Pauli ‘e su Portu (2013), che hanno restituito solamente sequenze di limi, e sui modelli di restituzioni paleogeografiche di insediamenti del Bronzo finale - primo Ferro in Iberia (Huelva, Gadir, Cerro del Villar-Malaga) e in Tunisia (Utica).
sabato 4 aprile 2015
Santa Giusta – Othoca, Ricerche di archeologia urbana 2013
Santa Giusta – Othoca, Ricerche di archeologia urbana
2013
Paolo Bernardini - Pier Giorgio Spanu - Raimondo
Zucca
1. La dinamica del paesaggio archeologico
Nella descrizione della costa
occidentale della Sardegna di Tolomeo (III,3,2) Othoca, Othaía pólis, è un
centro costiero.
L’analisi di questo
insediamento, che si trova attualmente nel territorio della provincia di
Oristano e che è vissuto fino ai nostri giorni mutando, a partire dal Medioevo,
il poleonimo in Santa Giusta, deve confrontarsi in via preliminare con una
problematica di ambito geomorfologico. Vi è infatti l’esigenza di definire dia
cronicamente l’evoluzione dello specchio d’acqua di Santa Giusta sia in
rapporto alle variazioni delle linee di riva orientali, su cui si imposta il centro
urbano antico e che dalle foto aeree appaiono caratterizzate da una
sommersione sia in rapporto alla formazione del/i cordone/i litoraneo/i
occidentale/i che ha trasformato una insenatura rotonda in una laguna. Arenarie tirreniane, individuate nell’area del porto
industriale, documentano lo sbarramento dunale della paleolaguna di
Santa Giusta, cui dovette succedere in fase olocenica
l’ingressione
delle acque marine che formarono una profonda
e articolata insenatura delimitata dai rilievi alluvionalia quote superiori a 5
m s.l.m. attuale. In tale ipotesi il paesaggio costiero della Sardegna centro
occidentale dovette apparire profondamente differente
da quello odierno con gli specchi d’acqua di Pauli Figu, Pauli Maiore e
Santa Giusta costituenti una baia marittima,
con alcune isolette in corrispondenza dei rilievi alluvionali, interessati da
insediamenti dell’età del Bronzo medio-recente-finale e della prima età del
Ferro (fig. 1). Questa proposta ricostruttiva del paesaggio costiero di Santa
Giusta si basa su dati geoarcheologici, sui recentissimi carotaggi effettuati
presso
Pauli ‘e su Portu (2013), che hanno restituito solamente sequenze di limi, e sui modelli di restituzioni paleogeografiche di insediamenti del Bronzo finale - primo Ferro in Iberia (Huelva, Gadir, Cerro del Villar-Malaga) e in Tunisia (Utica).
Pauli ‘e su Portu (2013), che hanno restituito solamente sequenze di limi, e sui modelli di restituzioni paleogeografiche di insediamenti del Bronzo finale - primo Ferro in Iberia (Huelva, Gadir, Cerro del Villar-Malaga) e in Tunisia (Utica).
Gli indicatori geoarcheologici sono
costituiti dall’insediamento del Bronzo
finale-prima età del Ferro di Abba Rossa, a nord ovest del nuraghe Nuragheddu,
localizzato all’estremità sud del ricordato cordone litoraneo; dalla favissa
con kernophoroi del III/II sec. a.C. e la necropoli romana con corredi del
I-II sec. d.C. nella fascia centrale del cordone, in asse con il canale del
Porto Industriale di Oristano; dall’insediamento del Bronzo finale-prima età
del Ferro di S. Elia, all’estremità settentrionale del cordone litoraneo,
localizzato sulla riva sinistra del canale di Pesaria; dall’insediamento nuragico di Sattu’e Tolu -
Oristano, fra il Canale di Pesaria e la riva sinistra del fiume Tirso.
