Nella
più importante delle strade costruite in Sardegna dai Romani, quella che andava
da Tibulae (Castelsardo) a Caralis (Cagliari), toccando anche Molara
(= Mulargia; “Itinerario di Antonino”, 82.2) e attraversando Áidu Entos
«valico dei venti» verso Bortigali, si trova un piccolo nuraghe, sul cui
frontone si notano ancora i resti di una iscrizione latina di epoca imperiale.
Questa però, a causa dello sbriciolamente della roccia, purtroppo risulta in
parte illeggibile, come avevo già indicato io, primo segnalatore della
iscrizione (M. Pittau, Ulisse e Nausica
in Sardegna, Nùoro 1994, capo XII).
Fino
ad ora lo storico Attilio Mastino e l'epigrafista Lidio Gasperini avevano
ricostruito l'iscrizione in questo modo:
Essi
però non si sono accorti che il gruppo di lettere ILI è strettamente preceduto
da alcune lettere purtroppo non chiare. Ed io le ricostruisco e leggo il primo
vocabolo come GIDDILI, cioè uguale a «Giddilitani o Gitilitani», abitanti di Gitil.
E dopo interpreto e traduco l'intera iscrizione in questo modo:
GIDDILI(TANI)
IVR·(IS) D(OMI)N(O)
NURACS·SESSAR
M· C·
i
Giddilitani (dedicano) al Signore del diritto (Giove)
costruttori
del nuraghe
miglia cento
Tengo
molto a precisare che questa mia interpretazione e traduzione in realtà è
effetto della mia compartecipazione, scritta e pure orale, col collega ed amico
Attilio Mastino: prima e senza i suoi interventi anche io avrei continuato a
vagolare intorno a questa che si presentava come una iscrizione grandemente
misteriosa.
Prima importante considerazione: in
epigrafia, relativamente ad ogni e qualsiasi lingua scritta, vale questa
importante norma metodologica: «una iscrizione è “contestuale” al supporto in
cui risulta iscritta, salvo prova contraria». Ciò significa ed implica che un
epigrafista ha il dovere e pure l’interesse a ritenere che una iscrizione I)
appartiene realmente al suo supporto, II) è stata scritta da chi ha costruito
od ordinato il supporto. Su un epigrafista che in un caso specifico neghi
questa “contestualità”, cade l’obbligo di dimostrare le ragioni della sua
scelta contraria.
Ebbene,
dato che questa iscrizione latina di Áidu Entos risulta scritta su
quell'edificio civico-religioso che era il “nuraghe” e addirittura nel suo
punto più importante che è il “frontone”, cioè il suo fastigium, se ne
deve trarre una prima e importante conclusione: essa è fornita anche di un
“carattere sacrale o religioso”, ossia deve contenere pure un riferimento a qualche
divinità ivi adorata. Questa divinità, a mio avviso, è probabilmente indicata
con la formula abbreviata IVR· DN, che io svolgo in IVR·(IS) D(OMI)N(O) e
traduco «al Signore del diritto (Giove)».
Una
tale interpretazione e traduzione è perfettamente congruente col carattere
essenziale del nuraghe, nella sua caratteristica di “edificio multifunzionale e
cerimoniale, religioso e civico” entro e attorno al quale si svolgevano, in un
clima di religiosità, tutte le funzioni sociali della tribù: riti di nascita,
pubertà, matrimonio, malattia, morte, pace o guerra, carestia, siccità,
pestilenza degli uomini e del bestiame, sogni, in maniera particolare rito
della “incubazione” e quello connesso dell’“oracolo”. Invece questo essenziale
carattere anche sacrale o religioso del nuraghe è stato trascurato del tutto da
A. Mastino, il quale ha finito con l'optare per la tesi che quella in esame
fosse un'iscrizione confinaria, la quale avrebbe indicato il confine del
territorio degli Ilienses.
