La Luna e lo schema dell’anno, il numero sette e la Menorah
di Donatello Orgiu
Preambolo
Il numero sette e la Menorah ebraica,
elementi simbolo nella Bibbia, hanno suscitato infiniti studi di specialisti. Lo scienziato Ivan Panin, ha dedicato l’intera
vita a studiare la presenza del “sette” nella Bibbia. Dopo
50 anni di meticolosi calcoli lo studioso russo segnalò una straordinaria
struttura matematica nascosta sia nel testo greco del Nuovo Testamento sia in
quello ebraico dell’Antico Testamento. Sorprendente nel suo studio fu la costatazione della frequenza con cui il numero sette e
i suoi multipli ricorrono nella Bibbia: solo nell’Apocalisse di Giovanni il
numero è citato decine di volte. Com’è noto, questo numero ha una particolare valenza
sacrale in numerose culture
e non è detto che all’origine di una tale sacralità del numero ci sia la medesima
motivazione. Anzi, è probabile che elementi diversi, accomunati da questo
numero, abbiano contribuito a costituire quello che è considerato il numero
sacro per eccellenza.
Per esempio, il cosmo babilonese è concepito da sette cieli (le orbite-sfere su cui “si muovono” il Sole, la Luna e i cinque pianeti allora conosciuti); anche la ben nota
costellazione del Gran Carro è composta da sette stelle.
In una recente pubblicazione1 ho
ipotizzato che l’utilizzo del numero sette in ambito mito- logico e religioso risieda nella
rappresentazione dell’anno, inteso quale periodo
di rinnovo della natura,
misurato con la Luna. Ciò spiegherebbe sia la grande importanza e diffusione
avuta dal numero, sia i contesti in cui è presente.
Nella Preistoria sarda il ricorso al numero sette è
testimoniato in tempi che precedono le speculazioni mesopotamiche sui
sette cieli planetari.
Rimando al fatto che in diverse domus de janas è presente la riproduzione del tetto a due
falde “strutturato” spesso con sette travetti per falda. Certo, non si può essere certi dell’intenzionalità, ma l’alta frequenza della casistica sostiene
l’ipotesi. Se ciò fosse assodato, avremmo un utilizzo cultuale
del numero “sette contrapposto” fin
dal Neolitico finale. Come accennato sopra, la Bibbia attribuisce una straordinaria importanza a questo numero e credo che la spiegazione di tanta importanza sia la Bibbia
stessa a suggerirla: “6 Dio disse:
«Sia un firmamento in mezzo alle acque per separare le
acque dalle acque».7 Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il
firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento. E così avvenne
8 Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina:
secon- do giorno.” (Genesi 1, 6.8)
Al quarto giorno:“14 Disse poi Dio: «Si facciano
dei luminari nel firmamento celeste, e dividano il giorno dalla notte e contrassegnino le stagioni,
e i giorni e gli anni 15 sicché risplendano
nel firmamento celeste,
e illuminino la terra».
Così fu fatto
16 E fece Dio due luminari
grandi: il luminare più grande, che presiedesse al giorno, e il luminare
più piccolo, che presiedesse la
notte; e le stelle. 17 E le pose nel firmamento celeste, perché lucessero sopra, 18presiedessero al giorno
e alla notte, e dividessero la luce dalle tenebre.” (Genesi 1, 14.18)
Per gli autori
della Bibbia il Sole
è dunque un grande luminare, mentre la Luna è invece
un piccolo luminare: è su questa ultima definizione della Luna che vorrei proporre
alcune riflessioni.
Sul piano simbolico
il Sole, il grande luminare,
è raffigurato con grandi
falò, oggi inseriti nella ritualità cristiana e non a caso vengono ancora accesi in prossimità del solstizio estivo o poco dopo quello invernale. La Luna, tra le sue
innumerevoli rappresentazioni, è in
questo caso raffigurata da una
lanter- na, una lucerna, un
cero, una fiaccola, una torcia o un lumino che si accende
in onore dei morti,2 esse sono
tutte rappresentazioni della Luna, del piccolo luminare simbolo dell’eterno rinascere
che rischiara la notte.