Su
rilievi modesti si localizzano gli insediamenti preistorici e nuragici di Sa
Osa-Cabras, di Is Olionis, della Cattedrale, del presunto luogo templare
indigeno del Ponte romano di Santa Giusta, l’area di necropoli del Neolitico
medio di Sattuamentedda e di Nuraghe Nuracciana-Santa Giusta. Resta aperta la
possibilità che tali insediamenti
corrispondano a isolette localizzate nell’estuario del Tirso, ipotesi da
verificarsi con indagini geomorfologiche; in alternativa si propone un ingresso
del golfo di Oristano nello specchio d’acqua
santagiustese nel settore depresso a
nord ovest dell’odierna laguna di Santa Giusta, anche in relazione alle
modifiche in portata d’acqua del fiume
Tirso. Recentemente Alfonso Stiglitz ha ritenuto
improponibile la soluzione di un canale navigabile di Sant’Elia verso la laguna
di Santa Giusta «sia per l’arcaicità dell’insediamento [di Othoca], sia
per le caratteristiche stesse del canale», ipotizzando che 2700BP la laguna di
Santa Giusta «fosse ancora un braccio di mare navigabile», impaludatosi già in
età cartaginese. Quest’ultima ipotesi appare
plausibile sulla base delle attuali conoscenze, anche perché parrebbe
che Othoca utilizzasse un bacino portuale interno, l'ansa nord-orientale della
laguna, oggi interrata, nell’area di Sa Terrixedda,
dominata dal rialto di Cuccuru de portu (il
rilievo del porto), sede di un settore dell’abitato di Othoca, sin da età
arcaica (fig. 2).
A raccomandare questa interpretazione sta il complesso
di materiale anforico e di altro vasellame, insieme a terrecotte figurate e
elementi lignei, sia strutturali (presenza di mortase e tenoni), sia scultorei
(un arto con zoccolo di ungulato), estesi in diacronia fra VIII e III sec.
a.C., con pochi documenti di età romana imperiale, attribuiti a fenomeni di
alluvioni di origine fluviale. Poiché la vasta area di concentrazione dei
documenti archeologici si addensa nel settore centro occidentale della laguna
in corrispondenza del supposto bacino portuale
di Othoca, presso Cuccuru ‘e Portu, si dovrebbe desumere che almeno in
due occasioni le disastrose esondazioni del Tirso abbiano interessato il porto
di Othoca, trascinando nella stessa
area del bacino di Santa Giusta(allora aperto al mare) materiali dell’area portuale e, forse, moli lignei.
2. Othoca-centro urbano
Secondo
Ettore Pais “forse a Neapolis corrispondeva Othoca, ove sia lecito pensare che quest’ultimo nome risponda
ad Utica od Ithyca, «la città vecchia»”. La prudente proposta del Pais di
individuare la palaiápolis di Neápolis in Othoca ha avuto
notevole fortuna sino ai nostri giorni. In effetti già uno studioso sardo del
principio del Settecento,Giampaolo Nurra, aveva sostenuto un’etimologia semitica per Othoca, identica a quella
proposta da Samuel Bochart nel secolo XVII per Utica, fatta derivare dalla
radice semitica ‘tq «[città] antica», seguito in ciò anche da Giovanni Spano.
Fu il Movers nel 1850 ad affermare la correlazione toponomastica dei poleonimi Utica e
Othoca, benché egli ipotizzasse per Utica il significato di «stazione».
Werner Huss ha notato come sia ignoto l’effettivo poleonimo semitico di Utica,
benché la forma greca con lo iota iniziale (Itúke) indizi un costrutto
fenicioʾ y «isola». In realtà sia l’etimo di Utica, sia la stessa
ascrizione di Utica allo strato linguistico fenicio, considerata anche l’esistenza di
numerosi toponimi libici in Ut- e, in particolare, la città della
Mauritania Ouítaka non hanno trovato un accordo generale tra gli studiosi.
Il medesimo discorso può proporsi per Othoca: da un lato la forma del poleonimo
oscilla tra Othaia di Tolomeo, Uttea della Tabula Peutingeriana e Othoca dell’Itinerarium Antonini, della Cosmographia del
Ravennate e della Geographica di Guidone, dall’altro
vari studiosi hanno rifiutato l’etimo semitico di Othoca, ascrivendo il
poleonimo al sostrato paleo sardo.
La documentazione archeologica fenicia di
Othoca, risalente alla fine dell’VIII sec. a.C./ primi decenni del VII sec.
a.C., aveva fornito una sorta di conferma alla corrispondenza tra Othoca (città-vecchia) e Neapolis (città
nuova) (fig. 3), poiché le testimonianze
materiali dell’insediamento urbano per quest’ultimo centro iniziavano a essere cospicue
solo a partire dal terzo venticinquennio del VI secolo a.C. Gli scavi dell’area urbana di Neapolis,
ripresi nel 2000, hanno profondamente alterato questo quadro restituendoci la
fisionomia di un centro emporico attivo dalla fase «precoloniale» e
caratterizzato da una ricchissima facies fenicia a partire
dalla seconda metà dell’VIII sec. a.C. Questo primitivo stanziamento fenicio
che per ora non è possibile qualificare né strutturalmente, né
topografi-camente, poiché potrebbe ammettersi sia una presenza fenicia all’interno di un centro indigeno del genere
dell’emporio di Sant’Imbenia-Alghero,
sia un avvicendamento di un centro fenicio a quello indigeno, potrebbe bene
rappresentare la palaiápolis della Neápolis cartaginese.
