venerdì 7 luglio 2017
Archeologia della Sardegna. Le origini della Civiltà Nuragica. Riflessioni di Pierluigi Montalbano
Archeologia della Sardegna. Le origini della Civiltà Nuragica
Riflessioni di Pierluigi Montalbano
Sede di un luogo di culto del Neolitico finale, il grande tempio ad altare di Monte d’Accoddi, probabilmente una Ziggurat, fu costruito all'alba del III Millennio a.C., e mostra una lunga rampa d’accesso che dolcemente sale verso una piattaforma gradonata. Questa era sormontata da una struttura a cella dedicata a qualche divinità del cielo. La rampa e la struttura furono ampliate e rifasciate con grandi massi intorno al 2500 a.C., il periodo in cui le domus de janas, i templi sardi dedicati al culto dei defunti, mostrano lunghi corridoi e decorazioni simboliche che riconducono alla Dea Madre e al sacrificio dei buoi, con la rappresentazione di teste di toro stilizzate. La rampa è affiancata da un gigantesco menhir aniconico, alto più di 5 metri, il cui significato è attribuito da alcuni studiosi alla tomba di un antenato, e da altri alla divinità maschile paredra della Dea Madre. E’ il periodo che vede la comparsa nell’isola dei primi dolmen e degli ipogei funerari con poche cellette che interrompono la tradizione dei sepolcri comunitari. E’ il tempo in cui le genti di
Monte Claro scoprono il processo metallurgico di separazione dell’argento dal piombo, due metalli presenti in abbondanza nella galena argentifera dei bacini minerari sardi.
La ricchezza derivante da questa innovativa tecnologia richiese un notevole impegno per la sua tutela e conservazione, e forse per questo comparvero nell’isola le prime poderose muraglie megalitiche poste a difesa dei villaggi. Nessuna torre in pietra era stata ancora edificata in Sardegna, ma si notano già le prime esperienze di corridoi a profilo dolmenico, lunghi qualche metro, che penetrano nello spessore murario delle cinte megalitiche. Monte Baranta di Olmedo fornisce un chiaro esempio di villaggio che vive l’epoca dei menhir, dei dolmen e delle grandi muraglie attraversate da corridoi.
Questa ricchezza, dopo qualche millennio di traffici legati alla preziosa ossidiana sarda, fu il catalizzatore che attirò nell’isola genti interessate a scambiare merci e introdurre nuove idee. Alla fine del III Millennio a.C. in Sardegna si assiste all'intreccio di almeno due culture che formeranno l’humus nel quale saranno gettate le fondamenta della civiltà nuragica: le genti di Monte Claro e quelle del Vaso Campaniforme.
Questi ultimi provengono dalla penisola iberica dopo aver girovagato per vari secoli dall’Europa settentrionale, alle zone britanniche e del nord francese. La trasformazione subìta dalle genti del Vaso Campaniforme durante i contatti con le culture europee è visibile nelle belle ceramiche a forma di campana rovesciata, decorate e colorate per intrigare i ricchi commercianti locali. Dopo essere transitati nelle Baleari, intorno al 1900 a.C., i nuovi arrivati si fondono con le genti della Sardegna nord occidentale, ma dopo i primi contatti iniziano i problemi: diminuiscono notevolmente le tracce degli abitati, e i manufatti, non a caso ritrovati solo in ambiti funerari, perdono gli elementi di prestigio: colori e decorazioni. E’ l’epoca dei menhir antropomorfi, e non a caso il maggior numero si trova in una zona ricca di giacimenti minerari fra gli altopiani del Sarcidano, nei pressi di Laconi, e la Barbagia di Seulo.
L’abbandono dei vasti e numerosi insediamenti Monte Claro, abitati fin dal Neolitico di Ozieri, coincide proprio con l’arrivo dei gruppi del Vaso Campaniforme e suggerisce la presenza di gruppi di nomadi che si spostano su tende. Nel XVIII a.C. si diffondono ceramiche con forme semplici e prive di ornati, in sintonia con le tipologie della nascente civiltà nuragica. In questo periodo si verificano alcuni cambiamenti profondi nel modo di vivere degli isolani: nuove architetture sepolcrali collettive, le tombe di giganti, affiancano le millenarie domus de janas. La presenza di grandi spade triangolari in rame arsenicato, derivate dalle forme dei pugnali sardi, annuncia un cambiamento sociale che porterà alla realizzazione di edifici che sintetizzano la tradizione architettonica consolidata nei secoli precedenti: dalle forme geometriche dei dolmen prendono vita gli ingressi dei corridoi dei primi nuraghi e le lunghe camere funerarie delle tombe di giganti.
