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sabato 1 luglio 2017

Archeologia della Sardegna. L'antico culto della Dea Madre, una tradizione nata nella notte dei tempi che si conserva ancora oggi. E' la divinità più venerata nei millenni, rappresentata con straordinarie opere artistiche perché dispensatrice di vita, di morte e di fertilità. Riflessioni di Pierluigi Montalbano

Archeologia della Sardegna. L'antico culto della Dea Madre, una tradizione nata nella notte dei tempi che si conserva ancora oggi. E' la divinità più venerata nei millenni, rappresentata con straordinarie opere artistiche perché dispensatrice di vita, di morte e di fertilità. 
Riflessioni di Pierluigi Montalbano


Esiste un filo conduttore che unisce i popoli neolitici che, con varie caratteristiche, è ancora fortemente presente nel sentimento religioso dell’uomo contemporaneo, ossia il culto della Dea Madre. La Sardegna, su questo tema, è perfettamente allineata con il resto del mondo. Le belle sculture Sarde trovano corrispondenze stilistiche e ideologiche nelle Cicladi, nella Sparta neolitica, nel nord Europa, a Malta, in Anatolia e nella penisola balcanica. Il culto della Grande Dea è legato all’opulenta cultura agricola del neolitico, quella considerata l’età dell’oro, come dimostrano le statuette grasse che rappresentano la divinità femminile nel suo ruolo di nutrice e portatrice di fertilità. La Dea è immaginata nella sua carnalità, come nella famosa Venere di Cuccuru s’Arriu, con attributi sessuali enfatizzati con la rappresentazione dei grossi seni e degli abbondanti glutei.
Dall’alba dei tempi, con lo spostamento dei popoli e le relazioni fra comunità, il simbolo della Dea Madre, ideale e artistico, si articolò in diverse divinità femminili. Personificava l'amore sensuale, la fertilità umana e dei campi, la caccia, e poiché il ciclo agricolo implica la morte del seme e il suo
risorgere nella nuova stagione, grazie al sole, alla terra e all’acqua, la grande dea era connessa anche a
culti legati al ciclo morte-rinascita, alla Luna e alla preziosa acqua. Un carattere che permette di riconoscere le tracce della Dea Madre nelle sue più tarde eredi, è la conservazione di specifici attributi e simboli che ne richiamano l'origine. Negli scavi, gli archeologi trovano vari elementi che richiamano il concetto di divinità femminile, costituiti principalmente da piccole statuette e numerosi vasi. Questi manufatti furono realizzati da genti arcaiche per esprimere la loro religiosità e il concetto del divino. In effetti, il vaso è ciò che meglio rappresenta la funzione del femminile, ossia quella di contenere e mantenere la vita (acqua), di proteggere e nutrire (cibo). Il vaso, inoltre, cela e racchiude al suo interno qualcosa d’invisibile e, quindi, misterioso, proprio come accade nella gravidanza. Fra le raffigurazioni di questa divinità, sono presenti alcuni manufatti che mostrano la Dea seduta in trono mentre regge un bambino fra le braccia. Già gli antichi egizi inserirono questa rappresentazione fra le loro icone con Iside, venerata come madre e moglie ideale, patrona della natura e della magia. In Sardegna sono state trovate circa 150 statuette della divinità conosciuta come Dea Madre realizzate in pietra, osso e terracotta.  Provengono da tombe, da grotte e ripari, da villaggi e da santuari. Ne consegue che anche in Sardegna, come avviene nell’Europa e nel Vicino Oriente, è attestato un culto legato alla Dea Madre di antichissima tradizione europea e orientale che affonda le sue radici fin nel Paleolitico. Il grande archeologo sardo Lilliu descrive con passione questa divinità:
“La Grande Madre rappresenta una divinità primordiale, genitrice e nutrice. Detiene il segreto della vita e ha il potere di trasmetterla agli altri esseri umani, agli animali, alla terra, alle piante. Nelle culture preistoriche, la capacità di dare la vita dipendeva esclusivamente dalla donna che rivelava, in modo concreto, di avere in sé un’energia vitale che l’uomo sembrava non possedere. Solo la donna partoriva e generava, apparentemente dal nulla, mentre il maschio, che non poteva provare in modo palese il proprio ruolo nel concepimento, pareva sterile ed era escluso da questo universo divino. La nuova vita cresceva nel grembo della donna e vedeva per la prima volta la luce ricoperto del sangue della nascita. La donna nutriva questa nuova vita con il latte del suo seno, assumendo poi nuovamente forme di fanciulla in una continua trasformazione di sé. La Dea Madre poteva, inoltre, alleviare l’evento traumatico della morte e assicurare la vita oltre la morte, in una rielaborazione ciclica della nascita come modello culturale e simbolico di rinascita. Il defunto doveva essere sepolto nel ventre della madre terra o in una grotta, e sul suo corpo veniva poi sparsa ocra rossa, il sangue della vita, per evocare la prima immagine che aveva dato di sé nel venire alla luce e di conseguenza per assicurargli, mediante l’uso rituale del sangue o di un suo sostituto simbolico, la rinascita nell’aldilà”.
In questa idea di vita e di morte trovano significato i rituali funerari attestati nella necropoli di Cuccuru s’Arriu, della cultura Bonuighinu del Neolitico Medio. I defunti, posti in tombe a fossa o in grotticella artificiale, erano deposti in posizione rannicchiata, quasi nel grembo materno, velati di ocra rossa e con accanto il corredo per il viaggio verso l’aldilà e la statuina in pietra della Dea Madre.
L’archeologa Marija Gimbutas scrive:
“La divinità primordiale fu femmina, una Dea nata da se stessa, donatrice di vita, dispensatrice di morte e rigeneratrice. Univa in sé la vita e la Natura. Il suo potere era nell’acqua e nella pietra, nei tumuli e nelle caverne, negli animali, uccelli, serpenti, pesci, nelle colline, negli alberi e nei fiori”.

Descrive una Dea Madre, fertile, pingue, generosa, proprio come quella delle statuette trovate nell’isola. Pettinature elaborate, sguardo severo, lineamenti del viso appena abbozzati, seni preminenti, fianchi larghi. Era una divinità che non aveva bisogno della presenza maschile. A lei era legato l’intero ciclo i vita, morte e rinascita. Era dispensatrice di vita, in grado di risvegliare la terra dopo le angustie dell’inverno, di offrire nutrimento agli uomini, di far sbocciare i prati, di rischiarare i cieli, di favorire la fertilità degli animali. Essendo anche divinità della morte, guida il defunto nel suo viaggio nell’aldilà. È una Dea Civetta che vigila sul sonno dei morti, laddove i mortali più nulla possono. La rappresentazione di simboli nei sepolcri evoca la sua presenza: occhi a spirale che sorvegliano l’ingresso nell’Ade, e linee a zig zag che riecheggiano le onde di un corso d’acqua da attraversare per passare a miglior vita.   

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