A parziale integrazione dell'articolo pubblicato ieri, per interpretare al meglio il territorio, ho scovato in rete questa ricerca che espone in maniera dettagliata le caratteristiche della zona intorno al villaggio nuragico. C'è da aggiungere che la risorsa che, insieme alle ricche sorgenti, ha attirato le genti nuragiche e prenuragiche in queste montagne, è stata la presenza di ricche miniere d'argento e piombo.
sabato 15 agosto 2015
Archeologia. Studio del territorio di Gairo intorno al sito nuragico individuato i giorni scorsi.
Archeologia. Studio del territorio di Gairo intorno al sito individuato i giorni scorsi.
A parziale integrazione dell'articolo pubblicato ieri, per interpretare al meglio il territorio, ho scovato in rete questa ricerca che espone in maniera dettagliata le caratteristiche della zona intorno al villaggio nuragico. C'è da aggiungere che la risorsa che, insieme alle ricche sorgenti, ha attirato le genti nuragiche e prenuragiche in queste montagne, è stata la presenza di ricche miniere d'argento e piombo.
A parziale integrazione dell'articolo pubblicato ieri, per interpretare al meglio il territorio, ho scovato in rete questa ricerca che espone in maniera dettagliata le caratteristiche della zona intorno al villaggio nuragico. C'è da aggiungere che la risorsa che, insieme alle ricche sorgenti, ha attirato le genti nuragiche e prenuragiche in queste montagne, è stata la presenza di ricche miniere d'argento e piombo.
Gairo,
cuore d’Ogliastra
di Guglielmo
Cabiddu e Simonetta Ligas
Geomorfologia
La conformazione
del territorio allungato che dalle propaggini del Gennargentu si spinge sino
alla costa, determina la presenza di un patrimonio ambientale e naturalistico
straordinario per l’eccezionale ricchezza di boschi ancora vergini, monumenti
naturali come Perda ‘e Liana, montagna calcarea che domina sull’Ogliastra
intera, grotte d’origine carsica, sia superficiali che profonde, attraversate o
percorse da corsi d’acqua, litorali e calette selvagge sul mare azzurro ancora
fra i più incontaminati del Mediterraneo, piscine naturali, punti panoramici e
vallate di straordinaria bellezza. La conformazione orografica del territorio
comunale si presenta, anche nelle quote più basse, irregolare, difficile e
tormentata per affioramenti rocciosi che creano salti talvolta rilevanti. Il
confine Nord–Ovest con Arzana è segnato dal corso tortuoso del fiume
Flumendosa. Dalla riva sinistra del fiume il territorio di Gairo sale
ripidissimo verso Sud–Est fino allo Spartiacque compreso tra Cuccuru de
Muvronis, al confine Nord–Orientale con Arzana e Su Pirastu Trottu, al confine
Nord– Occidentale con Seui. La rete idrografica nel suo complesso scorre
incassata con percorso rapido e tortuoso. I corsi d’acqua hanno un regime assai
irregolare e presentano il classico carattere torrentizio. Sono presenti
affioramenti sorgivi che si assottigliano durante il periodo estivo ma che sono
in grado di assicurare in ogni parte un sufficiente soddisfacimento del
fabbisogno idrico sia a livello alimentare che per le esigenze d’irrigazione.
Le sorgenti più importanti sono una quindicina tra cui: Rio Cabu de Abba
(risorsa idrica dell’acquedotto paesano), Abba Frida in località Taquisara;
Moddizzi in località Castello Canali Enna; Sa Siligurgia in località omonima;
S’Arettili in località omonima. Anche nel centro abitato sono presenti varie
sorgenti d’acqua potabile. Tra Perda ‘e Liana e Cuccuru de Muvronis si apre
verso Est la conca de
S’argalloni e di Arrettilis, dove nasce la sorgente più
lontana che si chiama Rio Su Sammuccu, il principale affluente di sinistra del
Flumendosa, che si chiamerà successivamente Geddai, San Girolamo e Flumineddu, bloccato
oggi dalla diga vicino a Perdasdefogu. Vi confluiscono Su Pitz’e Iligi,
Genn’Orruali, Pranedda, Sa Serra ‘e Sa Mela, Perdu Isu, Is Tostoinis, i vari
fiumi di Sa Genesina, Lepercei, Funtana Donna Pruna, e quelli che uscendo dal
territorio di Gairo vicino al nuraghe chiamato dai Gairesi Is Tostoinis e dagli
Ussassesi Taccu Addai, formano in territorio di Ussassai il fiume Flumini de
Tula. Salendo da Su Sammuccu a S’Arcu de Genna ‘e Filigi ci si affaccia al
bacino del Rio Pardu, che nasce nella valle alta e cupa di foreste chiamata
Baccu Nieddu. Il Rio Pardu riceve le acque degli affluenti di S’Accussadorgiu,
Baccu Farucciu, Sarcerei, Concheddu, Arega Pira, Su Columbu, e Sidda dalla sua
sinistra, mentre dalla sua destra quelli di Cobingius, Usartana, Sa Murta e
Serr’e Porcus. La valle stretta e profonda che si è scavata è coronata a destra
dalla catena scistosa di Sa Silurgia alta 1.097 metri e da altri sedimenti
dolomitici che si susseguono ininterrottamente coi nomi di S’Assa Orruda, Scala
Acussa, Sa Scala de S’arena, fino a Perda Cuccu, con una parete altissima, che
continua in territorio di Osini e fino alla gola dove sorge l’abitato di
Ulassai; il coronamento della valle continua poi con i picchi altissimi che si
succedono: il Tisiddu in territorio di Ulassai, poi Su Monti Lumburau,
Spanalai, Porcu e Ludu e Gutturgionis in territorio di Jerzu. I Picchi
dolomitici continuano anche nella valle del Rio Quirra, fino al castello
omonimo. Chi guarda la valle da S’arcu de Genn’e Filigi o ne segue i tracciati
nella carta geografica, osserva infatti che la valle del Rio Quirra è la
continuazione geomorfologica di quella del Rio Pardu, che in tempi remoti
continuava il suo corso attraverso il valico di Gennecresia. Per qualche
fenomeno tellurico o per evoluzione erosiva della valle, si aprì un varco a
sinistra, verso il Rio Pelau, così chiamato dal latino Pelagus che significa
mare: con buona probabilità, anticamente questo era un fiordo del mar Tirreno
che penetrava nel territorio Gairese fino ad arrivare alle campagne di
Gustierì. Gairo trova in questo rio il quarto bacino imbrifero del suo
territorio. Ne segna il confine per qualche tratto con il territorio del Paese
di Jerzu e lo supera poi gradatamente fino a toccare Osini in Is Carcuris, e
Tertenia lungo il corso del Rio Funtanas e poi sul ciglio di Genna Didu, dopo
l’acquisto del territorio privato che si trovava nel territorio giurisdizionale
di Tertenia. Il territorio di Gairo si estende verso la valle delle sorgenti
del Rio Pelau, in Parendaddei, abbandonando la valle del Rio Pardu, e salendo
gradatamente Sa Costa, fino alla chiesa campestre di San Lussorio e poi a
S’Arcu de Serra. La valle del Pardu è coronata gradatamente a sinistra dalle
cime scistose di Serra Funtaneddas, Monte Piseddu, Perda S’Armidda, ai confini
con Arzana, a Perda Aira, Tricoli, Bimbois e Gaddini ai confini con Lanusei.
All’altra sponda della valle orientale del Rio Tricoli agli scisti sottentrano
i graniti di porfirei rosa, che l’accompagnano fino ai confini con Tertenia. A
Monte Ferru, coperto di una vegetazione lussureggiante, sale a 875 m
d’altitudine a solo qualche miglio dalla costa, costituendo la catena montuosa
costiera più alta della Sardegna. Il verde della foresta s’incrocia con
l’azzurro intenso delle acque marine ed alle varie gradazioni di rosso delle
sue rocce porfiree e degli scogli che spuntano qua e là dal mare. In generale
la fascia altimetrica prevalente risulta essere quella compresa fra le quote
400 e 1.200 m.
Come
nell’area della Barbagia di Seulo e nel Sarcidano, sono diffusi gli altopiani
calcarei chiamati Tacchi o Tonneri, nati nel Giurassico medio–superiore (175 –
136 milioni d’anni) per sedimentazione, inizialmente in ambiente fluviale, di
conglomerati e arenarie quindi d’argille palustri contenerti resti fossili
vegetali (felci, equiseti, conifere). In ambiente marittimo, poi, la loro
formazione continuava con calcare e dolomie, spesso contenenti fossili quali
gasteropodi, coralli e altri esseri viventi marini che sono andati
fossilizzandosi. Questa tipologia di rocce presenta generalmente un colore
grigio quando sono allo stato puro mentre sono giallastre o rossastre a seconda
che contengano ossidi di ferro e d’alluminio. La serie giurassica ha uno
spessore di circa 200 m e poggia su un complesso di rocce scistose d’età
paleozoica. Queste rocce, ancora d’origine prevalentemente sedimentaria marina,
sono costituite da scisti filladici, arenacei, neri graffitici del Siluriano,
quarziti, calcari e marmi del Devoniano, porfirei derivanti da metamorfismo di
lave vulcaniche o tufacee. In tempi geologicamente remoti i movimenti
orogenetici della crosta terrestre modellarono il complesso scistoso paleozoico
facendolo emergere dal mare e portandolo a formare una catena montuosa.
