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giovedì 13 luglio 2017

Archeologia. Acqua e metalli, gli strumenti per comunicare con le divinità. La metallurgia sacra degli etruschi. Riflessioni di Luigi Catena

Archeologia. Acqua e metalli, gli strumenti per comunicare con le divinità. La metallurgia sacra degli etruschi.
Riflessioni di Luigi Catena

Le diverse discipline etrusche, come l'interpretazione di fenomeni atmosferici come i fulmini, insieme alle altre discipline sacre come la lettura del fegato e delle viscere animali, il volo degli uccelli, la loro direzione, il numero dei volatili, facevano parte del “corpus” della religione etrusca per poter tracciare il recinto sacro (il temenos) di un tempio, la tracciatura del solco sacro per la fondazione di una città. Saper interpretare fenomeni naturali particolari come: vapori, acque calde, solforose, minerali, insieme all'osservazione di alcune pietre, soprattutto quelle vulcaniche con esaltanti colorazioni nere o bluastre (la diorite), era avere una forte dote spirituale. Dote che, per il popolo etrusco, era relegata a poche persone. Così come la conformazione del territorio, le sorgenti, i laghi di varia natura, particolarmente di tipo vulcanico, gli anfratti, le fessure telluriche, gli ambienti sotterranei, le cavità naturali, erano materia di interpretazione sacra di una certa casta sacerdotale.
Interpretare significa soprattutto osservare, individuare, vedere ma anche distinguere, delineare, circoscrivere, indicare sacro e profano. Conoscere i minerali, la loro ubicazione, la loro lavorazione, saper classificare la loro tipologia (oro, argento, ferro, rame, allume, ecc.) e dove andare a cercarli, era anche questa una disciplina sacra. Su questi parametri, insieme alla conoscenza della volta celeste, degli astri, dei pianeti, delle costellazioni, del movimento del sole e della luna, nasce il
pensiero sacro di un popolo, in modo particolare quello Etrusco. Pensiero che si trasforma in modalità di vita per questa civiltà. La visione del sacro, per gli Etruschi, era in ogni angolo, in tutti i punti dello spazio celeste, nel mondo terrestre e nel sottosuolo. Il sacro era saper interpretare il diverso dal comune, sacro diventava il “particolare”, la nascita e il manifestarsi del “fenomeno”. Come poteva essere quel luogo sacro del popolo etrusco chiamato “Fanum Voltumnae”? Se prendiamo le parole che compongono il nome del luogo sacro, abbiamo “FANUM”che significa spazio, luogo, una porzione di territorio, che ha delle particolari caratteristiche necessarie per definirsi “SACRO”. L’altra parola “VOLTUMNAE”, potrebbe essere il nome latinizzato della dea etrusca del fato e della fortuna, chiamata dagli Etruschi Norzia e con altri appellativi.
“Osservare-vedere”, non significa esclusivamente “guardare”, ma potrebbe racchiudere un plus valore legato anche al termine capire-conoscere il “sacro”. Per il popolo etrusco costruire la propria civiltà in un determinato territorio era anche saper individuare “in primis” il proprio luogo sacro. Questo concetto è supportato dai diversi testi di storici latini, quando parlano del Fanum Voltumnae e descrivono un luogo destinato a certi scopi precisi. Riunioni dei dodici lucumoni, assemblee particolari, ricordare e festeggiare certe ricorrenze, indire particolari riunioni, anche di emergenza come per esempio la questione della città etrusca di Veio, minacciata dai romani. Questi termini, cioè riunioni, assemblee, più o meno urgenti, ricorrenze e feste, hanno un particolare significato: voleva dire essere a conoscenza di un calendario. Non esisteva altro che un calendario sia sacro, civile e agrario, nel quale già erano fissate delle particolari scadenze, legate al movimento degli astri, delle stelle, del sole e della luna. Bastava allora individuare una semplice ricorrenza astrale (datazione) per stabilire giorno e mese della riunione. I lucumoni erano a conoscenza del calendario sia sacro sia civile e agrario dei loro popoli.
