La navigazione preistorica e i nuragici. Intervista a Pierluigi Montalbano
Buongiorno
Pierluigi,
negli ultimi mesi
l'associazione culturale cagliaritana Honebu, di cui sei fondatore, ha ospitato
e patrocinato una serie di pregevoli iniziative culturali sulla storia antica
della Sardegna. Inoltre, venerdì 7 agosto, alla Lega Navale di Cagliari, e lunedì 17 Agosto a Teulada nel Palazzo Baronale, sei stato relatore dell'interessante Convegno sulla Navigazione
Preistorica.
D: Nell'immaginario
popolare si pensa che gli antichi sardi non navigassero invece, come hai
ampiamente dimostrato, addirittura frequentavano con le loro imbarcazioni le
acque del Mare Mediterraneo, già dal neolitico. Quali dati archeologici
disponiamo a proposito?
“La ricerca archeologica, soprattutto negli ultimi anni, ha sviluppato una
serie di strumenti con i quali si è riusciti ad analizzare l’ossidiana sarda e
a ricostruire la via seguita per diffondere questo pregiato materiale. Gli
studi su aree e tecniche di estrazione dell’ossidiana nel Neolitico, forniscono
una quantità impressionante di informazioni: quali erano le rotte di
spostamento delle
popolazioni neolitiche, con che velocità si diffondevano
tecniche e materiali, quali reti di scambio esistevano, quali professioni
specializzate, ad esempio gli intagliatori, in che epoca si sono costituiti
solidi circuiti commerciali, da quando possiamo parlare di consapevoli scambi
culturali... insomma, si apre un mondo.
Nell’immediato
dopoguerra, Buchner e Radmilli, analizzarono le possibilità di lavorazione
offerte dalle varie ossidiane del Mediterraneo occidentale e arrivarono
all’esatta definizione dei giacimenti: Pantelleria, Lipari, Palmarola e presso
Monte Arci in Sardegna.
Qualche
anno dopo, Puxeddu compì un’indagine dettagliata della zona del Monte Arci e
identificò 4 giacimenti, 11 centri di raccolta, 74 officine e 157 stazioni
preistoriche, stabilendo che il più importante centro irradiatore
dell’ossidiana fu il Monte Arci.
Da
qui, il prezioso vetro vulcanico si diffuse in tutta l’isola, varcò il mare e
giunse nel continente italiano.
Lilliu,
nel 1957, scoprì che l’isola di Santo Stefano nell’arcipelago della Maddalena,
costituiva l’anello di congiunzione tra la Sardegna e la Corsica, infatti, nei pressi
della Cala di Villamarina, in un riparo sotto roccia furono rinvenuti 200
oggetti litici, e quelli di ossidiana costituiscono il 71% del totale, mentre
gli altri sono di quarzo, granito e porfido. Gli antichi frequentatori di Santo
Stefano erano dunque i corrieri del prezioso minerale dalla Sardegna alla
Corsica, attraverso le Bocche di Bonifacio, usando piroghe di legno identiche a
quelle tuttora in uso presso le popolazioni indigene di Fajoute, nel Senegal, o
imbarcazioni leggere di canne, simili ai fassoni con i quali i pescatori
lavorano ancora oggi negli stagni di Cabras, lungo la costa occidentale sarda,
a pochi chilometri in linea d’aria da Monte Arci.
Molta
ossidiana sarda è stata trovata in Provenza, in Liguria, Toscana, qualche
traccia nella valle del Po, ma ciò che sorprende è la presenza del pregiato
materiale sardo in Bosnia, Dalmazia centrale, Croazia, Trieste, Udine, Faenza,
come se la distanza non costituisse un problema per chi la commerciava. Un
fenomeno importante nella diffusione dell’ossidiana fu lo sviluppo della
navigazione. Naturalmente dobbiamo tener conto del diverso livello medio degli
oceani alla fine dell’ultima glaciazione, fino a 150 metri più basso del
livello attuale. Ciò comportò l’emersione di terre adesso sommerse. Le distanze
delle isole dalla terraferma erano brevi, pertanto abbiamo uno stretto legame
con il primo popolamento delle isole mediterranee. E’ noto che l’acqua è sempre
stata un asse di circolazione privilegiato. Il desiderio o la necessità di
spostarsi sulla superficie dell’acqua devono essere sempre stati al centro dei
pensieri degli uomini, se non altro per pescare o cacciare gli animali
acquatici. Muoversi rapidamente e a lungo nell’acqua deve aver costituito uno
stimolo irrefrenabile nel cercare mezzi alternativi al nuoto, molto più lento e
faticoso.