Contemporaneamente ebbe luogo anche la formazione di bacini lacustri nei quali
si depositarono prodotti vulcanici e sedimenti del Carbonifero superiore quali
argille e arenarie che “imprigionarono” imponenti quantitativi di resti
vegetali e animali, portandoli a fossilizzazione. L’attuale morfologia
dell’area dei Tacchi o Tonneri si è plasmata durante l’era Terziaria e
Quaternaria in conseguenza dei movimenti orogenetici della crosta che hanno
causato soprattutto sollevamenti differenziali con conseguente fatturazione
degli ammassi rocciosi. Tale sollevamento ha innescato fenomeni erosivi che
hanno finito di plasmare l’antica piattaforma carbonatica giurassica, facendo
affiorare porzioni del basamento scistoso paleozoico, anche questo scolpito da
canaloni e valli fluviali. La morfologia delle rocce scistose e quella delle
rocce calcareo – dolomitiche è caratterizzata per le prime da forme morbide,
quali versanti non troppo ripidi e cime arrotondate; mentre per le seconde da
superfici tabulari solcate da valli strette e profonde contornate da pareti
quasi a picco, dando addito a vere e proprie valli, da torrioni isolati, come
Perda ‘e Liana, da gradini e cornici contornati da cumuli di blocchi di roccia
crollati, nonché da grotte e doline, classici fenomeni carsici originati
all’erosione della roccia operata dalle acque meteoriche che finiscono con
l’infiltrarsi nel sottosuolo. La dolina non è altro che una conca chiusa che si
riempirebbe d’acqua se le pareti ed il fondo fossero impermeabili. Ma l’acqua
filtra attraverso queste ultime attraverso delle spaccature che con il tempo
possono allargarsi e dare adito alla formazione d’inghiottitoi, pozzi e
voragini. Fenomeni simili alle doline sono i polje, di dimensioni imponenti.
Esistono anche forme carsiche legate alla ricristallizzazione del carbonato di
calcio. Tale fenomeno può dare origine, in tempi geologici relativamente brevi,
ad accumuli di travertino ondulati e frastagliati scolpendoli a volte in forme
belle da osservare. Della suddetta categoria di formazioni rocciose fa parte il
succitato tacco calcareo Monte Perda ‘e Liana che si erge, a guisa di una rocca
isolata, fino a 1.293 metri sul mare dipartendosi dal centro dello spartiacque,
in cima ad una collina a forma di cono. Essa costituisce la cima più alta del
territorio di Gairo. La si vede torreggiare da lontano appena ci si affaccia
dal valico di Correboi, venendo dal nuorese verso l’Ogliastra, dal valico di
Arcuerì venendo da Seui. Secondo Alberto La Marmora, nell’“Itinerario
dell’isola di Sardegna”, intorno alla cima di Perda ‘e Liana, vi sarebbe stato
un nuraghe, ma oggi non vi sono ritrovamenti o altre prove o testimonianze che
corroborino tale affermazione. Il rilievo ricopre un altissimo interesse
geologico per l’evidenza stratigrafica che dai calcoschisti cristallini del
cono su cui poggia sale gradatamente a quelli di lignite e metaxite, al grès
analogo a quello di Nurri, al calcare marmoso grigiastro ricco di fossili, al
calcare che passa per gradi a quello magnesiaco, fino ad arrivare al magnesiaco
perfetto, identico a quello di Nurri, Laconi e Tonara. Vi si può accedere oggi
per varie strade tracciate dalla Forestale, partendo da Sarcerei, da Gairo
Taquisara, da Arcuerì, dalla stazione ferroviaria di Villagrande Strisaili. Il
suo apparire e scomparire frequente lungo la strada che viene da Nuoro in
Ogliastra fa pensare che nell’antichità potesse ricoprire un ruolo importante
come “segnaletica stradale”, quando la zona era coperta da foreste
impenetrabili, in considerazione della sua altezza e, quindi, della visibilità
a grandi distanze. Se l’altitudine massima è quella relativa a Perda ‘e Liana,
quella minima è della località Perd’è Quaddu di 90 m s.l.m. Nella fascia
costiera dove si hanno quote superiori ai 500 m, si raggiunge la quota massima
di 598 m con Punta Cartucceddu.
Punte
più elevate.
Ecco
alcune fra le cime più alte che superano i 1.000 m s.l.m. oltre a Perda ‘e
Liana: Punta Armidda: 1.270 m s.l.m. Punta Erdorrù: 1.236 m s.l.m. Cuccuru ‘e
Muvronis: 1.232 m s.l.m. Punta Pisti Pisti: 1.221 m s.l.m. Perd’Aira: 1.215 m
s.l.m. Punta Tricoli: 1.211 m s.l.m. Punta Trunconi: 1.197 m s.l.m. Punta
Semida: 1.177 m s.l.m. Punta Sa Silurgia: 1.097 m s.l.m. Serra Perdu Isu: 1.088
m s.l.m. Perdu Cuccu: 1.084 m s.l.m. Punta Sarena: 1.079 m s.l.m. Bruncu
Matedi: 1.069 m s.l.m. Punta Baccu e’Pira: 1.067 m s.l.m. Punta S’Alinu: 1.062
m s.l.m. Punta Genna ‘e Cossu 1023 m s.l.m.
Clima
Il
territorio Gairese si estende dalle propaggini del Gennargentu, la più alta
catena montuosa della Sardegna la cui cima più elevata arriva ai 1.834 m, fino
alla costa, bagnata dal mar Tirreno. In generale il clima è mediterraneo, con
un’estate calda ed arida ed una stagione invernale fredda e umida. La piovosità media annua si aggira,
nella stazione di Gairo Taquisara i fra i 750 e 1.000 mm, e tende a concentrarsi
per il 75%, nel periodo autunno – inverno. Quindi, anche i corsi d’acqua
risentono di questa altalenanza delle precipitazioni tant’è vero che sono
classificati come corsi d’acqua a regime torrentizio, con ricchezza di portata
durante il periodo autunno – inverno e siccitosi durante quello estivo. Le
temperature raggiungono le punte massime, anche di 37° C e oltre, nei mesi di
luglio e agosto, ma non di rado anche i mesi di giugno e di settembre sono
molto caldi. Quelle minime, che si aggirano anche attorno allo zero o poco al
di sotto, invece, si possono raggiungere nei mesi fra dicembre a febbraio,
raramente accompagnate da consistenti nevicate. La coltre bianca non regge a
lungo oltre che presso le punte più alte e più fredde dove la permanenza può arrivare
fino a Febbraio – metà marzo. I venti dominanti sono Ponente, che spira da
Ovest ed il Maestrale che spira da Nord–Ovest, quest’ultimo con particolare
frequenza ed intensità (con punte di 90 – 100 km/h). La particolare situazione
climatica costringeva in passato, come in gran parte ancora oggi, alla
transumanza dei greggi che nel periodo estivo abitano la montagna mentre nei
mesi invernali scendono nelle zone più vicine al mare.
Flora
La
vallata di Baccu Nieddu, quella di Sarcerei, le zone di Taccu e di Genna sono,
nella zona montana, fra le più ricche di boschi, mentre evoluta è sia la
macchia sia la foresta che si spinge sino al litorale di Coccorrocci, nella
zona marina. I diversi tipi di vegetazione s’inquadrano nel seguente modo:
Macchia bassa di degradazione, formata da specie quali cisto albino, cisto
femmina, lavanda, da cui si estrae l’omonima essenza usata per la produzione di
profumi e quant’altro. Macchia a sclerofille mediterranee: costituita da
vegetazione che hanno le caratteristiche foglie di consistenza molto rigida
quali il lentisco, terebinto o pistacchio selvatico, erica arborea, ginepro
rosso, ginepro nano, fillirèa, pungitopo, edera, clematide, ginestra. Foresta
di leccio, molto densa e quasi pura, si estende dal livello del mare fino ai
monti, con sporadiche penetrazioni fino a 1.200 m d’altitudine e quindi ricopre
una grande percentuale del territorio Gairese non adibito ad uso agropastorale.
Bosco ceduo invecchiato di leccio: in questo tipo di vegetazione, i secolari
altofusti di leccio sono stati in gran parte distrutti per formare cedui, a
loro volta in parte ridotti in macchia. Si tratta di boschi chiusi che
ammettono pochi elementi nella loro compagnia e nell’ombroso sottobosco. I
cedui in epoche passate sono stati utilizzati generalmente per la produzione
del carbone e oggi, non sempre razionalmente, per la produzione del legnatico
con evidenti fenomeni di degrado. Bosco d’alto fusto di conifere: è il
risultato dell’attività di rimboschimento compiuta dall’Ispettorato Forestale
di Nuoro per un totale complessivo di superficie di oltre 1.000 Ha. Tali boschi
ricostruiti, furono realizzati con finalità di protezione idrogeologica. Le
specie vegetali usate per il ripopolamento sono per la maggior parte pini: il
pino domestico, quello marittimo, il pino nero, il pino laricio, il pino
d’Aleppo, il pino insigne. Bosco d’alto fusto misto e novelletto: anche questo
è il risultato dell’attività di rimboschimento compiuta dall’Ispettorato
Forestale di Nuoro per un totale di superficie di oltre 600 Ha, nonché il cedro
del Libano, castagno, ciliegi, ginepro rosso, ginepro nano leccio, e noce.
Gariga montana: tipo di boscaglia mediterranea tipiche delle zone più degradate
caratterizzate da frequenti affioramenti rocciosi che interrompono la copertura.
