Nell’articolo intitolato “Phasing and amplitude of sea-level and climate change during the penultimate interglacial” sono contenuti i risultati di tre anni di studio e analisi delle stalagmiti ritrovate nella grotta dell’Argentarola, un miglio a nord dal promontorio dell’Argentario, in Toscana, per comprendere le influenze dei cambiamenti climatici sulla variazione
del livello dei mari. Abbiamo individuato con precisione le oscillazioni del livello del mare occorse nei tre picchi caldi, ascendenti, e freddi, discendenti, del penultimo periodo interglaciale. Per esempio 231.200 anni fa il mare era più basso di meno 21 metri, 248.900 anni fa era sopra i meno 18 metri. Siamo così giunti alla comprensione che c’è stata un’importante glaciazione 231.000 anni fa, la cui entità era sconosciuta alla comunità scientifica internazionale, tale da superare l’effetto naturale dell’insolazione, posticipandola di 1000 anni.
Perché è cruciale per i modelli che utilizzano le variazioni del clima del passato ipotizzando quelle del futuro. Le oscillazioni di livello del mare quindi non sono dovute solo alle variazioni dell’asse terrestre rispetto al sole, secondo le curve modellate da Milankovich, bensì determinate anche da questa glaciazione. Abbiamo quindi notevolmente arricchito il nostro bagaglio di conoscenze in relazione al penultimo periodo interglaciale sulla Terra, lo stadio 7, durante i tre picchi caldi, nel lasso di tempo compreso tra 190.000 e 245.000 anni fa. Le informazioni a disposizione degli scienziati, prima della nostra scoperta, derivavano tutte principalmente dalle carote di ghiaccio dell’Antartide o dai fanghi batiali negli oceani.
Per l’acquisizione diretta delle informazioni, come nel caso delle stalagmiti estratte all’Argentarola. Le incrostazioni di vermi, inframmezzati e sigillati dalle concrezioni continentali prodotte all’interno della piccola grotta, dimostrano che il mare era più basso dell’attuale livello. In sostanza sono una fotografia delle tracce dei livelli marini nei diversi periodi appartenenti a interglaciali precedenti all’attuale, fino a quello dello stadio isotopico 7.5, risalente a circa 249 mila anni fa, come indicato nel grafico. Le 36 datazioni, Uranio Torio TIMS, sono state effettuate sul carbonato di calcio di origine continentale che, in questo caso, ha consentito una precisione superiore a quella ottenuta su barriera di corallo fossile, con un errore delle datazioni mediamente inferiore ai 2000 anni. Il clima della terra nel corso degli ultimi 3 milioni di anni è stato scandito da intensi picchi interglaciali, caldi, e più estesi periodi glaciali, freddi. Il livello degli oceani è sempre stato direttamente correlato alle variazioni del clima con oscillazioni, nel Mediterraneo, di circa 150 metri tra periodi caldi e freddi. L’osservazione e la misura di livelli del mare possono contribuire alla comprensione della durata dei periodi interglaciali e conseguentemente chiarire quali possono essere gli effetti antropici, effetto serra, e quali quelli naturali. I livelli più antichi dell’ultimo periodo interglaciale - corrispondenti a 125.000 anni fa, Tirreniano, durante il quale faceva più caldo e il mare era più alto di 6 metri - sono molto difficili da rilevare, perché presenti in pochi siti in tutto il mondo. Sono questi studi importanti per la comprensione delle variazioni del clima attuale e di quello del prossimo futuro.
No. Essa varia su scala globale in funzione dell'aumentare o del diminuire del volume di acqua disponibile negli oceani: questa variabilità dipende essenzialmente dalle oscillazioni climatiche indotte dalle periodiche variazioni dei parametri orbitali del pianeta. A una diminuzione della temperatura media sulla Terra corrisponde una contrazione del volume delle acque oceaniche e un aumento di quello dei ghiacci "perenni", le cosiddette fasi glaciali; nei periodi con temperature medie più alte, le fasi interglaciali, parte della calotta glaciale fonde originando un conseguente aumento dei volumi d'acqua disponibili. Siamo a conoscenza delle variazioni del clima e del livello del mare in epoche geologiche grazie alle tracce rinvenute su forme e organismi fossili, ad esempio sulle conchiglie. Le oscillazioni climatiche avvenute nel corso del Quaternario - ultimi 2 milioni di anni circa della storia della Terra - sono "registrate" con buona risoluzione nel guscio dei foraminiferi planctonici accumulati nei fondali oceanici, secondo le informazioni dedotte dall'andamento dei rapporti isotopici dell'ossigeno che compone il guscio, ben correlabili, almeno per gli ultimi 600.000 anni, con i cicli astronomici proposti da Milankovich, già agli inizi del novecento. Sedimenti di spiaggia, solchi di battente e speleotemi, stalattiti e stalagmiti, presenti in grotte sommerse, hanno permesso di ricostruire, con una certa accuratezza, la curva di oscillazione del livello marino a partire dall'ultimo interglaciale, corrispondente a circa 125.000 anni fa.
