Archeologia in Sardegna. Il
tempio di Antas è quello del Sardus Pater?
di Pierluigi Montalbano
È uno dei monumenti antichi più importanti della Sardegna. Normalmente i grandi
edifici di culto si trovano all’interno dei centri urbani rilevanti, come
avviene a Tharros, Cagliari e Nora. In questo caso abbiamo una struttura
monumentale di età punica, ristrutturata e ampliata in tempi romani, edificata
in un territorio non legato ad una città ma alle sue risorse economiche di
natura mineraria. Il tempio del Sardus Pater era noto dalle fonti classiche, in
particolare del geografo greco Tolomeo, ma non si era ancora riusciti ad
individuarlo con precisione. A partire dal Cinquecento, e fino alla metà del
Novecento, vari studiosi hanno tentato di identificare il tempio del Sardus
Pater noto dalle fonti, alcuni collocandolo a Capo Pecora, altri a Capo Frasca.
Già nel Seicento un geografo olandese, Filippo Cluverio, proponeva Capo Frasca,
così come il generale Alberto Ferrero La Marmora e anche il canonico Spano,
fondatore dell’archeologia sarda, lo collocava lì, in località San Giorgio,
dove aveva individuato una struttura alla quale aveva attribuito la funzione di
tempio. Negli anni Cinquanta Lilliu dimostrò che non si trattava del tempio del
Sardus Pater ma di una villa marittima romana. Intanto, si conosceva già quello
della valle di Antas, ma si pensava fosse un tempio monumentale romano. Nel
1838 La Marmora visitò
la valle e realizzò un disegno per l’occasione. Era
completamente in rovina e, fra le poche strutture che emergevano nella
vegetazione, alcune conservavano iscrizioni. Il La Marmora diede incarico all’architetto
Gaetano Cima, di fare il rilievo corredato con un’ipotesi di ricostruzione.
All’epoca il tempio fu attribuito a Metalla, una città romana nota dalle fonti.
Negli
anni Cinquanta, un’universitaria cagliaritana scavò un altro frammento
dell’epistilio e aumentò l’interesse per il sito. Nel 1966 fu trovata
un’iscrizione romana che citava il Sardo Patri nell’area di Antas. Lo scavo determinante
fu quello del 1967 guidato dal Prof. Barreca. Ciò che si vede oggi del Tempio è
frutto di una ricostruzione degli anni Settanta. Si conservava solo parte del
podio e del basamento romano. I blocchi di colonna e i conci residui del tempio
si trovavano sparsi nell’area. Gli elementi furono rimessi in opera, con
l’aggiunta di una serie di blocchi costruiti sul momento rispettando il modello
esistente.
La
prima frequentazione dell’area è stata individuata dal Prof. Ugas che, a pochi
metri dal tempio, ha scavato tre tombe dell’800 a.C. contenenti inumati
inginocchiati all’interno di pozzetti circolari. La tomba 1 ha restituito un
vago un bronzo e due in oro riferiti ad ornamenti, mentre la tomba 3 aveva
oggetti d’ornamento e un bronzetto maschile con una lancia in mano e il
consueto atteggiamento sardo del segno di saluto. Secondo gli studiosi è la
prima divinità nuragica adorata nell’area di Antas, il Babai, la divinità
paterna interpretata dai cartaginesi come Sid Addir Bab, e dai romani come
Sardus Pater.
Il
primo tempio impiantato è quello punico, databile forse al 500 a.C. quando
Cartagine inizia progressivamente a inserire la Sardegna nel suo impero. C’è la
necessità di reperire risorse per la capitale da utilizzare per mantenere in
armi l’esercito mercenario, pronto a ribellarsi nel caso non venisse pagato
regolarmente. Nel mondo semitico i templi uniscono alla funzione religiosa
quella economica, sono dei centri commerciali importanti da dove partivano le
imprese di esplorazione e che costituivano il centro fisico dell’organizzazione
delle risorse.
La
struttura templare punica si trova davanti alla scalinata d’ingresso romana e
si conserva in condizioni precarie. Nel 300 a.C. questo tempio fu sistemato con
il rifacimento della facciata e alcuni muri che delimitavano un “Sancta
Sanctorum”, ossia una zona sacra molto riservata. Vi fu, inoltre, l’aggiunta di
elementi greci (le colonne doriche), e di tipo egiziano, come le strutture che
sormontavano le colonne, ossia le gole di coronamento. In seguito fu rifatto il
pavimento. Sono stati recuperati centinaia di manufatti, ad esempio iscrizioni
su basi in pietra che sostenevano oggetti dedicati alla divinità, oppure incise
su placchette in bronzo. Le scritte raccontano di vari funzionari pubblici che si
recavano ad Antas per offrire preziosi oggetti artigianali.
All’interno del tempio vi erano elementi
scultorei greci di alta qualità, come una testa di Afrodite in marmo pario
datata al V a.C., una testa femminile della greca Demetra e datata al III a.C.
e un’altra attribuita alla figlia di Demetra, sempre del III a.C. Fra gli altri
elementi di grande pregio ricordiamo piume in oro, amuleti, piccoli astucci in
bronzo, oggetti d’ornamento, manufatti votivi in bronzo e migliaia di monete
puniche. L’aspetto definitivo dell’area del tempio proviene dal restauro
avvenuto tra il 213 e il 217 d.C. sotto l’imperatore Caracalla. Ciò è
evidenziato dalla ricostruzione che gli archeologi hanno fatto dell’iscrizione
dell’epistilio che recita: “in onore dell’imperatore Cesare Marco Aurelio
Antonino Augusto Pio Felice Quinto Celio Cocelio Propulo restaurò il tempio del
Sardus Pater Bab rovinato per l’antichità”.
Il
tempio presenta 4 colonne nella parte frontale, e sorge su un podio preceduto
da una scalinata. Sul quarto ripiano della scalinata si trovava un altare. C’è un
vestibolo aperto, con 4 colonne sulla fronte e 2 sui lati. Dal vestibolo si
accede a una cella. Proseguendo si trova una zona sacra suddivisa in due celle dotate
di vasche.
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