Le
prime imbarcazioni furono tronchi d’albero scavati, ceste realizzate con rami e
pelli e dotate di otri gonfi d’aria, antenati dei nostri gommoni, ma tali mezzi
erano lenti, poco governabili e poco stabili. Si passò quindi alla zattera di
tronchi legati tra di loro, più stabile e adatta a trasportare dei navigatori.
Il concatenamento di più elementi in legno per mezzo di corde e di incastri, e
l’escavazione di un tronco con l’ascia sono le due tecniche più antiche
nell’arte delle costruzioni navali. Le più antiche imbarcazioni conservate sono
delle piroghe monossili scavate in tronchi d’albero. I primi battelli egizi,
mesopotamici e africani furono realizzati con fasci di papiro. Recentemente nel
villaggio neolitico della Marmotta, nel Lago di Bracciano, non lontano da Roma,
è stata trovata una piroga in ottimo stato lunga oltre 10 m ricavata da un
unico tronco di quercia-rovere del diametro di 1,30 m risalente a 8000 anni fa.
Certamente
in quell’epoca le popolazioni rivierasche erano già in grado di organizzare
esplorazioni marittime verso le isole visibili dalla terraferma utilizzando
mezzi e tecniche affidabili, e sfruttando le correnti marine di superficie e
forse anche con l’ausilio di vele e di remi. Poi fu l’epoca delle navi cucite:
si realizzava il fasciame e poi si legavano le travi con fibre vegetali. Infine
si giunse alla tecnica di tenoni e mortase, ossia inserendo dei giunti nello
spessore delle travi cosi da realizzare degli incastri.
D: I sardi
dell'età del bronzo navigavano solo a vista?
"Nel II Millennio a.C., la navigazione
d’altura, non a vista di costa, era praticata su larga scala in tutto il bacino
del Mediterraneo. Già i minoici di Creta, e poi i micenei, avevano sviluppato
tecniche navali e di orientamento, diurno e notturno, con le quali riuscirono a
soggiogare gli altri popoli costieri imponendo una talassocrazia, ossia la
gestione dei traffici commerciali attraverso il potere marittimo esercitato con
potenti flotte.
Si arricchirono e contribuirono a diffondere idee, tecnologie e merci,
fino a quando i due grandi imperi del passato, egizi e ittiti, decisero di
scendere in guerra per procurarsi con la forza ciò di cui avevano bisogno,
soprattutto metalli. La navigazione sotto costa, pur se più comoda per la
possibilità di approvvigionamento idrico, era praticata malvolentieri perché
era soggetta a dazi doganali.
Ogni città costiera imponeva tasse a chi transitava a vista. Inoltre
c’erano flotte di pirati che imperversavano nel Mediterraneo, e ciò costituiva
un perenne pericolo per i naviganti. La Sardegna, con i suoi giacimenti di rame
e argento, era una delle mete preferite dei commercianti e certamente, con i
suoi 8000 nuraghi posti a controllo capillare del territorio, non poteva essere
estranea ai traffici marittimi.
Circa 1000 nuraghi costieri costituivano un potente deterrente per
eventuali nemici, pertanto è verosimile che nei villaggi costieri fosse sempre
presente un approdo in grado di soddisfare la domanda dei naviganti, con
conseguente acquisizione delle tecniche marinaresche. I sardi poterono sempre
contare sul confronto con chi possedeva tecnologie all’avanguardia poiché i
porti sono l’interfaccia privilegiata di popoli distanti che si
incontrano."
D: Parlaci di queste fantomatiche “rotte dei
tonni”.
