Archeologia in Sardegna: Dal Bronzo al Ferro.
di Franco Campus, Valentina Leonelli, Fulvia Lo Schiavo
La transizione culturale dall'età del bronzo all'età del
ferro nella Sardegna nuragica in relazione con l'Italia tirrenica.
Il Bronzo finale in particolare è stato
suddiviso in tre fasi che sembrano corrispondere alla distinzione che
contemporaneamente si è operata sulla base dei ripostigli di bronzi (figg. 1 e
2) . Le tre fasi BF1-BF2 BF3/PF1A sono state identificate e si fondano su
diversi contesti sicuri e sulla base di un sistema incrociato di dati relativi
a un buon numero di siti.
Allo stato attuale delle conoscenze, è ingiustificato negare
che la fine dell’età del Bronzo rappresenti l’epilogo di una crisi di vasta
portata nel sistema socio-economico e politico nuragico, le cui ragioni vanno
ricercate entro l’età del Bronzo, molto prima dell’inizio dell’età del Ferro .
Non potendo in questa sede affrontare in modo esaustivo e sistematico tutte le
ultime acquisizioni recenti si è deciso di focalizzare l’attenzione su alcuni
siti oggetto di indagini recenti da parte dei relatori e che ci è sembrato
possano costituire un’utile trama per affrontare le diverse tematiche oggetto
del contributo (fig. 3). Se la seconda fase del BR e gli inizi del BF si
caratterizzano per un evidente boom demografico, capanne sempre più ampie e i
villaggi sempre più vasti, nell’ultima delle fasi del Bronzo finale moltissimi
nuraghi sono abbandonati, in quasi tutto il territorio isolano, probabilmente a
causa di cedimenti strutturali delle parti sommitali.
I tre nuraghi complessi presi in considerazione il Santu
Antine di Torralba , l’Alvu di Pozzomaggiore e l’Adoni di Villanovatulo , ma si
potrebbe aggiungere anche l’Arrubiu di Orroli (fig. 4), mostrano labili tracce
della fase BF3/PF1A. Nel caso del nuraghe Santu Antine con l’abbandono avviene
anche una sorta di sacralizzazione del pozzo-cisterna all’interno della torre
nord messo in luce negli scavi 2005 (figg. 5-6). Sul fondo della struttura,
profonda oltre 5 metri, fu deposto un
vaso rituale, il pozzo stesso riadattato
con la realizzazione di una ghiera in muratura con imboccatura tanto stretta da
non consentire più l’accesso all’interno (fig. 7). All’esterno della ghiera e
nella struttura anulare che lo recinge, una successione stratigrafica
costituita da diversi vespai-lastricati con reperti ceramici integri o
ricomponibili consente la ricostruzione di tutte le fasi di vita del maestoso
edificio dal BF distinguibile in due distinte fasi, al BR anch’esso articolato
in due fasi, e fino al BM. Al nuraghe Alvu di Pozzomaggiore, la campagna di
scavo, durata circa 15 mesi continuativi e conclusasi nel settembre 2008,
fornisce gli stessi elementi stratigrafici (figg. 8-9). L’edificio a pianta
complessa presenta, oltre a quella centrale, altre due torri disposte
frontalmente. La torre principale si caratterizza per la bicromia, essendo
costituita da blocchi di basalto nella porzione inferiore e conci ben lavorati
di calcare in quella superiore.
All’interno del mastio sono un focolare del BF
e il pozzo (fig. 10). In tutto l’edificio i dati stratigrafici indicano che
l’abbandono avvenne nel BF2. Emblematico è il caso della torre laterale A che
dopo i crolli delle parti sommitali avvenuti nel BR, divenne agli inizi del BF
un deposito di granaglie, come indica l’ultimo crollo che ha sigillato uno
strato archeologico con almeno 6 dolii con anse ad X di grandi dimensioni ed
altri recipienti (fig. 11). A circa duecento chilometri di distanza, nella
regione storica del Sarcidano, il nuraghe Adoni di Villanovatulo, interessante
esempio di edificio complesso polilobato con planimetria anomala, fornisce le
stesse indicazioni (figg. 12-15) . Le capanne di dimensioni ridotte sono
pertinenti al BR. Nel BF abbiamo l’ampliamento del villaggio e capanne di
dimensioni maggiori. Al BF1 è attribuibile la capanna 5 con uno splendido
corredo ceramico ricomposto anche attraverso uno studio sulla distribuzione dei
reperti. Prima della fine dell’età del Bronzo, con il crollo delle
sovrastrutture del nuraghe, il sito viene abbandonato: lo indica chiaramente il
corredo rinvenuto all’interno della cisterna costituito da brocche e anfore.