Si tratta di una formazione in cui permangono solo pochi elementi residui della
macchia ed in cui compaiono specie che prima non erano presenti, più resistenti
all’aridità dei suoli ed alla forte insolazione. È costituita da arbusti e
cespugli sempreverdi, bassi e discontinui. Le specie che la compongono in
prevalenza sono: rosmarino, timo, lavanda, terebinto, cisto, ginestra feroce
ecc. Vegetazione riparia: tipo di vegetazione che cresce preferibilmente lungo
le rive dei corsi d’acqua costituita prevalentemente da ontani e salici. Da non
dimenticare piante caratteristiche come il leccio, il rovere, il castagno, la
quercia da sughero (sugherella), il ciliegio, l’ulivo, l’olivastro, l’albero
delle noci e delle noccioline, il tasso, l’acacia ed altre piante d’alto fusto
che caratterizzano varie zone del territorio gairese. La vallata di Baccu
Nieddu, quella di Sarcerei e di Serra Cortiaccas, le fasce di Taccu, di Genna,
de Is Tostoinis e de Su Candelessargiu sono, nella zona montana, fra le più
ricche di boschi; mentre nella zona marina intorno a Punta Cartucceddu, molto
vecchio è il bosco di lecci che si spinge in alcuni punti sino al mare, in
particolare nel litorale fra Coccorrocci e capo Sferracavallo sotto Scala
Ogliastra. Il sottobosco è costituito da biancospino, agrifoglio, cisto,
lentisco, ginepro, erica, ginestre, corbezzolo con i suoi tipici frutti rossi,
ricchissimi di protuberanze che maturano alla fine dell’autunno e che sono
ottimi da mangiare e da cui si può ottenere un’ottima acquavite e i suoi fiori,
da cui le api ricavano un miele amaro (che si estrae dalle arnie, a volte
selvatiche, nel periodo autunnale) molto costoso, nonché molto pregiato perché
un toccasana per le vie respiratorie, il mirto le cui foglie si usano per
insaporire la carne di vari animali e dalle sue bacche di colore nero messe a
macerare nell’acquavite si estrae l’ormai famoso liquore omonimo, il timo e il
rosmarino, ottimi per insaporire pesce e carne, i rovi che nel periodo estivo
danno more saporitissime e svariate altre piante da frutto (limoni, arance,
pesche, fichi, ecc.). Non sarà, di certo sconosciuto il problema degli incendi
che nel periodo estivo flagellano il territorio della Sardegna, incluso quello
Gairese, con quello che ne deriva per quanto riguarda l’erosione del suolo
negli strati superficiali: le prime volte che un certo territorio viene
bruciato, infatti, dà ai pastori gran soddisfazione poiché la primavera
successiva vi nascerà una bella erbetta che è, ovviamente, un ottimo foraggio
per il bestiame, ma il frequente susseguirsi degli incendi perpetrato su uno
stesso fazzoletto di terra da piromani senza scrupoli, comporta l’impossibilità
che questa si riprenda adeguatamente. Questo, in considerazione del già
presente squilibrio idrogeologico, comporta un’escalation dei danni che
potrebbe avere come conseguenze, tra l’altro in tempi relativamente brevi,
smottamenti, frane e persino desertificazione. Parte dei pascoli del territorio
di Gairo sono caratterizzati, come parte di quelli dei paesi dell’alta Ogliastra,
da una grande pendenza media e da una grande presenza di infestanti sia di tipo
cespuglioso (cisto, lentisco, ginestre di vario genere) che di tipo erbaceo
(fèrula, asfodelo – dai fiori di quest’ultimo le api ricavano un miele assai
pregiato – , cardi di vario tipo – alcuni dei quali commestibili –). La
funzione di difesa idrogeologica del terreno sottostante è solo una delle tante
che ha la vegetazione. Non sono da trascurare, infatti, i cosiddetti prodotti
secondari quali la legna da ardere, pascolo, frutti di bosco (ghiande,
castagne, ciliegie, pini, ecc) i funghi, gli asparagi selvatici saporitissimi e
non da meno la sua funzione di polmone verde e zona di pick nick e relax sia
per le genti autoctone che per quelle allogene. Ricchissima è anche la quantità
di fiori che sbocciano sul suolo Gairese che vanno dalle rose ai ciclamini alle
orchidee.
Fauna
La
ricchezza del patrimonio boschivo e floreale, favorisce l’habitat naturale per
molte specie faunistiche: procedendo nelle campagne Gairesi capita non di rado
di scorgere delle famigliole di cinghiali, di pernici, la lepre, il coniglio
selvatico, la volpe, la donnola, ed altre specie d’uccelli quali il falco, il
corvo imperiale, la ghiandaia ed il colombaccio, alcuni importanti anche dal
punto di vista venatorio. E’ ancora possibile ammirare gruppi di mufloni, e,
anche se raramente, il maestoso volo di qualche avvoltoio grifone,
dell’avvoltoio monaco od anche dell’aquila del Bonelli o addirittura
dell’aquila reale, specie che, purtroppo, oggi sono minacciate dall’estinzione,
basta, infatti, pensare che di quest’ultima n’esistono pochissime coppie.
Lungo
il corso dei vari torrenti che solcano il territorio Gairese è possibile
dilettarsi con la pesca di gustosissime trote ed anguille. Nel litorale Gairese
è possibile trovare ancora dentici, spigole, orate, muggini, frutti di mare,
molluschi e crostacei. Da dedicare particolare attenzione anche alla bottarga,
anche se non di produzione gairese: si tratta tipicamente d’uova di muggine, ma
anche di tonno, compresse, salate e seccate.
Archeologia
La
presenza di vita umana ha lasciato molteplici tracce fin dalla preistoria. Si
va, infatti, dalle Domus de Janas ai menhir proseguendo con i nuraghi, le
svariate Tombe di Giganti, pozzi nuragici e le capanne, per arrivare sino alle
meno remote costruzioni d’epoca punica, romana e ai residui di un passato
ancora più recente come le vecchie focaie dei carbonai e il borgo di Gairo
Vecchio ormai divenuto centro storico culturale. Nel territorio di Gairo, come
un po’ in tutta la Sardegna, vi sono conservate tracce di vita pre–nuragica
(2.500–1.800 a. C.). Al terzo millennio a. C. ci riportano le cinque Domus de
Janas di Bacu Arista nella marina e quelle di Scalarrana nelle montagne
interne, nella zona di confluenza del Rio Pardu e del Rio Sarcerei, a poca
distanza dal nuovo abitato di Gairo. Si tratta di piccoli anfratti scavati
nella roccia la cui origine è ancora dibattuta. Hanno funzione religiosa e
sepolcrale, teoria maturata in seguito al ritrovamento di ossa al loro interno.
Allo stesso periodo potrebbero riportarci anche i tre betili o menhir che erano
allineati lungo l’antica Strada Orientale che attraversa la piana di Foddini
(oggi in territorio di Cardedu), presso la costa. Questi sono delle pietre
rituali alte più di un metro, aventi forma più o meno conica.
Al
secondo e al primo millennio a.C. ci riportano, invece, molti monumenti
nuragici. Sono presenti nuraghi e villaggi nuragici più o meno ben conservati:
i più importanti sono quelli de Is Tostoinis (chiamato Taccu Addai dagli
ussassesi) e di Perdu Isu. Il primo era un villaggio di notevoli dimensioni,
infatti, si contano più di 40 strutture tra nuraghi e capanne ed inoltre è
presente anche una tomba dei giganti; mentre il secondo è costituito da 11
strutture tra nuraghi e capanne. Inoltre si può osservare ancora la presenza di
una cisterna a pozzo. Non meno importante storicamente è la fortezza nuragica
di Sa Tumba, in località Scaloni ‘e Mesu Matta dietro Gairo Taquisara, il
nuraghe di Genna Didu, sul confine e territorio di Tertenia, e il nuraghe de Su
Serbissi situato nella punta più alta di Serra Serbissi sovrastante
frontalmente il paese di Taquisara. Questo nuraghe ha la particolarità di
essere intercomunicante tramite un cunicolo che attraversa la roccia al disotto
dello stesso nuraghe con una vasta grotta scavata nella roccia della montagna
dolomitica sottostante la quale, a sua volta, attraversa la montagna da un
versante all’altro. Serra Serbissi, e quindi il nuraghe omonimo, è situata sul
confine fra Gairo ed Osini quindi la grotta ha un’entrata nel versante della
montagna situato in giurisdizione di Gairo ed un altro sbocco nel versante in
giurisdizione di Osini. In prossimità del bivio Gairo Taquisara – Osini si
trova il nuraghe Coccu, l’ultimo dei siti nel territorio interno montano
annoverati in questa breve recensione. Nella pianura e nella zona prossima alla
marina vi sono i nuraghi di Ulei, al confine col territorio di Lanusei, Musciu,
Sa Perda de S’obiga, Nurcu, Genn’e Masoni, Sa Serra de is Perdas situato in Is
Carcuris, al confine del territorio di Osini, Sa Brocca, Cuguddadas, Museddu,
Is Follas e Perdu. Parte dei quali siti nel territorio del Comune di Cardedu da
quando è divenuto comune autonomo. Pozzi nuragici si trovano nella località di
Taccu. Molto interessante è il Tempio nuragico a pozzo, sito nella medesima
località, di Cuguddadas, uno dei più antichi e meglio conservati ma non
valorizzati della Sardegna. È detta Su Presoneddu perché si scorgono ancora dei
vani sotterranei con anelli di ferro infissi nelle pareti, forse usati in
antichità per legarvi i prigionieri. In esso i cunei di piccoli sassi che sono
stati adoperati per la sua muratura sono della pietra nera della collina
vulcanica di Bari Sardo. Secondo Alberto La Marmora, nell’“Itinerario
dell’isola di Sardegna”, intorno alla cima di Perda ‘e Liana, vi sarebbe stato
un nuraghe, ma oggi non vi sono testimonianze che corroborino tale
affermazione. Altri ve ne sono in Perdu Isu, Coili, Is Tostoinis, e Scala
Accussa, in Taccu. La particolare posizione del complesso nuragico di Serbissi,
a guardia del valico profondo di Genneùa, fa pensare a una fortificazione
attiva anche in tempi posteriori, per controllare l’accesso in quel punto,
passaggio obbligato per accedere all’interno dalle piane costiere. Ricordiamo
che i massi usati come materiale da costruzione dei nuraghi hanno la stessa
natura di quelli che si avevano a disposizione nel territorio: lavici,
granitici, basaltici, ecc. I nuraghi possono essere trovati da soli, isolati su
un territorio ampio, oppure aggregati ad altri, altri ancora riuniti a guisa di
recinto, altri circondati da opere esterne e altri ancora di grandi dimensioni
accompagnati da altri più piccoli e con essi fisicamente uniti ed
intercomunicanti internamente. L’uso per il quale furono edificati è ancora
dibattuto, in quanto le testimonianze preistoriche, sulla loro destinazione
sono tutt’altro che facili da trovare. Comunque, le funzioni più probabili sono
quelle che li ritengono strutture destinate ad un uso pubblico da parte delle
comunità di allora. Ciò in base ad un ragionamento elementare che si regge su
semplici osservazioni di fatto: la grande mole di lavoro che era indispensabile
per la loro edificazione (massi enormi e pesanti ed altezze proibitive), rende
improbabile che si trattasse di strutture destinate ad uso esclusivamente
privato. L’ubicazione geografica più usuale di tali antiche costruzioni le vede
posizionate in luoghi che in passato avrebbero rivestito ruoli cruciali dal
punto di vista strategico militare. Ad esempio, il villaggio di Perdu Isu suggerisce
una fortificazione a guardia del valico sulla valle diel Rio Flumini de Tula e
a protezione del villaggio più vasto e importante de Is Tostoinis
Tombe
di giganti
Altre
strutture di sicuro interesse archeologico sono le Tombe dei Giganti, formate
da due muri edificati con pietre murate a secco che corrono paralleli distanti
fra loro circa un metro. Il tutto, quindi, forma un fossato, poi ricoperto da
altri massi e da lastre poggiate a formare la copertura. Generalmente sono
orientate rispetto ai punti cardinali in maniera tale che il sole potesse
illuminare la facciata per il maggior numero di ore possibile. Pertanto erano
esposte a Sud/Sud–Est. A volte, al loro interno, quando non vengono profanate
dai tombaroli, sono trovati gli scheletri di defunti in posizione seduta, con
la schiena appoggiata alle pareti e la testa posata sulle ginocchia. La parte
frontale, costituita da lastre infisse verticalmente e affiancate in modo da
costituire una mezzaluna, si affaccia su una piazzetta dove vi era un focolare
e un piccolo altare per le offerte.
