Diretto da Pierluigi Montalbano

Ogni giorno un nuovo articolo divulgativo, a fondo pagina i 10 più visitati e la liberatoria per testi e immagini.

Directed by Pierluigi Montalbano
Every day a new article at the bottom of the 10 most visited and disclaimer for text and graphics.
History Archaeology Art Literature Events

Storia Archeologia Arte Letteratura Eventi

Associazione Culturale Honebu

Translate - Traduzione - Select Language

lunedì 31 agosto 2015

Archeologia. Siria e Iraq bombardate. Raso al suolo il tempio fenicio di Baal Shamin. Aggiornamento patrimonio culturale

Archeologia. Siria e Iraq bombardate. Raso al suolo il tempio fenicio di Baal Shamin. Aggiornamento patrimonio culturale
di Paolo Brusasco

Baalshamin: immagini satellitari ne confermano distruzione
Sono giunte immagini satellitari del 25 agosto (satellite francese) che
purtroppo confermano anche dal cielo il livellamento del tempio di Baalshamin, come si vede dal confronto con la fotografia del 22 maggio scorso in cui il tempio si ergeva ancora intatto (Pléiades Earth-observation system). (Le due immagini sopra fra le quattro nel riquadro)



25 agosto 2015
Palmira. Distrutto il tempio di Baalshamin
Purtroppo le supposizioni più nere sulla sorte del tempio di Baalshamin a Palmira sono risultate attendibili. Le tremende immagini che ci arrivano non lasciano speranze. Gli ultimi aggiornamenti ci arrivano sempre dal nostro collaboratore professor Paolo Brusasco (Università di Genova): “Sono state pubblicate sui social media le foto della distruzione del tempio di Baalshamin, divinità semitica occidentale con aspetti assimilabili al dio della tempesta Adad. Il format è sempre lo stesso, quello utilizzato nella

domenica 30 agosto 2015

Conferenze di archeologia a Domus de Maria. Marco Minoja, Carlotta Bassoli, Valentina Chergia, Carlo Tronchetti, Pierluigi Montalbano, Giovanni Ugas, Salvatore Loi

Note di Settembre a Domus De Maria. Conferenze di archeologia dedicate a Bithia e alla navigazione preistorica.


Si svolgerà a Domus de Maria, sabato 5 e domenica 6 settembre, nella Piazza del Museo di Domus de Maria, una rassegna culturale che vede l'antica Bithia (Chia) al centro degli interventi dei relatori. Dopo i saluti dell'amministrazione locale, alle ore 19.30, si entrerà subito nel vivo con le conferenze dedicate agli ultimi scavi nell'acropoli, condotti dallo staff diretto dal soprintendente Marco Minoia e composto dalle archeologhe Carlotta Bassoli e Valentina Chergia. A seguire è previsto un dibattito, il rinfresco e una chiusura musicale.
Domenica sera, sempre alle 19.30, si parlerà di navigazione e di Sardegna Nuragica, con gli interventi di Carlo Tronchetti, Pierluigi Montalbano e Salvatore Loi. E' prevista la partecipazione straordinaria di Giovanni Ugas. A seguire il dibattito, il rinfresco e uno spettacolo musicale. L'ingresso alle serate è libero e sarà possibile visitare il museo archeologico adiacente.

Prendendo spunto dal mio ultimo libro (Fenici, antichi popoli del mare), in pubblicazione a breve, ho pensato di inserire un articolo dedicato a Bithia:

Le indagini archeologiche hanno riguardato la topografia della città, in particolare il santuario funerario dei bambini (tofet), le fortificazioni di età fenicio-punica, la vasta necropoli litoranea e l’acropoli.
Le prospezioni degli anni Sessanta, hanno consentito l'identificazione del cimitero dei bambini nell'isolotto di Su Cardulinu, a Est dell'acropoli. La piccola isola presenta un muro di cinta sul lato Nord, nell’istmo sabbioso che talora la collega alla terraferma. Sono stati posti in luce tre grandi altari che, erroneamente, si pensavano legati all'offerta sacrificale dei bambini alla divinità, mediante il loro olocausto. In realtà è ormai condivisa dagli studiosi l’interpretazione che vede i tofet come luoghi sacri nei quali si deponevano i bimbi nati morti e quelli che non avevano ancora affrontato il rito di passaggio nel mondo degli adulti (forse una sorta di battesimo). Le deposizioni entro urne fittili accompagnate da contenitori di profumi e sostanze oleosa e l'assenza di stele testimoniano l'uso dell'area santuariale-funeraria nel VII e VI a.C. e segnano la fioritura di Bithia.
Gli scavi di Bartoloni del 1974 nelle necropoli, hanno portato alla luce tombe a semplice fossa aperte nella sabbia, tombe a cassone, urne in terracotta entro ciste litiche e qualche esempio di sepoltura in sintonia con le altre principali necropoli della Sardegna (Nora, Monte Sirai, Pani Loriga, Tharros, S. Giovanni di Sinis, Othoca) e di altri territori costieri mediterranei: Mozia, Cartagine, Rašgun, Trayamar.
L'inquadramento cronologico della necropoli si ricava dagli abbondanti corredi rinvenuti nelle tombe: alle classiche ceramiche rituali, ossia brocche con orlo a collo espanso e altre a orlo trilobato, piatti ombelicati, contenitori per sostanze oleose, lucerne e vasellame d'importazione etrusca come buccheri e anforette a doppia spirale e alabastra etrusco-corinzî, coppette su piede, Kylix del gruppo a maschera umana del 630-540 a.C., materiali corinzi, dell’attica, come le coppe a figure rosse del Pittore di Winchester, e ionici, ad esempio la coppa B2 Vallet-Villard.
Il campionario presenta gioielli d'argento, raramente in oro, armi in ferro, bronzi della I metà del VII a.C. una fibula, uova di struzzo della metà del VII a.C. e amuleti.
La necropoli restituisce notevoli quantitativi di bucchero etrusco e 15 coppe ioniche, oltre a frammenti di aryballos globulare del Protocorinzio Antico e Kylix del Protocorinzio Medio. Ciò documenta, nel 700 a.C., l’avvio e lo sviluppo di relazioni commerciali durature che continueranno fino ai vani tentativi di Cartagine di controllare l’amministrazione sarda.
La Bithia punica mostra una ripresa in epoca ellenistica, con la ristrutturazione della cinta muraria e la realizzazione del Santuario di Bes, con una stipe votiva, caratterizzata da statuette in terracotta che rappresentano devoti sofferenti che chiedono la guarigione.  

sabato 29 agosto 2015

Arte e manufatti in Sardegna. La ceramica nuragica fra Bronzo Finale e Primo Ferro

Arte e manufatti in Sardegna. La ceramica nuragica fra Bronzo Finale e Primo Ferro
di Pierluigi Montalbano


Bronzo recente:
Abbiamo due fasi: Muru Mannu di Tharros e Antigori.
Nella prima fase abbiamo tegami regolari con solcature che si intrecciano, come già scrisse l’Acquaro (bisogna fare attenzione a non scambiare i frammenti per pezzi appartenenti ad olle a tesa interna). Le superfici sono nere lucide inornate e le forme sono caratterizzate da pareti sottili che non sono testimoniate nel Bronzo Medio, caratterizzato da pareti spesse. Le ciotoline carenate hanno anse che si insellano, documentate anche nella successiva fase Antigori. Anche le grandi olle con colletto basso proseguono nella facies Antigori. Gli orci hanno spesso due grandi anse. I bollitori sono simili a quelli dell’Appenninico, a dimostrazione del parallelismo fra Sardegna e Italia peninsulare. Le spalle dei tegami sono concave o oblique, e la decorazione a pettine, che compare nel Bronzo Recente, non compare mai nei tegami delle facies precedenti.
Nella fase Antigori, il labbro è appiattito o obliquo, ma comunque ingrossato e le forme persistono fino al I Ferro. Le anse sono quasi sempre ad anello, e in questa fase la forma dell’ansa è ellittica: allungata e appiattita. Ritroviamo queste anse anche nelle ollette a collo. Queste presentano le anse a orecchia ellittica sulla pancia.
Le conche con labbro ingrossato a spigolo interno presentano generalmente delle piccole anse regolari di forma ellittica. Altre conche hanno labbro a chiodo che tende a diventare triangolare nella parte superiore, ossia ad ingrossarsi. Le scodelle e i calici per il vino somigliano molto ai modelli micenei: sono basse e presentano una piccola bugna come presa.
Le fuseruole discoidali iniziano ad assumere una forma lenticolare. Una caratteristica delle fuseruole è un ciclico cambio di gusto che si ricicla nei vari periodi e bisogna stare attenti alle classificazioni.
I tegami a volte sono decorati anche all’interno, con solcature a pettine o disegni a scacchiera simili a quelli del Bronzo Medio. Alcuni studiosi confondono i tegami con

venerdì 28 agosto 2015

Arte e manufatti della Sardegna: Le ceramiche nuragiche del Bronzo Recente e Finale