Dopo questa fase la vita si interrompe per diversi secoli, mentre un’ansa di
brocca a becco in bronzo di VII-VI sec. a.C. di chiara provenienza etrusca
sembra da interpretarsi come frequentazione del tutto sporadica. Resta da
chiedersi quali furono le ragioni di un abbandono così sistematico non solo dei
nuraghi, sui quali i dati a disposizione ci consentono di affermare che i
crolli delle parti sommitali - anche di molti dei villaggi che li circondano -
sono ascrivibili a questo periodo, se non al precedente. Probabilmente hanno
giocato un ruolo degli ecofatti - dei quali tuttavia ci sfuggono la reale
portata e l’impatto - come un eccessivo disboscamento con conseguente erosione
dei suoli, un progressivo impoverimento dei terreni agricoli, che possono aver
portato ad una maggiore domanda di nuove terre, o a un loro maggior
frazionamento - forse legati all’aumento demografico, che noi vediamo riflesso
nell’ampliarsi dei villaggi. Sicuramente determinanti, in Sardegna come in
tutto il Mediterraneo, sono stati i cambiamenti nell’indirizzo della ricerca
delle risorse, nella strutturazione economica e nell’organizzazione sociale,
conseguenti all’uso sempre più esteso e generalizzato del ferro. Non abbiamo
alcun elemento invece che evidenzi uno stato di conflittualità all’interno
delle comunità nuragiche o fra i diversi sistemi territoriali, e neppure
indicazioni di un’eventuale aggressione proveniente dall’esterno. Nella gran
parte dei siti indagati non sono visibili tracce di incendi. Tutto ciò induce a
pensare che l’abbandono sia avvenuto non in maniera traumatica, ma in modo
progressivo fino agli inizi dell’età del Ferro. D’altra parte anche i
ripostigli di bronzi, probabilmente patrimonio dell’intera comunità, occultati
al di sotto dei lastricati delle capanne e nelle murature dei nuraghi,
documentano la pratica della tesaurizzazione, che potrebbe contraddire una
realtà in crisi.
Al quadro sopra delineato sembrano contrapporsi le
testimonianze provenienti dai numerosi santuari che indicano una continuità di
frequentazione. In alcuni casi anche il nuraghe o parti di esso viene
trasformato in luogo di culto (fig. 16). [F.C.]
Un ruolo determinante è stato svolto da aspetti legati ad un
tentativo di riorganizzazione delle comunità nuragiche sotto il profilo
politico ed economico in tempi non troppo avanzati del Bronzo finale. Per
alcuni secoli, la sfera politico-amministrativa e quella religiosa convivono in
simbiosi o in rapporti di reciproca collaborazione e influenza, permettendo di
mantenere gli equilibri interni alle comunità e di assicurarne l’unità. Con le
fasi terminali dell’età del Bronzo la congestione del sistema socio-economico
dei nuraghi potrebbe aver causato l’indebolimento della sfera politica a
vantaggio di quella religiosa, provocando una crisi di vasta portata. Coloro
che gestiscono i templi e le loro risorse sembrano avocare per sé spazi sempre
più ampi all’interno della società. La creazione di sacelli in alcuni nuraghi
potrebbe essere connessa con il controllo economico-amministrativo assunto
dalla sfera religiosa. In questo quadro, è consequenziale che i grandi santuari
abbiano funzionato come catalizzatore, davvero “federale” <>
per arginare o moderare eventuali spinte “eversive” e come centro
redistributore delle risorse di maggior pregio, costituite dai metalli, mentre
i nuraghi, nello stesso periodo, raccolgono, conservano e ridistribuiscono
risorse alimentari, di immediata sussistenza. Nella fase avanzata del Bronzo
finale nuove forme di organizzazione sociale sembrano riconoscersi nel
dilatarsi degli insediamenti intorno ad un nucleo iniziale che è prossimo a un
luogo di culto ed in relazione con un grande santuario. Queste nuove, più
estese, entità territoriali avranno un forte potere attrattivo sulle comunità,
perché sedi più idonee per “contenere” il potenziale e la ricchezza
accumulatisi, in conoscenze tecnologiche, in beni di prestigio, ma anche in
risorse agricole e bestiame, potendone favorire la circolazione a più largo
raggio. E saranno proprio quei luoghi che potranno offrire queste potenzialità
- presso le zone più appetibili dal punto di vista agricolo, o lungo le coste,
presso gli approdi - ad avere una continuità di vita nell’età del Ferro. Eppure
questo tentativo di centralizzazione del potere e di formazione di aggregazioni
territoriali di dimensioni maggiori non riuscirà ad evolversi in senso
protourbano, perché nel momento stesso della trasformazione vengono investiti -