Epoca
romana
Numerose
sono le testimonianze della civiltà romana rinvenute: monete, anfore, cocci di
terracotta ed altri reperti. Inoltre, nell’antica strada romana che passa nella
zona marina di Monte Ferru che prosegue fino a Genna Didu sono evidenti i resti
di due villaggi inquadrabili nel periodo tardo nuragico o punico romano. Sempre
nella zona costiera vi sono ancora tratti di un antico lastricato e argini
ascrivibili all’antica strada Orientale Sarda che in territorio di Gairo
attraversava da Nord a Sud le zone del rio Bau de Lispedda, S’Arcu ‘e
S’Argheri, S’arcu ‘e Sa Porta, Funtanas e S’Arcu ‘e Genna Didu, ove trovasi
l’omonimo nuraghe. Di tanto in tanto, presso la zona di Museddu, fondamenta di
case quadrate affiorano nei solchi tracciati dall’aratro; altre se ne vedono
lungo una strada privata in Su Casali, dove la parte vistosa affiorante dal
terreno è stata demolita e usata per la costruzione d’odierne abitazioni.
Dovevano essere agglomerati di abitazioni sparsi in tutta quella piana fino a
Gustierì. Qui, su una collina lungo una strada interna che porta da Foddini a
S’Arcu’e s’Enna, a una profondità di oltre due metri, sono avvenuti
ritrovamenti di cocci di ceramiche, mole per molini e torchi fatti girare da
equini, nonché tracce d’incendi. In Baccili de Farranca, in Cardedu, in Ulei e
risalendo da Gustierì fino alle falde di Monte Ninara, durante la lavorazione
della terra, talvolta affiorano fondamenta di case di epoca romane e tombe
risalenti a questa stessa epoca, in qualche caso contenenti abbondante corredo.
Speleologia
Vi
è una tale ricchezza di anfratti e grotte da meritare una sezione a se stante
per la trattazione specifica dell’argomento. Negli anni ‘60 sono state
scoperte, censite, esplorate e rilevate oltre una dozzina di grotte grazie alla
buona volontà, coraggio e preparazione di diversi gruppi speleologici che si
sono avvicendati nell’impresa di svelare i segreti nascosti delle grotte del
territorio di Gairo. Il risultato di questa operazione di studio speleologico è
stato poi pubblicato in un libro adeguatamente arricchito da dettagliate
descrizioni e numerose immagini. Proseguendo oltre la stazione d’Ussassai,
all’altezza del Km 108 della linea ferroviaria, poco prima di arrivare a Gairo
Taquisara, si trova la zona detta Cabu de Abba in cui è situata la grotta
omonima, più a monte della quale vi sono Sa Grutta de su Coloru, sa Grutta 2a
de su Coloru e sa Gruttixedda Cabu de Abba, mentre leggermente spostata sulla
sinistra si apre sa Grutta de sa Lancia. Continuando a salire sino alla cima
del monte, proprio sotto il nuraghe su Serbissi vi è la grotta omonima, che
attraversa la montagna su cui sorge da un versante all’altro estendendosi dal
territorio di Gairo a quello d’Osini. A soli 150 m a Sud–Ovest di Serbissi, a
quota 950, si trova sa Grutta ‘e Munserra. Tornando in prossimità della strada,
duecento metri oltre il casello, si scorge l’ampio ingresso della Grotta delle
Felci; proseguendo verso Gairo, a poca distanza dalla cava di pietrisco ormai
abbandonata, vi è la piccola Grutta ‘e is Ossus. A pochi minuti dalla stazione
di Gairo Taquisara, in cui si può lasciare il mezzo di trasporto, si possono
raggiungere le grotte de Sa Bruvuriera, che si apre proprio sopra l’abitato,
Genneua, nota localmente con il nome di Sa Grutta Manna, che si trova poco più
in alto alla base di un ampio roccione nella stessa direzione de Sa Bruvuriera,
la Grotta del marmo, visibile anche dalla strada, si trova spostata di un
centinaio di metri sulla sinistra. Da non dimenticare sa Grutta de Perda ‘e
Liana.
Le
leggende:
“SA
BABBAIECA”
A
Gairo, come anche in altre parti della Sardegna anche se con nomi differenti,
“Sa Babbaieca” è il toponimo di un sentiero che finisce in un precipizio nel
quale, in età preistorica, venivano spinti i vecchi dai propri figli, perché
reputati improduttivi e semplicemente ingombranti. Infatti la parola
“Babbaieca” deriva da “Babbai” che significa babbo, ed “Eca” che significa
entrata o uscita da o verso un sentiero campestre. Babbaieca, quindi, significa
uscita del babbo, nonno, o vecchio. Questa tradizione sarebbe avvalorata dalla
testimonianza di Timèo, storico greco – siciliano, vissuto tra il 356 ed il 260
a. C., il quale scrisse che in Sardegna in vecchi venivano eliminati, facendoli
precipitare da alti diruppi, percotendoli con dei bastoni. L’imboccatura del
sentiero che portava al precipizio si trovava nei pressi del ponte sul Rio
Pardu, a tre chilometri dal centro abitato. La leggenda racconta della fine di
quella usanza colma di barbara ingratitudine. Come già tante volte accadde, i
familiari più prossimi portarono su per quel sentiero il proprio vecchio padre.
Quando già si stavano apprestando a spingerlo giù da quel baratro, egli chiese
ai figli che prima del grande salto gli permettessero di riposarsi in quanto
era stanco. «Anch’io,» disse il vecchio rivolgendosi ai figli «in questo sasso
lasciai sedere mio padre quando lo condussi a sa Babbaieca». I figli
acconsentirono all’estrema richiesta del vecchio ormai condannato. Ma, mentre
guardavano il babbo seduto su quel sasso che aveva visto tanti vecchi
attraversare quel punto e non tornare più indietro, un pensiero terrorizzante
pervase le loro menti e rabbrividirono al pensiero che un giorno anch’essi
sarebbero stai condotti dai rispettivi figli per quel sentiero fino a giungere
al baratro che avrebbe decretato la loro tragica fine. Così, guardandosi negli
occhi, ciascuno scorse nel volto degli altri il proprio terrore di una fine
inevitabile. Fu allora, in preda a tanta paura mista a compassione per il
vecchio genitore e per loro stessi, che decisero di riportare a casa il loro
vecchio ma saggio padre e di tenerlo nascosto agli occhi dei tutori di quel
macabro rito. Da quel giorno il benessere riempì la loro dimora, suscitando la
sorpresa degli altri membri della piccola comunità paesana, i quali con il
passare del tempo divennero sempre più curiosi di venire a capo delle cause che
lo avevano generato. Scoprirono poi che quel benessere era dovuto ai saggi
consigli che il vecchio padre nascosto dava ai propri figli, e che, quindi, la
saggezza che egli aveva maturato durante la sua vita poteva essere utilissima
ai giovani. Ne conseguì la decisione di abbandonare la pratica di quel rito che
altro non portava che la perdita di un prezioso bagaglio culturale che avrebbe
tanto giovato alla società la quale sarebbe stata abbondantemente compensata
per l’ingombro che fino ad allora era stato la causa della pratica di un rito
così crudele. Quell’uso infausto viene ancora ricordato nelle imprecazioni che
gli adirati lanciano contro chi dà loro fastidio: Ancu ti ‘nci ettintiti in sa
Babbaieca!! (Che possano gettarti nella Babbaieca).
