continuo. I depositi del Rio Palmas hanno contribuito, nel tempo, al consolidamento completo della striscia di terra creando un tombolo che unisce l’isola di Sant’Antioco alla Sardegna.
domenica 14 giugno 2015
Archeologia. Porti e Approdi della Sardegna Nuragica: Sulki-Sant'Antioco
Archeologia. Porti e Approdi della Sardegna Nuragica: Sulki-Sant'Antioco
di Pierluigi Montalbano
Già nella carta ottocentesca di
Alberto Ferrero La Marmora si nota come la città di Sulki, uno dei più antichi
agglomerati urbani sardi (780 a.C.), sia affacciata sullo stagno di
Sant’Antioco e sul Golfo di Palmas.
Era un sito favorevole e ricercato
dai marinai, tanto che nella prima guerra punica fu teatro di uno scontro
navale nel Golfo di Palmas perché i romani volevano impadronirsi del porto.
Nella battaglia di Sulki l’ammiraglio cartaginese fu sconfitto, riparò a terra
e, come avveniva in quelle circostanze, fu crocefisso dal suo stesso
equipaggio. Nelle monete romane dell’epoca spesso sono rappresentati i rostri,
elementi rinforzati posti all’estremità della trave principale della nave e
utilizzati per perforare il fianco delle navi nemiche e affondarle.
Costituivano un ambito trofeo delle battaglie navali, ed erano denaro contante perché
realizzati in metallo.
Il porto fenicio di Sulki si trovava
dove ancora oggi i diportisti ormeggiano le barche, protetto dal castello di
Castro e da quello di Su Pisu. Per ripararsi dalla tramontana, l’unico vento
dannoso per questo porto, c’era il becco roccioso di Sant’Isandra, oggi
sprofondato, sopra il quale Bartoloni ha individuato un edificio, anch’esso
attualmente sommerso. La struttura era realizzata con i blocchi delle
fortificazioni cartaginesi. Si tratta di due quadrilateri affiancati che sono
stati recentemente demoliti per essere utilizzati dai pescatori per fare dei
pedagni (boe di segnalazione) per le reti. Probabilmente si trattava di un
piccolo santuario collocato lungo una strada rotaia, parallela alla linea di
costa, che consentiva alle navi di essere trascinate in porto con delle corde
legate a buoi, secondo una tecnica utilizzata anche in altri luoghi.
La laguna non era navigabile a vela
e, ancora oggi, pur essendoci un canale profondo circa 5 metri nessuno affronta
il rischio di approdare procedendo solo con le vele. Il livello dell’acqua dal
700 a.C. si è alzato di quasi un metro e mezzo e quindi oggi lo scoglio si vede
solo in caso di bassa marea.
In un portolano del 1261 d.C. che
illustra le isole dell’arcipelago del Sulcis, si nota che il passaggio fra lo
stagno di Sant’Antioco e il Golfo di Palmas è assente. In antichità il
passaggio del mare era garantito dal fatto che l’istmo non era completamente
consolidato, ma sappiamo che sopra sono stati rinvenuti due menhir del 3000
a.C. pertanto già da quel periodo l’istmo era percorribile via terra, pur non
essendo
continuo. I depositi del Rio Palmas hanno contribuito, nel tempo, al consolidamento completo della striscia di terra creando un tombolo che unisce l’isola di Sant’Antioco alla Sardegna.
continuo. I depositi del Rio Palmas hanno contribuito, nel tempo, al consolidamento completo della striscia di terra creando un tombolo che unisce l’isola di Sant’Antioco alla Sardegna.
Un altro portolano, del 1844, riporta
una fortezza posta nel passaggio del ponte e si nota anche il castello
bizantino di Castro, raso al suolo intorno al 1870 per far passare la ferrovia.
Oggi al suo posto c’è il campo di calcio. Negli anni scorsi, in collaborazione
con la guardia di finanza, Bartoloni ha istituito un progetto che prevede il
rilevamento di tutti gli insediamenti fenici con l’ausilio di 8000 foto aeree
che hanno documentato tutte le coste del territorio. Oggi abbiamo un quadro
chiaro dell’ubicazione e delle distanze fra gli insediamenti di età fenicia. La
morfologia della costa è cambiata perché nel corso degli anni hanno demolito,
dragato, aggiunto e modificato le strutture, in funzione delle necessità del
porto.