e pacificamente adottano - un modello proveniente dall’esterno, proposto da
genti con le quali, e con i predecessori delle quali, da tempo esistevano
rapporti commerciali e di civile convivenza: si veda il caso del nuraghe e
villaggio nuragico di S. Imbenia. Risulta ormai tramontata, anche per evidenti
motivazioni di carattere cronologico, l’ipotesi che tali squilibri siano da
ricercare, esclusivamente o anche solo in maggior misura, nell’arrivo in
Sardegna agli inizi dell’età del Ferro di genti esterne, i “Fenici”, perché
tutti gli elementi a nostra disposizione indicano piuttosto gli stretti e
intensi rapporti di scambi con i Sardi nuragici, già dalle prime fasi dell’età
del Bronzo. L’equazione arrivo dei Fenici = fine dei Nuragici non è più
pensabile per due ordini di motivi: i “Fenici” che arrivano in Sardegna nel IX
secolo/inizi VIII sec. sono ancora gruppi numericamente ridotti che si disseminano
in numerose località dell’isola oltre che nel Mediterraneo, anche attraverso la
mediazione cipriota e non possono avere avuto in questo momento un ruolo
preponderante. Nel nuraghe Alvu di Pozzomaggiore sono state rinvenute ceramiche
dipinte e altre forme ceramiche identificate come di tipologia fenicia.
In
questo caso la stratigrafia indica chiaramente che tali reperti non sono frutto
di un’occupazione, ma di semplice frequentazione del sito. Nel considerare la
giacitura stratigrafica si nota chiaramente che i materiali fenici non sono mai
associati a ceramiche nuragiche del BF, ma piuttosto a forme di età punica e
romana repubblicana. Lo stesso fenomeno sembra leggersi – per quanto è dato
desumere dai pochissimi dati noti a oggi – nel villaggio nuragico Palmavera di
Alghero, dove addirittura i reperti più recenti (editi) non sembrano superare
l’orizzonte più antico della prima età del Ferro e non si conoscono materiali
di sicura attribuzione fenicia. Quello che noi “riconosciamo” è solo l’inizio e
la fine di un lungo processo svoltosi in almeno 150 anni, dall’insediarsi
stabilmente dei primi Phoinikes, all’adozione di pratiche funerarie di origine
esterna da parte dei Sardi – come l’uso di forme ceramiche di tradizione
nuragica del BF, come il boccale con ansa a gomito rovescio, attribuibili alla
metà dell’VIII nei tophet, alla formazione dei primi insediamenti protourbani.
Se poi si affronta il problema delle sepolture risulta evidente che le tombe
considerate monosome o individuali e familiari non sono così rare a partire dal
BF. E’ in questo periodo che sembra ormai diventata una consuetudine deporre
oggetti di corredo all’interno della tomba: il corredo ceramico dalla tomba di
Arbus è attribuibile al BF2 . Ad Antas il corredo della tomba n. 3 è
costituito da un bronzo figurato di armato, da monili di vetro e grani d’ambra
tipo Allumiere. A Sa Costa-Sardara sono stati rinvenuti due bronzi figurati di
arcieri, uno dei quali presentava tracce del tessuto che probabilmente
avvolgeva il defunto, resti di lamina bronzea si trovavano sul pavimento
lastricato. A Motrox ’e Bois-Usellus, deposizioni plurime di inumati e di un
incinerato erano accompagnate da corredo personale fra cui uno stiletto in
ferro con elsa in steatite e vaghi d’ambra tipo Allumiere. A Senorbì il
corredo personale comprendeva una spada con impugnatura lunata e frammenti di
lamina che il Taramelli interpretò come resti della corazza, richiamando come
confronto il celebre bronzo figurato di guerriero da Senorbì con ampio elmo
cornuto, pettorale e spallacci. Quanto alla spada, essa apparteneva alla
categoria delle “daghe votive” o “stocchi”, produzione nuragica tipica a
partire dal BR, infisse in “tavole d’offerta” e in monumenti votivi
(Villanovafranca-Su Mulinu, Sorradile-Su Monte), riprodotte in numerosissimi
bronzetti di “portatori di spada”, e riutilizzate in tronconi per spade e
pugnali. Al fenomeno delle sepolture monosome o individuali vanno forse
ascritte anche le tombe a pozzetto di Cabras-Is Aruttas, delle quali non si sa
nulla oltre alla semplice menzione, e la necropoli di Cabras-Monte ’e Prama,
che è caratterizzata da due tipi di strutture tombali, a cista litica e a
pozzetto. Non si può pertanto continuare a considerare il fenomeno del tutto
irrilevante, soprattutto visto che alcune di queste sepolture avevano come
corredo uno o più bronzi figurati e visto che almeno in un caso, quello di
Monte ’e Prama, il riferimento alla grande statuaria antropomorfa è plausibile.