Arte e manufatti della Sardegna: Le ceramiche nuragiche del Bronzo Recente e Finale
di Pierluigi Montalbano


Bronzo recente:
In questo periodo abbiamo due fasi: Murru Mannu di Tharros e Antigori.
Nella prima fase abbiamo tegami regolari con solcature che si intrecciano, come già scrisse l’Acquaro (bisogna fare attenzione a non scambiare i frammenti per pezzi appartenenti ad olle a tesa interna). Le superfici sono nere lucide, non ornate, e le forme sono caratterizzate da pareti sottili che non sono testimoniate nel Bronzo Medio, caratterizzato da pareti spesse. Le ciotole carenate hanno anse che si insellano, documentate anche nella successiva fase Antigori. Anche le grandi olle con colletto basso proseguono nella facies Antigori. Gli orci hanno spesso due grandi anse. I bollitori sono simili a quelli dell’Appenninico, a dimostrazione del parallelismo fra Sardegna e Italia peninsulare. Le spalle dei tegami sono concave o oblique, e la decorazione a pettine, che compare nel Bronzo Recente, non compare mai nei tegami delle facies precedenti.
Nella fase Antigori, il labbro è appiattito o obliquo, ma comunque ingrossato e le forme persistono fino al I Ferro. Le anse sono quasi sempre ad anello, e in questa fase la forma dell’ansa è ellittica: allungata e appiattita. Ritroviamo queste anse anche nelle ollette a collo. Queste presentano le anse a orecchia ellittica sulla pancia.
Le conche con labbro ingrossato a spigolo interno presentano generalmente delle piccole anse regolari di forma ellittica. Altre conche hanno labbro a chiodo che tende a diventare triangolare nella parte superiore, ossia ad ingrossarsi. Le scodelle e i calici per il vino somigliano molto ai modelli micenei: sono basse e presentano una piccola bugna come presa.
Le fuseruole discoidali iniziano ad assumere una forma lenticolare. Una caratteristica delle fuseruole è un ciclico cambio di gusto che si ricicla nei vari periodi e bisogna stare attenti alle classificazioni.
I tegami a volte sono decorati anche all’interno, con solcature a pettine o disegni a scacchiera simili a quelli del Bronzo Medio. Alcuni studiosi confondono i tegami con i coperchi delle grandi anfore, e sono proprio le decorazioni che svelano l’utilizzo reale.


Nell’oristanese e nelle zone interne della Sardegna le colorazioni nere e grigio ardesia, tipiche locali, tendono a conservarsi, a differenza del nord e del sud dell’isola dove diminuiscono e si accompagnano alle ceramiche chiare e dipinte, di provenienza greca e micenea IIIB, ad Antigori di Sarroch e al Nuraghe Arrubiu di Orroli ad esempio.
Nelle zone meridionali della Sardegna compaiono olle con labbro quadrangolare, apparentemente arcaico ma le anse ellittiche suggeriscono un inserimento nel Bronzo Recente.
Iniziano anche delle anforette tornite con prese ampie che sembrano legate alla diffusione del vino.
Nel Campidano troviamo olle realizzate con tornio lento, di colore giallo o con tonalità rosate e grigie, con orlo semplice appiattito e 2 o 4 anse allungate.
Iniziano le prime brocchette a orlo piatto, con forma globulare o biconica e bugne forate o solcate.
Le ceramiche decorate a pettine sono realizzate con uno strumento a dentelli che imprime dei piccoli fori sulla superficie A volte le decorazioni sono realizzate con simboli ispirati al sole o al carro, con raggi o a fasce.
Bronzo Finale:
Proseguono le ceramiche prive di ornamenti ma verso la fase finale, e poi nel Ferro, iniziano ceramiche caratterizzate da belle decorazioni incise a spina di pesce o con motivi a piccole coppelle, simili ai vasi del proto-villanoviano.
Conosciamo due fasi (Oristano e Barumini) ma la classificazione è ancora troppo generica: pregeometrica e geometrica.
La fase Oristano si differenzia da quella successiva di Barumini perché è caratterizzata da ceramiche grigie inornate, meno pure dalle belle ceramiche lucide nere e grigio-ardesia. Il gran numero di scodelle suggerisce una maggiore sedentarizzazione della vita della comunità e un buon tenore di vita, almeno alimentare.
Le ciotole carenate con spalla alta e profilo dolce presentano bugne o anse a maniglietta, ad impostazione orizzontale, non presenti nel Bronzo Recente. Continuano le olle, sia a labbro triangolare che quadrangolare. Proseguono anche le anforette con 2 anse a gomito appiattite, e appaiono le ansa e gomito rovescio.
Compaiono le anfore a taglio obliquo e corpo carenato, quasi biconico. In alcuni vasi del centro-nord si notano dei peducci. La decorazione è generalmente sulle anse e sulla spalla.
Tutte queste forme della fase Barumini Surbale si trovano anche nelle fasi della distruzione di Lipari (Ausonio II), pertanto dobbiamo inquadrarle intorno al 850 a.C.
Dalle fonti emerge che l’acropoli di Lipari fu distrutta e abbandonata intorno al 850 a.C. per poi essere riabituata intorno al 650 a.C. ed è interessante trovare tanta presenza sarda (sia con produzione, sia con imitazione delle ceramiche) in quella zona e in quel periodo. Troviamo scodelle a calotta, a volte ombelicate, che presentano sia la bugna ellittica a rilievo sulla spalla, sia una piccola ansa ristretta, che deriva da quelle del Bronzo Recente. La colorazione è rosata e si diffonderà nel Primo Ferro.
Le decorazioni, spesso a foglie, sono impresse con punzoni. In alcune anse si notano dei beccucci, per favorire la bevuta dal vaso, ma nel Ferro compaiono anche brocchette a taglio obliquo senza beccuccio. In questa fase abbiamo grandi ciotole biansate a maniglie rialzate con spalle e vasca curvi. Le anforette con bocca piana iniziano nel Bronzo Recente e persistono fino al Ferro trasformandosi in quelle anfore con anse sulla spalla (e non sull’orlo).
Le olle a gomito rovescio caratterizzate da nervature alla base del collo, come quelle di Surbale, vedono motivi a cerchielli semplici impressi a cannuccia che mostrano la fase di passaggio fra Bronzo finale e Primo Ferro.
Le decorazioni del periodo geometrico sono in stretta sintonia con usi, costumi e religiosità della comunità. Abbiamo un cambiamento in ambito religioso con la comparsa di crescenti lunari e altri simboli legati al culto.
Fuseruole, pesi e contrappesi per telaio, alari per spiedi continuano nel loro ciclo di appiattimenti, forme arrotondate e forme discoidali.
Nel Primo Ferro compare un interessante cratere (a Ittireddu), simile a quelli del XII-XI a.C. nel Vicino Oriente (Israele e Palestina), caratterizzati da labbro ingrossato e arrotondato, forma carenata e rastremata verso il basso, anse a gomito, e a volte decorazioni.
A Surbale compare la Pintadera, con varie forme e vari utilizzi, anche come timbri per decorare il pane o come calendari.
Alcune forme interessanti sono state ritrovate a Sardara nella sala del consiglio e nella capanna 1. In quest’ultima si trova un ripostiglio con un ciotolone a spalla rientrante e ansa appiattita, ad anello, legato alla consacrazione della capanna, al suo rito di fondazione in prossimità dell’ingresso.