La misteriosa dea Ecate dagli evidenti attributi
lunari e legata
al mondo dei morti
e nelle sue rappresentazio-
ni non manca mai la torcia. É spesso rappresentata in triplice forma, oppure
con tre teste, simbolismi tipici della Dea lunare-ctonia (la Luna crescente, la piena e calante, come le tre Moire, le Parche, le
Norne ecc.). Oltre alla torcia, può avere una chiave, dei serpenti, uno
specchio, una brocca o dei pugnali: tutti simboli legati alla Luna.3 L’attributo principale di Ecate resta comunque
la torcia che, accompagnatrice dei morti, illuminava il cammino nel
viaggio nelle Tenebre.
Caratteristiche lunari, legate al simbolo della lucerna,
sono proprie della dea egizia Iside. Nel romanzo L’asino d’oro di Apuleio,
la Dea si presenta a Lucio nel sonno agghindata con “in mezzo alla fronte un disco piatto, a guisa di specchio ma che rappresentava la luna,
mandava
candidi barbagli di luce. Ai lati, a destra e a sinistra,
lo stringevano le spire irte e
guizzanti di serpenti e, in alto, era sormontato da spighe di grano. Indossava
una tunica di bisso leggero, dal colore cangiante, che andava dal bianco splendente al giallo del fiore
di croco, al rosso acceso
delle rose, ma quello che soprattutto confondeva il mio sguardo era la sopravveste, nerissima, dai cupi riflessi
[...] Quei lembi e tutto il tessuto erano dissemi-
nati di stelle scintillanti e in mezzo ad esse una luna piena diffondeva la sua livida
luce [...] nella mano destra recava un sistro di bronzo, mentre nella mano sinistra invece,
pendeva un vassello d’oro a forma
di barca col manico ornato da un
aspide con la testa ritta”.
Nel sogno, la Dea avvisa Lucio che “ il giorno che sta per nascere
da questa notte, come vuole un’antica tradizione, è consacrato a me. In questo giorno
cessano le tempeste
dell’universo, si placano i procellosi flutti del mare, i miei
sacerdoti, ora che la navigazione è propizia, mi dedicano una nave nuova... ”.
L’indomani Lucio si reca alla processione come indicato
dalla Dea e lì: “ Donne bellissime nelle
loro bianche vesti, festosamente agghindate, adorne di ghirlande primaverili
spargevano lungo la strada per la quale passava il corteo i piccoli fiori che
recavano in grembo, altre avevano dietro le spalle specchi lucenti per
mostrare alla dea che avanzava
tutto quel consenso di popolo,
altre ancora avevano pettini d’avorio [...]
. Alla fine del corteo sfila- rono “i
ministri di culto, i sommi sacerdoti [...] . Il primo di loro reggeva una
lucerna che faceva una luce chiarissima, però non di quelle che usiamo noi, la sera,
sulle nostre mense, ma a forma di barca, e tutta
d’oro...”.4
Lucio identifica Iside fin dall’inizio come una dea
lunare e, come si può notare, gli stessi abbellimenti della divinità (la barca, la lucerna, lo specchio, il serpente e i colori
nero, bianco e rosso;
il giallo è il colore del Sole) e dei suoi seguaci
sono elementi che appartengono
alla simbologia lunare-ctonia.
Ciò che ora interessa evidenziare del romanzo
di Apuleio, è il chiaro
legame che si riscontra
tra la Luna, la Dea, la barca e
la lucerna. Infatti, Iside si presenta a Lucio
nel sogno con in mano un vassello
d’oro ornato con un serpente.
L’indomani, nel giorno a lei consacrato, le viene dedicata una nuova nave carica di primizie; il primo dei sommi sacerdoti, inoltre, ha
in mano una lucerna d’oro a forma di barca.
Quest’ultimo elemento è fortemente indicativo per quanto concerne
le
navicelle votive dette
“nuragiche”, la cui funzione era probabilmente simile a quella portata
dal capo sacerdote
di Iside. La barchetta/lucerna è un’immagine della crescente lunare, del “piccolo luminare”, che simile a una barca solca le “acque che sono sopra il firmamento” rischiarando il cielo notturno
ed è, prima di tutto, l’emblema
della rigenerazione e dell’eterno
rinascere. Lucerne votive di epoca romana presenti nei corredi funebri sono spesso munite di un’ansa a forma di crescente lunare, a testimonianza del legame tra la Luna il piccolo lume e il culto dei morti.
