Sono giunte immagini satellitari del 25 agosto (satellite francese) che
purtroppo confermano anche dal cielo il livellamento del tempio di Baalshamin, come si vede dal confronto con la fotografia del 22 maggio scorso in cui il tempio si ergeva ancora intatto (Pléiades Earth-observation system). (Le due immagini sopra fra le quattro nel riquadro)
Purtroppo le supposizioni più nere sulla sorte del tempio di Baalshamin a Palmira sono risultate attendibili. Le tremende immagini che ci arrivano non lasciano speranze. Gli ultimi aggiornamenti ci arrivano sempre dal nostro collaboratore professor Paolo Brusasco (Università di Genova): “Sono state pubblicate sui social media le foto della distruzione del tempio di Baalshamin, divinità semitica occidentale con aspetti assimilabili al dio della tempesta Adad. Il format è sempre lo stesso, quello utilizzato nella
capitale assira di Nimrud: uomini del califfato che piazzano le micidiali bombe a barile all’interno e all’esterno delle mura del tempio, che era tra i meglio conservati di Palmira. Alcuni colleghi mi hanno suggerito che non è casuale l’attacco a Baalshamin, dal momento che il suo culto era associato a quello della dea Allat, citata nel Corano come simbolo di idolatria preislamica. Secondo il direttore delle Antichità Siriane, M. Abdulkarim si tratta del primo di una lunga serie di attacchi a Palmira”.
Sempre del professor Paolo Brusasco ecco un aggiornamento, altrettanto catastrofico, sul sito di Assur (in Iraq): «In riferimento alla distruzione della cittadella di Assur, testimoniata da
abitanti locali il 28 maggio 2015, sono giunte immagini satellitari che confermano l’esplosione e il livellamento di parte della celeberrima ziqqurrat e del tempio del dio Assur fondato dal re assiro Shamshi-Adad I (1812-1780 a.C.). Colpiti dall’IS anche il palazzo ottomano dello sceicco Farhan Pasha (capo della tribù Shammar alla fine dell’Ottocento), ubicato all’interno della estesa corte centrale del tempio di Assur e l’archivio con la documentazione di scavo ivi contenuto che è stato bruciato. Non sono apparentemente visibili invece danni alla porta neoassira di Tabira e alle tombe reali nell’area del palazzo vecchio, ma la copertura metallica installata su queste ultime dal Dipartimento di Antichità iracheno nel 2013 potrebbe celare eventuali interferenze”.
Dopo un relativo periodo di apparente tranquillità, si registrano nuove drammatiche distruzioni intenzionali da parte dell’IS nel nord dell’Iraq.
Sono autentiche le immagini del video pubblicato giovedì 26 febbraio dallo Stato islamico sui social media che mostrano la barbarica distruzione a colpi di martello e trapano delle spettacolari sculture custodite nel Museo di Mosul. Fondato nel 1952 e riallestito negli anni settanta del Novecento in una suggestiva struttura in stile islamico, il Museo è il secondo per importanza dopo l’Iraq Museum di Baghdad e ospita quattro gallerie: la sala preistorica, quella Assira con sculture da Nimrud, la sala di Hatra e quella islamica. Tuttavia, per motivi di sicurezza, gran parte dei 1500 straordinari reperti custoditi nelle vetrine espositive vennero evacuati nel marzo 2003, poco prima della II guerra del Golfo, e inviati all’Iraq Museum di Baghdad dove ora si trovano. Ad una attenta osservazione dei fotogrammi del video risulta pertanto evidente che molti dei reperti – anche se non tutti – sono delle repliche moderne in gesso in sostituzione degli originali. In particolare, quasi tutti i rilievi assiri mostrati sono copie di quelli preservati al British Museum dopo gli scavi ottocenteschi di H. Layard. Alcune splendide sculture di Hatra, la capitale ellenistica con tratti partici e arabi, sono purtroppo autentiche e quindi risultano perse per sempre. Così come autentico è anche il toro alato androcefalo (lamassu) che nella sezione finale del video di IS viene sfigurato e distrutto con un trapano elettrico: si trova a protezione della porta urbica di Nergal, ubicata nel sistema di fortificazione della città di Ninive che il sovrano assiro Sennacherib (704-681 a.C.) edificò nell’VIII-VII sec. a.C. Inoltre, un altro spettacolare genio alato a protezione di un’altra porta urbica (non identificabile) è stato distrutto. La motivazione: sempre la stessa pretestuosa applicazione di una fantomatica legge coranica di soppressione degli idoli pagani. Idoli che a seconda della convenienza del momento vengono però contrabbandati da IS sul mercato nero dell’arte. Sembrerebbe inoltre che alcuni reperti originali del Museo di Mosul potrebbero essere stati trafugati dall’IS che si sarebbe limitato a obliterare quelli che per dimensioni era più difficile rimuovere e rivendere.
Riprese fotografiche documentano le esplosioni occorse il 31 dicembre 2014 nella cittadella medievale di Tal Afar, noto centro dell’Iraq settentrionale a circa 50 chilometri a ovest di Mosul, con importanti resti di età neoassira. Oltre ai danni visibili nelle murature della fortezza, sarebbero in corso scavi clandestini tra le stesse rovine – ha riferito Mohammed Ibrahim al-Baiyati, capo del comitato di sicurezza provinciale iracheno.
