Archeologia. Economia, commercio e relazioni internazionali al tempo dell’impero romano (parte settima)
Riflessioni di Pierluigi Montalbano
Seconda parte: Il sistema dei traffici commerciali in Europa, Mediterraneo e Vicino Oriente. (Clicca sul titolo per aprire)
Terza parte: Economia e traffici commerciali nell'antichità: la questione greca. (clicca sul titolo per aprire)
Quarta parte: Vie commerciali e strumenti di scambio in Europa nel Neolitico e nelle età dei metalli. (clicca sul titolo per aprire)
Quinta parte: L’economia e i commerci al tempo dei greci di Alessandro Magno (clicca sul titolo per aprire)
Sesta parte: Le relazioni commerciali al tempo dell’impero cartaginese e degli etruschi (clicca sul titolo per aprire)
L’ascesa commerciale di Roma
iniziò con la coniazione degli assi di bronzo alla metà del IV a.C. e con i denari
d'argento nel 269 a.C. Le vittorie contro i Cartaginesi nelle guerre puniche diedero
a Roma il dominio del Mediterraneo Occidentale, e l’intervento in Grecia
seguito dalla conquista dell'Ellade, con le vittorie su Antioco, Mitridate e Cleopatra
d’Egitto, eressero Roma dominatrice del Mediterraneo orientale. Con la
conquista delle Gallie, dei paesi sulla riva destra del Danubio sino al Mar
Nero, l'annessione di buona parte della Britannia, degli Agri decumati, della
riva sinistra del Reno, e della destra dell'alto Danubio, della Dacia, della
Mesopotamia e dell'Arabia, l'Impero romano avvia una globalizzazione economica
che estende i suoi commerci sino all'India, alla Cina e all'Africa centrale.
Roma diventa il centro del mondo antico e assume il carattere di città
cosmopolita.
In età repubblicana, la
popolazione disponeva di immense risorse agricole che provenivano da Sicilia e Sardegna,
poi si aggiunsero Cartagine e l'Asia Minore e, infine, l'Egitto e l'Africa,
quindi in Italia si
abbandonò progressivamente la coltura granaria, sostituita
dai frutteti e dagli ortaggi nei territori più fertili, dalla pastorizia negli
altri. Lo sviluppo industriale delle città dell'Etruria e della Campania fu
favorito dall'importazione dei minerali da Sicilia, Spagna e Macedonia, e successivamente
dalle Gallie e dal Norico. Queste industrie romane, inizialmente esercitate da
artigiani costituiti in corporazioni, col diffondersi della mano d'opera
servile finiscono nelle mani degli schiavi, per poi ritornare in mano di liberi
col declinare dell'istituto della schiavitù. Roma e l'Italia importavano
materie prime, derrate alimentari, oggetti fabbricati, prodotti di lusso e
opere d'arte. Le Gallie e la Spagna fornivano prevalentemente materie prime:
rame, piombo, argento, stagno, lane grezze, pelli da cuoio, l'Asia, il Ponto e
la Siria legname, l'Arabia spezie e aromi, la Sicilia cereali, il Ponto e la
Spagna pesce salato, le Gallie carne salata e formaggi, il Vicino Oriente oggetti
di lusso e tessili. Il commercio degli schiavi era alimentato dall'Oriente,
dalle Gallie, dalla Germania. In età repubblicana il porto principale era
Pozzuoli, al quale poi Ostia fece una vittoriosa concorrenza. La contropartita
delle importazioni era costituita da oggetti di bronzo, ferro e vasi di terra
dalla Campania, legno e lana dalla valle del Po. Le importazioni erano massicce
e Roma, per far fronte alla spesa, decise di esportare l’oro e l’argento
accumulati dalle conquiste delle provincie, rifornendosi continuamente coi
tributi provinciali. Il commercio romano avveniva prevalentemente nel Mediterraneo,
i cui traffici fiorirono grazie alla politica di ricostruzione della fine della
repubblica, con il ripristino di Cartagine e di Corinto e con la concessione di
Delo ad Atene nel 166 a.C. a condizione che il porto fosse aperto a tutti gli
stati. La politica liberale dei Romani verso Utica e Marsiglia favorì lo
sviluppo dei mercati portuali e il grande retroterra dell'Impero romano, che ha
i suoi sbocchi nel Mediterraneo, era adeguatamente sfruttato attraverso le celebri