PERDA
‘E LIANA PORTA DELL’INFERNO
Considerando
che il monte ha avuto una grande importanza nell’antichità non è strano che su
di esso siano nate storie popolari e leggende. Una di queste, diffusa
soprattutto nel Nuorese, narra che il Tacco calcareo, nei pressi del-l’attuale
confine tra i territori Comunali di Gairo e Seui, sarebbe una delle porte
dell’inferno, da dove, al chiar di luna piena, uscivano diavoli e streghe per
mettere nei pasticci i comuni mortali. Non solo. In tali occasioni chi
desiderava diventare ricco doveva recarsi sul posto ad offrire al demonio la
propria anima: in cambio ne avrebbe ricevuto qualunque ricchezza. La gente,
quando si accorgeva che una persona diventava ricca velocemente, diceva che era
andata a Perda ‘e Liana. Tali racconti leggendari erano ricordati così: a sa
Perda ‘e Liana a Perda ‘e Liana su hi heres ti dana! ciò che chiedi ti danno! A
tale proposito si narra che un giovane d’Oliena vi si recò per chiedere,
durante una sera di luna piena, molte ricchezze e, dopo aver camminato a lungo,
giunse sul posto al tramonto: il Tonneri era bellissimo ma in quelle ore e con
il sole oramai al crepuscolo, il Tacco calcareo emanava dei colori suggestivi,
che diffondevano nell’area una sinistra irrequietudine. A mezzanotte, con la
luna piena alta nel cielo, vide apparire un gran numero di demoni e streghe che
si misero a danzare sulla cima del Torrione. Dopo i primi momenti di
smarrimento ed insieme di paura e stupore, si fece coraggio e chiese di poter
parlare con il loro capo. Gli fu indicato uno più grosso degli altri che stava
facendo girare in tondo un asinello come se fosse ad una macina. Il dorso di
questo era appesantito da una grossa bisaccia colma di monete d’oro che
facevano un gran tintinnare fragoroso ad ogni passo dell’animale. Quando il
capo di demoni con i suoi occhi che sembravano tizzoni ardenti fissò il
giovaneattendendo che questo gli offrisse l’anima in cambio della bisaccia
ricolma dell’oro, costui, assalito dal terrore, invocò il cielo esclamando:
Gesusu, Maria e Giuseppi! Gesù, Maria e Giuseppe Eita esti custa camarada! Che
cos’è questa disgrazia! Santa Giulia avocada, Santa Giulia ti invoco, Bogamindi
de mesu! Toglimi da mezzo ai guai! A quelle parole, tutti i demoni e le streghe
scomparvero come fossero stati inghiottiti dalle rocce ed il malcapitato
giovane potee tornare a casa più povero di prima, ma senza aver venduto l’anima
al diavolo.
Agricoltura
Per
quanto riguarda la semina dei cereali, essi si coltivavano nei salti comunali
con il regime delle vidazzoni, alle quali si destinavano molte zone tanto che
si ritornava a seminare una zona determinata solo dopo molti anni. Scelta in
tempo la zona per la vidazzone e determinati i lotti sorteggiati da ciascun
contadino, a Maggio si faceva Su nerboni, si tagliava, cioè, tutto il
sottobosco di eriche, cisti e corbezzoli che si sarebbero, poi, bruciati dopo
ferragosto. Anche per questo erano molto frequenti gli incendi delle foreste di
elci e di altra vegetazione anche secolare. La semina cominciava nelle zone di
montagna dopo le prime piogge di Ottobre, perché in seguito c’era il periodo
delle nevicate e del freddo che avrebbero ritardato la germinazione. Ciascuno
seminava tanta terra in base a quanto giudicava necessario per la provvista
della famiglia e non a scoppi commerciali, tenendo, tuttavia, in conto che
avrebbe dovuto dare la decima al clero, la retribuzione in natura al fabbro per
il lavoro che ne aveva avuto per le zappe, gli aratri, i ferri dei buoi e dei
cavalli, quel che doveva dare al barbiere per le rispettive prestazioni e
quanto doveva versare al sacrista per il suono delle campane, in sostituzione
dell’orologio pubblico mancante. Durante l’estate, dopo il raccolto, i
decimatori, cioè il fabbro, il barbiere e il sacrista passavano dai loro
barrocchiani, ovvero clienti, a raccogliere i loro salari. C’erano tariffe
fisse in vigore da secoli che non cambiavano con il variare del valore della
moneta o della sua quantità. A usus e custumus, la gente ci stava senza
recriminazioni: se cresceva il prezzo delle cose doveva crescere anche quello
del lavoro e viceversa, affinché il rapporto rimanesse costante. I lavori
allora venivano pagati in natura per mancanza o scarsezza di moneta., cioè si praticava,
come un po’ ovunque, una fra le più arcaiche forme di baratto, che in alcuni
casi si conserva ancora oggi: svariate volte, infatti, succede che due persone
decidano di praticare il cosiddetto aggiudu cambiu. Con questo si mettono
d’accordo per andare a lavorare prima in una e poi nell’altra proprietà,
scambiandosi non la moneta ma sa giornada ‘e traballu, la giornata lavorativa,
appunto, con lo scopo di diminuire le uscite monetarie e di poter svolgere
certi lavori che ciascuno avrebbe difficoltà a fare singolarmente.
Pesca
Per
la pesca nel fiume in particolare nel rio Pardu, nel secolo scorso si faceva
uso di varie tecniche ed utensili: si usavano una piccola rete di filo di lino
tessuta a mano che prendeva il nome di òbiga, l’amo, pressappoco come ai giorni
nostri, o la forchetta fatta di corbezzolo. Quando veniva infilzata l’anguilla,
il pescatore le dava una stretta al collo con i denti e la gettava sulla sponda
del fiume, da cui il compagno la raccoglieva e la riponeva nel sacco.
Festività
Dopo
un periodo in cui molte tradizioni stavano sciamando, da qualche anno sembra
stia avvenendo un ritorno alle cosiddette feste campestri che richiamano un
numero sempre maggiore di partecipanti. Tali feste si svolgono perlopiù in
santuari siti fuori dal paese e sono: San Lussorio nell’omonima chiesa, la
madonna del Buon Cammino in località Buon Cammino, la Madonna degli Angeli a
Gairo Taquisara, lo Spirito Santo nel centro abitato, Sant’Elena nella chiesa
omonima del Paese Vecchio e San Giuseppe a Gairo Taquisara. Le manifestazioni
che si svolgono a Gairo sono soprattutto d’origine religiosa, con la sola
differenza della Sagra del cinghiale, di recentissima istituzione, che si tiene
in concomitanza con la festa di Sant’Antonio Abate. Quest’ultima è d’origini
remote ed è molto sentita dalla popolazione, soprattutto perché legata alla
tradizione contadina che riteneva di buon auspicio, per l’andamento
dell’annata, la buona riuscita del fuoco che si accende la sera. Oggigiorno si
approfitta dell’occasione per cucinare la carne dei cinghiali che i cacciatori
procurano per l’occasione durante la stagione venatoria. Sempre in questa
serata, si servono svariati dolci prodotti appositamente per la ricorrenza da
coloro che si cimentano nel coordinamento dei vari aspetti organizzativi. Il
tutto, naturalmente, bagnato da ottimo vino ed altre bevande di vario genere.
Tutti i festeggiamenti che si svolgono nel paese sono accompagnati da balli
tipici e/o altri spettacoli e, talune volte, anche da giochi e competizioni sportive.
Infatti, la monotonia della quotidianità, oggi come quando si abitava nel
vecchio paese, veniva rotta dalle feste popolari, nelle quali, oltre che
pregare, ci si allietava con divertimenti a volte infantili e quasi folli. Per
la Settimana Santa i ragazzi avevano molto da fare per lo “strepito
dell’Ufficio delle tenebre”. Non sembrava vero, vista l’inusualità
dell’accadimento, che una volta tanto potessero fare baccano in chiesa, tant’è
che questo appariva come un rito. C’era infatti chi si forniva di “matracca”,
chi di “furriola”, chi di un tubo di canna innestato in un corno di bue
spuntato allo scopo di farne uno strumento per produrre forti rombi: Peppino
Meloni, grazie ad un guscio di tritone di grosse dimensioni che aveva trovato
nella spiaggia, faceva tanto chiasso da superare lo strepito generale. Tutti
trattenevano il respiro in attesa che il sacerdote, finita la messa, battesse
qualche colpo sul Breviario, che era il segnale di inizio di un frastuono
indiavolato che aveva luogo proprio sull’uscio della chiesa. Durante il Venerdì
Santo lo strepito accompagnava tutta la processione dell’Addolorata, il cui
simulacro veniva portato alla chiesa dello Spirito Santo, perché ripartisse il
mattino di Pasqua al fine di celebrare l’incontro con l’altro simulacro del
Figlio Risorto, che avveniva puntualmente nella zona di Abbargius. Alla fine
della processione dell’Addolorata i ragazzi si divertivano a fare baldoria con
Furriolas e matraccas, che a quei tempi erano sempre numerosissime. Questi
strumenti erano degli antichi “giocatoli” realizzati appositamente per fare
chiasso. Altra occasione per rompere la monotonia era ed è ancora oggi la messa
di mezzanotte della notte di Natale. Durante alcune ricorrenze i ragazzi
andavano in giro per le case a chiedere qualcosa di caratteristico da mangiare,
che si preparava per l’occasione. Gridavano “a is istrinas”, (alle strenne, che
non erano altro che i doni di buon augurio che ricevevano da tutte le famiglie
alla cui casa andavano a bussare), girando per le case il primo giorno
dell’anno, “a is panisceddas” (alle pabassine, i dolci di uvetta, mandorle,
noci e vino cotto) per la festa di Sant’Antonio Abate, “a is zippulas” (alle
frittelle) per il Carnevale, “a is animas” (alle anime dei defunti) il giorno
della commemorazione dei defunti. In tutte queste occasioni tutte le famiglie
che potevano, davano qualche cosa ai ragazzi che passavano a chiedere e
infatti, in quei giorni, tutte preparavano un cestino con un ampio assortimento
di dolci, noci ed anche degli spiccioli da donare un po’ a tutti coloro che
andavano a bussare alla porta in virtù di quell’antico rito. Rito che ancora
oggi si pratica, anche se solo per la giornata della commemorazione dei
defunti. L’ultima notte dell’anno, invece, si giocava ad indovinare matrimoni.
