sabato 28 febbraio 2015
Archeologia. Dieci luoghi storici distrutti per sempre dal fanatismo dell’uomo
Archeologia. Dieci luoghi storici distrutti per sempre dal fanatismo dell’uomo
di Annalisa
Lo Monaco
E’ stato diffuso poche ore fa
un terribile filmato, girato nella città di Mosul, l’antica capitale assira
Ninive, dove si vede un gruppo di uomini che distrugge opere d’arte che risalgono
ad alcuni secoli prima di Cristo, all’apice dello splendore di quella civiltà.
Lo scempio é stato perpetrato da seguaci dell’ISIS, sedicente califfato
islamico, non nuovo ad azioni di questo tipo. I danni sono incalcolabili, non
solo per l’Iraq, ma per il mondo intero. Purtroppo gli esseri umani hanno la
capacità di distruggere testimonianze preziose della storia del pianeta, non
solo in scenari di guerra, ma anche per vandalismo, stupidità, ignoranza e
superficialità.
La pietra di Singapore
Il masso colossale (3 metri di
altezza e 3 metri di larghezza), conosciuto come Pietra di Singapore, si
trovava alla foce del fiume Singapore, ed era legato a una leggenda del XIV
secolo, che raccontava di un uomo forzuto di nome Badang, che avrebbe scagliato
la pietra in quel posto. La pietra era ricoperta da un’iscrizione consunta che
non potrà mai più essere decifrata, dato che un ingegnere l’ha fatta esplodere
nel 1843, mentre costruiva un forte. Uno dei frammenti è stato preservato ed é
ora esposto al National Singapore Museum. La pietra aveva 50 linee
di iscrizioni in una lingua sconosciuta, che probabilmente era una variante
dell’antico giavanese dei secoli tra il decimo e il quattordicesimo. Scoperta
nel 1819, la pietra e la zona circostante erano considerata sacre, ma nel 1843
l’esercito britannico, per allargare la foce del fiume e costruire un forte, la
fece saltare in aria, e i pezzi furono utilizzati come materiale da
costruzione, manto stradale, e una panchina. Anche se alcuni frammenti sono stati
salvati, il luogo sacro è stato completamente
venerdì 27 febbraio 2015
Archeologia: Cosa rappresenta il Capovolto nei menhir?
Cosa rappresenta il Capovolto nei menhir?
di Desi Satta
I menhir antropomorfi della Sardegna centrale sono tanto affascinanti da commuovere. Sarà che sono nostri, però mi sono sempre sembrati i più belli del mondo. Di certo sono i più enigmatici.
Una visita al museo di Laconi, dove sono stati raccolti i più rappresentativi per evitare che vengano rubati (sic!), restituisce le immagini di figure e categorie espressive lontane nel tempo e però, data la consuetudine con l’arte della prima metà del secolo scorso, geometria, essenzialità, simbolismo, ci sembra di sentirli particolarmente vicini.
A sentire i più, le statue-steli (o steli-menhir), diffuse in un ampio territorio che abbraccia gran parte dell’Europa occidentale, sarebbero falli di pietra, figure essenziali alle quali, a cavallo dell’eneolitico e dentro il primo bronzo, si cominciano ad aggiungere fattezze umane schematiche. Qualche tratto per il volto, talvolta due seni, le braccia, spesso oggetti simbolici indice di posizione sociale: armi (pugnali, accette, spade, archi) abiti splendidamente lavorati, ornamenti, alabarde, animali.
Se si tralascia per il momento il caso sardo, tutti i dettagli delle statue-steli ritrovate in
di Desi Satta
I menhir antropomorfi della Sardegna centrale sono tanto affascinanti da commuovere. Sarà che sono nostri, però mi sono sempre sembrati i più belli del mondo. Di certo sono i più enigmatici.
Una visita al museo di Laconi, dove sono stati raccolti i più rappresentativi per evitare che vengano rubati (sic!), restituisce le immagini di figure e categorie espressive lontane nel tempo e però, data la consuetudine con l’arte della prima metà del secolo scorso, geometria, essenzialità, simbolismo, ci sembra di sentirli particolarmente vicini.
A sentire i più, le statue-steli (o steli-menhir), diffuse in un ampio territorio che abbraccia gran parte dell’Europa occidentale, sarebbero falli di pietra, figure essenziali alle quali, a cavallo dell’eneolitico e dentro il primo bronzo, si cominciano ad aggiungere fattezze umane schematiche. Qualche tratto per il volto, talvolta due seni, le braccia, spesso oggetti simbolici indice di posizione sociale: armi (pugnali, accette, spade, archi) abiti splendidamente lavorati, ornamenti, alabarde, animali.
Se si tralascia per il momento il caso sardo, tutti i dettagli delle statue-steli ritrovate in
giovedì 26 febbraio 2015
Videocorso di archeologia, undicesima lezione: La Civiltà Minoica e la talassocrazia
Videocorso di archeologia, undicesima lezione: La Civiltà Minoica e la talassocrazia
Riprese di Fabrizio Cannas
Nella
lezione odierna analizzeremo le tracce lasciate da gruppi organizzati di
commercianti che agì nel Mediterraneo nell'età del Bronzo.
La civiltà minoica si sviluppò a Creta per un millennio, fra
la metà del III millennio a.C. e il 1500 a.C. circa. La sua scoperta si deve
all’archeologo A. Evans che, agli inizi del Novecento, intraprese scavi a
Cnosso e scoprì architetture monumentali e una ricca cultura materiale. Secondo
Evans, i minoici giunsero sull’isola da Oriente nel III millennio a.C.
quando alcuni gruppi emergenti iniziarono a controllare la vita economica
e politica delle comunità, sulla base di contatti e scambi con le popolazioni
mediterranee. Nel II millennio a.C. queste élite promossero l’urbanizzazione ed
edificarono i primi palazzi (civiltà palaziale), nei quali gestivano le risorse
agricole, le attività manifatturiere, gli scambi, la vita religiosa e
amministrativa attraverso una struttura burocratica molto semplice. In questa
fase si collocano le prime attestazioni dell’uso della scrittura: il cosiddetto
geroglifico minoico e una forma arcaica di scrittura denominata lineare
A.
I maggiori centri erano Cnosso, Festos e Mallia, ma vi erano anche siti di dimensioni minori e insediamenti a vocazione portuale, rurale e industriale. Intorno al 1700 a.C. i palazzi subirono una distruzione generalizzata, forse a causa di eventi sismici, ma furono ricostruiti rapidamente. Nel periodo dei secondi palazzi (1700-1450 a.C.), che segnò il periodo più florido della loro civiltà, si assistette a un’intensa urbanizzazione e al controllo del territorio attraverso ville, vere e proprie aziende di gestione amministrativa. Si affermò l’uso della scrittura lineare A su tavoletta d’argilla, su papiro e su pergamena. La civiltà minoica si espanse in tutto l’Egeo e nel Mediterraneo orientale, come testimoniano l’ampia distribuzione della cultura materiale e la creazione di colonie o scali. Dopo il decadimento dovuto all’esplosione del vulcano Santorini nel 1620 a.C. e la conseguente crisi agricola dovuta ad ampi lembi di terra avvelenati dalle ceneri vulcaniche, all'inizio del XV a.C. i palazzi subirono una nuova distruzione connessa con fenomeni naturali o, secondo alcuni, con l’arrivo di gruppi di greci micenei. A Cnosso si affermò una nuova scrittura, la lineare B, atta a esprimere la lingua greca, ma la vita continuò senza cesure fino al 1300 a.C. circa, manifestando una forte influenza greco-micenea in tutte le espressioni culturali: architettura, artigianato e pratiche funerarie. Creta, lentamente, perse il suo ruolo egemone nell’Egeo in favore dei centri micenei continentali.