A quel tempo, il livello medio del mare era a circa +7 metri rispetto all'attuale. Poi è sceso rapidamente durante le successive fasi fredde, fino a portarsi a -140 metri durante l'ultimo picco freddo, intorno a 20.000 anni fa. Il riscaldamento climatico iniziato circa 15.000 anni fa ha determinato una veloce risalita del mare, particolarmente brusca all'inizio dell'Olocene, 10.000 anni da oggi, fino a portarsi a livelli prossimi agli attuali intorno a 3.000 anni fa. A tale risalita è tra l'altro da attribuirsi lo sviluppo del mito del diluvio, così diffuso tra i popoli agli albori della civiltà, secondo quanto descritto per esempio nella Bibbia e saga di Gilgamesh. Dall'epoca greco-romana a oggi, la risalita residua, 80/140 cm, è proseguita con tassi sempre più decrescenti, fino all’accelerazione odierna dovuta all’effetto serra: 15 centimetri in 100 anni. Senza entrare qui nell'acceso dibattito sull'attendibilità scientifica delle previsioni a breve-medio termine inerenti l'evoluzione climatica a scala globale, va sottolineato che in tale evoluzione l'influenza antropica interagisce con fattori naturali, come evidenziato dalle oscillazioni climatiche sopra citate. Le previsioni sulla risalita del livello del mare, nel corso dei prossimi decenni, sono condizionate dalle obiettive difficoltà di interpretare adeguatamente un sistema così complesso.
Le più recenti previsioni dell'IPCC, Intergovernmental Panel on Climatic Change, ipotizzano una risalita degli oceani nel corso del prossimo secolo che potrebbe anche essere di alcune decine di centimetri. Le ipotesi infatti vanno da 18 a 58 centimetri, con effetti molto significativi, a scala locale, sia a causa di eventuali movimenti tettonici negativi, come a Venezia, che si sommano a quelli di sollevamento del mare, sia per questioni legate alla portata di sedimenti da parte di grandi fiumi. A solo titolo di esempio, si ricorda che la risalita del livello marino, avvenuta nel corso dell'epoca romana, non ha comunque impedito a molti porti dell'età imperiale, costruiti in corrispondenza di pianure costiere, di trovarsi lontani diversi chilometri dalla linea di riva già in epoca medioevale, a causa del progredire verso mare dei sedimenti alluvionali accumulati dall'attività dei principali corsi d'acqua, come per esempio il porto Claudio a Ostia. Fenomeni di subsidenza in alcune pianure costiere hanno determinato, negli ultimi decenni, tassi di abbassamento del terreno sensibilmente superiori a quelli attualmente proposti per la risalita del mare. Studi recenti relativi al Mediterraneo, prendendo in esame gli ultimi 100 anni, hanno riscontrano una risalita molto meno accentuata di quella degli Oceani, probabilmente dovuta alla grande evapotraspirazione del Mare Nostrum. Nelle aree costiere caratterizzate dalla presenza di apparati vulcanici in attività, come ad esempio Pozzuoli ed i Campi Flegrei, fenomeni di innalzamento e/o di abbassamento del livello marino, denominati “bradisismi”, possono verificarsi in conseguenza di variazioni di pressione all’interno della camera magmatica, con escursioni riscontrate fino a tredici metri, negli ultimi duemila anni.
