lunedì 14 giugno 2010
Atlantide = Haou-Nebout ?
L’Atlantide di Platone e l'Haou-Nebou dell'Egitto sono lo stesso luogo? (1° parte di 2)
E se il misterioso Haou-Nebout fosse la mitica Atlantide di Platone?
"In tempi lontani era possibile valicare l'immenso Atlantico perché vi era un'isola che stava innanzi a quella stretta foce che ha nome Colonne d'Ercole (oggi è lo Stretto di Gibilterra ma in tempi antichi potrebbe essere altrove). A chi procedeva da quella, si apriva il passaggio ad altre isole; e da queste isole a tutto il continente opposto. Quest'isola si chiamava Atlantide, ed in essa vi era una grande dinastia regale che governava l'intera isola e molte altre a parte del continente. Passarono i secoli, terremoti spaventosi e cataclismi si succedettero. Quella stirpe guerriera, tutta senza eccezione, sprofondava sotto la terra. Il mare sommerse Atlantide e tutto scomparve. Per questo motivo, nel mare, da quella parte, vi sono fondi bassi e fangosi, che producono grave impedimento alla navigazione. L'isola, sprofondando, a questi bassi fondali diede origine".
Questa è una pagina del "Timeo", il primo dei tre libri che Platone dedicò ad Atlantide, basandosi sulle notizie raccolte in Egitto dal legislatore ateniese Solone, vissuto dal 630 al 558 a.C.
Nel corso di un suo viaggio in Egitto, vide delle iscrizioni del faraone Ramesse III sulle mura del tempio di Medinet Habu, che si riferivano a fatti accaduti molti secoli prima. Solone si fece tradurre in greco il testo di tali iscrizioni, certo di trovarsi di fronte a documenti di grande importanza, ma la morte gli impedì di farne uso. Gli appunti pervennero a Platone che, per approfondire la questione, si recò egli stesso in Egitto per cercare altre testimonianze.
Platone descriveva Atlantide in 10 zone che il fondatore della stirpe, Poseidone, divise fra le cinque coppie di gemelli, suoi figli maschi. Al maggiore, Atlante, dette la priorità sugli altri fratelli, che portavano i nomi delle zone a loro assegnate: Gadiro, Anfere, Euemone, Mneseo, Autoctono, Elasippo, Mestore, Azae e Diaprepe. La morfologia della città regale era basata sul cerchio. Ogni "capitale" era racchiusa in un anello di mura, alle quali succedeva un secondo cerchio d’acqua, concentrico al primo, e poi ancora una larga fascia circolare di terra, ed ancora un altro cerchio d'acqua, ed ancora terra, ed ancora acqua, ed ancora terra. Sulle zone occupate dalle acque c’erano ponti che collegavano le terre tra loro, e per ultimo un largo canale congiungeva il mare aperto con il primo cerchio d'acqua, in modo che le navi potessero accedervi come in un porto. Già dalle prime parole di Crizia, Platone pare rivelare al lettore il suo atteggiamento nei confronti di tutto il racconto su Atlantide. Si legge nel Timeo: “Ascolta, Socrate, un discorso certamente singolare, ma tutto vero, come lo raccontò un giorno Solone, il più saggio dei sette».
Socrate, nel dialogo in risposta a Crizia, conferma la veridicità del racconto che questi si accinge a narrare, considerando quindi essere verità e non semplice leggenda. Platone così, per bocca di Socrate, offre indirettamente il suo chiaro giudizio su tutta la vicenda atlantidea.
Nella trilogia Timeo – Crizia – Ermocrate si nota una complessa genealogia dataci da Platone. Il vecchio sacerdote (autorizzato ad accedere alla casa dei libri, presente in tutti i templi egiziani) aveva raccontato la storia a Solone che l’aveva ripetuta a Dropide, che l’aveva detta a Crizia il vecchio, che, arrivato all’età di quasi 90 anni, l’aveva detta a Crizia cugino di Platone. Solone era morto verso il 560 a.C., mentre Crizia il giovane era nato nel 460 ed era morto nel 403 a.C., quando Platone aveva 24 anni. A colmare la lacuna tra Solone e Crizia il giovane abbiamo Dropide e il longevo Crizia il vecchio.
È esistita una linea di Trasmissione lungo la quale una tradizione egiziana è pervenuta sino a Platone?».
Benché oggi sembrerebbe insolito dare peso all’attendibilità di un insieme di notizie tramandato oralmente, c è da precisare che in antichità l’uso e le tecniche di conservazione mnemonica erano diffuse, anche e soprattutto in contesto di non alfabetizzazione. Scrive la Reggiani: “In un mondo come quello antico, in cui gli strumenti di divulgazione della cultura erano limitati, la trasmissione orale era coltivata sotto varie forme; e soprattutto veniva tenuta in esercizio la memoria”.
Se poi ci riferiamo al mito, quest’ultimo, ci ricorda J.P. Vernant, è peculiarmente orale, per propria natura, e non è vivo se non è raccontato di generazione in generazione. Nonostante Crizia affermi di far riferimento al ricordo infantile di una narrazione fatta da un vecchio, compare un accenno riguardante un manoscritto in cui Solone trascrisse di proprio pugno, ed in greco, i più importanti nomi propri utilizzati nella narrazione, giacché gli Egiziani li avevano trascritti traducendoli nella loro lingua. Così leggiamo nel Crizia a riguardo: «(Crizia) è d’uopo tuttavia, prima di iniziare il discorso, fornire ancora una breve chiarificazione, perché non vi sorprendiate di sentire pronunciare nomi greci per uomini barbari: ne apprenderete la causa. Solone, poiché aveva in mente di usare questo racconto per la sua poesia, cercando informazioni sul senso di questi nomi, trovò che quegli Egiziani che per primi avevano scritto questi nomi, li avevano tradotti nella propria lingua, e di nuovo egli, a sua volta, recuperando il significato di ciascun nome, li trascrisse trasferendoli nella nostra lingua. E questi scritti appunto si trovavano in possesso di mio nonno, attualmente sono ancora in mio possesso, e me ne sono molto occupato quando ero un ragazzo». (Platone, Crizia, 113a-b)
Tutto pare dunque basarsi sul buon senso di Solone: quest’ultimo fu o non fu vittima di un racconto favolistico di matrice egiziana? In una trattazione di Strabone (I a.C.) circa la questione di Atlantide, è citata un esclamazione in cui, secondo il filosofo ellenistico Posidonio (Siria, 135 a.C. - Rodi, 50 a.C.), amico e maestro di Cicerone, Pompeo e Varrone, Platone stesso ribadisce che probabilmente questa storia non è un invenzione. (Posidonio in Strabone II, 102).
Essendo questa l’unica fonte a riportare una frase così illuminante circa l’opinione di Platone in merito al resoconto di Atlantide, non se ne può assolutamente comprovare la veridicità; la sola osservazione indirettamente a favore sarebbe considerare sia Strabone sia Posidonio testimoni abbastanza degni di fiducia, i quali hanno avuto la possibilità di consultare materiali bibliografici su Platone, di cui non siamo a conoscenza.
Platone comunque sospende volontariamente il suo giudizio sulla verità del racconto pervenuto sino a lui perché, evidentemente, non era in grado di dimostrarne l’autenticità. Di una cosa però pare essere certo: la leggenda di Atlantide fu perfettamente confacente ai suoi fini narrativi.
Domani la 2° e ultima parte.
L'immagine è tratta da: http://www.cleito.it/?page_id=237
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