Nel caso di Othoca l'area del primitivo insediamento fenicio si sovrappone ad
un centro indigeno attivo tra il Bronzo recente e gli albori della prima età
del Ferro. Un nuraghe con un vasto villaggio circostante si elevava sul poggio
della Basilica (fig. 4); gli scavi della cripta romanica della Cattedrale
santagiustese hanno evidenziato nel 1983 alcune strutture superstiti del
villaggio, con documentazione materiale del Bronzo recente e finale (tra cui
frammenti di olle ovoidali con anse a gomi-to rovescio, decorate da punti). Finalmente
i sondaggi nel settore meridionale del sagrato della basilica hanno messo in
luce numerosissime ceramiche nuragiche del Bronzo finale e della prima età del
Ferro iniziale, tra cui olle a bordo ingrossato, tazze carenate, minuti ritagli
(di panelle?) di piombo e di bronzo, pesi fittili da rete «ad oliva», che
denunziano, insieme a grandissime quantità di squame di mugili di, la rilevanza
dell'itticoltura presso le comunità indigene circumlacuali ancora al passaggio
tra secondo e primo millennio a.C. Ad uno stanziamento misto (indigeno e
fenicio) si ricollegano abbondanti ceramiche della seconda metà dell’VIII
secolo a.C./prima metà del VII sec. a.C., individuate in giacitura secondaria
nel riempimento del fossato esterno della cortina muraria a duplice paramento
riportabile alla fine del VII-prima metà del VI secolo a.C. I materiali comprendevano
frammenti di piatti, urne, coppe carenate, anfore riportabili al 730-700 a.C.;
tra gli altri reperti spicca il fondo di un piatto fenicio con la
raffigurazione di un uccello di ispirazione tardo geometrica mentre all’ultimo
quarto del VII secolo a.C. appartengono ingenti quantitativi di vasellame
fenicio, tra cui una tripod-bowl, coppe a pareti verticali, piatti ad ingobbio
rosso, anfore, urne. La città fenicia occupava un tozzo promontorio, costituito
da depositi ciottolosi alluvionali, esteso per m 1125in senso nord/sud e m 875
lungo l'asse est/ovest, ma la superficie dell'abitato non doveva essere
superiore a circa7,5 ettari. Tale promontorio risultava in antico delimitato a
nord e a sud da due profonde insenature della laguna di Santa Giusta rispettivamente
ridotte dai depositi di argilla e limi all’area
di Sa Terrixedda e alla zona acquitrinosa diSu Meriagu e Terra Manna
(figg. 4-5). Il settore più elevato del promontorio, localizzato all'estremità
nord-occidentale, appare il dosso della basilica
dove può ubicarsi l’acropoli della città.
Le ricerche degli anni Ottanta e principio degli anni Novanta del XX secolo
nell'area dell’abitato hanno evidenziato accanto alle attestazioni di
ceramica punica copiose importazioni estese in diacronia tra l'età arcaica e
l'epoca ellenistica. Othoca, nella forma Otháia pólis, appare, come si è detto,
città costiera, a sud delle Thursoû potamoû ekbolaì in Tolomeo, certamente in rapporto ad un canale d’accesso
più ampio di quello odierno di Pesarìa per l’ingresso nel bacino interno di S. Giusta delle imbarcazioni.
Sulla storia delle ricerche archeologiche nella laguna,con i rinvenimenti in
particolare di anforacei fenici e cartaginesi (ma anche greco orientali), con
una decremento di rinvenimenti in età romana, forse legato alle trasformazioni
della laguna, si rimanda al volume di G. Nieddu e R.Zucca ed ai più
recenti contributi della Soprintendenza per i beni archeologici di Cagliari e
Oristano e dell’Università di Cagliari. Il rapporto fra le comunità sarde
di Othoca e i Levantini, precedentemente alla costituzione della città
fenicia di Othoca, si sarà strutturato, con probabilità, nell’ambito
di un santuario.
Chi
scrive, nel 1991, ipotizzò l’esistenza di un santuario nuragico, presso il
ponte romano sul Rio Palmas: «a un
monumento di carattere indeterminato (sacro o funerario) esistente nell’area dell’odierna Santa Giusta deve
attribuirsi un concio basaltico individuato a circa 50 metri a nord del ponte
romano sul rio Palmas (tav. XIV, 1). Il concio prismatico di basalto nero
grigiastro, compatto, è accuratamente lavorato a martellina sulla faccia a
vista rettangolare, tagliata obliquamente, per ottenere, una volta in opera, un
paramento a profilo parabolico. Questa tecnica di lavorazione si è riscontrata
sia in tombe di giganti a struttura isodoma (Oratanda- Cuglieri ad esempio),
sia in templi a pozzo (Santa Cristina- Paulilatino, Su Tempiesu-Orune, etc.) dell’estremo Bronzo finale o del principio dell’età del Ferro.