I maggiori centri erano Cnosso, Festos e Mallia, ma vi erano anche siti di dimensioni minori e insediamenti a vocazione portuale, rurale e industriale. Intorno al 1700 a.C. i palazzi subirono una distruzione generalizzata, forse a causa di eventi sismici, ma furono ricostruiti rapidamente. Nel periodo dei secondi palazzi (1700-1450 a.C.), che segnò il periodo più florido della loro civiltà, si assistette a un’intensa urbanizzazione e al controllo del territorio attraverso ville, vere e proprie aziende di gestione amministrativa. Si affermò l’uso della scrittura lineare A su tavoletta d’argilla, su papiro e su pergamena. La civiltà minoica si espanse in tutto l’Egeo e nel Mediterraneo orientale, come testimoniano l’ampia distribuzione della cultura materiale e la creazione di colonie o scali. Dopo il decadimento dovuto all’esplosione del vulcano Santorini nel 1620 a.C. e la conseguente crisi agricola dovuta ad ampi lembi di terra avvelenati dalle ceneri vulcaniche, all'inizio del XV a.C. i palazzi subirono una nuova distruzione connessa con fenomeni naturali o, secondo alcuni, con l’arrivo di gruppi di greci micenei. A Cnosso si affermò una nuova scrittura, la lineare B, atta a esprimere la lingua greca, ma la vita continuò senza cesure fino al 1300 a.C. circa, manifestando una forte influenza greco-micenea in tutte le espressioni culturali: architettura, artigianato e pratiche funerarie. Creta, lentamente, perse il suo ruolo egemone nell’Egeo in favore dei centri micenei continentali.
Il corso dell'anno accademico 2014/2015 si svolge
nell'aula magna dell'Università di Quartu Sant'Elena, ogni martedì alle ore
17.00, in Viale Colombo 169.
Con la collaborazione dell'istituto, del videomaker
Fabrizio Cannas e del docente, Pierluigi Montalbano, saranno offerte sul canale
Youtube tutte le lezioni di archeologia previste nel programma. L'accesso è
libero e gratuito.
I lettori sono invitati a proporre suggerimenti per
migliorare la fruibilità o altre caratteristiche.
Se qualcuno fosse interessato a collaborare, ad
esempio inserendo i sottotitoli in inglese, sarebbe
il benvenuto. Per visionare le
lezioni è sufficiente cliccare sui link sotto.11° Lezione: La Civiltà Minoica e la talassocrazia
9° Lezione: I Nuraghi a Tholos
8° Lezione: Architetture funerarie, le Tombe di Giganti
7° Lezione: I nuraghi a corridoio e il Sistema Onnis
5° Lezione: Le Domus de Janas e il culto dei defunti
3° Lezione: Le prime civiltà del Mediterraneo
mercoledì 25 febbraio 2015
Archeologia. I Tofet: gli antichi cimiteri per bambini.
Archeologia. I Tofet: Gli antichi cimiteri per bambini
di Piero Bartoloni
(Ringrazio la studiosa Cinzia Bruscagli per la collaborazione nella stesura di questo articolo).
I problemi riguardanti il tofet, toponimo di origine biblica assurto a nome generico per indicare un santuario peculiare della civiltà fenicia e punica, sembravano ormai sopiti o, meglio, abbastanza condivisi nell’ambito del mondo degli studi, anche se sussistono due linee di tendenza, l’una incline a respingere l’ipotesi del sacrificio umano dei bambini, l’altra ad accettarla. A far tornare il problema alla ribalta dell’ambiente scientifico hanno contribuito decisamente alcuni recenti contributi di Schwartz, Houghton, Macchiarelli e Bondioli, direttore delle Scienze di Antropologia del Museo Pigorini, dedicato alle analisi dei resti scheletrici degli infanti rinvenuti nel tofet di Cartagine. Nel testo dal titolo “Adoratori di Moloch”, gli autori hanno sostenuto l’assunto dell’inesistenza del sacrificio umano. Ciò ha provocato una immediata risposta di Maria Giulia Amadasi che, invece, ha caldeggiato l’esistenza del sacrificio cruento dei piccoli Fenici e Cartaginesi sostenendo che, mentre per il tofet di Cartagine si sono contati circa venti bambini incinerati all’anno, per Mozia invece ne sono stati calcolati non più di uno o due all’anno. A mio avviso, il numero proposto è fortemente approssimativo, poiché non tiene conto né della cronologia delle urne, ne dal fatto che sia l’area del tofet di Cartagine che di quello di
di Piero Bartoloni
(Ringrazio la studiosa Cinzia Bruscagli per la collaborazione nella stesura di questo articolo).
I problemi riguardanti il tofet, toponimo di origine biblica assurto a nome generico per indicare un santuario peculiare della civiltà fenicia e punica, sembravano ormai sopiti o, meglio, abbastanza condivisi nell’ambito del mondo degli studi, anche se sussistono due linee di tendenza, l’una incline a respingere l’ipotesi del sacrificio umano dei bambini, l’altra ad accettarla. A far tornare il problema alla ribalta dell’ambiente scientifico hanno contribuito decisamente alcuni recenti contributi di Schwartz, Houghton, Macchiarelli e Bondioli, direttore delle Scienze di Antropologia del Museo Pigorini, dedicato alle analisi dei resti scheletrici degli infanti rinvenuti nel tofet di Cartagine. Nel testo dal titolo “Adoratori di Moloch”, gli autori hanno sostenuto l’assunto dell’inesistenza del sacrificio umano. Ciò ha provocato una immediata risposta di Maria Giulia Amadasi che, invece, ha caldeggiato l’esistenza del sacrificio cruento dei piccoli Fenici e Cartaginesi sostenendo che, mentre per il tofet di Cartagine si sono contati circa venti bambini incinerati all’anno, per Mozia invece ne sono stati calcolati non più di uno o due all’anno. A mio avviso, il numero proposto è fortemente approssimativo, poiché non tiene conto né della cronologia delle urne, ne dal fatto che sia l’area del tofet di Cartagine che di quello di
martedì 24 febbraio 2015
Misteriosa mummia di un monaco buddista celata all'interno di una statua di Buddha
Misteriosa mummia di un monaco buddista celata all'interno di una statua di Buddha
Ciò che appare come una
statua tradizionale di Buddha, risalente al 1100 d.C. circa, ha rivelato essere
di più. Una TAC, eseguita da un'equipe del Medical Centre Meandro di Amersfoort,
in Olanda, ha messo in luce che l'antica reliquia avvolge i resti mummificati
di un maestro buddista, conosciuto come Liuquan della Meditazione della Scuola
cinese. Il team di esperti condotto da Erik Bruijin, esperto di arte e di
cultura buddista presso il Museo di Rotterdam, ha visionato le analisi e ha scoperto
che gli organi del monaco furono manipolati prima della mummificazione.
I
ricercatori erano coscienti del fatto che la statua fosse un sarcofago
contenente resti umani, ma ciò che li ha sorpresi, dopo la tomografia computerizzata e l'endoscopia, è
stato che prima della mummificazione gli organi interni furono sostituiti da
dei rotoli di carta con scritte in cinese. Dopo la scannerizzazione la mummia
verrà trasportata a Budapest, dove sarà esposta al Museo di Storia Naturale
Ungherese fino a Maggio. Secondo il quotidiano che riporta la notizia (International
Business Times), alcuni buddisti sono
convinti che mummie come quella del maestro Liuquan non siano davvero morte,
quanto piuttosto in uno stato avanzato di meditazione.