Prima di procedere alla realizzazione di qualsiasi opera sulle coste, bisogna ben conoscere le dinamiche del trasporto solido litorale e le tendenze evolutive naturali: clima, variabilità locale del livello relativo del mare, movimenti isostatici, tettonici, subsidenza. Va tenuto presente inoltre che qualunque opera realizzata a mare costituisce un ostacolo al libero propagarsi delle correnti e delle onde e pertanto interagisce con esse, dando luogo a effetti di vario genere che possono risentirsi anche a grandi distanze. Ad esempio, un'opera di protezione limitata a un breve tratto di una linea di riva in erosione può aggravare i fenomeni erosivi in atto o addirittura innescarne di nuovi sulle rive adiacenti non protette. Da qui la necessità di non limitare la programmazione degli interventi alle singole opere, bensì di includere in essa elementi conoscitivi e previsionali tipici della modellistica idrodinamica. Tali elementi permettono la messa a punto di un sistema di difesa più accuratamente studiato e progettato, che consenta un bilancio nel complesso positivo sia per l'uomo che per l'ecosistema lungo l'intera fascia litoranea coinvolta. Aspetti non trascurabili nella fascia litorale sono anche quelli ecologici, per l'impatto delle opere sull'ecosistema, e di conseguenza anche sul turismo e sulla pesca. Tra i tanti esempi possibili, ricordo il noto fenomeno dell'eutrofizzazione, facilitato dal ristagno d'acqua intrappolata tra le scogliere frangiflutti e la linea di riva, soprattutto in occasione di sorgenti trofiche nelle vicinanze (per esempio, sbocchi di corsi d'acqua e canali).
Le valutazioni ed i numeri che scaturiscono dalla Carta Nazionale delle aree costiere a rischio sono da considerarsi come fase preliminare di uno studio ben più dettagliato. Prima che lo Stato, le Amministrazioni regionali o provinciali prendano in considerazione eventuali ipotesi di adattamento sono necessarie – in tutte le aree considerate a rischio – indagini di dettaglio, nonché valutazioni sul comportamento naturale delle coste al modificarsi del livello del mare, risposta che è molto diversa a seconda del variare di alcune caratteristiche fisiche locali come: l’ampiezza delle spiagge, la portata di solidi di fiumi, la presenza o meno di dune costiere, la presenza e il verso di correnti marine, la presenza di opere di difesa, gli impatti antropici e i numeri relativi alle variazioni relative di livello del mare. L’individuazione dei complessi movimenti di risalita del mare sulle coste italiane, insieme alla valutazione proiettata per i prossimi anni dell’accelerazione del sollevamento del mare dovuto al riscaldamento globale, assume una notevole importanza per la programmazione delle attività umane future. La mappa delle aree costiere a rischio evidenzia quelle aree che già oggi si trovano sotto il livello del mare, i numeri presenti a fianco delle 33 aree scaturiscono dalle indagini svolte da ENEA congiuntamente al progetto Nazionale Vector e si riferiscono ai valori in centimetri minimi di risalita, relativa al livello del mare, attesi tra 100 anni. In caso di accelerazione del riscaldamento del pianeta, dovuto all'effetto serra, tali valori potrebbero triplicare.
Dai sondaggi svolti nella Pianura Friulana risulta che l’area della Laguna di Grado e Marano, vicino a Trieste, presenta un evidente abbassamento tettonico. Sì è vero, attivo già da almeno 125.000 anni, che sta denotando valori di quasi mezzo millimetro all’anno che, sommandosi al millimetro di salita del livello eustatico dei mari italiani, determina un fenomeno di un millimetro e mezzo di inabissamento relativo delle coste, con possibili allagamenti nelle aree già classificate dai geologi come depresse, cioè sotto il livello del mare. La Calabria invece si sta sollevando, con tassi superiori ai 2 millimetri all’anno, attenuando il rischio allagamenti per i prossimi cento anni nelle pianure costiere.
Gli stessi fenomeni di abbassamento relativo ed erosione delle aree costiere italiane sono presenti anche su gran parte delle coste Mediterranee. In particolare per le coste del Mare Nostrum è stata portata a termine una ricerca multidisciplinare, insieme all'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, basata sulla quota di rinvenimento di reperti archeologici oggi sommersi dal mare. Sono riferiti ad un periodo compreso tra 1500 e 2500 anni fa, comprendente quindi l'epoca Bizantina, quella romana e quella Greca. Le quote alle quali sono stati rinvenuti reperti ben collegati con il livello del mare variano dallo zero - nessun movimento - in Israele e Tunisia, a grandi abbassamenti in Croazia e Turchia, dove abbiamo trovato reperti di età Bizantina fino a -3 metri sotto il livello del mare fino a sollevamenti come per il porto di epoca Romana a Falasarna a Creta che si trova oggi sollevato fino a +6 metri dal livello del mare. Tutto ciò evidenzia di nuovo che le coste possono subire movimenti di sollevamento, o abbassamento, relativo del livello del mare di grande entità anche in tempi storici come gli ultimi 2000 anni.
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