Si dava il nome di un ragazzo del paese ad una foglia verde d’olivastro e
quello di una ragazza ad una foglia verde d’olivo e le si buttava poi ad una
certa distanza tra loro nella cenere calda del focolare. Per il forte caldo, si
accartocciavano e saltavano da una parta all’altra avvicinandosi o
distanziandosi: se il salto era convergente si deduceva che i due ragazzi si
sarebbero sposati, mentre invece il pronostico era contrario se il salto era
divergente. Feste particolari di Gairo erano e sono tutt’oggi quella dello
Spirito Santo, della Vergine Assunta, diSant’Elena i cui festeggiamenti avevano
luogo nel paese e quelle di N. S. di Buon Cammino e di San Lussorio che si
svolgevano nelle rispettive chiese. Alla festa dello Spirito Santo era dedicata
una chiesa, attualmente distrutta, sulla quale si narra una particolare
leggenda inerente la sua costruzione. Nonostante la patrona del paese fosse
Sant’Elena, a cui è stata ed è tutt’oggi dedicata una chiesa che sorge nel
vecchio abitato in cui viene festeggiata, malgrado non sia più la Patrona del
nuovo centro, alla festa dello Spirito Santo ci si preparava con una novena
spettacolare alla quale partecipavano anche i paesi di Osini, Ulassai, Lanusei
e Jerzu nonché molte altre persone provenienti da altri paesi. Si trattava di
una pratica religiosa consistente in un ciclo di preghiere e di pii esercizi
della durata di nove giorni (da cui il nome) effettuati in onore ed in segno di
devozione nei confronti del Santo al fine di ottenerne le grazie. Il sabato
della vigilia cominciando all’imbrunire, si dava luogo a “su ingiriu”: le donne
che avevano dei problemi propri o di qualche familiare, giravano in ginocchio
attorno alla statua della Santissima Trinità, e poi attorno alla chiesa sempre
in ginocchio, pregando con grande devozione: a questa preghiera penitenziale si
attribuiva, dunque, un’efficacia particolare. Qualcuna, in particolarissime
circostanze personali, oltre che in ginocchio ha girato intorno alla statua
strisciando anche la lingua per terra. File lunghissime di donne camminando per
due recitando il rosario, venivano a piedi dai paesi vicini tutti i giovedì, a
cominciare da quello della settimana di Pasqua, assistevano alla messa e se ne
ritornavano alle loro case a gruppi sciolti, chiacchierando. Per queste donne
la festa si celebrava la domenica, assistendo alla messa ed alla processione.
Il lunedì successivo, terzo giorno della festa detto Sa Festa de is Bagadius,
la festa dei celibi., arrivavano quelli di Lanusei e di Ilbono. Le ragazze di Lanusei
veneravano lo Spirito Santo col titolo di Su Santu Coiadori, il santo pronubo
dei matrimoni: infatti durante quel giorno di festa, nella località su
Mont’Orrubiu, a circa un chilometro da Gairo, lanciavano un sasso nella
scarpata e dal modo con cui esso rotolava né venivano dedotti i loro pronostici
matrimoniali. Questa festa è ancora oggi frequentata da persone provenienti da
tutta l’Ogliastra, e dalla Barbagia di Seulo. Anticamente si dava ai pellegrini
che vi si recavano un pezzo di carne arrostita, “su carramponi”, da qui
l’antico nome de “Sa Festa ‘e Su Carramponi”. La festa di Sant’Elena è oggi un
po’ meno solenne rispetto a quella dell’odierno patrono. Ma prima un signore
anziano, Ziu Vissenti ‘e Idda non mancava mai di spargere sul pavimento della
chiesa di Gairo Vecchio in cui veniva festeggiata, rametti di rosmarino che
portava da Pranedda e che i fedeli, al ritorno dalla processione, raccoglievano
e portavano devotamente a casa come fossero cosa benedetta. Nella terza
domenica d’agosto si celebra la festa di San Lussorio nell’omonima chiesetta di
campagna sita lungo la strada provinciale che collega Gairo a Cardedu. In
passato, la sera prima si accompagnava in processione il simulacro fino
all’uscita del paese, poi lo si consegnava velato a quattro uomini affinché lo
conducessero alla sua chiesa. Recentemente uno di questi uomini si è permesso
lungo il viaggio di trattare sacrilegamente la statua. La popolazione ha poi
visto il castigo di Dio per quel sacrilegio nel fatto che qualche anno dopo
quel giovane padre di famiglia sia morto sotto una frana, lungo quella medesima
strada. Oggi il simulacro di San Lussorio viene accompagnato sempre la sera
prima dei festeggiamenti nella sua chiesa rurale da un corteo di macchine,
partendo dalla chiesa di Gairo fino ad arrivare alla chiesa campestre per poi
farne il giro sempre in processione. La terza domenica di settembre è dedicata
alla festa di N. S. di Buon Cammino, che si celebra nella località omonima
vicino alla costa. Recentemente ha perduto parte del suo fascino perché con
l’avvento della macchina tutti vi si recano solo nell’ora del culto e dei
divertimenti, ritornandosene a casa per i pasti e durante la notte. Una volta
vi si dormiva per due notti in loggette disposte in due file esternamente alla
chiesa.
Calendario
I
festeggiamenti suddetti si svolgono secondo il seguente calendario annuale:
Sabato più vicino al 17 Gennaio S. Antonio Abate e Sagra del Cinghiale (Gairo)
1 a domenica di maggio San Giuseppe (Gairo Taquisara) Pentecoste Spirito Santo
– Santo Patrono (Gairo) 1 a domenica d’Agosto N.S. degli Angeli (Gairo
Taquisara) 3 a domenica d’Agosto San Lussorio (Gairo e chiesa dedicata presso
loc. S. Lussorio) Ultima domenica d’Agosto Sant’Elena (chiesa dedicata presso
Gairo Vecchio) 3 a domenica di Settembre N. S. di Buon Cammino (Gairo e chiesa
dedicata presso loc. Buon Cammino Cardedu)
Gastronomia
Nelle
confortevoli ed accoglienti località di Gairo, i turisti buongustai potranno
assaporare primi piatti, carni, prodotti ittici, frutti di mare, selvaggina,
prosciutto, salsiccia, formaggi, vini, pane, dolci, frutta, che da sempre
imbandiscono la mensa delle genti locali.
Primi
piatti
Un
vero primo piatto tipico, molto accattivante e conosciutissimo, vista la loro
bontà, sono is culurgionis, gli agnolotti, che all’interno della sfoglia chiusa
a mano con una serie di pizzicotti datti in rapida successione e con un
movimento particolare delle dita formando una sorta di “spiga”, contengono
ingredienti semplici e genuini: purea di patate lesse, formaggio pecorino,
strutto, o olio d’oliva uova, aglio e menta, che si cucinano fritti o in
maniera simile alla pasta e si servono caldi, conditi con sugo e formaggio
oppure con aglio, olio, prezzemolo, pepe e formaggio. Fra i piatti asciutti
sono da segnalare is malloreddus, gnocchetti ottenuti con pasta di farina fiore
e spesso arricchiti con purea o fecola di patate che si cucinano e si servono
come gli agnolotti. Tra i prodotti della pasta ripiena, oltre a is culurgionis
sono da segnalare is raviolus de arrescottu o de pessa (ravioli di ricotta o di
carne): preparati con sfoglia finissima di pasta che avvolge una piccola
pallottolina di ripieno preparato con carne o ricotta alle quali vanno aggiunti
altri ingredienti e spezie che n’esaltano i sapori. Coccoi ‘e patata, la
focaccia di patate con la stessa sfoglia e lo stesso contenuto de is
culurgionis, ma che non si chiudono e si cucinano al forno, possibilmente a
legna. Coccoi ‘e cibudda, focaccia di cipolle, realizzata con zucca e cipolle a
dadini , farina, pancetta, pomodori a fettine preferibilmente secchi, olio
d’oliva e grasso animale fuso, spezie, casu ‘e fitta (formaggio salato) e
foglie di cavoli come contenitori. Si mescolano tutti gli ingredienti insieme e
se ne stende un po’ su ogni foglia di cavolo, tanto da non superare lo spessore
di circa un centimetro, si mettere a cuocere in forno possibilmente a legna e
si serve sia calda che fredda.
