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sabato 13 dicembre 2014

La Luna e lo schema dell’anno, il numero sette e la Menorah

La Luna e lo schema dell’anno, il numero sette e la Menorah
di Donatello Orgiu

Preambolo
Il numero sette e la Menorah ebraica, elementi simbolo nella Bibbia, hanno suscitato infiniti studi di specialisti. Lo scienziato Ivan Panin, ha dedicato l’intera vita a studiare la presenza del “sette” nella Bibbia. Dopo 50 anni di meticolosi calcoli lo studioso russo segnalò una straordinaria struttura matematica nascosta sia nel testo greco del Nuovo Testamento sia in quello ebraico dell’Antico Testamento. Sorprendente nel suo studio fu la costatazione della frequenza con cui il numero sette e i suoi multipli ricorrono nella Bibbia: solo nell’Apocalisse di Giovanni il numero è citato decine di volte. Com’è noto, questo numero ha una particolare valenza sacrale in numerose culture e non è detto che all’origine di una tale sacralità del numero ci sia la medesima motivazione. Anzi, è probabile che elementi diversi, accomunati da questo numero, abbiano contribuito a costituire quello che è considerato il numero sacro per eccellenza.
Per esempio, il cosmo babilonese è concepito da sette cieli (le orbite-sfere su cui “si muovono” il Sole, la Luna e i cinque pianeti allora conosciuti); anche la ben nota costellazione del Gran Carro è composta da sette stelle.
In una recente pubblicazione1 ho ipotizzato che l’utilizzo del numero sette in ambito mito- logico e religioso risieda nella rappresentazione dell’anno, inteso quale periodo di rinnovo della natura, misurato con la Luna. Ciò spiegherebbe sia la grande importanza e diffusione avuta dal numero, sia i contesti in cui è presente.
Nella Preistoria sarda il ricorso al numero sette è testimoniato in tempi che precedono le speculazioni mesopotamiche sui sette cieli planetari.

Rimando al fatto che in diverse domus de janas è presente la riproduzione del tetto a due falde “strutturato” spesso con sette travetti per falda. Certo, non si può essere certi dell’intenzionalità, ma l’alta frequenza della casistica sostiene l’ipotesi. Se ciò fosse assodato, avremmo un utilizzo cultuale del numero “sette contrapposto” fin dal Neolitico finale. Come accennato sopra, la Bibbia attribuisce una straordinaria importanza a questo numero e credo che la spiegazione di tanta importanza sia la Bibbia stessa a suggerirla: Dio disse:
«Sia un firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque».Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento. E così avvenne Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secon- do giorno.” (Genesi 1, 6.8)
Al quarto giorno:14 Disse poi Dio: «Si facciano dei luminari nel firmamento celeste, e dividano il giorno dalla notte e contrassegnino le stagioni, e i giorni e gli anni 15 sicché risplendano nel firmamento celeste, e illuminino la terra». Così fu fatto 16 E fece Dio due luminari grandi: il luminare più grande, che presiedesse al giorno, e il luminare più piccolo, che presiedesse la notte; e le stelle. 17 E le pose nel firmamento celeste, perché lucessero sopra, 18presiedessero al giorno e alla notte, e dividessero la luce dalle tenebre. (Genesi 1, 14.18)
Per gli autori della Bibbia il Sole è dunque un grande luminare, mentre la Luna è invece un piccolo luminare: è su questa ultima definizione della Luna che vorrei proporre
alcune riflessioni.
Sul piano simbolico il Sole, il grande luminare, è raffigurato con grandi falò, oggi inseriti nella ritualità cristiana e non a caso vengono ancora accesi in prossimità del solstizio estivo o poco dopo quello invernale. La Luna, tra le sue innumerevoli rappresentazioni, è in questo caso raffigurata da una lanter- na, una lucerna, un cero, una fiaccola, una torcia o un lumino che si accende in onore dei morti,2 esse sono tutte rappresentazioni della Luna, del piccolo luminare simbolo dell’eterno rinascere che rischiara la notte.