"Le imbarcazioni non lasciano tracce sul mare,
e per capire quali rotte praticavano i marinai preistorici ho studiato il
percorso che i tonni, i pregiati pesci del Mediterraneo, seguono dallo Stretto di Gibilterra fino alle coste del
Vicino Oriente e ritorno. E’ un ciclo antiorario che percorre le coste nord
africane fino all’Egitto per poi risalire lungo i territori cananei, girare
sopra Cipro, l’altra isola del rame oltre la Sardegna, e giungere nelle isole
dell’Egeo. Da lì possono risalire verso il Mar Nero attraverso lo stretto dei
Dardanelli, con correnti favorevoli solo per pochi giorni ogni mese, oppure
procedere verso lo Stretto di Messina, famoso proprio per le sue tonnare.
A quel punto procedono verso nord, lungo le coste campane, laziali e
toscane, per giungere in Liguria e poi nel Golfo del Leone. Due correnti
favorevoli li portano giù in Sardegna e infine, se passano indenni le nostre
tonnare, fuoriescono dal Mediterraneo procedendo lungo la costa andalusa."
D: Perchè un
rapporto così stretto tra Nuragici e Micenei, solo perché erano genti dello
stesso tempo?
"Erano due potenze straordinarie che non entrarono in conflitto. Le
ricche miniere sarde, e la possibilità di ospitare amichevolmente i Re micenei
e i loro inviati, favorirono pacifici rapporti con vantaggi reciproci, come è
testimoniato, ad esempio, nel Nuraghe Arrubiu di Orroli, un edificio alto 27
metri, con tre torri sovrapposte, che mostra chiari segni di un rito di
fondazione condiviso fra le due etnie."
D: Dei Micenei ad
un certo punto si è persa traccia, è successo lo stesso con i Nuragici come
sostengono alcuni?
“I micenei furono travolti dalle note vicende dei Popoli del Mare verso la
fine del XIII a.C. con la distruzione delle città e il rovesciamento
dell’organizzazione politica, militare, economica e sociale degli imperi allora
più in vista, egizi compresi.
In
Sardegna, invece, la civiltà nuragica continua senza apparenti cesure la sua
vita quotidiana. Solo due secoli più tardi si notano alcune novità: cambia il
rituale funerario e non si costruiscono più Tombe di Giganti, preferendo le
tombe singole a pozzetto, come quelle di Monte Prama; non si costruiscono più
nuraghi, inizia la fase della grande statuaria in pietra e delle piccole
sculture in bronzo che mostrano uno spaccato realistico dell’organizzazione
sarda, e avviene una modifica sostanziale nel piano urbanistico dei villaggi:
si demoliscono una serie di capanne per far posto a una piazza pubblica nella
quale svolgere il mercato.
I
nuragici, dunque, mantengono saldo il controllo del territorio consentendo
l’integrazione pacifica dei mercanti stranieri che, nel giro di qualche
generazione, diventano sardi a tutti gli effetti.”
D: Una delle navi
più antiche del Mar Mediterraneo, rinvenuta in ottimo stato di conservazione è
una barca egizia. Nella tua conferenza hai sostenuto però che gli antichi egizi
non navigavano per mare.
"In effetti la nave di Cheope, del 2550 a.C.,
pur essendo simbolica, ossia voluta dal faraone per il suo viaggio nell’aldilà,
era a tutti gli effetti una imbarcazione con regolari requisiti di navigabilità
lungo i fiumi. Presenta il fondo piatto e non ha le caratteristiche delle navi
in grado di affrontare in dorso d’onda una navigazione d’altura.
Pur essendo lunga 40 metri si sarebbe frantumata alla prima mareggiata.
Gli egizi avevano necessità di barche capienti, in grado di affrontare il Nilo
per trasportare materiali, bestiame e uomini. Più tardi, realizzarono anche
barche adatte alle traversate marittime, diverse da quella di Cheope, ad
esempio quelle della flotta della Regina Hatshepsut che, intorno al 1500 a.C.,
giunse fino alle coste etiopi per acquistare avorio, animali esotici e incenso.
Gli egizi non navigavano nel Mediterraneo perché si accordarono con i
minoici per ottenere, acquistandolo, tutto il necessario di cui avevano
bisogno. Tuttavia, a partire proprio dal 1500 a.C., una serie di faraoni
guerrieri decise di cambiare questo stato di cose armando pesantemente
l’esercito e prendendo con la forza tutti i materiali occorrenti. Inoltre,
imposero alti tributi alle città che volevano mantenere l’indipendenza."
D: Quali erano i
rapporti tra gli Egiziani e i Nuragici nell'età del bronzo?