Appare sempre più chiaro l’evolversi verso un’individualizzazione dei rituali,
dei corredi personali (prima assenti) e di qualche forma di riappropriazione di
quelle che nella fase precedente erano certamente solo offerte collettive.
[V.L.]
Nel caso della bronzistica figurata inoltre, le posizioni
fra studiosi sono tuttora alquanto discordanti specie per quanto concerne la
cronologia della produzione di questi manufatti. Sulla datazione dellatrasmissione
e dell’uso vanno invece riesaminati i contesti di rinvenimento. Su questo
aspetto la ricerca archeologica è andata molto avanti anche grazie alla
corretta e sollecita edizione dei risultati, che in troppi altri casi è ancora
drammaticamente carente. Tre siti, due dei quali a carattere cultuale, hanno
restituito frammenti di bronzi figurati in US con reperti pertinenti al BF e in
contesti in cui sono completamente assenti tutti gli elementi che fino ad oggi
sono considerati dell’età del Ferro. Si tratta innanzitutto dello scavo
condotto nel pozzo sacro di Funtana Coberta di Ballao, già oggetto di indagine
da parte del Taramelli nel secolo scorso. Particolare importanza riveste il
rinvenimento di un piedino di bronzetto nel vano beta, nell’US 110 che ha
restituito materiali ceramici inquadrabili tra BR e BF. Un altro frammento di
bronzetto pertinente alla testa di un guerriero con elmo cornuto proviene
dall’US 98 (all’esterno dell’area al di sotto di US 1 e senza elementi
cronologici di supporto). Importante anche l’US 150 con reperti tra il BM e il
BR e che, analogamente a tutte le altre UUSS, si appoggia alla struttura del
pozzo, cosa che indica che evidentemente era già esistente in questo periodo.
In un altro santuario, Matzanni nel territorio di Vallermosa, le indagini di
Domenico Lovisato degli inizi del secolo scorso avevano portato all’identificazione
di tre templi a pozzo (A-B-C), una “capanna”, un recinto e un “tempio punico”.
L’intervento del 1997 è stato recentemente pubblicato (2007); gli scavi sono
tutt’ora in corso. L’analisi dei materiali e delle stratigrafie indica una
frequentazione del sito limitata alle fasi del BR e del BF. In particolare le
ceramiche rinvenute nelle UUSS 36 e 11 con cui è associato un frammento di
bronzetto sono pertinenti al BF1/2. Nello scavo dell’edificio A, un muro
rettilineo che si innesta alla destra dell’atrio del pozzo ed un altro
curvilineo che si appoggia al fianco sinistro delimitano un’ampia area
semicircolare asimmetrica. Lungo il muro ricurvo corre un bancone largo un
metro, lastricato, su cui poggiano una ventina di “tavole d’offerta” cioè conci
in trachite con fori per impiombatura di bronzi (fig. 17). Terzo sito è il
nuraghe Cuccurada di Mogoro nel Medio Campidano, edificio a tholos complesso
che ingloba un nuraghe a corridoio. La sequenza stratigrafica individuata nella
torre D mostra che la fase più antica è ascrivibile al BM. La fase di vita più
consistente sarebbe pertinente al BR cui si riferisce lo strato inferiore di un
focolare. La fase più tarda che corrisponde agli strati superiori del focolare
è stata attribuita al BF e I Fe anche se di quest’ultimo periodo dalle
descrizioni risultano del tutto assenti gli elementi ceramici più
caratteristici. Nell’US 48 in associazione con reperti del BF è stato rinvenuto
un bottone figurato in bronzo rappresentante una scena di caccia: un cacciatore
da tergo trafigge un muflone mentre un cane lo abbranca azzannandolo al collo.