Carni
e cacciagione
Per
la carne di cinghiale, una formula di cottura consiste nel metterla dentro
buche arroventate dal fuoco e rivestite internamente di foglie odorose sulle
quali, una volta ricoperta la carne delle stesse foglie odorose e di terra o
massi già arroventati, si accende una catastina di legna, ottenendo così una
cottura lenta della carne che a contato con le foglie odorose per tutto il
periodo della cottura ed in quell’ambiente chiuso acquisisce fino in profondità
un aroma particolare diventando squisita Carrargiu).
Altre
pietanze particolari sono i maialini da latte, gli agnelli e i capretti di 3 – 6
mesi, arrostiti allo spiedo e rosolati con il lardo incandescente finché la
carne non abbia assunto la rosolatura, la croccantezza ed il tipico sapore
accattivante. Ancora, si possono reperire delle vere specialità tipiche della
montagna nella quale si può trovare la più svariata selvaggina: lepri, pernici,
quaglie e is pillonis de traccula, ossia le taccole. Le pernici e le quaglie
possono essere cucinate in umido e profumate di mirto o rosolate in tegame con
carne di maiale da latte o ancora cucinate con sughetto piccante, olive verdi o
nere dal sapore amarognolo, rosmarino od altre spezie costituiscono delle
autentiche ghiottonerie! Is pillonis de traccula sono uccelli di passo, merli e
tordi, che vengono lessati o preparati ad infilzata ed arrostiti, per poi
essere adagiati su dei ramoscelli di mirto. Is tracculas nelle loro
peregrinazioni, seguono delle abitudini esattamente contrarie a quelle delle
rondini. Infatti, questi piccoli uccelli arrivano in Ogliastra con le brume di
Novembre. Al freddo esse prosperano ed ingrassano, perché sui monti della zona
trovano nella stagione rigida il cibo più adatto: bacche di mirto, di
corbezzolo, di ginepro e di lentisco. Il mirto è un ingrediente indispensabile
per la confezione de is tracculas ed è frequentemente usato anche nell’arrosto
della carne di cinghiale ed altre carni locali. Come tutti gli altri arrosti
fatti ad infilzata, viene cucinata, possibilmente con lo spiedo di legna, anche
la treccia realizzata con le interiora grasse degli animali quali capra, pecora,
agnello e capretto, detta sa corda e leI Prodotti ittici e vini
Le
trote cucinate arrosto, infarinate o fritte sono ottime, non meno delle
saporitissime anguille preparate con una salsetta piccante a base di sugo. Da
non dimenticare i prodotti ittici del mare quali spigole, orate, muggini,
frutti di mare. Da dedicare particolare attenzione anche alla bottarga, anche
se non di produzione gairese, usata per la preparazione di salse e condimenti
per accompagnare piatti tipici e non. Il tutto bagnato dai rinomati vini dei
vigneti dell’Ogliastra che offre diverse specialità: secco e dolce, bianco,
rosso e rosé. Altri prodotti
Il
prosciutto e la salsiccia di Gairo conservano il sapore genuino delle foreste
di lecci (o elci), delle macchie di mirto, corbezzoli (o albatri) e lentischi,
i cui frutti abbondano in quasi tutto il territorio. I maiali da cui sono
ricavati, infatti, sono ancora allevati, salvo particolari avversità climatiche
tutt’altro che frequenti, senza la somministrazione di mangimi industriali ma
con i prodotti che si trovano nelle campagne che fanno acquisire alla carne
degli animali un sapore di un’eccezionale bontà che si conserva anche dopo la
preparazione degli insaccati e del prosciutto. Naturalmente nella variegata
gastronomia locale, non mancano i formaggi: il pecorino, la ricotta, il
formaggio acido (casu agedu), marcio (casu marsu). Il formaggio marcio,
trasformato in crema da dei minuscoli vermicelli, è molto saporito, piccante e
ricco di fermenti lattici vivi. Questo formaggio, tanto morbido e cremoso,
sembra burro in procinto di sciogliersi: spesso viene consumato per merenda o
spuntini spalmato sul pistokku accompagnato da un immancabile bicchiere di
vino. E, naturalmente, la dolce ricotta, sia fresca, che stagionata per consumarla
con pane, o usarla come condimento nel tipico minestrone sardo, che risulta
così arricchito di nutrienti e dal sapore più gradevole, o, ancora, per
preparare dolci e torte. Fra i dolci che si possono preparare con essa
ricordiamo is pardulas, le formaggelle. Il formaggio acido si mangia da solo
oppure con zucchero e limone, facendoli acquisire così un sapore delizioso e
più delicato; con questa combinazione di sapori agro–dolci si possono preparare
anche dolciumi fra cui ancora is pardulas. Ancora oggi i nostri pastori, nei
loro ovili, fra le prime cose che offrono all’ospite in segno di ospitalità è
proprio su casu agedu e su casu ‘e fitta. Il primo è praticamente la yogurt
magro alla sarda, mentre il secondo non è altro che il primo messo sotto sale. Quest’ultimo
è usato come condimento specialmente per la minestrina e per le minestre, a
volte in combinazione al lardo o la pancetta conciati come il prosciutto e
tagliati finemente affinché si sciolgano durante la cottura. Su Callu, ossia il
caglio che normalmente viene usato per coagulare il latte per la produzione dei
suoi derivati, viene mangiato come su casu marsu e come questo ha anche un
sapore piccante. Si ottiene dallo stomaco dei capretti da latte che viene
appeso al fresco per un periodo più o meno lungo affinché i fermenti contenuti
nella mucosa dello stomaco stesso trasformino il latte facendogli acquisire una
consistenza cremosa.
Il
pane
“Is
coccois frorias”, il pane fiorito, e su “pistokku”, detto altrimenti carta
musica si possono ancora trovare fatti in casa con semola di grano duro e
farina fiore, lavorati a mano e cotti nel forno a legna, come anche su
“moddissosu”, grandi focacce di pane casereccio lievitato fatto con l’impasto
di semola di grano tenero e purea di patate. Il forno rustico si pavimenta con
mattoni crudi, o già cotti. Le pareti sono realizzate in mattoni d’argilla
rossa e mattoni, solitamente già cotti, rivestiti all’esterno di uno strato
molto spesso di materiali silicei, come la sabbia o ciottoli, che accumulano
calore durante la preparazione del forno, alluiri su forru, prima
dell’introduzione dei cibi e lo rilasciano lentamente durante la loro cottura e
poi ancora mattoni ed intonaco in malta a base di calce, più elastica e stabile
del cemento alle dilatazioni termiche. Una volta finita la sua costruzione, la
prima volta che si accende bisogna tenerci dentro il fuoco acceso e piuttosto
vivace per circa 24 / 36 ore. Questa operazione viene detta Incisiai Su Forru,
temperare il forno appunto. Per pulirlo dalla cenere e bracci prima della
cottura del pane, si usa la scopa fatta d’erbe fresche, o frasche particolari
che non lasciano residui sul piano di cottura.
Dolci
Is
amarettus teneri amaretti, fatti con mandorle, in piccolissima parte amare,
bianco d’uovo e zucchero. Is pistoccus, biscotti leggerissimi e ricoperti di
zucchero; is papassinas, dolci con binu cottu (mosto cotto di uva) o con sapa,
(mosto cotto di fico d’india, oggi purtroppo caduto in disuso, al posto del
quale si usa su binu cottu), uva passa mischiata a mandorle e a noci; dopo che
gli ingredienti vengono impastati si fanno i dolcetti dando loro una forma
conica con le mani e la si ricopre a sua volta di saba o di vino cotto, poi
sopra si guarniscono con momperiglia (zucchero colorato in pagliuzze) e si cuociono
al forno. Is Piricchitus: fatti con farina fiore, semola, latte, strutto,
zucchero, sale, chiare d’uovo, momperiglia, lievito per pane, hanno una forma
di rombo e si cucinano al forno. Is mustacciolus aventi forma di rombo
ricoperti di glassa di zucchero e con una spruzzatina di zucchero colorato
sulla superficie, contenenti nell’impasto uva passa, zucchero, farina e uova.
Is gueffus che sono un impasto di mandorle tritate finemente e zucchero, a
volte aromatizzate con scorza di limone o arancia, non sono cotti ma si servono
immediatamente oppure si avvolgono come delle caramelle nelle cartine
appositamente preparate. Su gattou, fatto di mandorle tostate, mischiate con
zucchero caramellato, poi steso su un ripiano, lasciato freddare, tagliato a
rombi e posato su delle foglie d’arancio o di limone. Is pardulas de arrescottu
sono i tipici dolci della Pasqua: si tratta delle saporitissime formaggelle,
fatte con sfoglia di pasta e col ripieno a base di ricotta o formaggio fresco,
a volte anche dell’uvetta sultanina ed altri ingredienti, tra i quali lo
zafferano. Si cucinano nel forno a legna e si servono fredde. Da non
dimenticare, poi, su pani ‘e saba, (pane di sapa). E’ un impasto di farina e
saba al quale si aggiunge, scorza d’arancia o di limone. Si cuoce al forno dopo
averlo fatto fermentare (aggedai) a lungo. Is zippulas solitamente si fanno a
Carnevale, sono soffici frittelle con farina fiore, lievito, uova, latte,
zafferano ed acquavite o altri liquori.
Frutta
La
frutta completa il quadro gastronomico: pesche, mele, albicocche, arance, uva.
In particolare, già da metà maggio si possono gustare le ciliege marracoccu e
cordofali che si mangiano fresche, sciroppate o sotto spirito. Inoltre si
preparano ottimi liquori, quali il mirto, l’amarena, ed il maraschino anche se
solo a livello familiare.