giovedì 27 agosto 2015

Acabadora, la sacerdotessa della morte

Acabadora, la sacerdotessa della morte
di Claudia Zedda






C’era un tempo in cui la gente di uno stesso paese si conosceva per soprannome, un tempo nel quale la morte non era fatto di stato, un tempo in cui le strade al crepuscolo, poteva succedere venissero attraversate da piccole donnicciole che è d’obbligo immaginare vestite di nero. Non foss’altro per il loro tentativo di passare inosservate. C’era un tempo chi le chiamava sacerdotesse della morte e chi le chiamava donne esperte. Avete compreso delle nonnette alle quali mi riferisco? C’era chi le chiamava più sbrigativamente Accabadoras. Il termine è pregno di una sonorità tutta spagnola, e mai nessun altro sarà tanto evocativo. Degradazione di acabar, queste donne che l’immaginario racconta d’età avanzata, “accabavano” appunto, ponevano la parola fine alla vita degli agonizzanti, che stentavano nell’abbandonarla. Ci si è interrogati ampiamente sulla veridicità della figura, ci si è spesso chiesti se non si tratti di un residuo tradizionale, che in effetti non faccia capo ad alcuna realtà. Quesiti questi che altri prima di noi si posero. Alberto Della Marmora nel 1826 era quasi sicuro che queste donnette fossero esistite per davvero, e per quanto sottovoce, avessero operato. Ne sarà certo almeno fino al 1839, quando con la seconda edizione del suo Voyage en Sardaigne, cercherà di smorzare i toni. In meno di dieci anni era nata una polemica infuocata, e di offese malcelate ne erano volate un bel po’. Protagonisti l’eccellente ricercatore e abate Vittorio Angius, osservatore oggettivo della realtà che nuda gli si proponeva e Giuseppe Pasella che sfruttando L’indicatore Sardo, di cui era direttore, lo accusò di screditare Sardegna e sardi. Quasi che lo si potesse fare con le parole, piuttosto che non con i gesti. Un vespaio insomma, per niente dissimile da quelli

mercoledì 26 agosto 2015

Archeologia. S’ARCU ‘E IS FORROS: Nuragici, Filistei e Fenici fra i monti della Sardegna

S’ARCU ‘E IS FORROS
Nuragici, Filistei e Fenici fra i monti della Sardegna
di Maria Ausilia Fadda
(Per gentile concessione della fonte: Archeologia Viva).



L’antico villaggio alle falde del Gennargentu ha restituito una grande quantità di oggetti di bronzo e di ferro che lo attestano come il centro metallurgico più importante della Sardegna nuragica, in stretto rapporto di scambi con l’Etruria e il Levante tanto da riservarci la straordinaria scoperta di un’iscrizione in caratteri filistei e fenici graffita su un’anfora arrivata nell’isola insieme ad altri prodotti dell’Oriente mediterraneo.
Nel villaggio santuario di S’Arcu ‘e is Forros (Villanova Strisàili), risorge il più grande centro metallurgico della Sardegna nuragica, gestito da principi sacerdoti che coniugavano autorità religiosa, tecnologia e potere economico. Il sito era già noto dal 1986, e la campagna di scavo del 2010 si concluse con l’esplorazione di un tempio a megaron con altare interno e di un ambiente con forno per la lavorazione dei metalli inserito in un isolato abitativo composto da quindici vani che si affacciano su un grande cortile circolare con un focolare al centro. Nella parte più scoscesa di questo agglomerato si accedeva a un vano quadrangolare, un’officina, con l’ingresso ricavato da un varco aperto nel grande muro che delimitava esternamente tutti gli

martedì 25 agosto 2015

Archeologia. Una semplice ricetta per i beni culturali: assumere giovani preparati

Archeologia. Una semplice ricetta per i beni culturali: assumere giovani preparati
di Lucinia Speciale

È vero che d’estate si vedono solo repliche. Un anno fa a Ferragosto l’Italia si interrogava sulla classifica dei musei, oggi si discute sull’esito della selezione per i direttori dei primi venti musei italiani.
Non so quanti abbiano seguito la trasmissione “In onda”, che nella puntata di qualche sera fa, dedicata alla graduatoria dei nuovi direttori, aveva tra gli ospiti Vittorio Sgarbi e Ilaria Borletti Buitoni. Sgarbi si è ricordato di essere stato un funzionario, e ha spiegato – purtroppo urlando – che genere di meccanismo sia stato adottato per la selezione dei superdirettori. Assordata ma incuriosita, ho dato un’occhiata alle carte del concorso, quel poco che era on-line. Lo spareggio tra “sommersi e salvati” si è giocato sui colloqui. 15 minuti per stabilire chi andrà a dirigere alcune raccolte storiche tra le più importanti del mondo: ovunque si dà più tempo all’esposizione di un progetto di dottorato. Sono prevedibili ricorsi, soprattutto se davvero non si è tenuto conto del fatto che un dirigente dello Stato, per legge, deve avere la cittadinanza italiana.
Dispiace che una commissione di spessore abbia fornito le premesse per quello che appare l’ennesimo colpo d’immagine di un ministro evanescente su molte questioni gravi.
Quanto ai neodirettori, in fondo, ha poca importanza quale passaporto abbiano o se abbiano scritto o no un buon libro, non sono stati nominati per far funzionare meglio il sistema, ma per paralizzarlo del tutto. Persino la sottosegretaria Borletti Buitoni l’altra sera ammetteva imbarazzata che qualche difficoltà organizzativa e di mezzi i musei italiani la scontano. Quanto ci metteranno persone che le conoscono forse solo per averle visitate, a impadronirsi dell’indispensabile bagaglio di conoscenze pratiche necessarie a mandare avanti strutture complesse, ridotte ai minimi termini dalla penuria di

lunedì 24 agosto 2015

Archeologia e navigazione. Il mare di Gela restituisce il più antico relitto di nave greca mai ritrovato in Sicilia

Archeologia e navigazione. Il mare di Gela restituisce il più antico relitto di nave greca mai ritrovato in Sicilia


Il mare di Gela, città della Sicilia meridionale dalla storia antichissima, continua a rivelarsi uno scrigno di straordinari tesori archeologici. Grazie alla segnalazione del sub gelese Franco Cassarino, si è pervenuti al ritrovamento del relitto navale greco più antico di tutta la Sicilia. Sulla base dei materiali recuperati, l’imbarcazione risalirebbe alla prima metà del VI a.C. Datazione che la fa risultare di 60 anni più vecchia della famosa nave arcaica recuperata nel 2008 nelle acque gelesi e restaurata in Inghilterra. Il rinvenimento è avvenuto al largo della costa di contrada “Bulala”. Diversi i materiali recuperati nei fondali, fra i quali figurano un’anforetta, una brocca, una kylix a vernice nera d’importazione dall’Attica e un vaso detto cothon d’importazione corinzia. I reperti, rinvenuti a circa 300 metri dal litorale, si trovavano a circa 4 metri di profondità nei pressi di alcuni elementi lignei emergenti dalla sabbia e ancora non recuperati.  