Il contatto con le genti iberiche influenza fortemente i primi sforzi costruttivi dei nuragici: sul piano formale e funzionale, l’architettura delle prime torri nuragiche è simile con quella del sud della Corsica e dei contemporanei talajots balearici di Nura (Minorca). E’ importante rilevare che la cultura del Vaso Campaniforme non ha mai oltrepassato gli Appennini, diffondendosi dalle Baleari alla Corsica e successivamente alla Liguria giungendo fino alla Sicilia per poi essere assorbita dai locali.
Nella penisola iberica, alcune torri portoghesi a un piano (San Pedro e Zambujal), mostrano pianta circolare e sono da attribuire alla cultura del vaso campaniforme. Tuttavia, siamo ancora lontani dalla linea di sviluppo graduale dei nuraghi a corridoio sardi, dei più antichi talajots balari e delle torri corse, tutti edifici che hanno origine comune e potrebbero essere scambiati tra loro tanto sono simili. Inoltre, nelle Baleari si rileva la presenza di edifici di culto dedicato ai defunti (navetas) che sul piano formale richiamano le tombe di giganti. Durante il Bronzo recente, nelle Baleari non risulta attestato il tholos ogivale, mentre in Corsica le torri si presentano in forme più modeste rispetto ai nuraghi. È evidente che nel Bronzo Medio, Minorca e Corsica costituiscono con la Sardegna una sorta di koinè insulare delle torri, in cui la Sardegna è probabilmente il centro politico ed economico.
Vediamo ora le analogie, tenendo presenti alcune sostanziali differenze tra le fortificazioni sarde e quelle egee e del Mediterraneo orientale in genere, dove le torri sono sistematicamente quadrangolari. È stata già riscontrata l’affinità tra le volte a luce ogivale dei corridoi di alcune cinte murarie megalitiche sarde (corridoio della cinta esterna di Su Mulinu-Villanovafranca; gallerie del bastione trilobato di Santu Antine di Torralba), e quelle di simile disegno micenee (galleria nello Steintor di Tirinto) e ittite (gallerie di Hattusha). Sul piano cronologico, l’esempio più antico è quello del 1400 a.C. a Su Mulinu, con volta tronco ogivale; al 1300 a.C. circa è attribuibile il corridoio ogivale della capitale degli ittiti Hattusa, simile e coevo a quello di Santu Antine, considerando l’impiego di conci ben squadrati di poco precedenti quelli in tecnica isodoma. Al 1200 a.C. va collocata, infine, la galleria di Tirinto, considerando le pareti verticali alla base e l’ogiva che tende al triangolo, come nel taglio delle porte del Tesoro di Atreo e della Porta dei Leoni di Micene, simili agli anditi e alle nicchie del Bronzo Recente di Su Mulinu (Torre F).
Altre affinità si colgono nelle porte con anditi a transetto degli edifici dove si osserva il taglio ogivale del XIII a.C. della Porta dei leoni a Micene e in Anatolia (Porta del Re, Porta dei Leoni, di Hattusa). Per l’Anatolia vanno richiamate le anguste porte d’accesso di Yerkapu, di Alaka Huyuk e di Buyakkale. Le porte ittite sono precedute da suggestivi archi ogivali bilitici. Anditi a taglio ogivale con due vani laterali affrontati agli ingressi sono diffusi in Sardegna nelle cinte esterne a Su Nuraxi e Su Mulinu, ma la luce della porta è stretta e rettangolare. Sono visibili esempi di ingressi con andito di taglio ogivale e con due guardiole disposte a transetto nel bastione di Su Nuraxi a Barumini e nella cinta esterna di Su Mulinu a Villanovafranca. Eccezionalmente, nell’ingresso al bastione trilobato di Genna Maria a Villanovaforru si osserva un doppio transetto con quattro guardiole, realizzato successivamente nella fase di rifascio. Nel Nuraghe Arrubiu di Orroli, il taglio ogivale è proposto anche nell’andito della camera nella torre centrale e sull’ingresso della cinta esterna. Questi dati suggeriscono che anche maestranze e manovalanze sarde abbiano avuto un ruolo nell’edificazione degli edifici greci, tenendo presente che per costruire le mura megalitiche di Micene (mito di Perseo) e di altre città come Tirinto e Midea, si ricorreva a maestranze straniere, e che ad Atene il muro Pelasgico è attribuito ai Tirreni, popolazioni occidentali strettamente in rapporto con i Sardi. Secondo la tradizione letteraria greca, Perseo chiama i Ciclopi per costruire le mura di Micene, dopo il suo scontro con Medusa, regina di Sardegna, Corsica e Tirrenia, figlia di Forcide dio del mare. Valutando la situazione edilizia nel complesso, l’ipotesi più plausibile è che siano avvenuti scambi di esperienze reciproche.