La
storia della mummia di Liuquan ricorda quella della mummia del monaco ritrovato a Gennaio, mummificato in Mongolia nella posizione del loto, della quale riferimmo lo scorso 4 Febbraio su questo quotidiano.
lunedì 23 febbraio 2015
Erodoto e Piramide di Cheope: tempi e metodi di costruzione svelati in un recente studio
Erodoto e Piramide di Cheope: tempi e metodi di costruzione svelati in un recente
studio
Il più intricato enigma legato al complesso mondo dell'Antico Egitto
potrebbe essere prossimo a una soluzione, grazie alle ricerche di
Diego Baratono, studioso di egittologia attivo all'Università di Torino,
riguardo la
costruzione della grande piramide di Cheope e di quelle attigue di Chefren e Micerino, sulla piana di Giza,
nella periferia occidentale del Cairo.
Il luminare torinese è
riuscito, con appropriati rilevamenti sul terreno, a provare l'esistenza
all'epoca della costruzione delle tre piramidi (IV Dinastia, attorno al 2550 a.
C.) di un terrapieno, da lui denominato “terzo livello della piana di Giza” una
sorta di altura posta sopra il piano calpestato, che costituì il livello
d'appoggio delle piramidi e dunque la base di lavoro, dove gli operai
trasportarono i blocchi per la futura struttura. Gli enormi blocchi furono
innalzati sulla sommità del terrapieno mediante l'utilizzo di slitte e di
traversine in legno, capaci di far scorrere massi di elevato tonnellaggio e da
lì furono prima calati "in situ" e poi sistemati con traiettoria
sempre più orizzontale.
Una volta che la nuova
costruzione raggiunse il livello del terrapieno, gli ingegneri egizi iniziarono
a dar corpo all'imponente camera mortuaria e ai condotti, quasi tutti ad essa
collegati; la piramide di Cheope fu poi completata utilizzando la camera del re
come base d'appoggio per la parte terminale e per il ‘pyramidion': in questa
fase finale gli operai verosimilmente utilizzarono le strutture sottostanti
come punto d'appoggio per innalzare il materiale utilizzato per il vertice: in
questa non agevole operazione si utilizzò un sistema di carrucole, che scorreva
su un fianco della parte già eretta, ultimato solo alla fine.
Le più recenti campagne di
scavo, verificate anche con prospezioni in altri siti, testimoniano come la
scelta del terreno su cui erigere una piramide di notevoli dimensioni, fosse
determinata
domenica 22 febbraio 2015
Archeologia in Sardegna. Monte Sirai, storia di un sito di 3000 anni fa
Archeologia in Sardegna. Monte Sirai, storia di un sito di 3000 anni fa
di Piero Bartoloni
La città di Monte Sirai si pone come strumento fondamentale ai fini di una maggiore conoscenza della civiltà fenicia e punica poiché il centro abitato, completo in ogni sua fondamentale componente, è privo di sovrapposizioni più tarde. Dopo il suo abbandono, avvenuto per motivi
non facilmente spiegabili attorno al 100 a.C., nulla è venuto a sconvolgere o a mutare in modo sia pure minimo la struttura del luogo.
L'insediamento di Monte Sirai è composto di tre grandi settori, che sono i fulcri scientifici e turistici dell'antico centro. Il principale è costituito dall'abitato, che occupa la parte meridionale della collina. Nella collina settentrionale è invece situato il tofet: è questo il luogo sacro nel quale erano sepolti con particolari riti i corpi bruciati dei bambini nati morti o defunti in tenera età. L'ultimo settore è costituito dalle due necropoli, collocate nella valle che separa l'abitato dal tofet. Si tratta di una necropoli fenicia a incinerazione, della quale ormai sono visibili unicamente delle fossette scavate nel piano di tufo, e una necropoli punica a inumazione, formate da tombe sotterranee, tutte visitabili.
Il centro di Monte Sirai nasce come abitato civile attorno al 740 a.C. e risulta particolarmente importante perché è situato lungo la via costiera, alla confluenza con la valle del Cixerri che conduce al Campidano. La sua fondazione come città si deve probabilmente ai Fenici di Sulcis o forse a quelli di un insediamento anonimo presso l'attuale Portoscuso. In ogni caso, da ciò scaturisce più che evidente la necessità, e anzi l'obbligo, di un'analisi globale del territorio che tenga conto di tutte le componenti storiche che parteciparono alla nascita, alla crescita e alle vicende della civiltà nella regione sulcitana. Pertanto, questa deve essere sempre considerata
di Piero Bartoloni
La città di Monte Sirai si pone come strumento fondamentale ai fini di una maggiore conoscenza della civiltà fenicia e punica poiché il centro abitato, completo in ogni sua fondamentale componente, è privo di sovrapposizioni più tarde. Dopo il suo abbandono, avvenuto per motivi
non facilmente spiegabili attorno al 100 a.C., nulla è venuto a sconvolgere o a mutare in modo sia pure minimo la struttura del luogo.
L'insediamento di Monte Sirai è composto di tre grandi settori, che sono i fulcri scientifici e turistici dell'antico centro. Il principale è costituito dall'abitato, che occupa la parte meridionale della collina. Nella collina settentrionale è invece situato il tofet: è questo il luogo sacro nel quale erano sepolti con particolari riti i corpi bruciati dei bambini nati morti o defunti in tenera età. L'ultimo settore è costituito dalle due necropoli, collocate nella valle che separa l'abitato dal tofet. Si tratta di una necropoli fenicia a incinerazione, della quale ormai sono visibili unicamente delle fossette scavate nel piano di tufo, e una necropoli punica a inumazione, formate da tombe sotterranee, tutte visitabili.
Il centro di Monte Sirai nasce come abitato civile attorno al 740 a.C. e risulta particolarmente importante perché è situato lungo la via costiera, alla confluenza con la valle del Cixerri che conduce al Campidano. La sua fondazione come città si deve probabilmente ai Fenici di Sulcis o forse a quelli di un insediamento anonimo presso l'attuale Portoscuso. In ogni caso, da ciò scaturisce più che evidente la necessità, e anzi l'obbligo, di un'analisi globale del territorio che tenga conto di tutte le componenti storiche che parteciparono alla nascita, alla crescita e alle vicende della civiltà nella regione sulcitana. Pertanto, questa deve essere sempre considerata
sabato 21 febbraio 2015
Le scoperte dell'archeologia che hanno segnato il 2014
Le
scoperte dell'archeologia che hanno segnato il 2014
Antiche
città, monumenti funebri e piccoli tesori della vita comune, trovati anche in
Italia
Il 2014 è stato un anno di grandi scoperte e ritrovamenti epocali, gli studiosi di archeologia hanno portato alla luce veri tesori di inestimabile valore, dalla Cina al Messico, dalla Gran Bretagna all'Egitto, dalla Grecia all'Italia, la loro opera costante è stata premiata con reperti unici al mondo.
1. I pantaloni più antichi del mondo
Gli archeologi hanno rinvenuto, nella regione autonoma cinese dello Xinjiang, due mummie identificate come due sciamani maschi sulla quarantina con indosso i pantaloni fatti di pelliccia animale. Hanno 3300 anni e sono i pantaloni più antichi al mondo. I pantaloni sarebbero stati inventati proprio dai nomadi che vivevano nella zona per poterli utilizzare per andare a cavallo. In passato pantaloni simili erano stati trovati in questa regione a Nord della Cina, ma si trattava di un modello più semplice senza il cavallo che univa le due gambe.
2. Due città scoperte in Messico
Nascoste tra le foreste del Messico, intorno a Chactun nello Yucatan, ci sono i resti di due città Maya con tanto di piramidi, piazze, palazzi e spazi per il gioco della palla. Sono state chiamate Lagunita e Tamchén. La scoperta ha premiato la tenacia di Ivan Sprajc, professore associato presso l'Accademia Slovena delle Scienze e delle Arti, e il suo team. Le strutture urbane risalirebbero al periodo tardo classico della civiltà Maya, tra il 600 e il 900 d.C.