Il numero Sette
La sua imponente presenza e larga diffusione, che va
dalla fiaba alla genesi giudeo-cristiana, non può essere giustificata con la sola idea dei sette cieli planetari o col numero di stelle che compone l’Orsa maggiore.
Il numero, a mio avviso,
fu utilizzato fin dalla preistoria per via del legame
che ha con la Luna quindi col Tempo e con la Rigenerazione. Solo in seguito giungeranno i riferimenti ai cieli planetari,
costellazioni, colori, note musicali ecc.
Nel mito sumerico della discesa di Inanna agli Inferi, il
numero sette e la sua simbologia sono parte fondante. Nel racconto si narra del
viaggio che la Dea Inanna intraprende nella “Terra-senza-ritorno” per far visita alla sorella Ereshkigal, regina
dell’inferno, rimasta ve- dova di recente.
La Dea munitasi
dei “sette me [le potenze] si legò al fianco,/raccolse i me, se li prese in mano,
/collocò i me sulla loro base, li fece stare
dritti”.[…] Giunta alla porta dell’inferno si presenta “con fare altezzoso
e con voce arrogante”, rivolgendosi al portiere esclama:
“Apri la grande porta degli inferi,
fai scorrere i suoi
sette chiavistelli, apri la porta del palazzo, “l’occhio
degli inferi”, spingendola indietro
...”
Il portiere “ fece scorrere i chiavistelli delle
sette porte del palazzo degli
inferi, aprì la porta
del palazzo, «occhio degli inferi»,
spingendola indietro. [...] “Quando essa fu entrata,
ecco che le venne rimosso dal capo la shugurra, la corona della steppa” e nonostante Inanna si lamenti per l’oltraggio, le viene risposto di tacere poiché “i decreti degli inferi non si discutono”. Alla seconda porta le
fu sottratta “la canna di un gar, la
misura di lapislazuli”, alla terza una collana e così via fino alla settima
porta in cui le tolsero il “manto da
principessa”. Così umiliata e spoglia fu condotta alla presenza di Ereshkigal che “guardò Inanna
con occhio di morte, le rivolse parole, parole di un cuore irato, le rivolse
parole, parole incolpanti./ La donna [Inanna],
senza più potenza, fu mutata in cadavere,
e il cadavere fu appeso ad un
cavicchio”.5
Giacché gli attributi le sono rimossi
uno per ogni porta, in questo mito,
le porte e il numero sette, acquistano la funzione di
togliere poco per volta il potere a Inanna. La Dea attraversando le sette porte diventa sempre più debole fino
al totale esaurimento delle forze che avviene al settimo passaggio, momento in cui le viene tolto il « sacro
mantello».
Il fatto che l’indebolimento avviene man mano, col toglierle gli attributi costituenti la sua forza (i «Me» che, tra l’altro, è il più antico nome conosciuto della
Luna, Eliade 1975);
l’aver posto per ultimo la sottrazione del manto che dà il colpo di grazia a Inanna, il mito rivela elementi riconducibili alla simbologia lunare e al
rinnovo della natura. I mantelli che coprono le divinità o i capi religiosi e
laici, erano (e in parte lo sono ancora) emblemi del potere e traggono origine
da speculazioni nate attorno alla mistica lunare e al culto della Grande Dea. La Luna “coprendosi
e scoprendosi” durante
il ciclo genera un’im-
magine di un bianco mantello,
che nella fase di crescita
l’avvolge lentamente, e in quella di
calo “la spoglia” fino alla totale scomparsa del “mantello” che avviene al novilunio, giorno in cui la Luna “muore” come Inanna
nel mito. Da questo punto di vista, la perdita del mantello mostra la vera
faccia della Luna che è quella Nera, ossia quella «spoglia e senza veli»
riconducibile sia all’aspetto di Iside, di Diana e delle Madonne nere della
religione cristiana, sia a quello della Terra (nera) che si spoglia in
autunno e si veste in primavera, nonché all’immagine del serpente, che si rinnova attraverso la muta della
pelle.
Nel mito il numero sette assume una doppia funzione:
negativa quando Inanna attraversando le sette porte nella discesa
s’indebolisce perdendo i suoi attributi, fino a soccombere, e positiva quando -
dopo aver sostato tre notti nel mondo dei morti - come fa la Luna al novilunio - le riattraversa nella risalita tornando
nel mondo dei vivi e a ogni porta raccoglierà, una pietra, lasciatagli dalla
sorella (i sassi, in seguito si trasformeranno
in doni).