La misteriosa dea Ecate dagli evidenti  attributi  lunari  e  legata  al  mondo dei morti e nelle sue rappresentazio- ni non manca mai la torcia. É spesso rappresentata in triplice forma, oppure con tre teste, simbolismi tipici della Dea lunare-ctonia (la Luna crescente, la piena e calante, come le tre Moire, le Parche, le Norne ecc.). Oltre alla torcia, può avere una chiave, dei serpenti, uno specchio, una brocca o dei pugnali: tutti simboli legati alla Luna.L’attributo principale di Ecate resta comunque la torcia che, accompagnatrice dei morti, illuminava il cammino nel viaggio nelle Tenebre.
Caratteristiche lunari, legate al simbolo della lucerna, sono proprie della dea egizia Iside. Nel romanzo L’asino d’oro di Apuleio, la Dea si presenta a Lucio nel sonno agghindata con “in mezzo alla fronte un disco piatto, a guisa di specchio ma che rappresentava la luna, mandava candidi barbagli di luce. Ai lati, a destra e a sinistra, lo stringevano le spire irte e guizzanti di serpenti e, in alto, era sormontato da spighe di grano. Indossava una tunica di bisso leggero, dal colore cangiante, che andava dal bianco splendente al giallo del fiore di croco, al rosso acceso delle rose, ma quello che soprattutto confondeva il mio sguardo era la sopravveste, nerissima, dai cupi riflessi [...] Quei lembi e tutto il tessuto erano dissemi- nati di stelle scintillanti e in mezzo ad esse una luna piena diffondeva la sua livida luce [...] nella mano destra recava un sistro di bronzo, mentre nella mano sinistra invece, pendeva un vassello d’oro a forma di barca col manico ornato da un aspide con la testa ritta”.
Nel sogno, la Dea avvisa Lucio che il giorno che sta per nascere da questa notte, come vuole un’antica tradizione, è consacrato a me. In questo giorno cessano le tempeste dell’universo, si placano i procellosi flutti del mare, i miei sacerdoti, ora che la navigazione è propizia, mi dedicano una nave nuova... ”.
L’indomani Lucio si reca alla processione come indicato dalla Dea e lì: “ Donne bellissime nelle loro bianche vesti, festosamente agghindate, adorne di ghirlande primaverili spargevano lungo la strada per la quale passava il corteo i piccoli fiori che recavano in grembo, altre avevano dietro le spalle specchi lucenti per mostrare alla dea che avanzava tutto quel consenso di popolo, altre ancora avevano pettini d’avorio [...] . Alla fine del corteo sfila- rono “i ministri di culto, i sommi sacerdoti [...] . Il primo di loro reggeva una lucerna che faceva una luce chiarissima, però non di quelle che usiamo noi, la sera, sulle nostre mense, ma a forma di barca, e tutta d’oro...”.4
Lucio identifica Iside fin dall’inizio come una dea lunare e, come si può notare, gli stessi abbellimenti della divinità (la barca, la lucerna, lo specchio, il serpente e i colori nero, bianco e rosso; il giallo è il colore del Sole) e dei suoi seguaci sono elementi che appartengono alla simbologia lunare-ctonia.
Ciò che ora interessa evidenziare del romanzo di Apuleio, è il chiaro legame che si riscontra tra la Luna, la Dea, la barca e la lucerna. Infatti, Iside si presenta a Lucio nel sogno con in mano un vassello d’oro ornato con un serpente. L’indomani, nel giorno a lei consacrato, le viene dedicata una nuova nave carica di primizie; il primo dei sommi sacerdoti, inoltre, ha in mano una lucerna d’oro a forma di barca.

Quest’ultimo elemento è fortemente indicativo per quanto concerne le navicelle votive dette “nuragiche”, la cui funzione era probabilmente simile a quella portata dal capo sacerdote di Iside. La barchetta/lucerna è un’immagine della crescente lunare, del piccolo luminare”, che simile a una barca solca le acque che sono sopra il firmamento rischiarando il cielo notturno ed è, prima di tutto, l’emblema della rigenerazione e dell’eterno rinascere.  Lucerne votive di epoca romana presenti nei corredi funebri sono spesso munite di un’ansa a forma di crescente lunare, a testimonianza del legame tra la Luna il piccolo lume e il culto dei morti.