Ritornando al concetto “osservare”, “capire”, “individuare”, ne consegue che il luogo sacro degli etruschi era altro un luogo con speciali caratteristiche e non un luogo “comune”. La ricerca di questo spazio “vocato” al sacro era compito di una classe sacerdotale precisa, e preciso doveva essere il luogo senza ombre di dubbio. L'interpretazione dei fenomeni atmosferici, la tipologia del territorio, le sorgenti, i corsi d’acqua, i laghi, i vapori, le acque calde, la conformazione del territorio, il vulcanesimo, i minerali, la metallurgia, fanno ritenere che l’uomo religioso etrusco fosse l’interlocutore di questi fenomeni, osservati per conoscere il manifestarsi del “sacro”. Chi meglio del “sacerdote” etrusco poteva stabilire, individuare, marcare il luogo sacro per eccellenza, dove organizzare riunioni dei lucumoni, organizzare feste, spettacoli, manifestazioni civili e religiose di tutto il popolo etrusco? Le feste del popolo etrusco erano, come lo sono oggi per le ricorrenze cristiane, feste dedicate allo spirito, al sacro. Se consideriamo ora le epoche storiche dall’età del rame fino all’età del ferro, parliamo di diversi millenni, di popoli che hanno vissuto negli stessi luoghi dove poi è nata la “civiltà etrusca”. Una testimonianza importante è stata la civiltà del “rame", i “rinaldoniani”, popolo proveniente dall’Anatolia, che si insediò maggiormente nell’Italia centrale, risalendo i corsi d’acqua dei fiumi Fiora e Marta. Questo è stato il nucleo da dove si espanse la civiltà del “rame”. Particolare che non può sfuggire: lungo la valle del Fiora sorsero diversi insediamenti, collegati alla grande risorsa mineraria, le miniere di rame. Oltre a questa considerazione, non di poco conto, troviamo anche gli insediamenti nel bacino del lago di Bolsena, a pochi chilometri, vale a dire a Montefiascone dove, in località “Rinaldone”, furono scoperte nei primi del ‘900 le sepolture del popolo della cultura di Rinaldone. La prima civiltà metallurgica che ha dato i natali alle altre che si sono succedute.
Troviamo nel lago di Bolsena, la civiltà del Rame, del Bronzo e poi del Ferro, la civiltà Villanoviana ed infine la civiltà Etrusca. Questa continuazione storica per millenni non ha conosciuto vuoti storici, in virtù del fatto che il luogo prescelto era e rimane un territorio ricco di elementi importanti per la vita delle popolazioni. Territorio fertile, ricco di risorse, pesca, selvaggina, agricoltura, allevamento, ma soprattutto acqua sia sotto forma di sorgenti calde e fredde che, a loro volta, alimentavano il grande lago vulcanico di Bolsena. Infine un territorio importante soprattutto per la sua vocazione “sacra”. L’Ing. Alessandro Fioravanti, non solo ha scoperto diverse testimonianze archeologiche nel lago di Bolsena, come il villaggio palafitticolo del “Gran Carro”, ma ha riportato alla conoscenza del mondo archeologico nazionale le “aiuole”, i ciclopici tumuli di pietra oggi sommersi. Questa prima testimonianza, realizzata molto prima della nascita del popolo Etrusco, mette in evidenza un rito sacro antichissimo. Le sorgenti sia di acqua calda (40°) sia fredda furono circoscritte e protette con tumuli enormi fino ad arrivare alle dimensioni di quella del Gran Carro (80 metri per 60 circa 5 metri di altezza). Fioravanti ne scoprì quattro.
La questione si pone sulla individuazione del motivo per cui sono state realizzate queste opere sulla riva del lago di Bolsena. Ora tali tumuli oggi si trovano a nove metri di profondità per l’innalzamento dell’acqua a causa di movimenti tellurici. Poco si è detto, della scoperta dell’Ing. A. Fioravanti, è rimasta per certi aspetti “lettera morta…..”. Vale a dire non si è mai cercato di capire il perché di queste opere gigantesche, quali spinte intellettuali, rituali e sacre, hanno avuto quelle popolazioni per fare ciò? È questo che manca al giorno d'oggi nel mondo accademico, le valutazioni di merito, più che cercare solamente il periodo storico se sono del III millennio o del I millennio, anche se è importante. Se si esclude che tali opere siano dei manufatti legati ad un intervento di ingegneria idraulica, o di contenimento del terreno o di difesa di un villaggio, per esclusione non rimane che un motivo sacro. Questo è il punto di partenza, importante capire il motivo di sacralità del lago di Bolsena.