L’utilizzo in maniera
contrapposta del numero sette rivela,
dunque, una struttura
che affon- da le sue radici
nel simbolismo lunare e nel ciclo della vegetazione.
Eliade ipotizzava che nel simbolismo religioso il numero
sette fosse stato
impiegato succes- sivamente al numero tre, del cui uso si hanno testimonianze antichissime come, ad esempio,
la suddivisione dell’Universo in tre
parti.
Eliade dice: “L’identificazione
dell’albero cosmico a sette rami con i sette cieli planetari è certamente
dovuto a influenze di origine mesopotamica ...[mentre] l’ascesa al cielo lungo
l’Asse del Mondo è un’idea universale e arcaica, anteriore all’idea della
traversata delle sette regioni celesti (= dei sette cieli planetari) idea che
ha potuto diffondersi nell’Asia centrale solo in un periodo di molto posteriore
alle speculazioni mesopotamiche sui sette pianeti. È un fatto
noto che il valore religioso del numero tre – simboleggiante le tre regioni cosmiche – ha preceduto
quello attribuito al numero sette. Si parla anche di nove cieli (e di nove
dei, di nove rami dell’albero cosmico e così via), numero mistico che va verosimilmen- te spiegato con 3x3 e che è
quindi da considerare come parte di un simbolismo più antico di quello cui
rimanda il numero sette di origine mesopotamica.”6.
Come già anticipato, in diverse tombe ipogeiche della
Sardegna tardo neolitica il vano più importante mostra la struttura del tetto
in bassorilievo, con una travatura composta da sette travetti per falda. Se i sette
travetti sono un atto intenzionale esso testimonierebbe un utilizzo simbolico molto antico del numero
e risulterebbe estremamente problematico avvicinarlo alle “speculazioni mesopotamiche sui sette pianeti”. I sette “travetti” delle tombe ipogei-
che della cultura di Ozieri sono, a mio avviso, da interpretare all’interno di
una concezione dualistica della natura
e rappresentano probabilmente l’anno inteso come periodo di rinnovo
della Natura (e del Sole) misurato col mese draconico della Luna.
In un anno solare la Luna compie circa 12,37 lunazioni e 13,42 mesi draconici che probabil-
mente, trattandosi di un utilizzo
simbolico religioso (e non di funzioni calendariali), furono arrotondati a 12 (per difetto)
per quanto riguarda
le lunazioni e a 14 (per eccesso)
per i mesi draconici. Per cui in un anno risultano
6 lunazioni e 7 mesi draconici nella fase di crescita
e altrettante nella fase di calo. L’arrotondamento può essere compreso quale
conseguenza dell’esigenza di
rappresentare l’anno attraverso dei segni o degli oggetti
e, sia come ciclo solare sia
come natura che si rinnova, l’anno è formato da due parti contrapposte, poteva
essere suddiviso solamente
in 12 o in14 cicli. Qualcosa di simile è accaduto quando il ciclo della lunazione fu diviso in quattro
parti (come le fasi) dando origine in tal modo alla setti- mana e a un ciclo di 28 giorni che in realtà non esiste come fenomeno astronomico. Infatti, i cicli della Luna, facilmente individuabili, hanno una
durata di 29,5 quello sinodico, 27,3 quello siderale e 27,2 quello draconico.
Utilizzando il mese draconico come unità di misura del
percorso del Sole sull’orizzonte, ci troveremo il tratto sotteso tra i solstizi
su cui sorge (o su cui tramonta) diviso in sette parti: sette lune in andata e sette in rientro;
da un solstizio all’altro nel ciclo solare e da un equino-
zio all’altro per quanto riguarda il rinnovo della natura (vedi figura 1).
L’immagine del Sole che sale e scende
sull’orizzonte compiendo sette (o sei) “passi lunari” in andata e altrettanti al ritorno, è fondamentale per
capire numerose rappresentazioni simboliche.
Se la Luna fu vista come una lucerna e, come detto, sette
lune costituiscono un semi-perio- do dell’anno, ne consegue che sette lucerne
possono logicamente rappresentare tale arco di tempo, che sappiamo può essere inteso
creativo o distruttivo, sia per quanto
riguarda il ciclo del Sole sia per quello della
vegetazione.
