lunedì 17 luglio 2017
Archeologia della Sardegna. I pozzi sacri, templi di 3000 anni fa nei quali i sardi nuragici celebravano i riti legati alla loro religiosità. Riflessioni di Pierluigi Montalbano.
Archeologia della Sardegna. I pozzi sacri, templi di 3000 anni fa nei quali i sardi nuragici celebravano i riti legati alla loro religiosità.
Riflessioni di Pierluigi Montalbano.
I pozzi sacri sono edifici
templari di due tipologie principali, fonti o ipogei, realizzati nel Bronzo
Recente e Finale, dal XIII a.C., per celebrare riti nei quali la presenza
dell’acqua era fondamentale. La struttura architettonica è sempre elaborata e
arricchita da soluzioni che mostrano la volontà dei nuragici di dedicare tempo
ed energie per costruire luoghi religiosi raffinati. La maestria raggiunta dai nuragici
è evidente nel calcolo delle proporzioni, nella tecnica di lavorazione dei
conci e nella capacità di intercettare e sfruttare la risorsa idrica. Era un lavoro svolto da scalpellini
provetti, padroni di una manualità evoluta e di utensili adatti alla
realizzazione dell'intero monumento. Insieme
alle tombe di giganti e ai templi a megaron testimoniano un profondo senso del
sacro nell’isola durante tutto il periodo in cui la Civiltà Nuragica era la più
importante di tutto l’Occidente Mediterraneo. La forma dell’edificio s’ispira
agli stessi principi architettonici dei nuraghi di
ultima generazione, quelli a
tholos con corridoi e ingressi a ogiva. Il disegno costruttivo è composto da
tre parti essenziali: atrio, scalinata coperta da un solaio di architravi
digradanti seguendo il procedere dei gradini verso il basso e cupola circolare a
tholos composta da filari aggettanti. Nella parte sopra terra veniva realizzato
un edificio a pianta rettangolare coperto con un tetto a doppio spiovente.
Intorno al pozzo si nota il temenos, un recinto sacro, e nei muri perimetrali,
oltre che nelle pareti della scalinata e sul fondo, si deponevano le offerte e
gli oggetti di culto. Nelle fonti sacre, laddove l’acqua sgorga in prossimità del
piano di calpestio, è presente un piccolo ambiente architravato delimitato da
lastre di pietra lavorate finemente che contengono il pozzetto, a volte dotato
di vasca poggiata sul fondo, proprio al centro del vano. L’acqua proveniente
dalla falda è convogliata nel pozzo da fori di varia tipologia realizzati nelle
pareti del vano a tholos. Questi luoghi divennero meta di pellegrinaggio per
celebrare cerimonie pubbliche, e spesso sono presenti capanne di servizio che
consentivano ai partecipanti di praticare scambi commerciali di vario genere e
assemblee civili o politiche. Inoltre, possono essere presenti spazi dedicati
al mercato del bestiame e dei bronzi votivi, arene per spettacoli e
competizioni sportive e piazze per ballare al suono delle launeddas e degli
altri strumenti musicali dell’epoca. In molte zone dell’isola, l’utilizzo dei
pozzi sacri è proseguito ben oltre la Civiltà Nuragica, e non è raro trovare
chiese cristiane che al loro interno presentano l’ipogeo sacro che contiene
l’acqua, in un perfetto sincretismo religioso che vede la cristianità
appropriarsi e modificare a propria immagine questi antichi templi pagani sardi.
Per quanto la nuova religione abbia apparentemente
soppiantato le religioni precristiane, nella sostanza esse sono state inglobate
al suo interno, sostituendo di fatto i nomi delle vecchie divinità con quelli
di santi e martiri, ma mantenendo complessivamente le stesse forme di
religiosità popolare ad esso precedenti. E’ in
questi templi che gli archeologi hanno portato alla luce il maggior numero di
bronzetti, navicelle e altri oggetti legati al culto.
Verosimilmente i riti
erano legati alla fertilità delle donne, della terra e del bestiame, oltre ai
noti riti di iniziazione che da sempre hanno occupato uno spazio privilegiato
nelle comunità antiche. Ciò comporta che il loro orientamento era in qualche
modo legato alle fasi solari e lunari che incidevano maggiormente su
coltivazioni, raccolti e lunghezza delle giornate. Non deve sorprendere che le
comunità con economia agro-pastorale fossero attente al movimento degli astri
nel cielo. Alcuni scrittori dell’età classica riferiscono
come in Sardegna, con le acque di alcune fonti, si praticasse una sorta di
“ordalia”, o “giudizio divino”: gli accusati di furto, bagnati con tali acque,
se colpevoli divenivano ciechi mentre gli innocenti, al contrario, miglioravano
la propria vista. L’idea
dell’acqua come oggetto di pratiche religiose, simbolo del divino e ambivalente
portatrice di vita e morte nei riti di iniziazione, può essere considerata un
elemento trasversale di tutte le forme religiose del mondo antico e moderno. Ad
esempio, la simbologia cristiana pone l’acqua al centro del battesimo,
associandola positivamente alla rinascita e alla purificazione. Questa immagine
dell’acqua capace di generare la vita è presente in tutti i miti e le
cosmogonie del mondo antico. Tuttavia l’acqua può diventare anche un elemento
oscuro legato al mondo degli inferi, come avviene nella mitologia greca, dove
il regno dei morti era percorso da ben cinque fiumi. Di questi l’Acheronte era
quello attraverso cui le anime dei defunti venivano traghettate da Caronte per
discendere nell’Ade. In questo suo muoversi ambiguo tra vita e morte, l’acqua è
quindi da sempre associata a tutte le manifestazioni del divino, in taluni casi
è la sede stessa della divinità, e quindi ricca di mistero e simbolismo.
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