Seconda
considerazione: Gitil era un antico
villaggio, ormai scomparso, della curatoria del Marghine, citato ampiamente nel
Condaghe di Trullas (CSNT² 80.1,
80.5, 97, 97.1, 177, 243 e [244]),
nel Condaghe di Silki (CSPS passim) e anche nella Carta di donazione di Furatu de Gitil a
Montecassino del 1122 circa (CREST XXI 3). Siccome i suoi abitanti, assieme con
quelli di Mulargia e di Bortigali, avevano rivendicato, contro il convento di
San Nicola di Trullas (Semestene), il possesso del salto di Santu Antipatre (l'odierno Santu Padre di Bortigali), c'è da
supporre che il villaggio fosse a Padru
Mannu (nella Campeda), dove si trova ancora qualche macina romana e si
vedono i resti della strada romana che veniva da nord verso Caralis,
toccando Ad Medias (Vias) (Abbasanta), Forum Traiani
(Fordongianus), Othoca (Santa Giusta), Aquae Neapolitanae (Santa Maria de is Aquas di Sardara).
Però
gli abitanti di Gitil, abitando in un
sito molto ventoso e piuttosto freddo in inverno, usavano come zona di
svernamento per le loro greggi la vallata del riu Mannu di Cuglieri, come dimostrano due cippi terminali con
iscrizioni latine di epoca romana, nei quali si parla dei limiti territoriali
dei Giddilitani o Ciddilitani (CIL X 7930, E. E. VIII 732;
vedi A. Mastino, in «Archivio Storico Sardo di Sassari», II 187-205; A. Mastino, Storia della Sardegna antica, Nuoro
2005, passim), i quali erano evidentemente gli abitanti di Gitil.
È
evidente che l'indicazione delle miglia nella nostra iscrizione fa preciso
riferimento alla citata strada romana, che passava per l'appunto anche a Molaria
(Mulargia), sfociando nell'Áidu Entos «valico dei venti», verso
Bortigali e il meridione. Ed è molto importante precisare che pure
l'indicazione delle miglia romane, 100 – come ha interpretato bene Attilio
Mastino - è quasi del tutto esatta, dato che il
nuraghe di Áidu Entos dista da Tibulae 98 miglia romane. (Si
vedano nel citato “Itinerario di Antonino” le distanze in miglia da Tibulae:
Gemellas m.p. XXV; Luguidonec m.p. XXV; Hafa m.p. XXIIII; Molaria
m.p. XXIIII).
Però
Attilio Mastino ha interpretato il gruppo di lettere ILI come abbreviazione di
ILIENSES, il noto popolo sardo, perenne ribelle al dominio di Roma. Senonché,
da un lato egli non ha notato che il gruppo di lettere in realtà è preceduto da
alcune altre lettere ormai non chiare, dall'altro che a questa sua spiegazione si
oppone il fatto che tutti gli altri storici, antichi e moderni, hanno mostrato
di ritenere che gli Ilienses fossero stanziati e arroccati nelle
montagne del centro dell'Isola, mentre è inverosimile ritenere che essi fossero
stanziati nella zona del Marghine e della Campeda, la quale era molto
trafficata e frequentata dai reparti degli eserciti romani proprio perché
attraversata dalla più importante delle strade romane.
D'altra
parte l'intero significato della iscrizione mostra abbastanza chiaramente che
siamo di fronte a una popolazione ormai pacificamente sottomessa al dominio di
Roma e pure alla nuova religione della città dominatrice.
Nel
nesso della seconda riga NURACS SESSAR il primo elemento costituisce la più
antica documentazione scritta del nome del nostro monumento, mentre il secondo
è quasi certamente il plurale di un vocabolo, che probabilmente significava
«fondatori, costruttori, possessori», vocabolo anch'esso sardiano o protosardo,
che noi conosciamo come toponimo al singolare nei territori di Cuglieri e Fonni
Sessa [da confrontare con gli altri
toponimi sardiani Sesséi (Gairo), Sesseri (Gesico)], col probabile significato di «fondo, predio,
possedimento».
Per
finire c'è da segnalare e precisare che l'uso della lingua latina
nell'iscrizione del nuraghe di Áidu Entos è una nuova prova - assieme
con altre analoghe - che i nuraghi sono stati adoperati nelle loro funzioni
civico-religiose fino ad avanzata età imperiale romana. Infatti in tutti i
nuraghi fino al presente scavati e studiati dagli archeologi, sono stati
trovati numerosi reperti di matrice romana e pure numerose monete perfino del
tardo impero.