Queste tre testimonianze sicure e recenti si aggiungono ai molti indizi che già
da tempo vengono ricordati: i bronzetti rinvenuti nel nuraghe Pitzinnu di
Posada, in quello che senza dubbio era un sacello BF non avanzato sovrastante
un precedente livello di vita BM/BR; il busto di un bronzetto nel ripostiglio
di Monte Sa Idda di Decimoputzu, databile all’ultima fase del BF, parallela al
Bronzo Atlantico 3 della Penisola Iberica; il frammento di bronzetto nel
ripostiglio di Badde Ulumu di Usini, contenuto in un boccale coperto da una
ciotola carenata databili al BF3/IFe1; e da ultimo il bronzetto di capotribù
dal sacello della torre centrale del nuraghe Sa Mandra ’e sa Giua di Ossi. “Il
capo tribù di Ossi, quindi, non si presenterebbe come caso isolato di bronzetto
databile a tempi anteriori a quelli della ceramica geometrica… Esso sembra da
attribuirsi al momento dell’ampliamento del nuraghe, in concomitanza al periodo
di maggior benessere della comunità nuragica quando l’attività fusoria doveva
essere parte dominante dell’economia del villaggio, nell’età del Bronzo finale
e fino alla prima età del Ferro”. Riguardo al bronzetto di Ossi il riferimento
al BF è stato fino a pochi anni fa accuratamente evitato perché le
classificazioni dei materiali si presentavano confuse, poco articolate e non
sufficientemente fondate. Quanto al richiamo al maggior benessere, se riportato
a momenti troppo recenti risulterebbe anacronistico. Sull’attività fusoria
dominante, non vi è dubbio sul fatto che la tecnologia della lavorazione del
rame, del bronzo e, alle origini, anche del ferro, derivarono alla Sardegna dal
Mediterraneo orientale e specificamente da Cipro, dove la produzione dei lingotti
oxhide si inquadra fra il XIV e l’XI sec. e non oltre. Anche in Sardegna, in
Sicilia a Thapsos e nelle Eolie a Lipari la circolazione di questi lingotti,
incluso il seppellimento nei ripostigli, è compresa entro questi limiti
cronologici. La tecnica della produzione “a cera persa” tipica dei bronzi
figurati è inscindibilmente legata a quella degli altri manufatti come
recipienti, armi, attrezzi e ornamenti che la impiegavano in tutto o in parte,
venendo poi a loro volta riprodotti in miniatura con lo stesso procedimento. In
sintesi, dai dati a nostra disposizione l’attività fusoria in Sardegna può
considerarsi dominante fra l’età del Bronzo recente e finale, quando i nuragici
appresero le diverse tecniche e le applicarono immediatamente (anche di ciò vi
sono le prove stratigrafiche e di contesto) nella produzione di manufatti
originali, d’uso e cultuali. A partire dal BF3-I Fe si intensificano i contatti
tra l’isola e la costa tirrenica dell’Italia35 , già documentati in Sardegna
dalla fine del BR con la deposizione rituale nei santuari anche di fibule.
Vetulonia intrattiene rapporti intensi e diretti con la Sardegna durante il
IX-inizi dell’VIII sec.; qui le brocchette askoidi vengono riprodotte in loco,
spesso in maniera poco fedele rispetto ai prototipi provenienti dall’isola, e
l’allontanamento formale è un indizio importante di una riappropriazione della
foggia. L’Etruria mineraria - Vetulonia, Populonia e l’arcipelago toscano -
sarebbero i volani della circolazione di materiali in bronzo e in ceramica di
provenienza sarda nella penisola. Lo sviluppo dell’attività mineraria e
metallurgica in Sardegna e in Etruria settentrionale deve aver comportato uno
scambio di metodologie. Come per le brocchette askoidi ancora una volta il
fenomeno della rielaborazione locale si riscontra nelle faretrine votive in
bronzo rinvenute nella penisola, caratterizzate da un notevole distacco
dell’impianto figurativo rispetto ai modelli sardi38Sarebbe attestata anche una
produzione tarquiniese di imitazione: un bottone con corpo costolato privo di
appendice per difetto di fusione39 . Databile alla metà del IX sec. a.C. è la
tomba della necropoli di Cavalupo di Vulci, nel cui ricco corredo sono
documentati oggetti di bronzo di chiara provenienza sarda: un bronzo figurato
di “pugilatore”, una cesta miniaturistica chiusa da coperchio e la
rappresentazione, sempre miniaturistica, di uno sgabello-trono. Gli oggetti
nuragici, deposti nella sepoltura pertinente ad un individuo di sesso
femminile, potrebbero rappresentare un’offerta rituale oppure essere di
proprietà della defunta. [F.L.S.]