vie di comunicazione come le vie Appia, Latina, Valeria, Flaminia, Cassia,
Aurelia in Italia, e, fuori dell'Italia, nella Gallia meridionale la via
Domizia, in Grecia la via Egnazia, in Oriente le antiche vie carovaniere. Sotto
l'Impero romano, le attività economiche del mondo antico erano coordinate meglio
che durante le monarchie ellenistiche, poiché ai paesi dell'Oriente, riorganizzati
dai Greci, si aggiunsero le regioni dell'Occidente: Gallie, Iberia, Provincia
d'Africa e Mauritania, la Germania coi Campi decumati fra il Reno e il Danubio,
una gran parte della Britannia, la Dacia a nord del Danubio inferiore, e in
Oriente una parte dell'Armenia. C’è da osservare che questa globalizzazione
economica non significò automaticamente la fusione economica e politica delle
varie regioni, differenti per carattere geografico, etnico, morale, storico.
L'Impero romano si presentò,
specie nei primi secoli, come una federazione di stati sottomessi a un dominio assicurato
con l'occupazione militare. Ciò permise il loro sviluppo economico e un
rapidissimo progresso civile e sociale, con la diffusione del diritto romano e
l'adozione di un sistema metrico e monetario unico. Anche i rapporti fra
l'Impero e i paesi stranieri si avvantaggiano dalla nuova organizzazione perché
si ampliarono le conoscenze geografiche e i commerci si estesero a regioni ignote
nell'età ellenistica. Tolomeo descrive l'Indocina e
giunge alla costa meridionale della Cina, conosce in Africa le regioni delle
sorgenti del Nilo e all'ovest il Niger. Durante l'Impero, gli esploratori giunsero
nell'Africa equatoriale, e nell'Europa del nord i romani si spinsero sino alle
coste scandinave e alla Livonia. Nonostante il sistema fiscale
di sfruttamento, i vantaggi della differenziazione della produzione nelle
singole provincie portarono a un progresso dovuto alla specializzazione
dell'agricoltura e dell'industria nei vari territori. I progressi più sensibili
si ebbero nelle Gallie e nella Germania, nel Norico, nell'interno dell'Illiria,
nella Pannonia, dove, specie per opera delle legioni, furono messi in valore
terreni paludosi, e in paesi dell'Africa del Nord dove l'irrigazione rese
fertili territori prima desertici. Le merci più scambiate furono
il grano della Sicilia, dell'Africa e dell'Egitto; l'olio della Spagna e
dell'Africa; il vino delle Gallie, della Dalmazia, dell'Asia Minore e della
Siria; le carni salate delle Gallie e della Britannia; i pesci salati della
Spagna, del Ponto, del Bosforo Cimmerio e dell'Egitto. L'Egitto e l'Africa
producevano lino; l'Asia Minore e l'Africa, lana; l'Illirico e l'Asia Minore,
pelli; la Spagna, le Gallie e la Britannia sono nominate per il cuoio. La
Grecia, l'Asia Minore e l'Africa danno marmi; la Spagna, la Britannia,
l'Illirico, Cipro, il paese dei Calibi, metalli lavorati e grezzi; l'Africa e
la Siria, legnami; la Spagna, le Gallie, l'Asia Minore, la Siria, il Libano,
l'Egitto, stoffe; le Gallie, l'Asia Minore, ceramiche; le Gallie, il Libano,
l'Egitto, vetrerie; l'Oriente, anche gioiellerie; l'Asia Minore, la Siria, il
Libano, l'Egitto, profumi; la Cirenaica esporta il silfio; l'Egitto, il papiro;
Pergamo, la pergamena; l'Africa, bestie feroci; l'Asia Minore, la Siria,
l'Egitto, l'Africa, schiavi; la Germania di là dai confini, ambra e schiavi; la
Scozia, grano, pelli, pellicce e pietre preziose. Fuori dei confini dell'Impero
il regno dei Parti esporta schiavi e bestie feroci; l'Arabia, pelli e ferro;
l'Iran, alabastro, incenso, spezie, pietre preziose e cotone; l'India, spezie,
profumi, avorio, ebano, bestie feroci, schiavi, pietre preziose; la Cina, seta;
l'Africa orientale, tartaruga, avorio, legni preziosi; l'Africa equatoriale,
polvere d'oro, pelli, avorio e schiavi. Le popolazioni incivilite mutarono di
abitudini, e l'urbanesimo nelle provincie d'occidente creò nuovi bisogni e
nuovi commerci.