Il numero Sette
La sua imponente presenza e larga diffusione, che va dalla fiaba alla genesi giudeo-cristiana, non può essere giustificata con la sola idea dei sette cieli planetari o col numero di stelle che compone l’Orsa maggiore. Il numero, a mio avviso, fu utilizzato fin dalla preistoria per via del legame che ha con la Luna quindi col Tempo e con la Rigenerazione. Solo in seguito giungeranno i riferimenti ai cieli planetari, costellazioni, colori, note musicali ecc.
Nel mito sumerico della discesa di Inanna agli Inferi, il numero sette e la sua simbologia sono parte fondante. Nel racconto si narra del viaggio che la Dea Inanna intraprende nella “Terra-senza-ritorno” per far visita alla sorella Ereshkigal, regina dell’inferno, rimasta ve- dova di recente.
La Dea munitasi dei “sette me [le potenze] si legò al fianco,/raccolse i me, se li prese in mano, /collocò i me sulla loro base, li fece stare dritti”.[…] Giunta alla porta dell’inferno si presenta con fare altezzoso e con voce arrogante”, rivolgendosi al portiere esclama: Apri la grande porta degli inferi, fai scorrere i suoi sette chiavistelli, apri la porta del palazzo, “l’occhio degli inferi”, spingendola indietro ...
Il portiere fece scorrere i chiavistelli delle sette porte del palazzo degli inferi, aprì la porta del palazzo, «occhio degli inferi», spingendola indietro. [...] Quando essa fu entrata, ecco che le venne rimosso dal capo la shugurra, la corona della steppa e nonostante Inanna si lamenti per l’oltraggio, le viene risposto di tacere poiché “i decreti degli inferi non si discutono”. Alla seconda porta le fu sottratta “la canna di un gar, la misura di lapislazuli”, alla terza una collana e così via fino alla settima porta in cui le tolsero il “manto da principessa”. Così umiliata e spoglia fu condotta alla presenza di Ereshkigal che guardò Inanna con occhio di morte, le rivolse parole, parole di un cuore irato, le rivolse parole, parole incolpanti./ La donna [Inanna], senza più potenza, fu mutata in cadavere, e il cadavere fu appeso ad un cavicchio.5
Giacché gli attributi le sono rimossi uno per ogni porta, in questo mito, le porte e il numero sette, acquistano la funzione di togliere poco per volta il potere a Inanna. La Dea attraversando le sette porte diventa sempre più debole fino al totale esaurimento delle forze che avviene al settimo passaggio, momento in cui le viene tolto il « sacro mantello».