Riflessioni di Pierluigi Montalbano
Sede di un luogo di culto del Neolitico finale, il grande tempio ad altare di Monte d’Accoddi, probabilmente una Ziggurat, fu costruito all'alba del III Millennio a.C., e mostra una lunga rampa d’accesso che dolcemente sale verso una piattaforma gradonata. Questa era sormontata da una struttura a cella dedicata a qualche divinità del cielo. La rampa e la struttura furono ampliate e rifasciate con grandi massi intorno al 2500 a.C., il periodo in cui le domus de janas, i templi sardi dedicati al culto dei defunti, mostrano lunghi corridoi e decorazioni simboliche che riconducono alla Dea Madre e al sacrificio dei buoi, con la rappresentazione di teste di toro stilizzate. La rampa è affiancata da un gigantesco menhir aniconico, alto più di 5 metri, il cui significato è attribuito da alcuni studiosi alla tomba di un antenato, e da altri alla divinità maschile paredra della Dea Madre. E’ il periodo che vede la comparsa nell’isola dei primi dolmen e degli ipogei funerari con poche cellette che interrompono la tradizione dei sepolcri comunitari. E’ il tempo in cui le genti di
Monte Claro scoprono il processo metallurgico di separazione dell’argento dal piombo, due metalli presenti in abbondanza nella galena argentifera dei bacini minerari sardi.
La ricchezza derivante da questa innovativa tecnologia richiese un notevole impegno per la sua tutela e conservazione, e forse per questo comparvero nell’isola le prime poderose muraglie megalitiche poste a difesa dei villaggi. Nessuna torre in pietra era stata ancora edificata in Sardegna, ma si notano già le prime esperienze di corridoi a profilo dolmenico, lunghi qualche metro, che penetrano nello spessore murario delle cinte megalitiche. Monte Baranta di Olmedo fornisce un chiaro esempio di villaggio che vive l’epoca dei menhir, dei dolmen e delle grandi muraglie attraversate da corridoi.
Questa ricchezza, dopo qualche millennio di traffici legati alla preziosa ossidiana sarda, fu il catalizzatore che attirò nell’isola genti interessate a scambiare merci e introdurre nuove idee. Alla fine del III Millennio a.C. in Sardegna si assiste all'intreccio di almeno due culture che formeranno l’humus nel quale saranno gettate le fondamenta della civiltà nuragica: le genti di Monte Claro e quelle del Vaso Campaniforme.
Questi ultimi provengono dalla penisola iberica dopo aver girovagato per vari secoli dall’Europa settentrionale, alle zone britanniche e del nord francese. La trasformazione subìta dalle genti del Vaso Campaniforme durante i contatti con le culture europee è visibile nelle belle ceramiche a forma di campana rovesciata, decorate e colorate per intrigare i ricchi commercianti locali. Dopo essere transitati nelle Baleari, intorno al 1900 a.C., i nuovi arrivati si fondono con le genti della Sardegna nord occidentale, ma dopo i primi contatti iniziano i problemi: diminuiscono notevolmente le tracce degli abitati, e i manufatti, non a caso ritrovati solo in ambiti funerari, perdono gli elementi di prestigio: colori e decorazioni. E’ l’epoca dei menhir antropomorfi, e non a caso il maggior numero si trova in una zona ricca di giacimenti minerari fra gli altopiani del Sarcidano, nei pressi di Laconi, e la Barbagia di Seulo.
L’abbandono dei vasti e numerosi insediamenti Monte Claro, abitati fin dal Neolitico di Ozieri, coincide proprio con l’arrivo dei gruppi del Vaso Campaniforme e suggerisce la presenza di gruppi di nomadi che si spostano su tende. Nel XVIII a.C. si diffondono ceramiche con forme semplici e prive di ornati, in sintonia con le tipologie della nascente civiltà nuragica. In questo periodo si verificano alcuni cambiamenti profondi nel modo di vivere degli isolani: nuove architetture sepolcrali collettive, le tombe di giganti, affiancano le millenarie domus de janas. La presenza di grandi spade triangolari in rame arsenicato, derivate dalle forme dei pugnali sardi, annuncia un cambiamento sociale che porterà alla realizzazione di edifici che sintetizzano la tradizione architettonica consolidata nei secoli precedenti: dalle forme geometriche dei dolmen prendono vita gli ingressi dei corridoi dei primi nuraghi e le lunghe camere funerarie delle tombe di giganti.
Il contatto con le genti iberiche influenza fortemente i primi sforzi costruttivi dei nuragici: sul piano formale e funzionale, l’architettura delle prime torri nuragiche è simile con quella del sud della Corsica e dei contemporanei talajots balearici di Nura (Minorca). E’ importante rilevare che la cultura del Vaso Campaniforme non ha mai oltrepassato gli Appennini, diffondendosi dalle Baleari alla Corsica e successivamente alla Liguria giungendo fino alla Sicilia per poi essere assorbita dai locali.