Le cave di pietra furono
sfruttate intensamente, e l'ingrandirsi di Roma vi fa convergere in maggior
misura i marmi della Grecia, di Carrara, i porfidi verdi della penisola del
Tenaro, quelli rossi del Mons Claudianus, i graniti di Siene, l'alabastro del
Mons Berenicides. Le Gallie fornivano marmi e graniti, le regioni dell'Africa
marmi e calcari colorati. Nell'insieme, le miniere di metalli preziosi nei
paesi d'oriente avevano diminuito la loro produttività; le miniere dell'occidente
avevano ormai ben maggiore importanza. L'oro proveniva sempre più dalla Spagna,
dalle Gallie, dalla Britannia, dalla Dalmazia, dalla Mesia, dalla Dacia dopo la
conquista di Traiano. Piombo argentifero proveniva dalla Sardegna, Spagna,
Gallia centrale e meridionale, Dalmazia, Pannonia, Epiro; il ferro dall'Elba,
dall'Etruria, dalle regioni dei Pirenei e del Norico; il rame dalla Betica e
Lusitania, dall'Aquitania, dalla Provincia Narbonese, e dalla Britannia; il
piombo dalla Penisola Iberica, dall'Africa del Nord e dalla Britannia. Le
saline erano sparse dappertutto: in Italia a Ostia, Volterra, Taranto, Gela; in
Africa ad Utica e ai confini orientali dell'Egitto; nella Spagna Citeriore, in
Linguadoca, presso i Tarbelli lungo l'Atlantico fino alle Fiandre, presso i
Sequani e i Mediomatrici; in Epiro, in Illiria e in Tessalia, nella Frigia e
Cappadocia, a Cipro e in varie regioni dell'Egitto. Gran parte delle miniere
erano di proprietà dell'imperatore. La conquista romana non modificò la
produzione industriale nell'Oriente, mentre fece sorgere in Occidente nuove
industrie connesse sia allo sviluppo delle provincie, sia alla produzione delle
materie prime: metallurgia, ceramica e industrie tessili.
I giacimenti minerari della
Spagna fecero fiorire l'industria di oggetti di ferro e di bronzo a Bilbilis e
a Cordova. Nelle Gallie, le industrie metallurgiche, già tradizionalmente
efficienti con i locali, si svilupparono ulteriormente dopo la conquista
romana. Il ferro del Norico era lavorato a Lauriacum, Caractum, Aquincum,
Sirmium. In Italia, in Etruria e in Campania la produzione di ceramiche aveva i
suoi centri principali a Modena, Cales, Cuma, Arezzo. Questa industria fiorì
nelle Gallie e in Spagna, specialmente a Sagunto. Nelle industrie tessili, la
conquista romana fece aumentare la produzione e la concentrò. In Italia sono note
le lane di Pollentia, Parma, Modena, Luceria, Canusia e Taranto dove si lavorava
la lana dell'Apulia. Padova produceva stoffe, tappeti e vesti. Nelle Gallie, la
grande produzione di tessuti, lane, lino e canapa ebbe come centro i territori degli Atrebati, Nervi, Santoni, Lingoni, Cadurci. Importanti città
manifatturiere di tessuti furono: Rouen, Amiens, Reims, Bourges, Nîmes. Assai
diffusi furono i tessuti di lana dell'Africa del Nord, gli othonia di Malta, i carbasi di Tarragona e le
tele di Emporie e Setabis.