Aiuta a capire il legame tra tutti i popoli che si sono succeduti in questo territorio fino alla caduta della civiltà etrusca. Serve prendere in considerazione la scoperta delle “aiuole”da un punto di vista di significazione del manufatto, ne emerge con forza che si tratta di tumuli sacri. Quindi la forte sacralità del territorio legato all’acqua, è nata nel IV millennio, età della civiltà rinaldoniana. Questo è il motivo trainante del pensiero sacro dell’uomo della civiltà del rame, vissuto in questo territorio. I quattro elementi vitali, terra, fuoco, aria e acqua erano principalmente elementi sacri. Tutti questi elementi li ritroviamo fortemente in territori vulcanici, soprattutto il binomio acquae fuoco che marcatamente si manifesta in vapori caldi o sorgenti calde. Tutte le sorgenti nascono maggiormente dal sottosuolo e tendenzialmente sono acque con temperature fredde, dai 10-14 gradi, poi ci sono sorgenti con temperature molto più alte; questa sostanziale differenza è stata per l’uomo della civiltà del Rame un evento divino. Fenomeni naturali così diversi nelle temperature ma uguali come elemento, non potevano che suscitare nell’uomo un pensiero sacro, divino.
Il lago di Bolsena era una grande “ierofania”, vale a dire qualcosa di sacro che si mostra e si manifesta. C’è un’altra attività tipica delle zone vulcaniche, il terremoto, in certi periodi con una forte frequenza, fenomeno anch’esso considerato “sacro”. Anche il terremoto era una grande “ierofania”. Nel caso specifico del lago di Bolsena, intorno al X-IX secolo a.C., il livello del lago si alzò per diversi metri (9) fino a sommergere le “aiuole”, il villaggio palafitticolo del Gran Carro e centinaia e centinaia di ettari di terra fertile. Il territorio del lago di Bolsena nasce non solo come luogo ricco di risorse naturali, ma anche come luogo dove il “sacro”si era manifestato già prima degli etruschi. Le popolazioni che erano emigrate in questi luoghi maggiormente provenivano dell’Anatolia; poi l’ultima ondata di migranti avvenuta intorno al IX sec. a.C, fu quella fondatrice della civiltà Etrusca. La nascita di questa civiltà corrispose all’individuazione del luogo sacro dove “edificare” il Fanum Voltumnae, il sacrario nazionale.
Elemento primo: Acqua
C’è da considerare l’elemento acqua sia sotto forma di sorgente, torrente, piccolo o grande fiume, piccola o grande distesa (lago). L’acqua per tutti i popoli antichi da tutte le parti del mondo era un elemento sacro. Per la civiltà Rinaldoniana era l’elemento “sacro” quasi per eccellenza. Prova storico-archeologica proprio le famose “auiole”. Il bacino imbrifero del lago di Bolsena, raccoglie decine e decine di sorgenti più o meno grandi fino ad arrivare a diverse centinaia di di litri/secondo di portata, soprattutto nella zona dell’ipotetico Fanum Voltumnae. L’acqua non può essere un elemento mancante nella zona più sacra del popolo etrusco e questa considerazione viene sottovalutata da una parte del mondo accademico. Acqua uguale vita, delle persone, degli animali e delle piante. Se si prende in esame la ricerca del luogo sacro del popolo etrusco a maggior ragione bisogna conoscere quali caratteristiche doveva avere il Fanum Voltumnae. Questa è una domanda, forse, che non si sono posti i sostenitori della tesi orvietana;
Elemento secondo: Metalli