3. Antica città sommersa in Cina
Shi Cheng, la Città dei Leoni, sarebbe l'antica città scoperta a una profondità che
venerdì 20 febbraio 2015
Archeologia. Una scoperta rivela che Roma è più antica di almeno due secoli.
Archeologia.
Una scoperta rivela che Roma è più antica di almeno due secoli.
Alcuni scavi eseguiti nel Lapis Niger, un santuario
di pietra nera nel Foro Romano, hanno portato alla luce manufatti di ceramica,
cereali e un muro realizzato con la pietra calcarea di tufo. L'esame del
materiale ceramico recuperato ha permesso di datare la struttura muraria all’inizio
del IX a.C. I nuovi dati anticipano di almeno due secoli la data tradizionale
della fondazione di Roma.
Come
dice il testo di una famosa canzone dei Morcheeba, «Rome wasn’t built in a
day», e infatti è almeno di due secoli più antica di quanto si pensasse. Secondo
la tradizione, l’antica città di Roma fu fondata il 21 aprile dell’anno 753
a.C. da Romolo, gemello di Remo e figlio del dio Marte e di Rea Silvia. Ma alla
luce di una nuova scoperta fatta da un gruppo di archeologi, alle 2767
candeline ne dovranno essere aggiunte almeno 200. Nuovi scavi eseguiti
all’interno del Foro Romano hanno portato alla luce i resti di un muro che
secondo gli archeologi risale al 900 a.C., suggerendo che la Città Eterna
esisteva già da 200 anni rispetto alla data tradizionale della sua fondazione. Utilizzando
una tecnologia di ultima generazione, gli archeologi italiani hanno portato
alla luce il muro di tufo e alcuni frammenti di ceramica e cereali, nel corso
dello scavo del Lapis Niger, un santuario in pietra nera che ha preceduto
l’impero romano di diversi secoli.
“L’esame del materiale ceramico recuperato ci ha permesso di
datare cronologicamente la struttura murario tra il X secolo e l’inizio
dell’IX secolo a.C.”, spiega al Telegraph la
dottoressa Patrizia Fortuni, archeologo della Soprintendenza ai Beni Culturali
di Roma e direttore del progetto di ricerca. “Così, anticipa la data
tradizionale della fondazione di Roma” Il Lapis niger (“pietra nera” in lingua
latina) è un sito archeologico collocato nell’area del Foro romano a Roma, sul
luogo dei comizi a poca distanza dalla Curia Iulia. Il suo nome deriva dal
fatto che anticamente era stato coperto da lastre di marmo nero, con risvolti
sinistri legati a leggende circa la tomba profanata di Romolo. L’area venne
sepolta e recinta nella tarda età repubblicana, coperta da un pavimento di
marmo nero e considerata un luogo funesto, a causa della profanazione della
sepoltura che avevano causato i Galli durante il saccheggio del 390 a.C. Gli
archeologi italiani hanno cominciato a lavorare sul sito nel 2009, utilizzando
fotografie storiche, immagini e studi lasciati da archeologi come Giacomo Boni,
il quale ha guidato gli scavi del Foro Romano dal 1899 fino alla sua morte
avvenuta nel 1925. Dalle immagini di Boni, la dottoressa Fortuni e il suo team
hanno creato una ricostruzione digitale 3D del luogo e utilizzando scanner laser
e fotografie ad alta risoluzione, sono riusciti a individuare l’esatta
ubicazione del muro sepolto che viene descritto come la prima struttura
realizzata nel luogo sacro. Dunque, il vecchio detto che Roma non fu costruita
in un solo giorno è vero. Gli studiosi pensano che la città abbia avuto inizio
con un piccolo insediamento, ampliandosi poi nel corso dei secoli.
Prove archeologiche suggeriscono che gruppi umani potrebbero
avere occupato il monte Palatino, una delle zone più antiche della città, già
nel X a.C. Il muro potrebbe essere una delle prime strutture architettoniche
della città, dal quale poi si è sviluppato il resto dell’area urbana.
Immagine di www.luniversoeluomo.org
Fonte: www.ilnavigatorecurioso.it
giovedì 19 febbraio 2015
Archeologia: Videocorso, decima lezione: Le ceramiche, dal Neolitico alla civiltà nuragica.
Videocorso di archeologia, decima lezione: Le ceramiche, dal Neolitico alla civiltà nuragica.
Riprese di Fabrizio Cannas
L'incontro di oggi è dedicato interamente all'esame delle ceramiche utilizzate in Sardegna dal VI millennio a.C. fino al Bronzo Finale, quando i nuragici partecipavano attivamente ai traffici commerciali che si svolgevano nel Mare Mediterraneo. Dalla ceramica cardiale, ottenuta incidendo motivi lineari con il bordo seghettato di una conchiglia, si passa al periodo Bonu Ighinu e alle belle decorazioni della facies Ozieri. Una svolta avviene verso la metà del III millennio a.C. con 'intreccio fra le genti del vaso campaniforme e quelle di Monte Claro. Si chiude con la civiltà nuragica e i contatti con il mondo miceneo.
Con la collaborazione dell'istituto, del videomaker Fabrizio Cannas e del docente, Pierluigi Montalbano, saranno offerte sul canale Youtube tutte le lezioni di archeologia previste nel programma. L'accesso è libero e gratuito.
I lettori sono invitati a proporre suggerimenti per migliorare la fruibilità o altre caratteristiche.
Se qualcuno fosse interessato a collaborare, ad esempio inserendo i sottotitoli in inglese, sarebbe il benvenuto. Per visionare le lezioni è sufficiente cliccare sui link sotto.
Buon ascolto e buona visione.
10° Lezione: Le antiche ceramiche sarde
9° Lezione: I Nuraghi a Tholos
8° Lezione: Architetture funerarie, le Tombe di Giganti
7° Lezione: I nuraghi a corridoio e il Sistema Onnis
5° Lezione: Le Domus de Janas e il culto dei defunti
3° Lezione: Le prime civiltà del Mediterraneo
mercoledì 18 febbraio 2015
Archeologia: scoperta la più grande industria di ceramiche greche
Archeologia:
scoperta la più grande industria di ceramiche greche
di
Renato Sansone
Ha ottanta fornaci, si estende
su un’area di 1.250 metri quadrati, nella valle del Cottone, ha una lunghezza
di 80 metri ed è l’industria di produzione di terrecotte e ceramiche più grande
del mondo antico mai ritrovata quella che il team dell’Istituto archeologico
germanico di Roma e dell’Università’ di Bonn, guidato dal professor Martin
Bentz, ha studiato nelle ultime cinque settimane attraverso scavi svolti
all’interno del parco archeologico di Selinunte. L’importante notizia
archeologica è stata resa nota in occasione dell’ultimo giorno di scavi
che in estate si ripetono ormai puntualmente dal 2010 e che grazie a
finanziamenti dell’Istituto germanico di Roma potranno andare avanti per altri
due anni. Gli archeologi, che quest’anno hanno utilizzato anche il georadar per
le loro indagini, hanno scavato tre sezioni dell’area che hanno permesso di
ricostruire il quartiere industriale dell’antica colonia greca. Il materiale
riportato alla luce negli ultimi anni è stato datato al V a.C. Verosimilmente la
fornace più grande serviva per la produzione di tegole in terracotta e le altre
più piccole per realizzare vasi, statue e altro materiale. Già lo scorso anno
martedì 17 febbraio 2015
I sardi di epoca nuragica nel Mediterraneo
I sardi di epoca nuragica nel Mediterraneo
di Massimo Pittau
di Massimo Pittau
L'ipotesi delle torri nuragiche come “castelli” e
“fortezze” per 50 anni ha impedito che in Sardegna si intravedesse una sia
pure pallida idea di che cosa sia stata effettivamente la “civiltà nuragica”; e
ciò si deve affermare tanto rispetto alla sua caratteristica interna o
civile e culturale, quanto rispetto a una sua eventuale politica esterna
di espansione fuori dell'isola.
lunedì 16 febbraio 2015
Archeologia. Sardegna, un'isola meticcia: geografia di una frontiera.