Economia
locale
La
tradizione vuole che certe attività fossero più fiorenti nel tempo passato che
non nel presente: si racconta, per esempio, che, nell’anno 1938, l’abitato di
Gairo (Vecchio, naturalmente) avesse una composizione di 250 case, 245 famiglie
e 1100 abitanti. Di questi, 260 erano dediti all’agricoltura, 80 alla
pastorizia e vi erano un buon numero di “vetturali di vino”, i quali andavano
in carovana alla spiaggia di Tortolì e nei villaggi della provincia di Nuoro,
portandolo sui cavalli in grandi otri, alcune delle quali avevano una capacità
di dieci quartàra (per la cronaca, una quartàra equivale a circa 10 litri).
L’estensione dei vigneti di allora si può immaginare dal fatto che autori
dell’epoca scrivevano che nonostante la gran quantità delle bevande che si
destinavano al consumo locale e che se ne vendeva abbondantemente ai Genovesi
che per comperarlo venivano fino al porto di Tortolì, ne rimaneva ancora tanto
da essere smerciato nei dipartimenti della Barbagia, del Logudoro e della
Gallura, nonché per distillare acquavite e per cuocerne allo scopo di farsi la
provvista del vino cotto. Questi grandi e produttivi vigneti erano situati dove
ancora oggi il territorio ha conservato l’antico nome de Is Bingias de susu, le
vigne di sopra. Inoltre vi erano molti telai, 90 dei quali erano impiegati per
la fabbricazione dei pannilani,(tessuti di lana, morbidi e fitti, usati
specialmente come coperte) che si smerciavano nei paesi del circondario e
addirittura nel Campidano. Non solo, erano presenti anche venti fornaci in cui
si cuoceva il calcare delle montagne circostanti per ricavarne calce, che
veniva venduta ai comuni di Arzana, Villagrande, Elini, Ilbono, Lanusei, Loceri.
Ancora oggi si possono osservare i ruderi di qualcuno di questi antichi forni.
Attività
Oggi,
riveste una notevole importanza l’attività silvicola: l’importanza che essa
ricopre è evidenziata dal fatto che una percentuale attorno al 60% della popolazione
attiva svolge la sua attività in tale settore. A partire dagli anni Cinquanta,
infatti, una parte del territorio comunale è stato dato in occupazione
temporanea all’Ispettorato Dipartimentale delle Foreste di Nuoro. Nel progetto
di rimboschimento vennero assunti a tempo determinato decine di operai del
comune di Gairo per l’esecuzione dei lavori. In alcuni periodi il numero delle
unità operaie, in seguito all’accrescere del fabbisogno occupazionale, e
arrivato a superare il centinaio d’unità. L’attività forestale s’integra con
quella zootecnica e l’agricoltura di montagna, nonché con la pastorizia
transumante. A prescindere dal fatto che i prodotti della terra sono genuini e
saporitissimi, l’agricoltura locale esistente oggi è, salvo qualche eccezione,
quasi completamente part–time, a cui si dedicano pensionati e persone il cui
reddito maggiore deriva da altre fonti. Trattasi d’aziende di rilevanza
solitamente limitata all’ambito familiare, o comunque al territorio locale. La
pendenza del territorio costituisce un limite che viene superato, nella
maggioranza dei casi con il ricorso alla realizzazione dei terrazzamenti. Il
clima e l’ambiente permette la coltivazione di svariati ortaggi, un buon
assortimento di alberi da frutta, l’ulivo ed altre specie quale la vite (in
particolare il cannonau e la vernaccia) da cui si ottiene vino, vino cotto e
acquavite. In particolare l’ulivo viene coltivato, oltre che per la produzione
dell’olio, anche per mettere il frutto in salamoia. Da non trascurare, poi, il
benefico effetto che hanno le sue radici che è quello di proteggere i suoli,
particolarmente scoscesi dove di solito viene piantato, dall’erosione che
altrimenti le piogge invernali esercitano su di esso. Il settore zootecnico non
è più come un tempo il settore trainante dell’economia locale mentre il periodo
di utilizzazione dei pascoli è in parte influenzato, come in passato, dal clima
e dalla stagione: a quote superiori ai 1.000 m l’arco di tempo di utilizzazione
del territorio è compreso prevalentemente dal mese di maggio al mese di
ottobre, anche se una parte del bestiame, non possedendo altri pascoli, è
costretta a svernare a queste altitudini. Esso viene ugualmente portato al
pascolo e usualmente solo in condizioni climatiche particolarmente avverse viene
alimentato con sementi alternativi e mangimi integrativi. Nelle zone a valle il
periodo di utilizzazione dei pascoli avviene prevalentemente dal mese di
Novembre e si protrae fino ad Aprile, a seconda dell’andamento stagionale. Ha
ancora una certa diffusione il pascolo allo stato brado. Si allevano ovini,
suini, bovini, caprini, e-quini. Nonostante gli aspetti negativi di questi
metodi d’allevamento non a stalla, c’è da porre l’accento sulla genuinità e
l’eccezionale sapore delle carni e dei loro derivati così prodotte che in
termini qualitativi sono decisamente più deliziosi dei prodotti provenienti da
allevamenti intensivi. Per quanto riguarda il latte prodotto, viene conferito
ad un caseificio privato che si trova a Cardedu. Anche qui si è avuta, rispetto
al passato, una progressiva diminuzione dei quantitativi di prodotto che i
pastori Gairesi gli conferivano, dovuto alla progressiva diminuzione numerica
dei capi di bestiame e dei soggetti esercitanti l’attività pastorale.
Artigianato
L’artigianato
locale non è più molto fiorente come era una volta, anzi è piuttosto esiguo: è
presente soltanto un artigiano che lavora il ferro ed un barbiere. Per il resto
si tratta di attività svolte a livello di hobbistica: dai piccoli lavori in
legno, a quelli ad uncinetto e a punto croce, e ancora, la realizzazione dei
cestini in vimini, praticata specialmente dagli anziani, nonché la
realizzazione di pane, pistokku e dolci tipici, fatti ancora in casa come una
volta. Non molto lontana nel tempo è la numerosa presenza di artigiane
tessitrici, di calzolai, falegnami, artigiani del ferro battuto, maniscalchi,
ecc. che spesso aiutavano a far fronte, oltre al fabbisogno locale, anche a
quello di altri paesi.
Escursionismo
La
particolare conformazione del suo territorio allungato che dalle estreme
propaggini del Gennargentu si spinge sino alla frastagliata Costa Tirrenica,
determina la presenza di un patrimonio ambientale e naturale straordinario per
forme e colori, vero paradiso per gli sportivi che vogliono praticare pesca, nuoto,
caccia, wind–surf, vela, tennis, equitazione, trekking, footing, free–climbing,
calcetto, canoa, e per chi si vuole dilettare nella fotografia, anche in quella
subacquea. Sia dalla zona montana sia da quella marina è possibile partire per
innumerevoli itinerari naturalistici ed archeologici che si snodano tra boschi
quasi vergini ed una fauna ricchissima. I periodi ottimali per organizzare
escursioni e trekking sono la primavera fino a fine giugno, e dalla fine di
agosto alla metà della stagione autunnale. Ciò in considerazione della
ricchezza di colori dovuta alla fioritura di molte specie vegetali e del clima
più permissivo, specie per escursioni di un certo impegno e durata. È opportuno
munirsi di un abbigliamento, con particolare attenzione alle scarpe, atto ad
affrontare percorsi accidentati. Per le giornate più fresche o per quelle in
cui si prevede pioggia, essendo difficile trovare rifugi naturali è opportuno
munirsi anche di un impermeabile. Inoltre si consiglia di approvvigionarsi
d’acqua e cibo in base alle proprie necessità, in quanto le sorgenti segnalate
in carta potrebbero essere asciutte e non vi sono ancora punti di ristoro, ma
solo, qua e la, zone attrezzate per picnic in campagna. Per veri e propri punti
di ristoro bisogna fare riferimento alle strutture site nell’abitato, oppure
alla struttura di Selene, in agro di Lanusei, o alla struttura, in via
d’attivazione, in località Sarcerei. Bussola e carte I.G.M. 1:25.000 per
escursioni non guidate sono d’obbligo.
Stupenda
località da visitare è la valle di Taquisara, in cui sorge la frazione di Gairo
Taquisara. Da qui è, inoltre, possibile intraprendere alcuni degli itinerari
che si snodano nell’interno montagnoso del territorio di Gairo. Raggiungendo la
valle e il laghetto di Genna Orruali, si può visitare la zona archeologica e
quella dei tacchi calcarei nonché il monumento naturale di Perda ‘e Liana che
domina maestoso sull’Ogliastra. Questo, ora dotato di alcune vie attrezzate per
la pratica del free–climbing, è raggiungibile sia da Gairo Taquisara che dalla
S.S. 198, all’altezza della cantoniera di Sarcerei. Inoltre è possibile
visitare il vecchio borgo di Gairo Vecchio, abbandonato ormai dalla fine degli
anni Sessanta, in cui sono ancora evidenti le tracce di modi di vivere
tradizionali del passato travagliato. Sempre da Gairo Sant’Elena si può partire
per la splendida vallata di Sarcerei, attraversata dall’omonimo fiume che si
snoda in un percorso tortuoso e ricco di piscine naturali e piccole cascatelle.
Nella vallata, dove è possibile ammirare una rigogliosa foresta si diramano
delle stradelle, ora a destra, ora a sinistra, che consentono, salendo di
quota, di ammirare panorami mozzafiato su mezza Sardegna. Qui di seguito se ne
riportano alcuni fra i più suggestivi.
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Sono uno dei coautori della ricerca: ti ringrazio per averle dato visibilità.
RispondiEliminaUn abbraccio.
G.C.