Altro elemento sacro, i minerali e la disciplina metallurgica per tutti i popoli antichi, in particolar modo per i popoli dell’Anatolia secondo i quali essi comportavano aspetti attinenti al culto. C’è un interessante procedimento sacro nel mondo Assiro-Babilonese, legato alla predisposizione di una fornace per la fusione dei metalli. Considerazione molto importante: la metallurgia, anche per il popolo etrusco era una attività sacra? Ipotesi interessante, non del tutto infondata. Interessante il libro di Mircea Eliade, “Cosmologia e alchimia babilonesi”, quando al paragrafo IV –L’alchimia babilonese pag. 56, descrive il procedimento sulla preparazione di una fornace, citando un antico testo Assiro, conservato nella biblioteca di Assurbanipal, relativo alla fusione e lavorazione dei metalli. Riporto così come scritto: "La preparazione del forno" Traduzione del testo Assiro “Quando installerai il piano di un forno per minerali, sceglierai un giorno propizio in un mese propizio e soltanto allora installerai il piano del forno. Mentre costruiscono il forno, dovrai sorvegliare(li) e lavorare tu stesso(?) (nella casa del forno); dovrai portare degli “EMBRIONI”(ku-bu)….,un estraneo non dovrà entrare e chi è impuro non deve mostrarsi ad essi; il giorno in cui avrai introdotto il minerale nella fornace, dovrai compiere un sacrifico al cospetto degli embrioni, dovrai porre un bruciaprofumi di pino e versare della birra, kurunna, davanti ad essi (gli embrioni). Accenderai un fuoco sotto la fornace e vi introdurrai il minerale. Gli uomini che condurrai al forno perché se ne prendano cura dovranno purificarsi e solo in seguito lascerai che si avvicinano….”. Cosa dice Eliade Mircea? Che le pratiche appena sopra descritte evocano più di un rituale rispetto ad una operazione solamente pratica. Quindi si denota il carattere sacro della metallurgia babilonese. L’area del forno veniva consacrata, un profano non poteva accedervi, i minerali venivano sottoposti alle libagioni rituali cui faceva seguito un sacrificio, gli artisti del metallo attendevano a innumerevoli purificazioni. Oltre questa descrizione ricca di sacralità c’è da rilevare un passaggio del pensiero religioso del popolo Assiro sulla natura dei minerali. Il concetto si sviluppa partendo dalla volta celeste, dimora di diverse divinità, dimora dalla quale tramite i fulmini che cadono sulla terra, la fecondavano, la inseminavano di metalli, essendo la terra una Grande Dea. I minerali, chiamati “embrioni” erano nascosti nel ventre della “madre-terra”, non si aspettava altro che la crescita tramite il passaggio nella fornace, intesa anche come grembo materno. Il pensiero religioso Etrusco in merito a quanto sopra descritto si presenta identico: i fulmini inseminavano la terra, generando i minerali e le pietre con particolari colorazioni, soprattutto la “diorite” con il suo colore nero-bluastro.
Ne sono stati trovati diversi esemplari nell’area volsiniense, ma anche nell’isola Bisentina. Una citazione merita ricordare, quella di Tito Livio che dice come fosse uso da parte degli etruschi, “bruciare” le armi tolte al nemico. Vale a dire quel bruciare sta per fondere ed esercitare quel rituale sacro necessario ad ogni operazione di fusione. Per concludere la metallurgia era sacra per tutti i popoli antichi fin dalla scoperta della loro fusione, fino ad arrivare alle famose leghe da dove nasceva il bronzo. Questo processo metallurgico nato a opera dell’uomo, tramite la lega di alcuni metalli come il rame, piombo, stagno o antimonio, ne fa per il mondo etrusco un uso molto diffuso a partire dal IX-VIII secolo a.C. Nel mondo etrusco era considerato, il bronzo, una creatura della metallurgia e quindi “sacro” Testimonianza sono tutti gli arredi tombali ricchi di reperti di bronzo nelle necropoli in particolare a Vulci, Cerveteri, Bolsena, Capodimonte. Interessante il bronzo etrusco usato per realizzare statue, armi, oggetti di culto. Allora se è vero che i Romani dal Fanum Voltumnae e dalla distruzione della città di Velzna portarono via 2000 statue di bronzo, così riportano gli storici latini, questo testimonia che gli etruschi avevano la maestria nella lavorazione dei metalli.

Immagine di https://www.etruscancorner.com
Testo pubblicato da discoverytuscia.blogspot.com

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