Un'isola meticcia: Geografia di una frontiera
di Alfonso Stiglitz
D(is) m(anibus)/ Urseti Nispeni/ni coniugi / b(ene) m(e)r(enti) / f(ecit) (fig. 1).
In un qualche anno del I d.C. nella piana del Tirso tra Borore e Macomer (Sardegna centro-occidentale) sullo sfondo dei contrafforti dell’altopiano degli Iliensi, Urseti affidò l’amata coniuge, Nispeni, agli Dei Mani.
L’epitaffio, per la sua collocazione geografica e per l’onomastica, ci mostra le tante sfaccettature che i termini “confini” e “frontiera” possono assumere, se li si usa in un’accezione che non si limiti, come troppo spesso avviene, all’ambito fisico ma si estenda al complesso dei significati, comprendendo quello che, superando la visione etnica, possiamo indicare come incontro tra culture. Una testimonianza, quella del cippo in questione, che vuole segnare la presa di distanza netta dalla visione marcatamente dualista di una Sardegna divisa tra una Romània civilizzata, alfabetizzata, planiziale e una Barbària analfabeta, resistente e montanara, l’un contro l’altra armate, fino alla presa di potere della superiore civiltà romana, come gli antichi autori coloniali ci hanno tramandato. Uno scontro di civiltà nel quale a soccombere furono quei “Sardi”, ovviamente pelliti, barbari (anzi barbaricini), che abitavano in caverne, non seminavano le terre seminabili e depredavano gli altri (Strabone V, 2, 7), vivendo “senza pensieri e travagli, contenti dei cibi semplici” (Diod. Sic., V, 15, 5), secondo lo strumentario del bravo etnologo colonialista che isola alcuni caratteri stereotipati. Una visione nella quale i protagonisti della straordinaria civiltà nuragica sarebbero stati travolti dall’abbrutimento psicofisico trasformandosi nei barbari abitanti le caverne e nella quale la plurisecolare presenza fenicia sarebbe scomparsa nel nulla. Il dibattito in Sardegna può trovare
di Alfonso Stiglitz
D(is) m(anibus)/ Urseti Nispeni/ni coniugi / b(ene) m(e)r(enti) / f(ecit) (fig. 1).
In un qualche anno del I d.C. nella piana del Tirso tra Borore e Macomer (Sardegna centro-occidentale) sullo sfondo dei contrafforti dell’altopiano degli Iliensi, Urseti affidò l’amata coniuge, Nispeni, agli Dei Mani.
L’epitaffio, per la sua collocazione geografica e per l’onomastica, ci mostra le tante sfaccettature che i termini “confini” e “frontiera” possono assumere, se li si usa in un’accezione che non si limiti, come troppo spesso avviene, all’ambito fisico ma si estenda al complesso dei significati, comprendendo quello che, superando la visione etnica, possiamo indicare come incontro tra culture. Una testimonianza, quella del cippo in questione, che vuole segnare la presa di distanza netta dalla visione marcatamente dualista di una Sardegna divisa tra una Romània civilizzata, alfabetizzata, planiziale e una Barbària analfabeta, resistente e montanara, l’un contro l’altra armate, fino alla presa di potere della superiore civiltà romana, come gli antichi autori coloniali ci hanno tramandato. Uno scontro di civiltà nel quale a soccombere furono quei “Sardi”, ovviamente pelliti, barbari (anzi barbaricini), che abitavano in caverne, non seminavano le terre seminabili e depredavano gli altri (Strabone V, 2, 7), vivendo “senza pensieri e travagli, contenti dei cibi semplici” (Diod. Sic., V, 15, 5), secondo lo strumentario del bravo etnologo colonialista che isola alcuni caratteri stereotipati. Una visione nella quale i protagonisti della straordinaria civiltà nuragica sarebbero stati travolti dall’abbrutimento psicofisico trasformandosi nei barbari abitanti le caverne e nella quale la plurisecolare presenza fenicia sarebbe scomparsa nel nulla. Il dibattito in Sardegna può trovare
domenica 15 febbraio 2015
Archeologia. Antenati e “defunti illustri” in Sardegna nell’età punica.
Archeologia. Antenati e “defunti illustri” in Sardegna nell’età punica.
di Giuseppe Garbati
di Giuseppe Garbati
La ricostruzione delle
ideologie funerarie e dell’immaginario oltremondano nel mondo fenicio e punico
costituisce uno dei campi di studio più stimolanti. Una delle regioni in cui
l’apporto dell’archeologia si è dimostrato ricco di nuove suggestioni è senza
dubbio la Sardegna, sia in relazione ai contesti e ai corredi funerari
appartenenti alle fasi arcaiche della presenza fenicia, sia in riferimento alle
molteplici testimonianze inquadrabili nell’età punica. In merito a questa
seconda epoca, alcuni elementi interessanti sono stati restituiti di recente dai
rinvenimenti nella necropoli punica di Sulcis. Bernardini ha scoperto un ricco
sepolcro che consente di esprimere alcune considerazioni. La tomba numero 7
della necropoli punica di Sulcis, datata grazie al corredo ceramico entro la
seconda metà del V a.C., è composta da un’unica grande camera a pianta
trapezoidale, cui si accede da un ampio corridoio gradinato, provvista al
centro di un pilastro (fig. 1). L’interno della cella, lungo la parte superiore
delle pareti, presenta larghe fasce dipinte in rosso che inquadrano otto
nicchie costruite – due per ogni parete – e una falsa
porta; anche le facce laterali e posteriore del pilastro centrale sono
riquadrate da bande rosse. Il nodo della decorazione è costituito da un
altorilievo dipinto, ricavato sulla parete anteriore del pilastro (fig. 2).
L’immagine, di accentuata ispirazione egiziana, rappresenta una figura maschile
incedente, ritratta in posizione frontale e vestita di un corto gonnellino; il
braccio sinistro, portato al petto, reca al polso un laccio cui è legato un
piccolo contenitore, mentre il destro, disteso lungo il fianco, presenta il
pugno chiuso a tenere un rotolo. Su entrambe le braccia è riportata una serie
di tre bracciali, resi attraverso pittura rossa; la stessa pittura e del
pigmento nero sono ampiamente utilizzati per sottolineare altri particolari
dell’immagine, sia anatomici (le labbra, la barba, i baffi, la capigliatura, le
orecchie, i capezzoli), sia inerenti all’abbigliamento e agli accessori (il
copricapo, il gonnellino, il diadema, il rotolo, il recipiente). Come suggerito
da Bernardini, la tipologia
sabato 14 febbraio 2015
Straordinaria scoperta archeologica: una tomba inviolata del VI a.C.
Nella
salina grande torna alla luce una tomba inviolata del VI a.C.
Straordinario
ritrovamento archeologico è affiorato nei giorni scorsi nella Salina Grande: una
tomba inviolata del VI a.C. A darne notizia è Cinzia Amorosino, presidente
dell'associazione Progentes, testimone dell'eccezionale scoperta.