Il fatto che l’indebolimento avviene man mano, col toglierle gli attributi costituenti la sua forza (i «Me» che, tra l’altro, è il più antico nome conosciuto della Luna, Eliade 1975); l’aver posto per ultimo la sottrazione del manto che il colpo di grazia a Inanna, il mito rivela elementi riconducibili alla simbologia lunare e al rinnovo della natura. I mantelli che coprono le divinità o i capi religiosi e laici, erano (e in parte lo sono ancora) emblemi del potere e traggono origine da speculazioni nate attorno alla mistica lunare e al culto della Grande Dea. La Luna coprendosi e scoprendosi durante il ciclo genera un’im- magine di un bianco mantello, che nella fase di crescita l’avvolge lentamente, e in quella di calo “la spoglia” fino alla totale scomparsa del “mantello” che avviene al novilunio, giorno in cui la Luna “muore” come Inanna nel mito. Da questo punto di vista, la perdita del mantello mostra la vera faccia della Luna che è quella Nera, ossia quella «spoglia e senza veli» riconducibile sia all’aspetto di Iside, di Diana e delle Madonne nere della religione cristiana, sia a quello della Terra (nera) che si spoglia in autunno e si veste in primavera, nonché all’immagine del serpente, che si rinnova attraverso la muta della pelle.
Nel mito il numero sette assume una doppia funzione: negativa quando Inanna attraversando le sette porte nella discesa s’indebolisce perdendo i suoi attributi, fino a soccombere, e positiva quando - dopo aver sostato tre notti nel mondo dei morti - come fa la Luna al novilunio - le riattraversa nella risalita tornando nel mondo dei vivi e a ogni porta raccoglierà, una pietra, lasciatagli dalla sorella (i sassi, in seguito si trasformeranno in doni).
L’utilizzo in maniera contrapposta del numero sette rivela, dunque, una struttura che affon- da le sue radici nel simbolismo lunare e nel ciclo della vegetazione.
Eliade ipotizzava che nel simbolismo religioso il numero sette fosse stato impiegato succes- sivamente al numero tre, del cui uso si hanno testimonianze antichissime come, ad esempio, la suddivisione dell’Universo in tre parti.
Eliade dice: “L’identificazione dell’albero cosmico a sette rami con i sette cieli planetari è certamente dovuto a influenze di origine mesopotamica ...[mentre] l’ascesa al cielo lungo l’Asse del Mondo è un’idea universale e arcaica, anteriore all’idea della traversata delle sette regioni celesti (= dei sette cieli planetari) idea che ha potuto diffondersi nell’Asia centrale solo in un periodo di molto posteriore alle speculazioni mesopotamiche sui sette pianeti. È un fatto noto che il valore religioso del numero tre simboleggiante le tre regioni cosmiche ha preceduto quello attribuito al numero sette. Si parla anche di nove cieli (e di nove dei, di nove rami dell’albero cosmico e così via), numero mistico che va verosimilmen- te spiegato con 3x3 e che è quindi da considerare come parte di un simbolismo più antico di quello cui rimanda il numero sette di origine mesopotamica.6.
Come già anticipato, in diverse tombe ipogeiche della Sardegna tardo neolitica il vano più importante mostra la struttura del tetto in bassorilievo, con una travatura composta da sette travetti per falda. Se i sette travetti sono un atto intenzionale esso testimonierebbe un utilizzo simbolico molto antico del numero e risulterebbe estremamente problematico avvicinarlo alle speculazioni mesopotamiche sui sette pianeti”. I sette “travetti” delle tombe ipogei- che della cultura di Ozieri sono, a mio avviso, da interpretare all’interno di una concezione dualistica della natura e rappresentano probabilmente l’anno inteso come periodo di rinnovo della Natura (e del Sole) misurato col mese draconico della Luna.

In un anno solare la Luna compie circa 12,37 lunazioni e 13,42 mesi draconici che probabil- mente, trattandosi di un utilizzo simbolico religioso (e non di funzioni calendariali), furono arrotondati a 12 (per difetto) per quanto riguarda le lunazioni e a 14 (per eccesso) per i mesi draconici. Per cui in un anno risultano 6 lunazioni e 7 mesi draconici nella fase di crescita e altrettante nella fase di calo. L’arrotondamento può essere compreso quale conseguenza dell’esigenza di rappresentare l’anno attraverso dei segni o degli oggetti e, sia come ciclo solare sia come natura che si rinnova, l’anno è formato da due parti contrapposte, poteva essere suddiviso solamente in 12 o in14 cicli. Qualcosa di simile è accaduto quando il ciclo della lunazione fu diviso in quattro parti (come le fasi) dando origine in tal modo alla setti- mana e a un ciclo di 28 giorni che in realtà non esiste come fenomeno astronomico. Infatti, i cicli della Luna, facilmente individuabili, hanno una durata di 29,5 quello sinodico, 27,3 quello siderale e 27,2 quello draconico.
Utilizzando il mese draconico come unità di misura del percorso del Sole sull’orizzonte, ci troveremo il tratto sotteso tra i solstizi su cui sorge (o su cui tramonta) diviso in sette parti: sette lune in andata e sette in rientro; da un solstizio all’altro nel ciclo solare e da un equino- zio all’altro per quanto riguarda il rinnovo della natura (vedi figura 1).
L’immagine del Sole che sale e scende sull’orizzonte compiendo sette (o sei) “passi lunari” in andata e altrettanti al ritorno, è fondamentale per capire numerose rappresentazioni simboliche.
Se la Luna fu vista come una lucerna e, come detto, sette lune costituiscono un semi-perio- do dell’anno, ne consegue che sette lucerne possono logicamente rappresentare tale arco di tempo, che sappiamo può essere inteso creativo o distruttivo, sia per quanto riguarda il ciclo del Sole sia per quello della vegetazione.