Le dimensioni
rimarchevoli del concio di Santa Giusta (m 0, 60 x 0, 37 x 0, 49) farebbero
ritenere più probabile l’attribuzione dello
stesso ad un tempio a pozzo». Nel
2011, nel corso dello scavo archeologico nell’area del ponte romano, è venuto
in luce un bronzetto figurato di tradizione vicino-orientale
(figg. 6-7), da attribuirsi presumibilmente ad un contesto santuariale. Il
bronzetto, alto cm 16,5, rappresenta una figura assisa presumibilmente
maschile; il trono su cui era assisa la figura è da immaginare in
materiale deperibile (legno?). Il busto, forse rivestito di tunica, presenta il
braccio destro avanzato che porta la mano tesa in avanti; il braccio sinistro è
teso lateralmente ad impugnare un elemento incerto, foliato, con la decorazione
a ramo schematico sulla superficie esterna (flabello?). Il ritrovamento
aggiunge credibilità all’ipotesi che i numerosi conci di basalto, anche
lavorati a martellina, riutilizzati nelle fasi di restauro (tardo antiche?,
medievali?) del ponte romano e i basoli della strada possano riferirsi
alla demolizione e riuso di una struttura nuragica nei pressi del ponte.
Dal mese di giugno al mese di
novembre 2013 si sono svolte le prime indagini stratigrafiche nel quartiere di Is
Olionis, in un terreno di proprietà comunale adibito a parco giochi per
bambini, compreso tra le vie Ugo Foscolo, Edmondo De Amicis e Eugenio Montale
(fig. 8). I lavori sono stati eseguiti da una squadra composta dagli studenti della
Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici dell’Università di Sassari
diretti sul campo dai professori Paolo Bernardini, Pier Giorgio Spanu e
Raimondo Zucca. Nell’area del parco giochi del
cantiere si è individuata un’area di m. 5x5
che è stata sottoposta a indagini stratigrafiche.
L’analisi ha evidenziato una fase di riempimento moderno che ha
restituito una discreta quantità di manufatti antichi: uno spillone e alcuni
frammenti di ceramica nuragica (figg. 9-10), piatti fenici (fig. 11), frammenti
di anfore puniche, coppe e lucerne attiche a vernice nera (figg. 12-13),
ceramica comune per lo più di età punica (fig.14), ossidiana con tracce di
lavorazione, fondi, orli e pareti di ceramica da fuoco, scarsa ceramica
medioevale di produzione oristanese.
Al di sotto dei riempimenti è
emersa una struttura muraria, realizzata con pietre di medie dimensioni,legate
con malta di fango, visibile su m 5 con uno spessore di m 0,60 e che attraversa
interamente il saggio di scavo (figg. 15-17). A questa struttura si affiancano
sui due lati due strati terrosi di diversa caratteristica e composizione; da un
lato una terra di colorazione marrone e piuttosto sciolta che non ha restituito
niente di anteriore al VII sec.a.C.; dall’altro uno strato di sabbia friabile,
di colore rossastro che ha reso prevalentemente ossidiana e che potrebbe
individuarsi come il disfacimento dell’alzato di mattoni di fango della
struttura muraria. Sotto lo strato di sabbia è apparsa una terra compatta, di
colore marrone, caratterizzata dalla quasi totale assenza di materiale ceramico
(3 frammenti di piccole dimensioni di ceramica non diagnostica) a fronte di una
notevole presenza di ossidiana (37 frammenti);
si tratta forse del momento di prima frequentazione dell’area. Nonostante
le dimensioni ridotte dell’indagine e il disturbo delle stratigrafie causato
dalle escavazioni e dai riempimenti
sopravvenuti in età moderna, sembra possibile indicare fin d’ora alcuni
elementi di interesse: una frequentazione antropica, presumibilmente continuativa, a partire dall’VIII-VII
sec.a.C., registra una cesura dall’età punica
sino ad età post-medievale confermando l’ipotesi
di un antico impianto insediativo fenicio in località Is Olionis successivamente
abbandonato in età tardo punica e romana quando la città si svilupperà intorno
al colle della cattedrale.
Fonte:
http://www.academia.edu/
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