La Menorah
Il simbolo per eccellenza del popolo ebraico è il
candelabro a sette bracci, interpretato da alcuni studiosi quale stilizzazione di un albero
o, più precisamente, del roveto
ardente dove Dio manifestò la
sua presenza a Mosè sul Monte Sinai. Altri, ravvisano nel simbolo la rappresentazione dei sette
pianeti con il Sole al centro e c’è chi invece sostiene
che i sette bracci
rappresentino i sette giorni della
Creazione con il sabato in mezzo.
É possibile, inizialmente, che con le sette lampade si
volessero rappresentare i sette mesi draconici compresi nel semi-periodo
dell’anno, conservando, quindi, un significato coe- rente con i sette giorni della Creazione con il sabato al
centro. Secondo quanto si
propone, la luce centrale del candelabro rappresenta gli equinozi, momenti
questi che nel ciclo della Vegetazione corrispondono all’inizio
e alla fine di ogni fase. Il candelabro interpretato in tal modo può coerentemente rappresentare l’intero anno proprio
perché i punti dell’orizzonte che il Sole “calca”
in fase di crescita sono gli stessi su cui passa, dopo avere invertito la “direzione di marcia”, nella
fase di calo (vedi figura 1). Stesso discorso è valido per il grande ciclo
della Luna di 18,61 anni che può essere rappresentato semplicemente col numero nove. Con questo schema si può quindi interpretare anche il candelabro a
nove luci che potrebbe avere avuto origine dalla rappresentazione del grande
anno lunare. Il motivo per cui i numeri sette e nove si trovano spesso accostati
deriva forse proprio dal fatto che
il primo rappresenta il ciclo solare misurato con quello lunare mentre il
secondo il grande ciclo lunare misurato con quello solare.
Ponendo il numero sette in relazione con l’anno e con la Luna così come propongo,
si spiega in modo
soddisfacente sia la straordinaria importanza del numero sia la sua presenza in
varie espressioni simboliche.
Ad esempio, il noto racconto biblico del sogno del
faraone è una chiara testimonianza dell’utilizzo contrapposto del numero
sette facilmente riconducibile alla Luna e al ciclo
del- la vegetazione. Vediamolo: “17 Allora il faraone
raccontò a Giuseppe: «Nel mio sogno
io mi trovavo sulla riva del Nilo. 18 Ed ecco, salirono
dal Nilo sette vacche grasse e belle di forma e
si misero a pascolare tra i giunchi.
19 E, dopo quelle,
ecco salire altre
sette vacche deboli, molto brutte di forma e magre; non ne vidi mai di così brutte in tutta la terra d’Egitto.
20
Le vacche magre e brutte divorarono le prime sette
vacche, quelle grasse.21 Queste entra- rono nel loro ventre, ma non ci si accorgeva che
vi fossero entrate, perché il loro aspetto era brutto come prima. E mi
svegliai. 22 Poi vidi nel sogno spuntare da un unico
stelo sette spighe, piene e belle. 23 Ma ecco, dopo quelle, spuntavano
sette spighe secche, vuote e arse dal vento d’oriente. 24 Le spighe vuote inghiottirono le sette spighe belle. Ho riferito il sogno
agli indovini, ma nessuno sa darmene
la spiegazione”. (Genesi, 41, 17.24)
Il sogno del faraone, che fu interpretato da Giuseppe quale segno premonitore di futuri sette anni
di abbondanza cui sarebbero seguiti altri sette di carestia, ha origine quasi
sicuramente nella suddivisione dell’anno in 14 cicli di cui 7 sono in
crescita e 7 in calo. Il fatto che le ultime sette spighe e sette vacche vadano
a divorare le prime è un’idea che richiama tanto l’alternarsi tra l’Estate e
l’Inverno (natura viva e natura morta), quanto la lunazione. La fase calante
sia della Luna sia della vegetazione è, di fatto, la consumazione della fase crescente. La fase
calante “brutta e magra” divora la fase crescente “bella e grassa” senza
peraltro ingrassare come racconta il faraone. Le sette “spighe belle” nate da un unico
stelo (= unica fase) rappresentano il periodo creativo dell’anno formato da
sette mesi draconici che vanno dall’equinozio di primavera a quello d’autunno
cui segue il periodo negativo
che consuma il primo. Nella lunazione tale immagine è ancora più
marcata. La Luna per metà ciclo cresce, (“prospera, s’ingrassa”) e nell’altra
metà diminuisce. Una diminuzione che appare
visivamente come il consumo (“il mangiarsi”) di quella che è stata
la fase crescente, cioè, “la vacca grassa”.