La Menorah
Il simbolo per eccellenza del popolo ebraico è il candelabro a sette bracci, interpretato da alcuni studiosi quale stilizzazione di un albero o, più precisamente, del roveto ardente dove Dio manifestò la sua presenza a Mosè sul Monte Sinai. Altri, ravvisano nel simbolo la rappresentazione dei sette pianeti con il Sole al centro e c’è chi invece sostiene che i sette bracci rappresentino i sette giorni della Creazione con il sabato in mezzo.
É possibile, inizialmente, che con le sette lampade si volessero rappresentare i sette mesi draconici compresi nel semi-periodo dell’anno, conservando, quindi, un significato coe- rente con i sette giorni della Creazione con il sabato al centro. Secondo quanto si propone, la luce centrale del candelabro rappresenta gli equinozi, momenti questi che nel ciclo della Vegetazione corrispondono all’inizio e alla fine di ogni fase. Il candelabro interpretato in tal modo può coerentemente rappresentare l’intero anno proprio perché i punti dell’orizzonte che il Sole “calca” in fase di crescita sono gli stessi su cui passa, dopo avere invertito la “direzione di marcia”, nella fase di calo (vedi figura 1). Stesso discorso è valido per il grande ciclo della Luna di 18,61 anni che può essere rappresentato semplicemente col numero nove. Con questo schema si può quindi interpretare anche il candelabro a nove luci che potrebbe avere avuto origine dalla rappresentazione del grande anno lunare. Il motivo per cui i numeri sette e nove si trovano spesso accostati deriva forse proprio dal fatto che il primo rappresenta il ciclo solare misurato con quello lunare mentre il secondo il grande ciclo lunare misurato con quello solare.
Ponendo il numero sette in relazione con l’anno e con la Luna così come propongo, si spiega in modo soddisfacente sia la straordinaria importanza del numero sia la sua presenza in varie espressioni simboliche.