Il centro del commercio romano
verso il II d.C. si spostò da Oriente a Occidente, poiché la Gallia, la
Britannia, la Spagna e le regioni alpine acquistarono maggiore importanza
nell'economia imperiale. Treviri, Arelate, Narbona e Lione diventarono grandi
centri commerciali. I mercanti italiani, attirati verso l'Occidente, abbandonarono
sempre più i grandi empori dell'Oriente ai mercanti del Vicino Oriente, e
successivamente i Romani lasciarono sempre più agli Orientali anche i mercati
d'Occidente.
L'Impero romano non giunse a
una solida unità doganale. Era diviso in 10 circoscrizioni, oltre l'Italia, per
cui per passare dall'una all'altra le merci pagavano dazi (dal 2% al 6%) secondo
i territori e la tipologia merceologica. Le circoscrizioni erano: Sicilia,
Spagna, Gallie, Britannia, Illirico, Asia (Bitinia, Ponto e Paflagonia), Siria,
Egitto, Africa del Nord. Il commercio era esercitato nelle botteghe delle città
e nel mercato pubblico: il macellum.
C’erano anche mercati straordinari (nundinae)
nelle città e nelle campagne in periodi fissi, un paio di volte al mese. Il
commercio all'ingrosso si svolgeva principalmente nei porti, dove si
accentravano le mercanzie del retroterra. I commercianti si raggruppavano in
corporazioni di appartenenti a industrie e commerci e di mercanti. Il commercio
romano era agevolato dalle banche, e in Oriente il sistema bancario, più
antico, era assai più progredito che in Occidente. Il commercio si serviva di
monete d'oro, d'argento e altri metalli preziosi che venivano pesati. Le città
delle provincie continuarono a emettere monete di bronzo sino al III d.C.
Alcune regioni utilizzavano ancora una circolazione locale di biglione, fra cui
l'Egitto, ma le monetazioni locali cessano ovunque alla fine del III secolo.
Successivamente, l'Impero
romano inizia una rapida decadenza della quale la vita commerciale risente
profondamente. L'inflazione monetaria, dovuta all'emissione di monete di
biglione sempre peggiori con un cambio in oro sempre più sfavorevole, produce
una rivoluzione nel commercio, nel periodo che va dall'età di Gallieno a quella
di Costantino. Per fermare il rapido aumento dei prezzi delle merci Diocleziano
emette l'editto de pretiis rerum
venalium, nel quale fissa i prezzi di tutte le merci e di tutti i salari
dopo aver fissato il corso del denario a 1/50.000 di libbra d'oro, ma sappiamo
che questo editto, il cui scopo era quello di fissare il corso del denario in
oro, pur rimanendo senza effetti di sorta, fu uno dei sintomi di un sistema
politico-economico che caratterizzò la decadenza dell'Impero romano. Il
processo di decomposizione dell'Impero fu rallentato dalla burocratizzazione di
tutte le funzioni sociali, con fenomeni di concentrazione in tutti i campi
della produzione. Nell'agricoltura si costituì sempre più il latifondo,
coltivato da coloni legati alla gleba. Nella produzione industriale e nel
commercio divennero coattive ed ereditarie tutte le professioni d'interesse
pubblico, prima organizzate in corporazioni libere: tali quelle dei piccoli
armatori, dei fabbri, dei pompieri, degli armaioli e monetari, dei pescatori di
porpora, dei tessitori imperiali, dei minatori, dei mugnai e fornai, dei
macellai. Gli artigiani e gli industriali diventarono funzionari pubblici che s’inserirono
sull'organizzazione politica della città. Questa nuova organizzazione non favorì
lo sviluppo del commercio, e questo si concentrò ancor più nelle mani dei Siri
e degli Ebrei.
Immagine di https://www.romanoimpero.com/2011/12/la-taberna-romana.html
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