Sulla scoperta il Soprintendente del Mare della Regione Sicilia, Sebastiano Tusa, ha dichiarato che “questi beni dimostrano come l’area di contrada Bulala sia ricca di giacimenti archeologici” e che ci troviamo di fronte a “tasselli di storia dai quali emerge una Gela ricca, una città da cui transitava mercanzia pregiata.” Lo studioso ipotizza che probabilmente nella attuale località di Bulala ci fosse lo scalo marittimo dell’antica Gela: uno fra i primi insediamenti greci in Sicilia, una potentissima colonia dorica che alla lunga estese il proprio dominio su gran parte dell’isola e che secondo la tradizione sarebbe sorta nel 689 a.C. ad opera di Antifemo ed Eutimo su un precedente insediamento indigeno siculo, in un’area i cui

domenica 23 agosto 2015

Archeologia. In Italia, un rito di scarnificazione di 7000 anni fa

In Italia, un rito di scarnificazione di 7000 anni fa


Circa 7.000 anni fa in Italia, i primi agricoltori praticavano il macabro rituale di sepoltura noto come "scarnificazione". Quando le persone morivano, le loro ossa venivano rimosse dal corpo, messe da parte e poi mischiate con i resti animali in una grotta vicina. La pratica aveva lo scopo di separare i morti dai vivi, dicono i ricercatori.
Secondo John Robb, archeologo all'Università di Cambridge e capo del progetto di ricerca, si tratta "del primo caso ben documentato di scarnificazione funebre da parte dei primi agricoltori in Europa". "La scarnificazione è qualcosa che avviene nei riti di sepoltura in tutto il mondo, ma finora non conoscevamo dei casi in Europa".
Robb e il suo team hanno analizzato le ossa sparse di almeno 22 uomini del Neolitico - di cui molti bambini - morti tra i 7.200 e i 7.500 anni fa. I loro resti furono sepolti nella grotta di Scaloria, in Puglia.
La grotta di Scaloria - sigillata fino alla sua scoperta nel 1931 - contiene resti umani ben conservati, mischiati in modo casuale a ossa animali, pezzi di ceramica e utensili di pietra. Le comunità neolitiche di solito seppellivano i loro morti sotto o di fianco alle loro case, oppure nei dintorni dell'insediamento. Tuttavia in questo caso gli agricoltori portarono i loro morti a ben 15-20 km di distanza. Perché lo fecero, e cosa ci dice riguardo la

sabato 22 agosto 2015

Sant'Agostino, reliquie, Liutprando e i Saraceni.

Sant'Agostino, reliquie, Liutprando e i Saraceni.
di Rolando Berretta



Se vi capita di passare nel largo Carlo Felice, a Cagliari, vicino alla Banca d’Italia, troverete una bella vetrata dietro la quale si scorgono delle statue di vescovi. Entrate tranquillamente. Padre Vincenzo sarà felicissimo di parlarvi della cripta che ha ospitato il corpo di Sant’Agostino.
Sant’Agostino di Ippona! Sulla vita del Santo e del trasferimento dei suoi resti a Cagliari …è Storia.
Adesso un po’ di cronaca.
Nel 599 il re longobardo Agilulfo fu ributtato in mare dai Cagliaritani. Poi subirono la stessa sorte nel nord dell’Isola. (Giuseppe Luigi Nonnis – Cagliari Passeggiate semiserie Marina).
Poi arrivarono i Mori. Dopo la conquista del nord Africa passarono a Gibilterra e conquistarono la Spagna. Verso il 720 fecero una puntatina su

venerdì 21 agosto 2015

Archeologia sperimentale: Domani sera a Villasimius, al tramonto, produzione di un bronzetto nuragico con la tecnica della fusione a cera persa.

Archeologia sperimentale: produzione di un bronzetto nuragico con la tecnica della fusione a cera persa.


Domani sera, a Villasimius nella piazza centrale, al tramonto, il maestro Andrea Loddo e lo staff di archeologia sperimentale, realizzeranno dal vivo e con gli strumenti dell'epoca nuragica, un bronzetto con la tecnica della fusione a cera persa. Ingresso libero.





Il video della fusione cliccando sul link:


https://www.facebook.com/video.php?v=784892108242991&pnref=story


https://video-mxp1-1.xx.fbcdn.net/hvideo-xtp1/v/t42.1790-2/10700080_784901308242071_1221134682_n.mp4?efg=eyJybHIiOjQ4MCwicmxhIjoxMjc0fQ%3D%3D&rl=480&vabr=267&oh=69089ff5b06253c61fec5795ae9d2d1d&oe=55D6F4D3


L’archeologia sperimentale si occupa di verificare ipotesi formulate su aspetti pratici delle società umane scomparse. Si prendono in considerazione gli aspetti relativi alla costruzione di abitazioni, di fortificazioni e di mezzi di trasporto, alla produzione, alla raccolta e alla conservazione del cibo, alla fabbricazione e all'utilizzazione di strumenti, alla creazione di arti figurative e musicali. I più antichi esperimenti si svolsero in conseguenza delle scoperte, avvenute intorno al 1835 in Scandinavia e nelle isole britanniche, di alcuni straordinari strumenti musicali metallici dell'età del Bronzo. Alla fine dell'Ottocento, A.H. Pitt-Rivers fu il primo ricercatore a utilizzare antichi attrezzi agricoli per

giovedì 20 agosto 2015

Porti e approdi nella Sardegna Nuragica: La costa sud occidentale, Nora e Bitia

Porti e approdi nella Sardegna Nuragica: La costa sud occidentale, Nora e Bitia
di Pierluigi Montalbano



(Tratto dal libro: "Fenici, antichi popoli del mare" - in pubblicazione)

Questo tratto di costa favorisce l’approdo per le rotte che vanno da Oriente a Occidente, e offre un buon porto per i viaggi verso la Sicilia e Cartagine. I venti e le correnti suggeriscono queste rotte e certamente le attività marinaresche antiche tenevano in gran conto gli eventi naturali. Il Mar Tirreno si presenta come un triangolo che ha un vertice in Sicilia, uno nell’Africa Settentrionale e l’ultimo nel tratto fra la Corsica e la Toscana. Le terre che si affacciano in questo triangolo d’acqua sono da sempre in contatto fra loro.
Nell’età del Bronzo, la zona sud occidentale sarda partecipava attivamente alle navigazioni che attraversavano il Mediterraneo Occidentale alla ricerca di metalli. Nelle zone costiere, le comunità sarde entrarono in contatto con genti iberiche, con la Grecia micenea e con Cipro, scambiando reciprocamente materiali e idee.
Nora offre un approdo riparato e accogliente, con due corsi d’acqua e una fascia di pianura che consente di collegarsi al Campidano, la grande pianura fertile che

mercoledì 19 agosto 2015

Archeologia. La navigazione preistorica e i nuragici. Intervista di Mauro Atzei a Pierluigi Montalbano

La navigazione preistorica e i nuragici. Intervista a Pierluigi Montalbano
di Mauro Atzei ( mauro.atzei @comune.cagliari.it )

Buongiorno Pierluigi,
negli ultimi mesi l'associazione culturale cagliaritana Honebu, di cui sei fondatore, ha ospitato e patrocinato una serie di pregevoli iniziative culturali sulla storia antica della Sardegna. Inoltre, venerdì 7 agosto, alla Lega Navale di Cagliari, e lunedì 17 Agosto a Teulada nel Palazzo Baronale, sei stato relatore dell'interessante Convegno sulla Navigazione Preistorica. 

D: Nell'immaginario popolare si pensa che gli antichi sardi non navigassero invece, come hai ampiamente dimostrato, addirittura frequentavano con le loro imbarcazioni le acque del Mare Mediterraneo, già dal neolitico. Quali dati archeologici disponiamo a proposito?

“La ricerca archeologica, soprattutto negli ultimi anni, ha sviluppato una serie di strumenti con i quali si è riusciti ad analizzare l’ossidiana sarda e a ricostruire la via seguita per diffondere questo pregiato materiale. Gli studi su aree e tecniche di estrazione dell’ossidiana nel Neolitico, forniscono una quantità impressionante di informazioni: quali erano le rotte di spostamento delle

martedì 18 agosto 2015

Archeologia. Il video del villaggio nuragico di 3500 anni fa scoperto in Ogliastra a 1000 metri di altezza, a Gairo Taquisara.