«Cosa
direbbero i tarantini odierni se riaffiorasse dal terreno
della Salina Grande, un’antica signora che visse a Taranto, da greca
purosangue, nell’epoca di Pitagora? - scrive Cinzia Amorosino- Emoziona pensare
che lei, sia che lavorasse il salgemma o facesse parte di un kòmas (villaggio
strutturato della campagna), abbia sentito forse parlare dal vivo il padre
spirituale di tutte le democrazie». Inconsueto e straordinario, dunque, il
ritrovamento, negli ultimi giorni, di una tomba ancora intatta, risalente alla
fine del VI a.C., compiuto da due giovani archeologi, Patrizia Guastella e
Andrea Pedone, che sorvegliavano i lavori della costruzione del II lotto della
Tangenziale sud di Taranto, in corrispondenza del tronco stradale di
collegamento tra la tangenziale medesima e la SP 100 per la nuova base navale.
In quella zona, spiegano i due archeologi Patrizia Guastella e Andrea Pedone,
«pare che Annibale facesse riposare i suoi elefanti, prima di entrare a Taranto
attraverso Porta Temenide. E prima ancora, in quella stessa area i tarantini
raccoglievano sale purissimo. Già, proprio la Salina Grande, dove si trova
Saras, l'industria del petrolio a Sarroch. 50 anni fa la nascita e la profezia dell'allora assessore al turismo Covacivich.
Saras, 50 anni fa la profezia
di Covacivich
di Pablo Sole
“Personalmente sono convinto che la
costruzione della raffineria danneggi enormemente le possibilità di sviluppo
turistico del golfo degli Angeli. Un ordine del giorno del genere, prima di
essere votato, avrebbe avuto bisogno di attento studio. Perdoni la mia
sincerità e gradisca i più cordiali saluti”.
Il 26 gennaio 1963, quando scrive queste poche righe indirizzate al sindaco di Cagliari Giuseppe Brotzu,
Giacomo Covacivich, democristiano, assessore al Turismo della Regione sarda,
sta per scoprire di essere un uomo solo. Politicamente solo. Perché nessuno lo
seguirà in quelle profetiche considerazioni sulla ‘Società anonima raffinerie
sarde’. In cinque lettere: Saras.
Sono passati esattamente 50
anni da allora. Da quei giorni di gennaio e febbraio del 1963 quando il comune
di Cagliari e la Regione diedero il via libera alla costruzione della
raffineria.
Fa impressione leggere oggi
quei documenti. Perché rivelano che il pericolo ambientale
venerdì 13 febbraio 2015
Il simbolo della dea Tanit nel Castello di Gerione, distrutto da Annibale nel 217 a.C.
Il simbolo della dea Tanit nel Castello di Gerione, distrutto da Annibale nel 217 a.C.
Il Castello di Gerione, in provincia di Campobasso, è un piccolo insediamento fortificato a 616 metri di altitudine sulla valle del Cigno. La cittadella ha una forma ovoidale e dimensioni modeste. L'attestazione più antica risale al 1172, quando compare in un atto di donazione. Successivamente Gerione è ricordata in alcuni documenti del 1181 e del 1254 e in un importante documento del 1239-1241, di epoca sveva. Un atto del 1450 ricorda Gerione tra i feudi inabitati.
Dal 2003, anno in cui il comune di Casacalenda ha acquisito
Il Castello di Gerione, in provincia di Campobasso, è un piccolo insediamento fortificato a 616 metri di altitudine sulla valle del Cigno. La cittadella ha una forma ovoidale e dimensioni modeste. L'attestazione più antica risale al 1172, quando compare in un atto di donazione. Successivamente Gerione è ricordata in alcuni documenti del 1181 e del 1254 e in un importante documento del 1239-1241, di epoca sveva. Un atto del 1450 ricorda Gerione tra i feudi inabitati.
Dal 2003, anno in cui il comune di Casacalenda ha acquisito
giovedì 12 febbraio 2015
I Nuraghi a Tholos. Video del corso di archeologia, 9° lezione.
Videocorso di archeologia, nona lezione: I Nuraghi a Tholos
Riprese di Fabrizio Cannas
I nuraghi a tholos sono edifici a sviluppo verticale costruiti a partire dal XV a.C, nel Bronzo Medio. Grazie alla tecnica di aggetto, applicata con perizia e intelligenza, si arrivò a chiudere torri con un altezza interna fino a 11 metri, come nel nuraghe Is Paras di Isili. Si conoscono torri a più piani, fino a tre, e altezze complessive che sfioravano i 27 metri, come al Nuraghe Arrubiu di Orroli. Si distinguono in nuraghi semplici e nuraghi polilobati, ossia con varie torri che affiancano il mastio (la torre centrale). Vista la mole di lavoro necessaria per la costruzione, i materiali utilizzati sono sempre quelli disponibili nelle vicinanze dell'edificio da edificare: basalto, trachite, scisto, granito e marna. Si contano circa 8000 nuraghi sparsi capillarmente nell'isola, ma il loro numero è in aumento e poteva raggiungere forse i 9.000/10.000. Le funzioni sono varie, secondo l'epoca e le esigenze delle comunità, e i materiali scavati dagli archeologi sono prevalentemente legati alla vita quotidiana: pestelli, macine, pesi da telaio e ceramiche adatte a contenere granaglie e altre derrate alimentari. Raramente compaiono oggetti metallici, e ciò può essere spiegato con la preziosità di questo materiale che in caso di rottura può essere fuso e trasformato per un nuovo utilizzo.
Con la collaborazione dell'istituto, del videomaker Fabrizio Cannas e del docente, Pierluigi Montalbano, saranno offerte sul canale Youtube tutte le lezioni di archeologia previste nel programma. L'accesso è libero e gratuito.
I lettori sono invitati a proporre suggerimenti per migliorare la fruibilità o altre caratteristiche.
Se qualcuno fosse interessato a collaborare, ad esempio inserendo i sottotitoli in inglese, sarebbe il benvenuto. Per visionare le lezioni è sufficiente cliccare sui link sotto.
Buon ascolto e buona visione.
9° Lezione: I Nuraghi a Tholos
8° Lezione: Architetture funerarie, le Tombe di Giganti
7° Lezione: I nuraghi a corridoio e il Sistema Onnis
5° Lezione: Le Domus de Janas e il culto dei defunti
3° Lezione: Le prime civiltà del Mediterraneo
mercoledì 11 febbraio 2015
Archeologia. Ruspe sulla storia: spianato a Bari un sito neolitico di 7 mila anni fa. Cittadini in rivolta
Ruspe
sulla storia: spianato a Bari un sito neolitico di 7 mila anni fa. Cittadini in
rivolta
di Kasia Burney Gargiulo
Alla
fine è stata scelta la soluzione peggiore,
quella dell’asportazione dei reperti e dell’affidamento del sito ai proprietari
che hanno proceduto con i lavori di spianamento dell’area. Parliamo del sito archeologico neolitico, di 7 mila anni
fa, che era emerso nel territorio della frazione barese di Paleselo scorso Autunno. L’area, nella quale erano state
rinvenute tracce di strutture abitative, produttive e una zona funeraria che ha
restituito almeno otto scheletri oltre a svariati altri reperti, si era subito
rivelata come una vera miniera di
informazioni per la conoscenza degli insediamenti neolitici fra la
costa adriatica e l’entroterra.
Donato
Coppola, docente di Archeologia della
Preistoria al dipartimento di Scienze dell’antichità dell’Ateneo di Bari, aveva
affermato che i resti di questo abitato non avevano eguali nel panorama della
preistoria italiana per via dello stato di conservazione del materiale
rinvenuto, soprattutto dei pavimenti
abitativi e di altre
testimonianze legate alla vita quotidiana degli agricoltori del
VI-V millennio a.C., fra cui alcune ceramiche ed una
rarità costituita da una statuina in pietra della Dea Madre ritrovata accanto ad uno
scheletro in deposizione rituale, collocato in una posizione prona assolutamente inconsueta. Sandro Sublimi Saponetti,
docente di Antropologia al dipartimento di Biologia dell’Ateneo barese, aveva a
sua volta dichiarato trattarsi di un
tipo di sepoltura di cui in Italia esistono solo tre esempi aggiungendo
che questo sito costituiva una
sorta di grande archivio degli eventi di vita quotidiana
dell’epoca, un’occasione davvero unica di poter esaminare non solo una
necropoli molto antica ma anche uno spazio abitativo e produttivo.
