martedì 25 agosto 2015
Archeologia. Una semplice ricetta per i beni culturali: assumere giovani preparati
Archeologia. Una semplice ricetta per i
beni culturali: assumere giovani preparati
di Lucinia
Speciale
È vero che d’estate si vedono solo repliche. Un anno
fa a Ferragosto l’Italia si interrogava sulla classifica dei musei, oggi si
discute sull’esito della selezione per i direttori dei primi venti musei
italiani.
Non so quanti abbiano seguito la trasmissione “In
onda”, che nella puntata di qualche sera fa, dedicata alla graduatoria dei
nuovi direttori, aveva tra gli ospiti Vittorio Sgarbi e Ilaria Borletti
Buitoni. Sgarbi si è
ricordato di essere stato un funzionario, e ha spiegato – purtroppo urlando –
che genere di meccanismo sia stato adottato per la selezione dei superdirettori.
Assordata ma incuriosita, ho dato un’occhiata alle carte del concorso, quel
poco che era on-line. Lo spareggio tra “sommersi e salvati” si è giocato sui
colloqui. 15 minuti per stabilire chi andrà a dirigere alcune raccolte storiche
tra le più importanti del mondo: ovunque si dà più tempo all’esposizione di un
progetto di dottorato. Sono prevedibili ricorsi, soprattutto se davvero non si
è tenuto conto del fatto che un dirigente dello Stato, per legge, deve avere la
cittadinanza italiana.
Dispiace che una commissione di spessore abbia fornito
le premesse per quello che appare l’ennesimo colpo d’immagine di un ministro
evanescente su molte questioni gravi.
Quanto ai neodirettori, in fondo, ha poca importanza
quale passaporto abbiano o se abbiano scritto o no un buon libro, non sono
stati nominati per far funzionare meglio il sistema, ma per paralizzarlo del
tutto. Persino la sottosegretaria Borletti Buitoni l’altra sera ammetteva
imbarazzata che qualche difficoltà organizzativa e di mezzi i musei italiani la
scontano. Quanto ci metteranno persone che le conoscono forse solo per averle
visitate, a impadronirsi dell’indispensabile bagaglio di conoscenze pratiche
necessarie a mandare avanti strutture complesse, ridotte ai minimi termini
dalla penuria di
personale e di risorse? Il solo di caso di conferma – Anna
Coliva alla Galleria Borghese – sembra, più che un premio, un viatico di fine
carriera. Se ne avrà i mezzi forse qualcosa le riuscirà di fare; scommetto però
che, se le cose resteranno come sono, si guarderà bene dal pretendere che la
mettano in condizione di garantire la climatizzazione delle sale, dove in
estate i dipinti su tavola si imbarcano per il caldo.
Come sempre i Beni Culturali sono il battistrada delle
pessime “riforme” italiane. Il personale dirigente della pubblica
amministrazione faccia bene i suoi conti e non disturbi il manovratore,
altrimenti si scordi le possibilità di carriera.
Lasciando da parte le chiacchiere sull’età, il genere
o la nazionalità dei prescelti, ciò che colpisce è la decisione di distruggere
persino la speranza del ministero anomalo, governato da tecnici e non da
burocrati, nel quale si cresce affinando progressivamente conoscenze e capacità
gestionali. È difficile conciliare l’esito della lotteria che mortifica
un’intera leva di funzionari con l’orgogliosa rivendicazione all’Italia del
ruolo di paese guida nella creazione di una task force transnazionale
per la salvaguardia del patrimonio culturale in pericolo negli scenari di
guerra. La cartella stampa distribuita nella pomposa adunata mondiale,
celebrata tra dune artificiali di sabbia e cocci il 31 luglio nell’auditorium
di Expo, è già archiviata.
Il tifo della rete si è diviso sui tedeschi a Firenze,
ma il problema non è lì, anche se nessuno si sognerebbe di affidare la Corte
Costituzionale a un giurista non italiano. Non conosco Eike Schmidt ed è giusto
che, se la procedura che lo ha visto prevalere è corretta, abbia il tempo di
ambientarsi; certo avrei preferito che all’indomani della nomina non si
dichiarasse pronto a far l’affittacamere per incrementare le risorse degli
Uffizi. Non mi aspetto né da lui né da altri un altro caso Bronzi di Riace. Al
prossimo giro tra il ministro e i funzionari non ci saranno conflitti sui
prestiti per ragioni conservative.
Infine, mi preoccupa molto il manager culturale a
Caserta. Bologna aveva un ottimo circuito di musei civici. L’estate scorsa, per
ragioni di bilancio l’intera gestione è stata esternalizzata, con un
peggioramento netto della qualità dei servizi e delle condizioni di lavoro per
il personale. Quello dirigente ha evitato clamori ma diversi collaboratori
esterni, tra questi giovani con titoli paragonabili a quelli di un paio almeno
dei neodirettori, mesi fa si predisponevano all’espatrio. Con i nuovi contratti
non si riesce a mettere insieme abbastanza per vivere. È questo il modello
“d’eccellenza” che si vuole trapiantare a Caserta? Ho qualche dubbio che con
una cura simile possa divenire un volano per il decollo turistico del
territorio.
L’Italia non riparte se non si ricomincia a gestire in
modo intelligente le risorse dello Stato. Per capirlo non è necessario essere
degli economisti. Se questo è un settore strategico si deve investire,
assumendo a tempo indeterminato e senza trucchi studiosi
giovani, e dando loro compiti adeguati alla formazione. Allora, per ottenere
buoni risultati basterà far leva sulle capacità e sullo spirito di corpo del
personale. Una ricetta semplice, ma siamo certi che qualcuno sia interessato?
Fonte:
http://www.bianchibandinelli.it
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