Archeologia. Il video del villaggio nuragico di 3500 anni fa scoperto in Ogliastra a 1000 metri di altezza, a Gairo Taquisara.

Cliccare sull'immagine per avviare il filmato. Durata 11 minuti.



Nel piccolo centro montano di Gairo Taquisara, inizia la nostra passeggiata nel sentiero panoramico sulla valle del fiume Taquisara, fino a raggiungere la parte superiore del tacco calcareo in una zona priva di vegetazione caratterizzata dalla presenza di cavità naturali. Questo luogo fu visitato fin dall’Ottocento da Alberto Ferrero conte della Marmora, il celebre generale piemontese che combattè al fianco di Napoleone e fu inviato in Sardegna per realizzare rilievi cartografici dettagliati. La nostra tappa è la località Is Tostoinus, zona caratterizzata dalla presenza di maestosi lecci, dagli insediamenti nuragici e dalla presenza di vecchi Cuiles, particolari edifici rurali in pietra e legno che furono per secoli le abitazioni dei pastori sardi, dove si allevavano capre, pecore e maiali. Attraversando il tacco calcareo coperto da un bosco di leccio si giunge in cima dove è ubicata l’area sacra Perdu Isu, con ripostiglio a cisterna e una serie di strutture cieche, forse magazzini per stivare derrate alimentari o, verosimilmente, un santuario dedicato alle divinità del cielo nel quale si svolgevano riti al momento sconosciuti. La roccia a strapiombo domina la vallata scistosa del Riu Pardu ed è costellata da immensi menhir naturali.

Cliccando sotto si vedrà il servizio giornalistico del tg di Videolina, a cura di Daniela Usai

http://www.videolina.it/video/servizi/85783/ogliastra-delle-meraviglie-a-gairo-una-machu-picchu-nuragica.html 

La nostra indagine archeologica, inizia lungo la strada comunale Perdu Isu che, in prossimità di una diga che genera il laghetto artificiale Genna Orruali, si trasforma in

lunedì 17 agosto 2015

Archeologia. Minoici, egizi e popoli del mare

Minoici, egizi e popoli del mare
di Pierluigi Montalbano



(Tratto dal libro: "Fenici, antichi popoli del mare" - in pubblicazione)

Verso la metà del II Millennio a.C. si assiste al decadere della grande potenza marittima commerciale minoica. Grazie a una flotta costituita da centinaia di navi, da carico e militari, i minoici esercitavano da secoli un dominio commerciale, monopolizzando i traffici e stringendo alleanze con i grandi imperi che si affacciavano nel Mediterraneo. Il porto principale era sull’isola di Creta, ma il centro amministrativo, ossia la “banca” di questo popolo di navigatori, si trovava in un’isoletta al centro dell’Egeo: Thera, l’attuale Santorini. Nel 1620 a.C. una terribile esplosione cancellò la loro capitale Akrotiri, ma i forti terremoti che anticiparono questo catastrofico evento convinsero gli abitanti ad abbandonare la costa e veleggiare in tutte le direzioni verso i porti alleati. Gli scavi archeologici a Santorini, hanno portato alla luce una città ricca, con merci pregiate abbandonate precipitosamente nelle case. Nessun corpo è stato trovato sull’isola, forse riuscirono a mettersi in salvo appena in tempo, oppure la necropoli non è stata ancora individuata. I disastri causati dai flussi piroclastici e dalle onde che si abbatterono su Creta indebolirono l’economia, e l’avvelenamento dei fertili terreni costieri, a causa del sale marino depositato sul litorale, e nelle adiacenti falde acquifere, diedero il colpo finale a questo antico popolo di commercianti navali. Il processo di decadenza innescato dall’eruzione vulcanica fu parzialmente rallentato da una serie di

domenica 16 agosto 2015

Il maiale in età fenicia e punica in Sardegna: leggi, tabù e consuetudini alimentari


Il maiale presso le comunità fenicie e puniche di Sardegna: leggi, tabù e consuetudini alimentari
di Lorenza Campanella e José Á. Zamora


























“Eat not this flesh”. “Non mangerai di questa carne”. Con queste parole Frederick J. Simoons, nel lontano 1961, affrontava il tema dei divieti alimentari.
L’interesse di alcune scuole antropologiche per il tema delle abitudini alimentari, ha in seguito ingrandito e arricchito l’influsso antropologico sulle scienze storiche interessate agli studi sull’alimentazione. Nel tentare di fornire una spiegazione ad alcuni dei più diffusi tabù, come quello relativo alla consumazione della carne di cane nella cultura occidentale, e soprattutto ai più conosciuti tra i divieti storici, come quelli gravanti sulla carne suina o bovina in alcune religioni, i contributi nati in questo ambiente storiografico offrono conclusioni spesso diverse.
Fino a poco tempo fa il convincimento dell’esistenza tra i Fenici di una proibizione gravante sul consumo dei suini era talmente radicata negli studi da condizionare persino la ricerca stessa. Un esempio lampante è rappresentato dallo scavo dei relitti punici individuati a largo di Marsala, a bordo dei quali furono rinvenuti, com’è noto, consistenti resti faunistici tra cui alcuni maiali. Non ammettendo che i Fenici potessero cibarsi di carne di maiale, da parte di alcuni vennero avanzate ipotesi - a dire il vero piuttosto stravaganti ma ancora largamente diffuse nelle

sabato 15 agosto 2015

Archeologia. Studio del territorio di Gairo intorno al sito nuragico individuato i giorni scorsi.

Archeologia. Studio del territorio di Gairo intorno al sito individuato i giorni scorsi. 

A parziale integrazione dell'articolo pubblicato ieri, per interpretare al meglio il territorio, ho scovato in rete questa ricerca che espone in maniera dettagliata le caratteristiche della zona intorno al villaggio nuragico. C'è da aggiungere che la risorsa che, insieme alle ricche sorgenti, ha attirato le genti nuragiche e prenuragiche in queste montagne, è stata la presenza di ricche miniere d'argento e piombo.


Gairo, cuore d’Ogliastra
di Guglielmo Cabiddu e Simonetta Ligas

Geomorfologia
La conformazione del territorio allungato che dalle propaggini del Gennargentu si spinge sino alla costa, determina la presenza di un patrimonio ambientale e naturalistico straordinario per l’eccezionale ricchezza di boschi ancora vergini, monumenti naturali come Perda ‘e Liana, montagna calcarea che domina sull’Ogliastra intera, grotte d’origine carsica, sia superficiali che profonde, attraversate o percorse da corsi d’acqua, litorali e calette selvagge sul mare azzurro ancora fra i più incontaminati del Mediterraneo, piscine naturali, punti panoramici e vallate di straordinaria bellezza. La conformazione orografica del territorio comunale si presenta, anche nelle quote più basse, irregolare, difficile e tormentata per affioramenti rocciosi che creano salti talvolta rilevanti. Il confine Nord–Ovest con Arzana è segnato dal corso tortuoso del fiume Flumendosa. Dalla riva sinistra del fiume il territorio di Gairo sale ripidissimo verso Sud–Est fino allo Spartiacque compreso tra Cuccuru de Muvronis, al confine Nord–Orientale con Arzana e Su Pirastu Trottu, al confine Nord– Occidentale con Seui. La rete idrografica nel suo complesso scorre incassata con percorso rapido e tortuoso. I corsi d’acqua hanno un regime assai irregolare e presentano il classico carattere torrentizio. Sono presenti affioramenti sorgivi che si assottigliano durante il periodo estivo ma che sono in grado di assicurare in ogni parte un sufficiente soddisfacimento del fabbisogno idrico sia a livello alimentare che per le esigenze d’irrigazione.