Sulki si trova nel tratto di costa
che fa da cerniera tra il Mare di Sardegna e il Canale di Sardegna, in una zona
caratteristica anche dal punto di vista climatico. In caso di brezza, a nord di
Sant’Antioco spira il maestrale, mentre a sud c’è il vento di levante. Il
dragaggio del canale navigabile ha creato un isolotto chiamato Sa Barra.
L’antica linea di costa, oggi
interrata, è individuabile osservando la lunga fila di alberi piantata in città
negli anni Cinquanta. Oggi corre parallela al mare in corrispondenza dell’antico
tracciato della ferrovia.
Sant’Antioco è edificata totalmente
sulla città antica, e le indagini sul vecchio insediamento sono complicate.
Tutte le fontane alimentate dalla falda freatica che scende dalle colline verso
il porto sono state la condizione fondamentale per la fondazione di
Sant’Antioco. Senza acqua non c’è sopravvivenza e sotto il paese questo
prezioso liquido sgorga a una profondità di 6/7 metri, infatti, tutte le case
hanno un pozzo per la raccolta.
La costa dell’isola presenta vari
punti in cui si poteva fare l’operazione di carico dell’acqua potabile, quindi
i marinai provvedevano facilmente all’acquata e potevano proseguire la
navigazione. Il Golfo di Palmas è uno degli ancoraggi migliori della Sardegna,
paragonabile a quello di Porto Conte, dove si trova il sito di Sant’Imbenia.
Anche l’ammiraglio Nelson, che s’intendeva di baie con facile accesso al riparo
dai venti dominanti, scelse questo golfo per approdare in epoca napoleonica.
Giacomo II di Aragona, quando
conquistò la Sardegna, sbarcò nel Golfo di Palmas, e anche Carlo V, scendendo verso
Tunisi, si fermò a dormire a Palma de Sol. Se i naviganti calano le ancore in
queste acque significa che il golfo è propizio. Il sito offre una profondità
mai inferiore ai 20 metri e consente l’ancoraggio sicuro su un fondo sabbioso
di poseidonia.
Un altro approdo di Sant’Antioco è il
Golfo di Maladroxia, una piccola insenatura dotata di sorgente di acqua termale
e di una valle coltivabile a grano. E’ citato in un portolano francese del 1344
e il suo nome, secondo Bartoloni, proviene dallo stesso vocabolo fenicio che origina
anche il nome dell’isola di Malta, ossia Malad, che significa rifugio. Lo
studioso osserva che essendo Malad-roxia un nome composito, visto che le parole
fenicie sono scritte prive di consonanti, e considerato che rox (sc) in fenicio
significa capo, la parola sarebbe “il rifugio del capo”, che corrisponde al
promontorio di Capo Sperone, la prima struttura a sinistra che si trova
entrando nel Golfo di Palmas.
Dalla parte opposta abbiamo Cala
Sapone, importante sede per le tonnare. In sintesi, abbiamo una strada che
unisce un fiume perenne alle sorgenti di acqua termale, e un golfo che offre
riparo dai venti dominanti e vede tante cale per fare carena. L’isola è
protetta da un nuraghe polilobato, il Sega-Marteddu, a dimostrazione che i
nuragici avevano i loro porti e predisponevano torri per il controllo degli
approdi. È d’obbligo osservare che tutta la valle è accuratamente circondata da
nuraghe.
A Nord c’è il porto di Inosim,
l’isola dei falchi, ossia Carloforte. Per i greci era "Hieracon
Nesos" e per i romani "Accipitrum Insula" (Isola degli
sparvieri, o dei falchi). Il nome deriva dalla presenza di un piccolo uccello
migratore, il falco della regina, presente e nidificante in una numerosa
colonia, accuratamente protetta dalle inaccessibili e scoscese falesie
costiere.
Nel quartiere cagliaritano di
Stampace è stata trovata un’iscrizione monumentale, conservata al museo di
Cagliari, che ci parla di una divinità maschile, il Baal dei cieli, signore di
Inosim, ossia di Carloforte. Si tratta forse di una pietra utilizzata come
zavorra, scaricata nella spiaggia quando la nave salpò per una nuova
destinazione.
Le indagini archeologiche hanno
individuato l’antico insediamento intorno alla torre di San Vittorio, dove si
trova l’osservatorio astronomico. Il sito è segnalato dalla presenza di anfore del
780 a.C., con il porto vicino alle attuali saline, nella grande insenatura che
si vede a occidente dell’isolotto di San Vittorio.
