Erodoto e Piramide di Cheope: tempi e metodi di costruzione svelati in un recente
studio
Il più intricato enigma legato al complesso mondo dell'Antico Egitto
potrebbe essere prossimo a una soluzione, grazie alle ricerche di
Diego Baratono, studioso di egittologia attivo all'Università di Torino,
riguardo la
costruzione della grande piramide di Cheope e di quelle attigue di Chefren e Micerino, sulla piana di Giza,
nella periferia occidentale del Cairo.
Il luminare torinese è
riuscito, con appropriati rilevamenti sul terreno, a provare l'esistenza
all'epoca della costruzione delle tre piramidi (IV Dinastia, attorno al 2550 a.
C.) di un terrapieno, da lui denominato “terzo livello della piana di Giza” una
sorta di altura posta sopra il piano calpestato, che costituì il livello
d'appoggio delle piramidi e dunque la base di lavoro, dove gli operai
trasportarono i blocchi per la futura struttura. Gli enormi blocchi furono
innalzati sulla sommità del terrapieno mediante l'utilizzo di slitte e di
traversine in legno, capaci di far scorrere massi di elevato tonnellaggio e da
lì furono prima calati "in situ" e poi sistemati con traiettoria
sempre più orizzontale.
Una volta che la nuova
costruzione raggiunse il livello del terrapieno, gli ingegneri egizi iniziarono
a dar corpo all'imponente camera mortuaria e ai condotti, quasi tutti ad essa
collegati; la piramide di Cheope fu poi completata utilizzando la camera del re
come base d'appoggio per la parte terminale e per il ‘pyramidion': in questa
fase finale gli operai verosimilmente utilizzarono le strutture sottostanti
come punto d'appoggio per innalzare il materiale utilizzato per il vertice: in
questa non agevole operazione si utilizzò un sistema di carrucole, che scorreva
su un fianco della parte già eretta, ultimato solo alla fine.
Le più recenti campagne di
scavo, verificate anche con prospezioni in altri siti, testimoniano come la
scelta del terreno su cui erigere una piramide di notevoli dimensioni, fosse
determinata
dalla stabilità del terreno stesso e dalla possibilità di portare i
pesanti blocchi con il maggior agio possibile, soprattutto sfruttando
terrapieni attigui.
Le tracce della presenza di un
terrapieno a Giza sono state riscontrate con sofisticati sistemi di
accertamento e consentono di postulare l'esistenza a tutto l'Antico Regno di
una sorta di collina di ampie dimensioni, elemento nodale per il buon esito di
quell'epica impresa ingegneristica. Insomma un progresso importante nel campo
dell'egittologia, che ha il pregio di basarsi su elementi evidenti e di non
ricorrere a strampalate supposizioni esoteriche o astronomiche.
Erodoto scriveva che alla Grande Piramide lavorarono
100.000 persone per 20 anni alternandosi ogni tre mesi. Un recente studio di Pedrini
e Actis, sviluppando un'ipotesi di Jean-Philippe Lauer ha cercato di scoprire
quali evoluzioni tecniche, economiche e sociali abbiano consentito la
realizzazione di opere come le piramidi, quando le conoscenze tecniche egizie
si limitavano all'uso della leva e del piano inclinato.
Adottata l'ipotesi che i blocchi di calcare fossero messi in opera per mezzo di
rampe di mattoni crudi a spirale poste parallelamente alle facce della piramide
con una pendenza del 20%, gli autori dello studio hanno analizzato le fasi
della costruzione.
Queste rampe, larghe 4 metri per consentire il transito dei materiali e degli
operai e con un dislivello di 5 m una dall'altra, sono in numero massimo alla
base della piramide e, man mano che questa cresce, diminuisce lo spazio
disponibile tanto che, per mantenere la distanza specificata, alcune rampe
devono essere interrotte: dalle 32 rampe iniziali si passa così a 16, 8, 4
nelle fasi successive della costruzione. I massi di calcare provengono da cave
in loco per cui è stato calcolato uno spostamento medio di 700-800 m, mentre il
coefficiente di attrito tra le slitte da trasporto e il terreno è stato
determinato in 0,5, coefficiente che impone l'impiego di 60 persone per
trasportare in piano un blocco di 2500 kg e di 100 sulle rampe.
La distanza fra due massi successivi sulle rampe è di 50 m e, quando la rampa
viene interrotta per mancanza di spazio, è subita demolita e si provvede a
rivestire la facciata rimasta libera.
Per il taglio e la rifinitura
dei blocchi da parte di scavatori e scalpellini è stata calcolata una velocità
di 0,025 mq all'ora. Tali ipotesi permettono di calcolare la durata relativa di
ogni fase della costruzione e il numero di operai presenti in ognuna di queste
fasi, il quale oscilla fra 33000 e 52000. In una seconda ipotesi che considera
il trasporto dei massi ad una velocità di 500 m al giorno e la durata della
costruzione in 23 anni (290 giorni lavorativi per operaio all'anno considerando
un assenteismo del 10%) gli autori ottengono risultati che confermano il numero
massimo degli operai diretti, cioè oltre 51000.
A fianco di questi è da considerare la presenza di operai indiretti (destinati
alla manutenzione delle rampe e degli utensili e alla programmazione e
controllo del lavoro), che, secondo fonti posteriori, erano indicati nel
rapporto di 2 su 10 diretti, quindi presumibilmente 10.000 e, quella di addetti
ai servizi di vettovagliamento e igienici (per il solo trasporto dell'acqua
alcune fonti indicano un addetto ogni 7 operai) per cui si possono calcolare
altre 10000 persone. Tenendo conto, infine, degli operai adibiti alla
costruzione e alla successiva distruzione delle rampe e degli artigiani,
commercianti e burocrati attivi intorno al complesso costruttivo, si può
concludere che alla piramide di Cheope hanno
lavorato per 23 anni più di 90000 persone confermando quanto riferito in questo
caso da Erodoto.
Fonte:
http://www.anticoegitto.net
Immagine di http://cultura.biografieonline.it
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