Le sorgenti più importanti sono una quindicina tra cui: Rio Cabu de Abba (risorsa idrica dell’acquedotto paesano), Abba Frida in località Taquisara; Moddizzi in località Castello Canali Enna; Sa Siligurgia in località omonima; S’Arettili in località omonima. Anche nel centro abitato sono presenti varie sorgenti d’acqua potabile. Tra Perda ‘e Liana e Cuccuru de Muvronis si apre verso Est la conca de

venerdì 14 agosto 2015

Archeologia in Sardegna. Individuato un grande villaggio nuragico in Ogliastra, a Gairo Taquisara, a quasi 1000 metri di altezza

Archeologia in Sardegna. Individuato un grande villaggio nuragico in Ogliastra, a Gairo Taquisara, a quasi 1000 metri di altezza
di Pierluigi Montalbano


Nei prossimi giorni pubblicherò un articolo dettagliato sul sito, con un ricco apparato fotografico,e ho pensato di "regalare" qualche nota in attesa della relazione definitiva. Ringrazio pubblicamente l'amico Cristian Mascia per avermi coinvolto in questa ricerca, invitandomi a visionare il sito, accompagnandomi nei boschi e illustrandomi la geografia del territorio.


Nel piccolo centro montano di Gairo Taquisara, inizia la nostra passeggiata nel sentiero panoramico sulla valle del fiume Taquisara, fino a raggiungere la parte superiore del tacco calcareo in una zona priva di vegetazione caratterizzata dalla presenza di cavità naturali. Questo luogo fu visitato fin dall’Ottocento da Alberto Ferrero conte della Marmora, il celebre generale piemontese che combattè al fianco di Napoleone e fu inviato in Sardegna per realizzare rilievi cartografici dettagliati. La nostra tappa è la località Is Tostoinus, zona caratterizzata dalla presenza di maestosi lecci, dagli insediamenti nuragici e dalla presenza di vecchi Cuiles, particolari edifici rurali in pietra e legno che furono per secoli le abitazioni dei pastori sardi, dove si allevavano capre, pecore e maiali. Attraversando il tacco calcareo coperto da un bosco di leccio si giunge in cima dove è ubicata l’area sacra Perdu Isu, con ripostiglio a cisterna e una serie di strutture cieche, forse magazzini per stivare derrate alimentari o, verosimilmente, un santuario dedicato alle divinità del cielo nel quale si svolgevano riti al momento sconosciuti. La roccia a strapiombo domina la vallata scistosa del Riu Pardu ed è costellata da immensi menhir naturali.
La nostra indagine archeologica, inizia lungo la strada comunale Perdu Isu che, in prossimità di una diga che genera il laghetto artificiale Genna Orruali, si trasforma in sentiero sterrato fino al capanno Is Tostoinus, realizzato su una sorgente a quasi 1000 metri di altezza sul mare, e meta ideale per una escursione naturalistica. Proseguiamo a piedi per un centinaio di metri fino a una struttura muraria diroccata che testimonia la presenza di un insediamento nuragico di confine fra Gairo e Ussassai. L’edificio è realizzato con grosse pietre posizionate a secco, e consente una

mercoledì 12 agosto 2015

Archeologia. Il megalitismo, la prima forma di civiltà europea?

Il megalitismo, la prima forma di civiltà europea?
di Giorgio Giordano

Il megalitismo è un fenomeno diffuso in tutto il mondo, non solo nelle aree comunemente considerate come la costa atlantica, dal Portogallo al mare del Nord, il Mediterraneo e sparuti avamposti mediorientali. Le stesse edificazioni (dolmen, menhir, circoli, stanze, corridoi, altari e tumuli) sono presenti nelle Americhe, in tutta l'Africa (non solo il Magreb), in Asia, perfino in Australia e nelle isole del Pacifico. Non mi convince la spiegazione "salvifica" secondo cui tutti gli uomini ragionano nello stesso modo e quindi sono giunti a conclusioni identiche, ma indipendenti, in varie parti del mondo. Se le analogie megalitiche riguardassero solo edificazioni come case, strade e muraglioni, non avrei problemi. Alla fine del "Wurm", specie in corrispondenza dei tre grandi collassi delle calotte glaciali (12.000, 9500 e 6000 a.C.) l'attività tellurica è stata tremenda, quindi l'uso di grandi pietre in posti lontani del pianeta risulterebbe solamente una logica soluzione antisismica, quale in effetti è per le costruzioni di tipo "civile", adottata da tutti per necessità. Viceversa, ci troviamo di fronte a strutture con funzione dichiaratamente "sacra", che rivelano il

martedì 11 agosto 2015

Archeologia. Risorse e attività nella Sardegna preistorica

Risorse e attività nella Sardegna preistorica
di Pierluigi Montalbano






















L'abbondanza dei prodotti e la mitezza del clima accompagnavano la descrizione dell'antica Sardegna da parte degli scrittori classici. Le fonti letterarie sulla divinità protosarda Aristeo, raccontano che al tempo dei nuraghe la Sardegna era ricca di olio, latte e miele, ma anche di alberi da frutta delle campagne, del bosco e della macchia. Nel Campidano abbiamo attestazioni della vinificazione a partire dal I Ferro, ma brocchette per il vino circolavano già nel Bronzo Recente e forse già da allora fece la comparsa la bevanda inebriante. I Sardi potevano contare, inoltre, su un vasto patrimonio di animali di allevamento e su una ricca fauna venatoria.
Questa ricchezza di cibo permetteva grande disponibilità per l'immediato e riserve per i mesi invernali, con lo stoccaggio di carne trattata con sale, lardo e grasso. Dal mare, dagli stagni e dai fiumi arrivavano nelle case dei villaggi, attraverso gli scambi interni, i pesci e i molluschi, come emerge dai ritrovamenti e dalle prime analisi dei resti ittici. I pesi trapezoidali e le fuseruole, rinvenuti nei villaggi, documentano l'attività tessitoria praticata con

lunedì 10 agosto 2015

Archeologia. Nuraghe La Prisgiona (Arzachena): Spazi di lavoro e attività produttive nel villaggio nuragico

Spazi di lavoro e attività produttive nel villaggio nuragico La Prisgiona, in località Capichera (Arzachena)
di Angela Antona, Maria Dolores Marina Corro, Sara Puggioni

Fonte: L’Africa Romana, Carocci Editore.  I luoghi e le forme dei mestieri e della produzione nelle province africane. Atti del XVIII convegno di studio Olbia, 11-14 dicembre 2008. A cura di Marco Milanese, Paola Ruggeri, Cinzia Vismara

 Il superamento del luogo comune che poneva la Gallura in uno stato recesso rispetto al resto della Sardegna sta consentendo la ricomposizione di fasi di sviluppo della civiltà nuragica perfettamente allineate nell’ambito del grande fenomeno isolano. In particolare, nel quadro culturale sempre più articolato di quest’ultimo, gli esiti della ricerca in corso stanno offrendo nuovi elementi di conoscenza in relazione ai modelli insediativi, all’organizzazione del villaggio, all’evoluzione della società tra il Bronzo Finale e il Primo Ferro.
In generale è noto come, durante il Bronzo Recente, l’assetto rigido che caratterizzava l’organizzazione dell’insediamento in tutta l’isola, quasi geometricamente definito per ampi ambiti territoriali, ciascuno dotato di costruzioni poderose, abbia spesso indotto nell’interpretazione in senso militare del modello insediativo. E altresì noto come la dinamicità economica e sociale dei secoli XI-X a. C. abbia portato, in un certo senso, a scardinare l’assetto insediativo suddetto. Sfuggono ancora alla conoscenza gli eventi responsabili di questo cambiamento sostanziale che sembra aver determinato l’esaurirsi dell’istanza marcatamente difensiva e fortificatoria dell’epoca precedente. Di questo importante mutamento è un chiaro indicatore l’abbattimento delle cortine degli antemurali che costituivano una linea di difesa primaria dei nuraghi complessi. Gli scavi in corso nella

domenica 9 agosto 2015

Archeologia. Sepolture sarde preistoriche. Tumuli e Tombe di Giganti Megalitiche in Gallura