A Portoscuso è stata individuata,
dall’archeologo Bernardini, la più antica necropoli fenicia della Sardegna,
databile al 750 a.C. Carloforte si trova a nord dell’antico insediamento, ma è
l’erede naturale di quell’insediamento.
Più a sud troviamo Portopino, in
prossimità dello stagno di Is Brebeis, un approdo protetto da un antemurale fino
a Punta Menga, sede di un’antica tonnara. Il Sulcis è pieno di antiche tonnare,
ma l’unica rimasta attiva è quella di Portoscuso. La cala di Portopino era
sicuramente un ricovero per barche, e le opere più importanti sono quelle
cartaginesi, come ad esempio il canale che precede temporalmente quello oggi in
funzione. I canali servivano come scolmatori per la conservazione del pescato.
I cartaginesi erano produttori di
cibi in conserva, soprattutto prodotti derivanti dal pescato. Il garum, ad
esempio, era un condimento fatto con le interiora di sgombro. Anticamente
andava di moda il contrasto fra agro e dolce, e la ricetta principale di
Cartagine era la minestra. I romani, consumatori della proteina nobile della
carne, indicavano con ironia i cartaginesi come mangiatori di minestre. Una
delle ricette più prelibate si è conservata fino ai nostri giorni: in una
pentola si aggiungevano 5 parti di semola, 1 di formaggio fresco e all’interno
il miele. Poi si mescolava per ottenere un cibo agrodolce che rispecchiava i
gusti di quei tempi. Oggi quella pietanza è ancora consumata in Sardegna e
prende il nome di “Seadas”.
Quando Roma era ancora un villaggio,
Sant’Antioco commerciava dall’Atlantico fino al Vicino Oriente. La situazione
portuale dell’epoca ci mostra una morfologia precisa dei luoghi nei quali le
navi approdavano, ma bisogna sempre tenere presente che la situazione cambiò
col passare del tempo, e la linea di costa continua ancora oggi a cambiare.
Alcuni porti non consentirono più alle navi di approdare in sicurezza e
dovettero essere spostati, come avvenne anche a Cagliari.
Le navi dell’epoca erano lunghe fino
a 40 metri, e caricavano fino a 10.000 anfore. I viaggi erano difficili e si
sceglieva di navigare solo nella buona stagione, seguendo venti e correnti
favorevoli. Gli approdi che offrivano ospitalità a buon mercato erano graditi e
le rotte duravano diversi anni. Come tutti i marinai sanno, la terra è nemica e
la navigazione a vela sotto costa costituisce dei pericoli per le azioni di
pirateria dei locali. Di conseguenza cercavano di navigare lontani dalle coste,
così da avere più possibilità di manovra. Affrontare la costa sottovento causava
parecchi incidenti, infatti la maggior parte dei relitti sono ancora lì a
dimostrarlo.
Per quanto riguarda i rapporti
commerciali, c’è un bel racconto di Erodoto, a metà fra realtà e fantasia, che
dice come i fenici acquisivano i materiali metallici dalle popolazioni che non
conoscevano. Arrivavano in spiaggia, scaricavano le mercanzie, accendevano un
fuoco e risalivano sulle barche allontanandosi qualche miglio dalla costa. I
locali vedevano il fumo, scendevano in spiaggia, controllavano le mercanzie,
mettevano un corrispettivo in oro (o argento o rame) e rientravano verso l’interno
del villaggio. I fenici sbarcavano nuovamente, verificavano se la quantità era
sufficiente per le merci e concludevano l’affare. Se il peso non era proporzionato,
si allontanavano senza prenderlo, così che gli indigeni potessero aumentare
l’offerta. La trattazione generalmente finiva bene perché se uno scambio non
funzionava i fenici non sarebbero più ritornati in quel luogo, e il mercato
finiva.
I nuraghi sulla costa servivano anche
per sorvegliare le occasionali bardane di saccheggio avviate dai cantoni
nuragici vicini. Bartoloni afferma che la Sardegna non conosceva una unità
nazionale, così come nessuno nel mondo antico. I fenici si riconoscevano nel
diritto cittadino, e non si consideravano fenici ma appartenenti a un popolo
ben preciso identificato in una città: quello di Tharros, di Sulki, di
Cartagine, di Karalis…e probabilmente anche i nuragici seguivano lo stesso
sistema ed erano divisi in cantoni.
Immagine di http://sardegnaremix.com/
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