"Penso che i nuragici avessero al loro interno una serie di
guerrieri che, in certe occasioni, furono chiamati a combattere come mercenari
nel Vicino Oriente.
Se, come penso, gli Sherden sono questo braccio armato, devo dire che i
rapporti furono di reciproco rispetto e di collaborazione. Vediamo gli Sherden
combattere al fianco del faraone Ramesse II, in qualità di guardia personale e
di fanteria pesante.
Inoltre, ciò sarebbe una conferma indiretta del motivo per il quale
Ramesse III, un secolo più tardi, riuscì a fermare nel Delta del Nilo
l’avanzata dei Popoli del Mare, con un’epica battaglia navale che con enfasi
fece scolpire nei suoi templi.
Tuttavia, sappiamo bene come funzionavano i proclami propagandistici dei
sovrani dell’epoca. In realtà fu una disfatta, ma Ramesse III, in virtù del
rispetto e degli accordi fra gli Sherden ormai integrati da generazioni nelle
fila egizie e gli Sherden combattenti dei Popoli del Mare, che nei bassorilievi
e negli scritti mai compaiono nemici fra loro, riuscì a mantenere parte dei
suoi possedimenti concedendo tutte le provincie settentrionali dell’ormai ex
impero egizio."
D: Ho avuto modo
di partecipare al convegno del 7 Agosto alla lega navale dove eri relatore
insieme al Prof. Giovanni Ugas, dell’Università di Cagliari. Perchè le teorie
del Prof. Ugas sugli Sherden, che lui identifica con il popolo nuragico, non
riscuotono successo tra i maggiori accademici sardi?
"Non saprei, forse ha approfondito delle questioni che sfuggono ai
ricercatori sardi. C’è da dire che è un profondo conoscitore della civiltà
nuragica e ha avuto modo di effettuare degli scavi nel Vicino Oriente nei quali
ha individuato ceramica nuragica. Inoltre, tracce evidenti delle capacità
architettoniche dei nuragici sono presenti in Bulgaria, Turchia, Micene,
Tirinto."
D: Che idea ti sei
fatto circa le ultime polemiche scaturite dall'utilizzo di una ruspa per
effettuare i nuovi scavi nel sito di Monte 'e Prama, a Cabras?
"E’ una brutta storia, e sono certo che lascerà strascichi in futuro
perché si è perso il senso di ciò che viene insegnato all’Università: il metodo
scientifico.
Che fretta c’era di tirar fuori i reperti? L’archeologia contemporanea
offre tanti strumenti per lavorare bene in questo campo, e la ruspa non fa
parte di questi. Le giustificazioni dei responsabili non sono convincenti, e
stravolgono il concetto di tutela.
C’è, poi, una contraddizione evidente: se asportavano lo strato inerte
lasciato a chiusura del vecchio scavo, come è possibile che ci fosse una testa?
L’ha dimenticata lì il precedente direttore dello scavo?"
D: Tu sei un
infaticabile esploratore della Sardegna. Che cosa nascondono ancora il sottosuolo
e il territorio sardo che i profani non possono neppure immaginare?
"Ci sono tante emergenze archeologiche ancora inesplorate. Proprio
in questi giorni sto lavorando alla ricognizione di un sito in Ogliastra, a
quasi 1000 metri d’altezza, nel quale è stata individuata una città nuragica
dotata di fonte, nuraghe quadrilobato, decine di capanne abitative, un
quartiere artigianale, una necropoli con tombe di giganti e altre strutture.
Sarebbe meglio lasciarla così, misteriosa e affascinante, una Machu Pichu sarda
di 3500 anni fa, ma la ricerca non può essere privata di questi materiali.
Nelle prossime settimane sapremo qualcosa di più."
Fonte: http://www.comunecagliarinews.it/news.php?pagina=14824
In qualità di organizzatori del Convegno "Shardana e i Popoli del Mare" del 7 agosto u.s., cogliamo l'occasione offerta da questa interessante intervista, per ringraziare nuovamente i nostri relatori Pierluigi Montalbano e Giovanni Ugas, nonché i numerosi partecipanti.
RispondiEliminaCi complimentiamo anche con Mauro Atzei, per i quesiti posti a Pierluigi Montalbano.
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