Conclusioni A partire dagli anni ’80 con il rinvenimento di
ceramica nuragica del Bronzo recente e finale iniziale nel villaggio
sull’Acropoli di Lipari nelle isole Eolie in Sicilia dove, sotto la capanna
alpha II, si rinvenne anche un ripostiglio di frammenti di manufatti di bronzo
e di centinaia di frammenti di lingotti ox-hide e piano convessi, vi è stato un
capovolgimento delle prospettive che nel passato dipingevano l’immagine di una
Sardegna nuragica passivamente ricettiva di stimoli esterni. Più recente è il
rinvenimento di ceramiche nuragiche insieme ad altra ceramica egea, cretese e
cipriota a Cannatello nell’Agrigentino, da dove proviene almeno un frammento di
lingotto ox-hide. Una scoperta di grande importanza, pubblicata nel 1989, è la
presenza della ceramica nuragica del BR nel sito portuale di Kommos, sulla
costa centro-meridionale di Creta. A partire dalle fasi iniziali del BF, ad
eccezione della brocchetta askoide trovata a Khaniale Tekke, nella Creta
orientale, manufatto che potrebbe non aver avuto i sardi come vettori, non
abbiamo altre testimonianze ceramiche che attestino una presenza nuragica
nell’Egeo. Fino a quel momento possiamo asserire che furono i Nuragici ad aver
avuto un importante ruolo di tramite nell’introduzione di manufatti bronzei di
tipologia egea e cipriota nella penisola italiana. Dalla fase del BF2- BF3/PF1
si intensificano invece le presenze di manufatti nuragici in ambito
protovillanoviano e villanoviano, indizio di una presenza stabile di genti di
provenienza sarda nella penisola. La diffusione delle brocche askoidi, la loro
sicura origine isolana e la vasta riproduzione nell’Etruria tirrenica, anche in
epoche successive a quelle della prima fabbricazione, è prova di contenuti
materiali e simbolici di grande valore: solo questo fatto può spiegare la vasta
circolazione di questa foggia ceramica in Italia centrale, in Sicilia, a
Cartagine, ed in siti della costa atlantica della penisola iberica, interessati
dalla colonizzazione fenicia, come Cadice e Huelva, compreso un frammento dal
santuario del Carambolo. Sempre nel BF un vivace scambio di modelli e manufatti
metallici collegava la Sardegna nuragica con la Spagna come indica la
distribuzione, in Sardegna, di asce e spade di forme iberiche, queste ultime
riprodotte persino in mano ai bronzetti, e spade tipo Monte Sa Idda riprodotte
in ferro nella penisola iberica. Queste interrelazioni non si arrestano alla
Sardegna, ma l’isola è certamente il tramite di manufatti iberici nell’Italia
peninsulare ed oltre, come lo spiedo articolato rinvenuto ad Amatunte, Cipro e
come il frammento di tripode di foggia cipriota, probabilmente di produzione
nuragica, trovato a La Clota, Calaceite-Teruel nella Bassa Aragona. Dal quadro
delineato sembra che nel momento di maggior crisi interna nel Bronzo finale gli
interessi commerciali dei nuragici si siano rivolti preferibilmente verso la
parte occidentale del Mediterraneo dove hanno avuto l’importante ruolo di
impulso nella trasmissione di idee e tecniche che essi stessi avevano potuto
apprendere alcune centinaia di anni prima, divenendo così parte attiva nelle
trasformazioni politiche e sociali del periodo successivo.
Fonte: http://www.bollettinodiarcheologiaonline.beniculturali.it/
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