Nella penisola iberica, alcune torri portoghesi a un piano (San Pedro e Zambujal), mostrano pianta circolare e sono da attribuire alla cultura del vaso campaniforme. Tuttavia, siamo ancora lontani dalla linea di sviluppo graduale dei nuraghi a corridoio sardi, dei più antichi talajots balari e delle torri corse, tutti edifici che hanno origine comune e potrebbero essere scambiati tra loro tanto sono simili. Inoltre, nelle Baleari si rileva la presenza di edifici di culto dedicato ai defunti (navetas) che sul piano formale richiamano le tombe di giganti. Durante il Bronzo recente, nelle Baleari non risulta attestato il tholos ogivale, mentre in Corsica le torri si presentano in forme più modeste rispetto ai nuraghi. È evidente che nel Bronzo Medio, Minorca e Corsica costituiscono con la Sardegna una sorta di koinè insulare delle torri, in cui la Sardegna è probabilmente il centro politico ed economico.
Vediamo ora le analogie, tenendo presenti alcune sostanziali differenze tra le fortificazioni sarde e quelle egee e del Mediterraneo orientale in genere, dove le torri sono sistematicamente quadrangolari. È stata già riscontrata l’affinità tra le volte a luce ogivale dei corridoi di alcune cinte murarie megalitiche sarde (corridoio della cinta esterna di Su Mulinu-Villanovafranca; gallerie del bastione trilobato di Santu Antine di Torralba), e quelle di simile disegno micenee (galleria nello Steintor di Tirinto) e ittite (gallerie di Hattusha). Sul piano cronologico, l’esempio più antico è quello del 1400 a.C. a Su Mulinu, con volta tronco ogivale; al 1300 a.C. circa è attribuibile il corridoio ogivale della capitale degli ittiti Hattusa, simile e coevo a quello di Santu Antine, considerando l’impiego di conci ben squadrati di poco precedenti quelli in tecnica isodoma. Al 1200 a.C. va collocata, infine, la galleria di Tirinto, considerando le pareti verticali alla base e l’ogiva che tende al triangolo, come nel taglio delle porte del Tesoro di Atreo e della Porta dei Leoni di Micene, simili agli anditi e alle nicchie del Bronzo Recente di Su Mulinu (Torre F).
Altre affinità si colgono nelle porte con anditi a transetto degli edifici dove si osserva il taglio ogivale del XIII a.C. della Porta dei leoni a Micene e in Anatolia (Porta del Re, Porta dei Leoni, di Hattusa). Per l’Anatolia vanno richiamate le anguste porte d’accesso di Yerkapu, di Alaka Huyuk e di Buyakkale. Le porte ittite sono precedute da suggestivi archi ogivali bilitici. Anditi a taglio ogivale con due vani laterali affrontati agli ingressi sono diffusi in Sardegna nelle cinte esterne a Su Nuraxi e Su Mulinu, ma la luce della porta è stretta e rettangolare. Sono visibili esempi di ingressi con andito di taglio ogivale e con due guardiole disposte a transetto nel bastione di Su Nuraxi a Barumini e nella cinta esterna di Su Mulinu a Villanovafranca. Eccezionalmente, nell’ingresso al bastione trilobato di Genna Maria a Villanovaforru si osserva un doppio transetto con quattro guardiole, realizzato successivamente nella fase di rifascio. Nel Nuraghe Arrubiu di Orroli, il taglio ogivale è proposto anche nell’andito della camera nella torre centrale e sull’ingresso della cinta esterna. Questi dati suggeriscono che anche maestranze e manovalanze sarde abbiano avuto un ruolo nell’edificazione degli edifici greci, tenendo presente che per costruire le mura megalitiche di Micene (mito di Perseo) e di altre città come Tirinto e Midea, si ricorreva a maestranze straniere, e che ad Atene il muro Pelasgico è attribuito ai Tirreni, popolazioni occidentali strettamente in rapporto con i Sardi. Secondo la tradizione letteraria greca, Perseo chiama i Ciclopi per costruire le mura di Micene, dopo il suo scontro con Medusa, regina di Sardegna, Corsica e Tirrenia, figlia di Forcide dio del mare. Valutando la situazione edilizia nel complesso, l’ipotesi più plausibile è che siano avvenuti scambi di esperienze reciproche.
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Buongiorno,uso il tuo blog per commemorare un vero patriota che ha dato tutto il suo essere per raggiungere il suo e nostro ideale!!Unu Adiosu a Doddore Meloni!!
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