Ad esempio, il noto racconto biblico del sogno del faraone è una chiara testimonianza dell’utilizzo contrapposto del numero sette facilmente riconducibile alla Luna e al ciclo del- la vegetazione. Vediamolo: 17 Allora il faraone raccontò a Giuseppe: «Nel mio sogno io mi trovavo sulla riva del Nilo. 18 Ed ecco, salirono dal Nilo sette vacche grasse e belle di forma e si misero a pascolare tra i giunchi. 19 E, dopo quelle, ecco salire altre sette vacche deboli, molto brutte di forma e magre; non ne vidi mai di così brutte in tutta la terra d’Egitto. 20
Le vacche magre e brutte divorarono le prime sette vacche, quelle grasse.21 Queste entra- rono nel loro ventre, ma non ci si accorgeva che vi fossero entrate, perché il loro aspetto era brutto come prima. E mi svegliai. 22 Poi vidi nel sogno spuntare da un unico stelo sette spighe, piene e belle. 23 Ma ecco, dopo quelle, spuntavano sette spighe secche, vuote e arse dal vento d’oriente. 24 Le spighe vuote inghiottirono le sette spighe belle. Ho riferito il sogno agli indovini, ma nessuno sa darmene la spiegazione”. (Genesi, 41, 17.24)
Il sogno del faraone, che fu interpretato da Giuseppe quale segno premonitore di futuri sette anni di abbondanza cui sarebbero seguiti altri sette di carestia, ha origine quasi sicuramente nella suddivisione dell’anno in 14 cicli di cui 7 sono in crescita e 7 in calo. Il fatto che le ultime sette spighe e sette vacche vadano a divorare le prime è un’idea che richiama tanto l’alternarsi tra l’Estate e l’Inverno (natura viva e natura morta), quanto la lunazione. La fase calante sia della Luna sia della vegetazione è, di fatto, la consumazione della fase crescente. La fase calante “brutta e magra” divora la fase crescente “bella e grassa” senza peraltro ingrassare come racconta il faraone. Le sette “spighe belle” nate da un unico stelo (= unica fase) rappresentano il periodo creativo dell’anno formato da sette mesi draconici che vanno dall’equinozio di primavera a quello d’autunno cui segue il periodo negativo che consuma il primo. Nella lunazione tale immagine è ancora più marcata. La Luna per metà ciclo cresce, (“prospera, s’ingrassa”) e nell’altra metà diminuisce. Una diminuzione che appare visivamente come il consumo (“il mangiarsi”) di quella che è stata la fase crescente, cioè, “la vacca grassa”.
Nella metafora si utilizzarono le vacche sia per creare un rimando alla lunazione sia perché l’anno è misurato con la Luna.
Al sette creativo sono riconducibili tutte quelle situazioni in cui il numero misura il tempo necessario per realizzare un’opera, mentre per il sette distruttivo è valido l’esatto opposto. Rimanendo in tema biblico, i sette giorni che Dio impiega per creare il mondo o i sette anni che occorrono a Salomone per costruire il tempio rientrano concettualmente nel Sette Crea- tivo. Come detto, l’anno concepito come formato da due fasi contrapposte e misurato con la Luna, può essere diviso o in 14 mesi draconici (7 + 7 arrotondati per eccesso) o 12 lunazioni (6 + 6 arrotondate per difetto). Nell’iconografia preistorica si trovano numerosi indizi di un utilizzo di entrambi i “sistemi di misura”, in quella sarda credo di avere individuato tale schema nel dipinto riprodotto nella parete della tomba ipogeica di Mandra Antine III e in un bronzetto rinvenuto a Padria 7 ma vi è anche un terzo esempio che spinge in questa direzione. Mi riferisco ai betili della Tomba dei Giganti di Tamuli che com’è noto sono 6 di cui tre sono muniti di mammelle e pertanto vengono interpretati tre maschi e tre femmine anche se non manca chi pensa all’androgino. Credo siano corrette entrambe le interpretazioni, anche se l’idea dell’androgino non risiede, a mio avviso, nel singolo betilo ma nell’insieme dei betili che anche in questo caso potrebbero rappresentare l’anno concepito metà maschio e metà femmina.
La concezione dell’anno formato da due fasi contrapposte è tipica della cultura della Grande Dea lunare-ctonia legata alla mistica agraria. La Dea com’è noto è solitamente accompagnata da uno sposo, figlio o fratello, un dio morente (Tammuz, Adone ecc.) che incarna la vegetazione che nasce e muore ogni anno. Nel citato mito sumerico della discesa agli Inferi di Inanna, la Dea per uscire dalla “Terra-senza-ritorno” le viene imposto dalla Ereshkigal di trovare una persona che la sostituisca agli inferi. La scelta di Inanna cadrà sul suo sposo Dumuzi colpevole di non essersi preoccupato della sua assenza quando rimasta prigioniera della sorella. Il mito così si chiude: “Poi, poiché Dumuzi piangeva, La mia sovrana (?) venne da lui, Lo prese per mano (e gli disse): «Per te durerà soltanto metà dell’anno, E per tua sorella l’atra metà![Quando ti] reclamerà, si impadronirà di te – E quando reclamerà tua sorella, si impadronirà di lei!» Ecco come la santa Inanna, Fece di Dumuzi il suo sostituto...”Qui è ben chiara l’idea dell’anno diviso a metà con l’estate identificata con Dumuzi (quindi estate = fase maschile) e l’inverno con sua sorella Geštinanna (inverno = fase femminile) che alternano la loro presenza sulla terra.