Ebbene, di tutto questo
rimangono solo i reperti che si sono riusciti a prelevare, mentre il contesto non esiste più. A
nulla sono valse
martedì 10 febbraio 2015
Costruiamo un nuraghe da noi in otto mesi…senza colla e cemento
Costruiamo un nuraghe da noi
in otto mesi…senza colla e cemento
Cari amici, abbiamo un po’ di
tempo libero e uno spazio nell’orto? E allora dai…facciamoci un nuraghe e
rinverdiamo i fasti dei nostri avi costruttori.
Cosa ci vuole e quanto tempo?
Seguite le istruzioni e lo saprete: buon divertimento!
Un’ultima cosa: diversamente da
Art Attack non servono i cilindri di cartone della carta igienica né la colla
vinilica.
Individuate un’area libera di
12x12 mq nel vostro orto; assicuratevi che sia facilmente raggiungibile dal
cancello e che disponga di un’area adiacente (il parcheggio dietro il
supermarket accanto a casa andrà benissimo) in cui stoccare gli ingredienti per
il gioco;
Prendete una corda intrecciata
con fibre vegetali (le foglie di asfodelo vanno benissimo) lunga una decina di
braccia; Piantate un piolo nel terreno al centro dell’area individuate e
legateci la corda; Tagliate un ramo alla lunghezza di un braccio; Misurate otto
braccia sulla corda partendo dal piolo e fate un nodo; Tracciate un cerchio in
corrispondenza del nodo; Ripetete la procedura per una lunghezza di quattro
braccia circa 2,25 m).
A questo punto abbiamo
ottenuto la pianta del nostro nuraghe. Sì è vero, somiglia moltissimo alla
pianta del nuraghe Sa Pedra di Macomer (cfr Moravetti). A questo punto decidete
che materiale intendete usare. Abitate in periferia? Benissimo, allora non
avrete difficoltà. Nella zona di Macomer? Fantastico, perché nel raggio di 300 m
da casa vostra (in media) troverete tutto il materiale di cui abbisogniate. Se
così non fosse leggete fino alla fine e saprete come fare.
Contattate un amico, proprietario
di quattro buoi per le due traccas che usa a carnevale e ditegli che volete
fare un nuraghe nell’orto; se non vi manda immediatamente a quel paese, visto
che ci siete, chiedetegli anche se ha tre amici che non hanno niente da fare (andranno
benissimo tre operai in cassa integrazione che risparmieranno un sacco di soldi
evitando di bere birra al bar) e fatelo
lunedì 9 febbraio 2015
Archeologia. La storia del carro.
La
storia del carro
di M.
Zuffa, R. Peroni
1) Oriente
antico. Nella sua forma a quattro ruote piene, trainato da una
quadriglia di buoi prima, di equidi poi, ha origine nella cerchia delle civiltà
agricole del IV millennio a. C.
Le più antiche
rappresentazioni mostrano la contemporanea esistenza del tipo a due ruote e di
quello a quattro. Il più antico esempio è da considerarsi il modellino trovato
a Tepe Gaura, datato a circa il 3000 a.C.; si tratta di un c. a quattro ruote,
piene, con copertura a telone sorretta da armatura arcuata. Alla prima metà del
III millennio appartengono alcuni modellini trovati a Kish a due e a quattro
ruote, con la parete anteriore più alta rispetto a quelle laterali; contemporaneo
è un modellino di rame da Tell Agrab, rappresentante un c. a due ruote con
guidatore, il quale tiene per le briglie quattro equidi; da notare il
particolare delle ruote dentate, che compaiono anche nell'intaglio di un
sigillo cilindrico del periodo di Mesilim (2600 a.C.). Su un frammento della
cosiddetta "stele degli avvoltoi" si vede il re Eannatum di Lagash
(circa 2450 a.C.) stante su una piattaforma con intelaiatura a graticcio,
assieme ad un auriga con frecce.
Al periodo della
I dinastia di Ur (2500-2350 a.C.) risale il pannello istoriato a litotomia
delle tombe reali di Ur nella Mesopotamia meridionale: questo mostra ben cinque
carri da guerra a quattro ruote trainati ciascuno da quattro equidi e montati,
secondo il costume che sarà poi immortalato dai poemi omerici, da un
combattente e da un auriga. Le ruote, piene, sono formate da
domenica 8 febbraio 2015
Bronzetti nuragici...falsi.
Bronzetti nuragici...falsi.
Nel 2009 il Museo Archeologico di Cagliari organizzò una mostra di una serie di bronzetti falsi realizzati nell'Ottocento e spacciati per autentici, con notevole giro di danaro che finì nelle tasche di intermediari senza scrupoli a danno di collezionisti sprovveduti. Molti di questi falsi sono pubblicati nei libri degli archeologi del passato. E' evidente la loro non autenticità, la si evince dalla ricchezza sproporzionata degli accessori, dalla mancanza di eleganza e dall'aspetto delle superfici. Tuttavia hanno un valore notevole (nonostante siano falsi) perché appartengono ad una collezione.
Il mio suggerimento è di fare un giro al Museo Archeologico di Cagliari per vedere i bronzetti autentici. Sono alti dai 10 ai 30 cm circa e, oltre all'eleganza e linearità dell'aspetto, sono espressivi e affascinanti per la loro appartenenza a un passato misurabile in tre millenni. Rappresentano capi tribù e guerrieri con i capelli raccolti in trecce ma anche gente comune con l’offerta alla divinità e la mano destra alzata in segno di saluto. Se siete fortunati (non sempre sono esposti) riuscirete a vedere anche i falsi bronzetti dei primi del 1800, quelli nelle immagini, che godettero fama di autenticità per circa 80 anni. Furono creati da artigiani sardi che copiarono gli originali e ci misero del loro, creando bizzarre creature somiglianti a mostri o alieni. Questi bronzetti fantasiosi ci sono familiari perché sono simili ai personaggi dei cartoni animati giapponesi. Di solito i bambini sono più affascinati dai falsi, che dai veri bronzetti, forse per l'aspetto mostruoso che intimorisce.
Nel 2009 il Museo Archeologico di Cagliari organizzò una mostra di una serie di bronzetti falsi realizzati nell'Ottocento e spacciati per autentici, con notevole giro di danaro che finì nelle tasche di intermediari senza scrupoli a danno di collezionisti sprovveduti. Molti di questi falsi sono pubblicati nei libri degli archeologi del passato. E' evidente la loro non autenticità, la si evince dalla ricchezza sproporzionata degli accessori, dalla mancanza di eleganza e dall'aspetto delle superfici. Tuttavia hanno un valore notevole (nonostante siano falsi) perché appartengono ad una collezione.
Il mio suggerimento è di fare un giro al Museo Archeologico di Cagliari per vedere i bronzetti autentici. Sono alti dai 10 ai 30 cm circa e, oltre all'eleganza e linearità dell'aspetto, sono espressivi e affascinanti per la loro appartenenza a un passato misurabile in tre millenni. Rappresentano capi tribù e guerrieri con i capelli raccolti in trecce ma anche gente comune con l’offerta alla divinità e la mano destra alzata in segno di saluto. Se siete fortunati (non sempre sono esposti) riuscirete a vedere anche i falsi bronzetti dei primi del 1800, quelli nelle immagini, che godettero fama di autenticità per circa 80 anni. Furono creati da artigiani sardi che copiarono gli originali e ci misero del loro, creando bizzarre creature somiglianti a mostri o alieni. Questi bronzetti fantasiosi ci sono familiari perché sono simili ai personaggi dei cartoni animati giapponesi. Di solito i bambini sono più affascinati dai falsi, che dai veri bronzetti, forse per l'aspetto mostruoso che intimorisce.
sabato 7 febbraio 2015
Monte Prama: il regno dei Giganti resta incustodito
Monte Prama: il regno dei Giganti resta incustodito
di
Claudio Zoccheddu
Quando cala la notte, oltre
alla luce scompare anche quel senso di grandezza che si avverte quando si
guarda la collina dei giganti di pietra, la casa delle statue che raccontano il
passato glorioso della Sardegna.
