per accompagnare la liturgia della Messa e le processioni.
Ma è nelle feste profane, nell'accompagnamento delle danze e dei balli
collettivi, che si manifesta la massima espressività di questo strumento. La
struttura musicale dei balli, particolarmente ricca, è incentrata sullo
sviluppo ritmico-melodico di moduli tematici noti (detti "nodas"),
sulla base di un principio di variazione che qualifica le singole esecuzioni
come eventi a cavallo tra la riproposizione di elementi già noti e la creazione
di nuovo materiale musicale. In alcune occasioni le launeddas perdono il loro
ruolo di strumento solista e vengono impiegate nell'accompagnamento della voce.
Oggi il mondo delle launeddas è assai vitale ed in evoluzione. Sono infatti
numerosi i giovani che si avvicinano a questo strumento anche grazie alla
diffusione di numerose scuole. Se da una parte persiste ancora un utilizzo
basato sul rispetto del repertorio e delle occasioni tradizionali; dall'altra
non sono rari gli esempi di utilizzo delle launeddas in formazioni (isolane e
non) aperte alle contaminazioni e in progetti di matrice jazzistica. Le
launeddas dal vivo possono essere ascoltate nell'ambito di molte feste
patronali in numerosi centri della Sardegna meridionale. Un'occasione
privilegiata è costituita dalla sagra di Sant'Efisio di Cagliari (1 maggio),
quando il suono di decine di launeddas precede il passaggio del santo lungo la
sua processione verso il mare. Diversi "cuntzertos"
sono contenuti nelle principali collezioni di strumenti sardi. Vi sono anche
diverse raccolte private di launeddas quali quelle di Roberto Corona di
Quartuccio e Orlando Mascia di Maracalagonis. Tutti i gradi suonatori dello
strumento posseggono di norma un notevole numero di esemplari dello strumento:
è il caso dei due grandi maestri Luigi Lai e Aurelio Porcu (a cui per altro
viene riconosciuto il merito di aver assicurato la sopravvivenza dello
strumento durante la crisi attraversata negli anni settanta). La continuità
delle launeddas è altresì assicurata dalla presenza di un buon numero di
costruttori specializzati come Giulio Pala, Luciano Montisci e Luigi Pili.
Le parti dello strumento
Tumbu
La canna più lunga, su tumbu, produce un bordone accordato sulla
nota fondamentale della tonalità nella quale è costruito lo strumento. Per
ragioni legate alla trasportabilità su tumbu (sarebbe
altrimenti troppo lungo e scomodo, forse anche fragile), tranne in quegli
strumenti di taglio più acuto, è realizzato in due sezioni innestabili
attraverso un incastro tronco conico.
Mancosa
Il tumbu è legato ad un'altra canna, la mancosa, utilizzata principalmente per
l'accompagnamento musicale, che è più spesso ritmico-armonico e, meno
frequentemente, anche di carattere contrappuntistico e melodico-tematico. A
volte si trovano esempi di melodie che passano da una all'altra canna
sfruttando in maniera più ampia, l'estensione.
Croba
L'insieme di tumbu e mancosa,
parti dello strumento che vengono assemblate in maniera divergente con un
sistema di legatura ed un distanziatore, viene chiamata loba o croba;
questa modalità costruttiva agevola notevolmente il mantenimento in equilibrio
ed il loro sostegno con un'unica mano, la sinistra, le cui dita devono essere
libere di agire sulle aperture della sola mancosa.
Mancosedda
La terza canna, separata dalla croba,
viene denominata mancosedda. Con quest'ultima canna, sorretta
dalla mano destra, per lo più si produce la melodia principale.
Crais
Sia nella mancosa che nella mancosedda sono intagliate, al di sopra di un nodo
naturale presente nelle due canne, quattro aperture, is crais, di forma rettangolare o quadrata, che
vengono diteggiate con le dita della mano sinistra sulla mancosa e con le dita della mano destra sulla mancosedda. Indice, medio, anulare e mignolo,
di ciascuna mano vanno a diteggiare, ovvero a chiudere o ad aprire i 4 fori
presenti in queste canne melodiche. I due pollici sostengono lo strumento e si
oppongono all'azione dinamica di pressione delle altre dita sulla parte
superiore delle canne dove sono intagliate le aperture.
Arrefinu
S'arrefinu è la
quinta apertura di forma rettangolare spesso molto allungata intagliata oltre
il nodo e vicino alla estremità della parte terminale di mancosa emancosedda.
Questa apertura serve per accordare in maniera "fine", attraverso
cera vergine d'api, la nota più grave producibile da ciascuna "canna
melodica". Più cera andrà ad occludere s'arrefinu,
abbassando fisicamente la posizione dell'apertura sulla canna, più grave sarà
il suono emesso e viceversa.
Cabitzinas
Il suono è prodotto dalla vibrazione delle tre ance semplici battenti
intagliate (escisse) in tre diversi tubicini di canna, is cabitzinas, inseriti ad incastro sigillato
con cera d'api, nella parte iniziale di tumbu, mancosa e mancosedda.
Naturalmente, la vibrazione viene determinata dal flusso d'aria del suonatore
che imbocca lo strumento, ovvero is
cabitzinas.
Fonte: http://www.launeddasworld.com
Il termine "launèddas", che si è sicuramente sovrapposto a un termine molto più antico che credo non si conosca, deriva dal latino "FLATUM IN ILLAS" (attraverso l'aferesi della F, la sincope della T, l'apocope della M, l'aferesi della I della prep. IN, la trasformazione della I di ILLAS in E e la trasformazione della doppia L in DD cacuminale, tutti metaplasmi riscontrabili verificatisi nel sardo rispetto sia al latino che allo spagnolo e all'italiano) che significa letteralmente "(le canne) IN CUI SI SOFFIA". Questa etimologia descrittiva così semplice, in netto contrasto con la complessità dello strumento, dimostra che molti termini sardi di uso comune derivano non dal latino classico ma da quello parlato dal popolo.
RispondiEliminaA parte la traduzione letterale completamente errata, complimenti per la fantasia! Ora fornisca i documenti che attestano "Flatum in illas" riferendosi al nome delle Launeddas. Siamo affamati di verità, vogliamo i documenti!
RispondiEliminaI commenti anonimi non meritano di essere presi in considerazione.
EliminaQuesta risposta si commenta da sola, l'importante è da chi viene il commento o cosa il commento contiene? Buona giornata e tante belle cose.
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