Archeologia. Sepolture sarde preistoriche. Tumuli e Tombe di Giganti Megalitiche in Gallura
di Angela Antona



















Concludiamo la panoramica sulle sepolture, dopo gli articoli pubblicati in passato 1° parte e 2° parte, con la zona gallurese.
Nell’articolato panorama dei fenomeni culturali preistorici e protostorici della Gallura si annovera una serie di monumenti funerari, nei quali il tumulo costituisce una componente determinante. Va precisato che la carenza dei dati di scavo non consente di valutare né la qualità, né l’entità del qualificante
elemento in alcuni dei monumenti presi in esame. Metodologie proprie del tempo a cui risale lo scavo, infatti, spesso non hanno consentito di tramandare fino a noi situazioni chiare o notizie sufficienti a
riconoscere la presenza funzionale o cultuale del tumulo, né le sue caratteristiche. Nel ristretto ambito geografico del quale si parla, il termine »tumulo« va inteso, perciò, nei due significati conferitigli dall’uso: da un lato finalizzato a ragioni di statica delle strutture del sepolcro vero e proprio; dall’altro,
come elemento legato a credenze e rituali, dove finalità pratiche e cultuali risultano strettamente connesse.
I circoli funerari
La comparsa del tumulo appartiene, in Gallura, ad una delle più antiche manifestazioni di architettura
funeraria megalitica presenti nell’isola. Si tratta della necropoli neolitica di Li Muri (Arzachena, SS), scavata da Puglisi e Soldati tra il 1939 e il 1940. Essa si compone, come è noto, di una serie di tombe a cista litica, ciascuna originariamente ricoperta da un tumulo del quale resta solo la base di pietre, contenute all’interno di una delimitazione circolare a lastre infisse verticalmente. Piccole ciste per offerte, insieme ai menhir, uno per ogni tomba, inseriti nel cerchio perimetrale del tumulo o esterni ad esso, costituiscono gli elementi del culto. In particolare, nello spazio delimitato fra

sabato 8 agosto 2015

Archeologia. I Tofet, i cimiteri fenici dedicati ai bambini

I Tofet, i cimiteri fenici dedicati ai bambini
di Pierluigi Montalbano

(Testo tratto da "Fenici, antichi popoli del mare", in pubblicazione).





















Questi antichi santuari a cielo aperto, dedicati ai neonati defunti, sono diffusi nell’area mediterranea centrale. Sono assenti nel Vicino Oriente e nella zona iberica, trovandosi solo nel Mediterraneo centrale: due a Tunisi (Cartagine e Sousse), due in Sicilia (Mozia e Selinunte), uno a Malta e sei in Sardegna (Karaly, Nora, Bitia, Tharros, Monte Sirai e Sulky). Sono circondati da un recinto sacro, all’interno del quale si depongono i resti dei bimbi dentro urne in ceramica. In superficie, le sepolture sono segnalate da stele in pietra. I tofet, generalmente, si trovano in posizione periferica a nord degli abitati, e non vengono mai spostati, infatti, qualora si dovessero fortificare le città, si aggirano modificando il percorso delle mura. Le urne contengono le ceneri di feti, fanciulli, infanti, agnelli, capretti e uccelli. Ogni tofet è dedicato a due divinità: Baal Ammon e Tanìt. Il primo è una divinità che i greci identificano con Krono e i romani con Saturno. Tanìt è la paredra femminile, attestata come manifestazione di Baal, che lo affianca dal V a.C. per poi sostituirlo. E’ una divinità orientale raramente testimoniata in Libano, ma in Occidente diviene la più importante con Astarte. Greci e romani la assimilavano a Era o Giunone.
Un termine che compare spesso nelle stele dedicatorie dei tofet, e di altri santuari, è MLK, ossia offerta, dono, dedica. Il tofet, infatti, era un luogo nel quale si deponevano le offerte, racchiuso in un recinto in muratura, nel quale erano sistemati sul rogo e poi sepolti con particolari riti, i bambini non nati, nati morti o deceduti prima dell’introduzione nel mondo degli adulti. Nell’area del tofet, i genitori svolgevano riti tesi a ottenere dagli dei una nuova nascita. I resti dell’incinerazione finivano in un recipiente in terracotta e, se la grazia andava a buon fine, ad esempio nasceva un bambino, i genitori erigevano nel luogo sacro una stele in pietra, talvolta con un’iscrizione dedicatoria. Il rito d’iniziazione per il passaggio nel mondo degli adulti equivaleva al nostro battesimo, o alla circoncisione nel mondo ebraico e islamico. Questo rito era il “passaggio per il fuoco” di biblica memoria, ancora oggi praticato in Sardegna in occasione della notte di San Giovanni, quando si salta attraverso un falò. Le fiamme erano la soglia attraverso cui i fanciulli dovevano passare, vivi o morti.

















Le stele, al contrario delle urne, in gran parte perdute, si sono salvate perché nel corso dei secoli furono accantonate all’interno delle aree sacre e utilizzate per la costruzione di muri divisori o altari, contesti dai quali sono state recuperate in età moderna. Le più antiche erano costituite da pietre oblunghe denominate betili, dalle parole fenicie bet ed el, rispettivamente casa e dio, a indicare che ospitavano divinità. All’inizio del V a.C. compare un tipo di stele somigliante a un piccolo tempio, con varie componenti architettoniche. Le figure contenute all’interno cambiano: prevalgono le raffigurazioni iconiche, ossia personaggi divinizzati, ma a Tharros e Nora si registra la presenza di simboli aniconici come losanghe, betili o idoli a forma di bottiglia. In seguito compaiono personaggi che stringono al petto un disco solare e divinità che nella mano destra sorreggono il simbolo egizio ankh (simbolo della vita), mentre nella mano sinistra impugnano una stola, una fascia che scende giù dalla spalla.
Uno studioso francese scomparso il secolo scorso, Pierre Cintas, riteneva che le maschere fossero un prodotto occidentale. Gli scavi recenti hanno posto in evidenza una forte somiglianza fra le raffigurazioni delle maschere e una creatura mitica mesopotamica, Kumbaba, che compare nel poema sumero-accadico Gilgamesh. Il mostro è sconfitto dall’eroe, con l’aiuto del compagno Enkidu e del dio mesopotamico del sole, Shamash. La maschera più antica dell’area siro-palestinese, inquadrabile intorno al 1400 a.C., fu portata alla luce ad Hazor, nell’Alta Galilea. Più recente è quella scoperta nel 1966 nella necropoli di Khan Khaldé, a Beirut. Altre maschere del 700 a.C. sono state trovate a Tiro in una necropoli (Akhziv). Le maschere, dunque, sono un prodotto orientale che si diffuse in buona parte dell’Occidente, ma con una differenza sostanziale: nel mondo accadico, Kumbaba era legata al male, soggetta pertanto a scongiuri; nel mondo occidentale aveva, invece, una funzione apotropaica e protettiva. Le indagini svolte nella necropoli di Tharros dal 1850 al 1950 hanno subìto la dispersione dei rinvenimenti, dunque è difficile datare i reperti affidandosi al contesto stratigrafico. Alcune maschere rappresentano divinità minori, come quella rinvenuta nella necropoli di Sulky: un mostro con barba nera e baffi in rilievo. Una maschera scoperta a Tharros mostra una capigliatura folta, occhi, barba e baffi incisi, mentre la bocca pare sorridere. Le dimensioni sono più piccole del naturale, quindi non erano destinate a essere indossate. A volte si presentano sotto forma di amuleti, miniaturizzate, databili dal 700 a.C. Lo scopo era forse quello di spaventare i rephaim, ossia le ombre che disturbavano la pace della nephesh, l’anima che rimaneva nel sepolcro.


