L’importanza dei tempi andati
non si percepisce quando il buio avvolge le colline del Sinis e la casa dei
guerrieri diventa una tavola nera su cui chiunque può imprimere il suo segno. I
controlli ci sono, bisogna dirlo, ma sono sporadici e comunque molto lontani da
quello che ci si aspetterebbe per un sito che custodisce, ormai lo dicono anche
gli esperti, il ritrovamento archeologico più importante degli ultimi 50 anni.
Nella notte tra ieri e
avantieri, quando vento, pioggia e grandine erano le uniche presenze iscritte all’albo
dei visitatori del sito, lo scavo era deserto. E buio. Le condizioni ideali per
un blitz dei temutissimi tombaroli con il vizietto del nuragico. Presenze ormai
sbiadite, quelli veri battevano il Sinis e seminavano danni quando i giganti
erano appena ritornati alla luce, che comunque avevano giustificato alcune
misure tampone adottate dopo che due tombe erano state violate durante la fase
di scavo. Probabile che si trattasse di principianti alla ricerca di un
improbabile colpaccio più che di un tombarolo esperto. Comunque, è stato
venerdì 6 febbraio 2015
La storia del miele
Il miele ha una storia
antichissima, infatti è documentata la presenza di piante che producono nettare e polline fin da
100 milioni di anni or sono. Le
prime api compaiono da 40 milioni di anni fa, insieme ai primi esemplari
di primati, ma le api sociali,
cioè le api vere e proprie che funzionano come organismo collettivo, risalgono circa a 20 milioni di anni or sono. Le
prime tracce che testimoniano l’uso del miele da parte dell’uomo sono databili
a circa 10 mila anni fa, come evidenzia una pittura rupestre scoperta nei pressi di Valencia, in Spagna, che
mostra un uomo che si arrampica sulla cima di un albero, o di una rupe.
E’ circondato da api in volo, dotato di una cesta per riporre i favi sottratti
alle api, e usa una nuvoletta di fumo per ammansirle. E’ la stessa
tecnologia usata oggi dai cacciatori
di miele in India, che si arrampicano con scale di corda su rupi
alte anche 100 metri. La più antica testimonianza dell’allevamento vero e
proprio delle api risale a una pittura egiziana del 2400 a.C., in cui a destra
si nota l’operazione di prelievo dei favi dagli alveari con l’uso del fumo, e a
sinistra l’operazione di sigillo delle giare. L’immagine appartiene a una serie
rinvenuta nel Tempio del Sole, vicino al Cairo. Il miele nell’Antico Egitto era inizialmente un cibo di lusso, una prerogativa reale e
divina; una maggiore generalizzazione del suo uso comincia nel II millennio a.C.,
come mostra il ritrovamento di vasi per il miele o favi in tombe private, e la
menzione del miele come razione
giovedì 5 febbraio 2015
Videocorso di archeologia, ottava lezione: Le Tombe di Giganti
Videocorso di archeologia, ottava lezione: Le Tombe di Giganti
Riprese di Fabrizio Cannas
Le tombe di giganti sono sepolture monumentali in
pietra che ricordano, nello schema planimetrico, la riproduzione della testa di
un toro (protome taurina), un simbolo della religione dei sardi preistorici fin
dal lontano neolitico. Sono costituite da un lungo corridoio di derivazione
dolmenica (la camera sepolcrale), generalmente absidato e pavimentato, con facciata
ad arco che si prolunga lateralmente in due ali di muro delimitante un'area chiamata
esedra, una piazzetta dedicata alle cerimonie in onore dei defunti. Al centro
del prospetto, si apre il portello d'accesso al vano funerario. In base alle
caratteristiche architettoniche, le tombe di giganti si dividono in due grandi
gruppi: con stele e ortòstati il primo, diffuso maggiormente nel nord Sardegna;
con facciata a filari e ingresso con architrave il secondo, più frequente nel
sud dell’isola. I termini cronologici delle tombe dei giganti abbracciano
l'intero II Millennio a.C., l’età del Bronzo, ma il loro utilizzo è durato a
lungo, fino al periodo Medioevo.
Al primo Bronzo (1900-1500 a.C.) sono riferite le
tombe di giganti a struttura ortostatica, con la camera funeraria a sezione
trilitica o rettangolare (come i dolmen dai quali derivano) e la muratura
perimetrale realizzata con grandi pietre. La fronte del monumento presenta al
centro la monumentale stele, stretta da lastre disposte a coltello che
decrescono in altezza verso le estremità delle ali, rinforzate alla base da
altre pietre disposte con funzione di bancone/sedile. Alle sezioni dolmeniche e
trapezoidale delle camere tombali, succedono sezioni ogivali. Lo stile
dell'aggetto è dato dalla sporgenza graduale dei fìlari, mentre in quelle
isodome è ottenuto dal taglio obliquo dei conci. A volte, la pietra sommitale
che conclude il prospetto delle tombe nuragiche presenta tre scanalature che
combaciano con quelle della prima lastra di copertura, costituendo tre fori che
accoglievano una triade di piccoli betili.
Secondo lo Spano, un archeologo sardo dell'Ottocento,
le tombe di giganti erano mausolei di famiglia; altri le ritengono sepolture
dei capi delle tribù nuragiche, mentre per Lilliu e Contu erano tombe
comunitarie destinate a accogliere gli abitanti del vicino villaggio. Da
Aristotele sappiamo che i sardi erano soliti frequentare le tombe degli antichi
eroi per dormire presso di esse per 5 giorni per invocare, dai parenti defunti
protezione, aiuto e la guarigione da eventuali ossessioni. Non abbiamo a oggi
elementi certi per individuare i rituali funerali in uso nelle tombe di
giganti. Verosimilmente si tratta di sepolture secondarie dei resti
scheletrici, secondo la tradizione delle culture campaniforme e Bonnanaro, ma non
mancano esempi d’inumazione primaria sotto un letto di ciottoli fluviali, con
il corpo che poggiava direttamente sul pavimento della camera. Il corredo
funerario, costituito da vasi, strumenti e oggetti d'ornamento, può trovarsi
accanto agli scheletri ma sono frequenti anche nicchie nelle pareti interne o piccoli
vani a lato dell’ingresso.
Con la collaborazione dell'istituto, del videomaker Fabrizio Cannas e del docente, Pierluigi Montalbano, saranno offerte sul canale Youtube tutte le lezioni di archeologia previste nel programma. L'accesso è libero e gratuito.
I lettori sono invitati a proporre suggerimenti per migliorare la fruibilità o altre caratteristiche.
Se qualcuno fosse interessato a collaborare, ad esempio inserendo i sottotitoli in inglese, sarebbe il benvenuto. Per visionare le lezioni è sufficiente cliccare sui link sotto.
Buon ascolto e buona visione.
8° Lezione: Architetture funerarie, le Tombe di Giganti
7° Lezione: I nuraghi a corridoio e il Sistema Onnis
5° Lezione: Le Domus de Janas e il culto dei defunti
3° Lezione: Le prime civiltà del Mediterraneo
Iscriviti a:
Post (Atom)