La stessa fonte riporta anche la distruzione a Mosul delle moschee funerarie dell’Imam Muhsin (colpita con un bulldozer) e di Sultan Waiys, e di quelle di Al-Umawiyya e di Al-Fatih nel quartiere orientale di Qasim Al-Khayat di Mosul, con il rapimento dello sceicco Idris al-Noaimi e altri tre civili che avevano cercato di fermare l’operazione. Le moschee sarebbero state fatte esplodere dall’IS perché espressione tangibile di politeismo in quanto ospitavano sepolture al loro interno. Il giornale curdo Rudaw riporta anche l’abbattimento di una chiesa a Mosul, ma non è certo se sia quella di al-Tahira o la chiesa domenicana.
Secondo l’Associated Press, che riprende testimonianze di cittadini di Mosul, il 31 gennaio 2015, l’IS avrebbe bruciato oltre 2000 libri – perché “non islamici” – dopo averli sequestrati dalla Biblioteca Universitaria, da quella Centrale e Domenicana. Tuttavia una nota pubblicata dall’Oriental Institute dell’Università di Chicago come “rapporto affidabile da Mosul” ridimensiona la notizia e riferisce di furti minori.
Secondo il drammatico rapporto pubblicato il 17 febbraio 2015 sul sito ufficiale del DGAM, il Dipartimento di Antichità siriano , nei due noti siti archeologici di Mari e Dura Europos sul medio Eufrate siriano sono in atto sistematici saccheggi da parte di bande di criminali armati, provenienti anche dai paesi confinanti, che operano sotto la direzione dello Stato Islamico. A dirlo sono alcuni membri delle stesse comunità dei villaggi ubicati nei pressi dei siti. IS incentiverebbe i saccheggi, sfruttando anche l’estrema povertà della popolazione locale, e imporrebbe su ciascun reperto la tassa islamica del khums, incrementandola ad addirittura 1/3 (anziché 1/5) del valore del bene. La portata delle distruzioni era nota dalle immagini satellitari pubblicate nei mesi scorsi, ma queste notizie dirette sono particolarmente allarmanti perché si tratta di due siti di primaria importanza, inseriti nella lista provvisoria Unesco di quelli candidati a diventare patrimonio mondiale dell’umanità.
Il 12 febbraio 2015, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la Risoluzione 2199 che vieta il mercato di beni culturali illegalmente rimossi dalla Siria a partire dal 15 marzo 2011 e dall’Iraq, a decorrere dal 6 agosto 1990. Questa misura, finalizzata alla tutela del patrimonio culturale dei due paesi, mira anche a colpire le principali fonti di finanziamento dell’IS: il commercio clandestino di beni archeologici è al secondo posto dopo il mercato nero del petrolio.
«Quel che conta è il racket dei reperti»
Intervista a Paolo Brusasco (Avvenire, 28 febbraio 2015)
Quello che di solito succede nei territori occupati dallo Stato islamico: si vendono i reperti che è possibile smerciare e si distruggono quelli che non hanno mercato. Una logica che può apparire contraddittoria, ma che obbedisce sempre a un criterio di convenienza, economica o ideologica che sia.
Di sicuro non erano copie i libri mandati al rogo nei giorni scorsi. Costituivano il patrimonio del museo di Mosul (il secondo per importanza in Iraq), della biblioteca dei Domenicani e di quella Centrale, che è stata addirittura fatta esplodere. Quanto al museo stesso, vanta una collezione molto articolata, che dalla preistoria arriva fino all’età islamica. Nel 2003, alla vigilia della Seconda guerra del Golfo, non meno di 1.500 pezzi tra i più preziosi, come quelli provenienti dal sito ellenistico di Hatra, sono stati portati in salvo a Baghdad, proprio per evitare razzie e distruzioni simili a quelle che già si erano verificate nel 1991. Quindi sì, ad andare in frantumi sono state più che altro riproduzioni in gesso. E anche i rilievi assiri che abbiamo visto vandalizzare erano repliche: gli originali sono conservati a Londra, presso il British Museum. Diverso, purtroppo, il discorso per quanto riguarda i due grandi tori alati con testa d’uomo.
Esatto, sono raffigurazioni del lamassu, il genio che vegliava sui portali delle regge assire. Nel famigerato filmato se ne riconoscono due: uno era conservato presso il museo, l’altro era ancora collocato in una delle porte dell’antica Ninive. Il rischio, a questo punto, è che lo Stato islamico voglia distruggere anche le mura.
Più che altro perché, non essendo trasportabili, non avevano valore commerciale. Nel Corano, del resto, non c’è alcun invito a distruggere gli idoli. Si tratta di un’interpretazione estremistica, tipica della scuola wahhabita, appellandosi alla quale i miliziani dell’Is stanno distruggendo decine di moschee funerarie, considerate luoghi di idolatria perché conservano le tombe di imam, sufi e profeti del passato.
Dopo il commercio illegale di petrolio, questa è la sua seconda fonte di finanziamento, basata su una struttura di tipo mafioso, un vero e proprio racket che prevede il subappalto a bande di criminali locali e sfrutta la complicità di alcuni archeologi professionisti. La cifra complessiva non è nota, tuttavia fonti di intelligence hanno rivelato che, ancora prima della conquista di Mosul, l’Is aveva ricavato 36 milioni di euro dallo sfruttamento di un solo sito di scavi clandestini. Ma il quadro complessivo è ancora più allarmante.
Perché lo Stato islamico non è l’unico a trarre profitto da questa situazione. A Beirut, per esempio, sono state sequestrate alcune statue provenienti da Palmira, vale a dire da una parte della Siria che è ancora controllata dalle truppe di Assad. E anche in Turchia procurarsi una tavoletta cuneiforme, una moneta antica o un sigillo è tutt’altro che impossibile.
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