La città di Atene, colpevole secondo Minosse della morte di suo figlio Androgeo, ebbe come punizione il pesante tributo di dover mandare ogni anno sette fanciulli e sette fan- ciulle vergini da offrire come cibo al Minotauro che si nutriva di carne umana.9 In pratica, secondo  l’ipotesi  che  propongo,  il  pasto del Minotauro è costituito da un fanciullo per ogni mese (draconico) dell’anno e per questo sono, appunto, sette maschi e sette femmine.
Nel mito antropogonico paleo-babilonese, la Madre Terra Mami (Nintu, Ninhursag) con l’aiuto di Ea-Enki da origine all’umani- tà impastando terra mista a carne e sangue di una divinità. Così recita: “Quattordici grembi erano raccolti insieme per impri- mere all’argilla davanti a lei [...] Mami recitò l’incantesimo; quando ebbe recitato l’incantesimo tracciò la sua argilla. Quattordici pezzi ne staccò; sette pezzi pose alla sua destra. Sette pezzi pose alla sua sini- stra; fra di essi pose un mattone. [...] Sette e sette sono i grembi materni, sette produssero maschi; sette produssero femmine. Il grembo materno creatore della decisione in coppie li compì”.10 Anche in questo caso vediamo un atto creativo, quale appunto la nascita dell’umanità, “strutturato” sul 7 + 7 contrapposto duale e complementare che nell’insieme formano una sola cosa: gli esseri umani.
Se invece del mese draconico utilizziamo la lunazione come unità di misura avremo un anno formato da 12 mesi (6 in andata e 6 al rientro - vedi figura 3). Questo è, a mio avviso, lo schema del dipinto della parete di Mandra Antine III di Thiesi e credo si trovi anche nei sei betili di Tamuli. Applicando lo schema maschio-femmina del ciclo vegetativo che abbiamo visto nella mitologia alle 12 lunazioni che misurano l’anno, ci ritroviamo che guardando verso Est, le lune poste a destra dell’equinozio sono quelle invernali e quindi del periodo femminile e quelle a sinistra sono del periodo estivo e maschile (figura 3). Tutto ciò mi sembra che abbia una notevole corrispondenza con i betili di Tamuli che sono appunto tre maschi e tre femmine con a destra quelle munite di mammelle e a sinistra quelle senza.  Se invece di guardare a Est si guarda verso Ovest, lo schema si inverte: a sinistra dell’equinozio troveremo quelle femminili e a destra quelle maschili trovando sempre una perfetta corri- spondenza semantica e visiva col movimento del Sole.

É probabile che anche in questo caso lo schema dei betili sia sempre quello dell’anno che segue il ciclo della vegetazione e quindi con l’equinozio che separa le due metà del ciclo. Credo che essendo i betili collocati al fianco di una tomba in modo tale da riprodurre lo schema dell’anno, quindi del rinnovo della Natura a sua volta simbolo del Rinnovo, esso possa contenere anche un significato soteriologico (auspicio di rinascita?).

Note:
1 D. Orgiu, La Dea Bipenne, 2013, Cagliari.
2 La tradizione cristiana conserva l’usanza (diffusa dagli antichi romani) di accendere, in casa o presso le
tombe, dei piccoli lumi in onore dei morti. Il significato originale di questo gesto è ovviamente cambiato. Inizialmente era un riferimento alla crescente, al piccolo luminare simbolo di rinascita, mentre oggi è solo un modo di ricordare le persone care scomparse e il costume si conserva in forza di una tradizione, anche se non richiama le attese di resurrezione che molti popoli preistorici videro nel destino lunare.
3 Donatello Orgiu, op. cit.
4 Pseudo - Apuleio, Metamorfosi, Libro 11°, P. V, IX, X.
5 Il corsivo è di Pettinato, I Sumeri, 1994, p. 328.
6 Eliade, Lo Sciamanesimo e le tecniche dell’estasi, 1995, p. 298.
7 Vedi La dea bipenne, p. 101 2 seg.
8 Jean Bottero e Samuel  Noab Kramer, Uomini e Dèi della Mesopotamia, Torino, 1992, p. 303
9 Virgilio nell’Eneide scrive:  “i Cecropidi  obbligati - miserando tributo - a dare come pena ogni anno sette corpi di figli e sta raffigurata l’urna da cui si estraevano le sorti” (Eneide, Libro Sesto, vv 14-33). Ovidio invece parla di “giovani ateniesi scelti ogni nove anni a sorte” (Ovidio, Metamorfosi). Con la versione di Virgilio il pasto del Minotauro risulterebbe, secondo la mia ipotesi, di un giovane “al mese” e ciò avrebbe una sua logica. Con la versione di Ovidio invece, il Minotauro dovrebbe nutrirsi o una volta ogni nove anni o dividere il “pasto” in quest’arco di tempo. Certamente nel campo della mitologia non possiamo pretendere di trovare una logica stringente, però la versione annuale mi pare più verosimile e oltretutto più punitiva nei confronti degli ateniesi che dovevano accollarsi il nutrimento costante del mostro.

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