Fra gli oggetti più importanti del mondo sacro abbiamo lo scarabeo, simbolo dell’immortalità dell’anima nell’antico Egitto. L’oggetto rappresenta il dorso di un coleottero, mentre la figura sul piano d’appoggio è il sigillo che il proprietario utilizzava quando era in vita, una sorta di firma impressa sui globetti di argilla noti come cretule. Queste palline argillose, erano legate con un laccio ai documenti contabili e ai contratti. Gli scarabei sardi antichi erano di pietra tenera, incisa e poi cotta. Quelli più tardi erano in diaspro verde, proveniente anche dal Monte Arci.
La religiosità aveva un duplice aspetto e gli amuleti seguivano la stessa sorte: c’erano divinità principali e altre minori, forse più disposte ad ascoltare le suppliche dei fedeli. Gli amuleti sono piccoli oggetti in pasta vitrea o in avorio o osso.
Prima del tofet di Cartagine furono individuati quello di Nora nel 1889, sulla spiaggia orientale della città, e quello di Mozia, in Sicilia, ma interpretati come necropoli a incinerazione. Solo a Cartagine furono eseguite analisi osteologiche sui resti e ci si rese conto che si trattava di bambini. Diversi passi della Bibbia parlano di tofet e di figli offerti agli dei con il passaggio dentro il fuoco. I ricercatori si convinsero che i tofet vicini a Gerusalemme menzionati nelle sacre scritture, nel Deuteronomio e nel libro dei Re, potevano avere la stessa matrice. Fino agli anni Ottanta, dalla lettura delle fonti classiche (Diodoro, Plutarco, Platone, Tartulliano), si è pensato a un rituale con sacrificio di bambini a Krono (Baal-Ammon o Saturno) in caso di grave pericolo per la popolazione. Si tratta, tuttavia, di un rituale non accettato da Dio. Il libro dei Re cita un luogo chiamato tofet in un passo ambientato nei pressi di Gerusalemme.
Le fonti riportano: “Lì farò il Tofet, nella valle di Ben Hinnom, e nessuno faccia più passare per il fuoco i propri figli in onore di Moloch”; e ancora:
GEREMIA 19,5-6 “hanno costruito le alture di baal per bruciare i loro figli con il fuoco, olocausti a baal, cosa che non avevo ordinato né mi era venuta in mente. Perciò ecco: vengono giorni, oracolo del signore, in cui non chiamerà più questo luogo tofet o valle Ben Hinnom bensì valle del massacro”.
DEUTERONOMIO 12,31 “Non agirai così verso il signore tuo Dio perché essi hanno fatto per i loro Dei quanto è in abominio e in odio al signore: hanno bruciato nel fuoco perfino i loro figli e le loro figlie  in onore dei loro Dei”.
LIBRO DEI RE 16,3 “imitò la condotta dei re di Israele e fece persino bruciare suo figlio secondo le usanze abominevoli delle genti che il signore aveva cacciato davanti ai figli d'Israele”.
LIBRO DEI RE 23,10 “egli profanò il tofet che si trova nella valle di Ben-Hinnom affinché nessuno bruciasse il proprio figlio o la propria figlia in onore di Moloch”.
Il Tofet, quindi, è un luogo in cui si svolgeva un rito pagano, non voluto da Dio, che prevedeva il sacrificio di far passare i figli nel fuoco. Nel momento in cui gli archeologi hanno trovato a Cartagine le urne con le ceneri di centinaia di bambini, hanno pensato al santuario orientale citato nella Bibbia.
Si conoscono altre fonti che raccontano di sacrifici.

























Filone di Biblo, nella sua storia fenicia, dice che “c'era l'usanza presso gli antichi, in caso di pericolo, che i capi della città o della popolazione portassero a sacrificio i più cari dei loro figli, sgozzandoli in cerimonie misteriose come riscatto per i demoni vendicatori”.
Gaudesio riporta che “i fenici e i cartaginesi, quando desiderano che accada loro qualcosa di importante, fanno voto sulla testa di uno dei loro figli, e se il desiderio si avvera il figlio sarà sacrificato. Presso di loro c'è una statua bronzea del dio con le mani rivolte in alto distese sopra un braciere di bronzo nel quale mettere i bambini”.
Plutarco racconta che “i cartaginesi con piena coscienza sacrificavano i loro figli a Kronos e chi non aveva figli li comprava dai poveri. La madre non poteva lamentarsi perché il bambino sarebbe stato sacrificato lo stesso e nemmeno avrebbe ricevuto i soldi”.
Tertulliano afferma che “i bambini venivano immolati a Saturno in Africa fino al proconsolato di Tiberio che fece appendere vivi gli stessi sacerdoti, e ancora oggi  tale rito continua in segreto”.  
Nel 1981 Sabatino Moscati propose un’ipotesi diversa, oggi condivisa: “i bambini morti alla nascita o, comunque, entro i primi anni, attraverso il fuoco venivano purificati e offerti alla divinità per agevolare nuove nascite”. Moscati si basa su alcune considerazioni: fra i resti incinerati ci sono molti feti e questi non potevano essere sacrificati. Non facevano ancora parte del mondo degli adulti e non potevano essere sepolti con loro. In qualche caso si sacrificava alle divinità qualche piccolo animale.
Un'altra considerazione riguarda le fonti classiche. Gli autori più importanti non hanno mai parlato di riti sacrificali che coinvolgono bambini, nonostante sarebbe stato utile contro i cartaginesi. Tuttavia occorre capire perché alcuni venivano bruciati e sotterrati nei tofet, e altri, invece, sepolti nelle necropoli degli adulti. Secondo Moscati c’era un rituale di passaggio, una sorta di iniziazione ma alcuni bambini morivano prima di questo “passaggio” nel mondo degli adulti e finivano nel tofet. Alcuni studiosi ipotizzano che i tofet da Cartagine si propagano in altre aree influenzate culturalmente dai cartaginesi, quindi già dall'VIII a.C. questa città diffondeva la propria cultura in altri luoghi pur non controllandoli o amministrandoli direttamente.
Il tofet di Cartagine oggi non è quello originario e presenta volte romane. I tofet più antichi sono a cielo aperto, privi di edifici, se non per brevi periodi e per certe situazioni (come cappelle e piccoli templi).
Le iscrizioni dei tofet riportano formule rituali ripetitive: denominazione dell’oggetto offerto alla divinità (stele, dono), denominazione del rito (molch), il verbo della dedica o del dono, il nome e la genealogia dell’offerente, la divinità (Baal-Ammon o Tanìt) e il motivo dell’offerta. Il rituale si concludeva con la frase: “…perché ha ascoltato la sua voce”. Ad esempio: “STELE DI MOLCH OFFERTA AL SIGNORE BAAL AMMON CHE HA DEDICATO SULL’ALTARE (tizio) FIGLIO DI (caio) FIGLIO DI (sempronio) PERCHE’ HA ASCOLTATO IL SUONO DELLA SUA VOCE”, cioè perché ha esaudito la richiesta, la preghiera, ha concesso la grazia.

I monumenti votivi si dividono convenzionalmente in cippi e stele funerarie. Il primo è una pietra appena sbozzata, generalmente aniconica, dove prevale l’altezza sulle altre dimensioni e rappresenta la divinità. È posto come segnacolo per individuare la fossa, infisso nel terreno o incastrato sopra un basamento in pietra. Queste basi sono costituite da un plinto tronco piramidale, sormontato da un listello rettangolare con sopra una gola egizia. Alcuni cippi possiedono elementi simbolici come quello di Tanìt ma non conosciamo l’evoluzione di questo segno. Lo troviamo in contesti funerari, sacri e abitativi, quindi un segno con molti significati. Fra i cippi più antichi abbiamo quelli che rappresentano un trono (stele trono e cippi trono), a volte evocato da una semplice sgusciatura che separa la spalliera dalla seduta, altre volte con i braccioli e con il simbolo divino aniconico al centro. In qualche caso un idolo a forma di bottiglia sostituisce il betilo. Il trono può essere affiancato da due bruciaprofumi. 

Nelle immagini: i tofet di Mozia e Cartagine