Nella metafora si utilizzarono le vacche sia per creare
un rimando alla lunazione sia perché
l’anno è misurato con la Luna.
Al sette
creativo sono riconducibili tutte quelle situazioni in cui il numero misura il
tempo necessario per realizzare un’opera, mentre per il sette distruttivo è
valido l’esatto opposto. Rimanendo in tema biblico, i sette giorni
che Dio impiega
per creare il mondo o i sette
anni che occorrono a Salomone per costruire il tempio rientrano
concettualmente nel Sette Crea-
tivo. Come detto, l’anno concepito
come formato da due fasi contrapposte e misurato con la
Luna, può essere diviso o in 14 mesi draconici
(7 + 7 arrotondati per eccesso) o 12 lunazioni (6 + 6 arrotondate per difetto). Nell’iconografia preistorica si trovano
numerosi indizi di un utilizzo di entrambi i “sistemi di
misura”, in quella sarda credo di avere individuato tale schema nel dipinto riprodotto nella parete della
tomba ipogeica di Mandra Antine
III e in un bronzetto rinvenuto
a Padria 7 ma
vi è anche un terzo esempio che spinge in questa direzione. Mi riferisco ai betili della
Tomba dei Giganti di Tamuli che com’è noto sono 6 di cui tre sono muniti di mammelle
e pertanto vengono
interpretati tre maschi
e tre femmine anche se non manca chi pensa all’androgino. Credo siano corrette
entrambe le interpretazioni, anche se l’idea dell’androgino non risiede, a mio avviso, nel
singolo betilo ma nell’insieme dei betili che
anche in questo caso potrebbero rappresentare l’anno concepito metà maschio e
metà femmina.
La concezione dell’anno
formato da due fasi contrapposte è tipica della cultura della Grande
Dea lunare-ctonia legata alla mistica agraria. La Dea com’è noto è solitamente
accompagnata da uno sposo, figlio o
fratello, un dio morente (Tammuz, Adone ecc.) che incarna la vegetazione che nasce e muore ogni anno. Nel citato mito sumerico della
discesa agli Inferi di Inanna, la Dea per uscire dalla
“Terra-senza-ritorno” le viene
imposto dalla Ereshkigal di trovare una persona che la sostituisca agli inferi.
La scelta di Inanna cadrà sul suo sposo Dumuzi colpevole di non essersi
preoccupato della sua assenza quando rimasta prigioniera della sorella.
Il mito così si chiude:
“Poi, poiché Dumuzi piangeva, La mia sovrana
(?) venne da lui, Lo prese per mano (e gli disse):
«Per te durerà soltanto metà dell’anno, E per tua sorella l’atra metà![Quando ti]
reclamerà, si impadronirà di te – E quando reclamerà tua sorella, si impadronirà di lei!» Ecco
come la santa Inanna, Fece di Dumuzi
il suo sostituto...”8 Qui è ben chiara l’idea dell’anno
diviso a metà con l’estate
identificata con Dumuzi (quindi estate = fase maschile) e
l’inverno con sua sorella Geštinanna (inverno = fase femminile) che alternano
la loro presenza sulla terra.
La città di Atene, colpevole secondo Minosse della morte
di suo figlio Androgeo, ebbe come punizione il pesante tributo di dover mandare ogni anno sette fanciulli
e sette fan- ciulle vergini da offrire come cibo al Minotauro che si nutriva di carne umana.9 In pratica, secondo l’ipotesi
che propongo, il
pasto del Minotauro è costituito da un fanciullo per ogni mese
(draconico) dell’anno e per questo sono, appunto, sette maschi e sette femmine.
Nel mito antropogonico paleo-babilonese, la Madre Terra Mami (Nintu, Ninhursag) con l’aiuto
di Ea-Enki da origine all’umani- tà impastando terra mista a carne e sangue di
una divinità. Così recita: “Quattordici
grembi erano raccolti insieme per impri- mere
all’argilla davanti a lei [...] Mami recitò l’incantesimo; quando ebbe recitato l’incantesimo tracciò
la sua argilla. Quattordici pezzi ne staccò; sette pezzi pose alla sua
destra. Sette pezzi pose alla sua sini- stra;
fra di essi pose un mattone. [...] Sette
e sette sono i grembi materni, sette produssero maschi; sette produssero
femmine. Il grembo materno creatore
della decisione in coppie li compì”.10 Anche in questo caso vediamo un atto creativo,
quale appunto la nascita
dell’umanità, “strutturato” sul 7 + 7 contrapposto duale e complementare che
nell’insieme formano una sola cosa: gli esseri umani.
Se
invece
del
mese
draconico
utilizziamo
la
lunazione
come
unità
di
misura
avremo
un
anno formato da 12 mesi (6
in andata e 6 al rientro - vedi figura 3). Questo è, a mio avviso, lo schema
del
dipinto
della
parete
di
Mandra
Antine
III
di
Thiesi
e
credo
si
trovi
anche
nei
sei betili
di
Tamuli.
Applicando
lo
schema
maschio-femmina
del
ciclo
vegetativo
che
abbiamo visto
nella mitologia alle 12 lunazioni che misurano l’anno, ci ritroviamo che
guardando verso Est, le lune poste a destra dell’equinozio sono quelle
invernali e quindi del periodo femminile e
quelle
a sinistra sono del
periodo estivo e
maschile (figura
3).
Tutto ciò
mi sembra che abbia una notevole
corrispondenza con i betili di Tamuli che sono appunto tre maschi e tre femmine
con a destra quelle munite di mammelle e a sinistra quelle senza. Se invece
di
guardare
a
Est
si
guarda
verso
Ovest,
lo
schema
si
inverte:
a
sinistra
dell’equinozio troveremo quelle
femminili e a destra quelle maschili
trovando sempre
una perfetta corri-
spondenza
semantica e visiva col
movimento del Sole.
É probabile che anche in questo caso lo schema dei betili
sia sempre quello dell’anno che segue il ciclo della vegetazione e quindi con
l’equinozio che separa le due metà del ciclo. Credo che essendo i betili collocati al fianco di una tomba in modo tale da riprodurre lo schema dell’anno, quindi del rinnovo della Natura a sua volta
simbolo del Rinnovo, esso possa contenere anche un significato soteriologico
(auspicio di rinascita?).
Note:
1 D. Orgiu,
La Dea Bipenne, 2013, Cagliari.
2 La tradizione cristiana conserva l’usanza (diffusa dagli antichi romani) di accendere, in casa o presso le
tombe, dei piccoli lumi in onore dei morti. Il
significato originale di questo gesto è ovviamente cambiato. Inizialmente era
un riferimento alla crescente, al piccolo
luminare simbolo di rinascita, mentre oggi è solo un modo di ricordare le
persone care scomparse e il costume
si conserva in forza di una
tradizione, anche se non richiama le attese di resurrezione che molti popoli preistorici videro nel
destino lunare.
3 Donatello Orgiu, op. cit.
4 Pseudo - Apuleio, Metamorfosi, Libro 11°, P. V, IX, X.
5 Il corsivo è di Pettinato, I Sumeri, 1994, p. 328.
6 Eliade, Lo Sciamanesimo e le tecniche dell’estasi, 1995, p. 298.
7 Vedi
La dea bipenne, p. 101 2 seg.
8 Jean Bottero e Samuel Noab Kramer,
Uomini e Dèi della Mesopotamia, Torino, 1992, p. 303
9
Vi
rgilio nell’Eneide scrive: “
i Cecropidi
obbligati - miserando tributo - a dare come pena
ogni
anno sette corpi di figli e sta raffigurata l’urna da cui si estraevano le sorti” (Eneide, Libro Sesto,
vv 14-33). Ovidio invece parla di “
giovani
ateniesi scelti ogni nove anni a
sorte” (Ovidio, Metamorfosi). Con la versione di
Vi
rgilio il pasto del Minotauro
risulterebbe, secondo la mia ipotesi, di un giovane “al mese” e ciò avrebbe una
sua logica. Con la versione di Ovidio invece, il Minotauro dovrebbe nutrirsi o
una volta ogni nove anni o dividere il “pasto” in quest’arco di tempo.
Certamente nel campo della mitologia non possiamo pretendere di trovare una
logica stringente, però la versione annuale mi pare più verosimile e oltretutto
più punitiva nei confronti degli ateniesi che dovevano accollarsi il nutrimento
costante del mostro.
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