Mummie, mummificazione e
imbalsamazione
di Samantha Lombardi
L’imbalsamazione,
del cui impiego si perde il ricordo nei secoli, era un tempo ottenuta
soprattutto con l’uso di sostanze balsamiche, da cui il nome.
Durante
l’evolversi della storia dell’uomo, presso varie culture, si è fatto ricorso,
in modo più o meno ampio, a tecniche di mummificazione che potremo definire “mummificazione artificiale”.
Sappiamo
che la mummificazione esisteva in Assiria, in Media e in Persia. In Babilonia i
rituali funerari erano molto simili a quelli usati in Egitto, mentre i Persiani
avrebbero appreso dagli stessi Babilonesi l’uso di spalmare di cera il corpo
imbalsamato degli imperatori. La tradizione di imbalsamare il corpo dei morti
esisteva anche presso gli Sciti (tribù che vivevano nella Siberia meridionale),
anche se mummie scite non sono mai state ritrovate.
Ma
il paese “per eccellenza” dove veniva praticata l’imbalsamazione era l’Egitto.
In precedenza i morti venivano semplicemente deposti direttamente sotto la
sabbia, avvolti con stuoie o custoditi dentro casse di legno rosso, qui
l’aridità dell’ambiente provocava una rapida disidratazione del corpo
preservandolo da ulteriori decomposizioni. La più antica mummia egizia,
conservata al British Museum di Londra, risalente, più o meno, al XXXIV secolo
a.C. è proprio quella appartenente ad un cadavere sepolto nella sabbia del
deserto e che si è conservata grazie alle condizioni ambientali.
Già
nella I dinastia (3150-2925 a. C.), anche se è solo teoricamente attestata
l’imbalsamazione, è comunque indubbio lo sviluppo delle tecniche usate per
preservare l’integrità fisica e spirituale del corpo, poiché preservandolo
dalla putrefazione, gli Egizi, volevano consentire all’anima del defunto di raggiungere
il mondo sotterraneo per trascorrervi una seconda vita.
I
rituali e le prime rudimentali tecniche di imbalsamazione compaiono solo nel
corso dell’Antico Regno (2778-2220 a. C.), alla fine della III dinastia
(2700-2625) i morti venivano semplicemente avvolti in bende impregnate di
resina. In realtà i riti osiriaci della mummificazione non fanno che utilizzare
una credenza molto più antica, infatti ci sono tracce di bitume perfino su
qualche morto preistorico. La tecnica di imbalsamazione non era però ancora
tanto evoluta da permettere una lunga conservazione dei corpi, tanto che sotto
le fasciature, di alcune mummie rinvenute, sono rimaste soltanto ossa e
brandelli di pelle, che si sono disintegrate al primo contatto con l’aria. E’
solo a partire dalla IV dinastia (2625-2510 a. C.) che si iniziò ad asportare i
visceri quali: intestino, polmoni, fegato e stomaco che venivano collocati
dentro i vasi canopi, pratica che a partire dal Nuovo Regno (1552-1069 a. C.)
divenne abituale.
Nel
Medio Regno (2160-1785) furono adottate tecniche più complesse delle quali
usufruirono dapprima esclusivamente i faraoni e poi le persone più agiate. Fu
però sotto la XXI dinastia (1069-945 a. C.) che i processi di mummificazione
raggiunsero la perfezione grazie all’arrivo di prodotti asiatici e durò fino ai
tempi cristiani, infatti, la stessa pratica, era presente anche presso i monaci
copti sia pure in maniera diversa. Dopo la caduta del Regno Faraonico
l’imbalsamazione continuò a essere praticata, anche se, con minor attenzione,
tanto che, intorno al VII secolo d.C. questa usanza fu definitivamente
abbandonata.
Le
fonti egizie quali: testi e raffigurazioni che ornano templi e sepolture,
nonché i rotoli di papiro, non affrontano mai il tema dell’imbalsamazione. La
tecnica di conservazione del corpo non ci viene rivelata e non è giunto a noi
alcun trattato con questo tipo di informazioni, questo processo non viene mai
descritto nei particolari. Fanno eccezione due papiri di Epoca Romana, che
riportano il cosiddetto “rito dell’imbalsamazione”, ma si tratta solo di
indicazioni di carattere rituale che spiegano come ungere e avvolgere le
singole parti del corpo e come proteggerle attraverso l’uso di amuleti e
formule magiche.
Il
procedimento dell’imbalsamazione però non deve essere stato, in antico, molto
diverso da quello che Erodoto (nelle Storie
II) descrisse dettagliatamente nelle sue tre fasi fondamentali: quella
delle incisioni e dell’estrazione dell’intestino, quella dell’imbalsamazione e
quella del bendaggio del defunto. Tuttavia un documento dell’Antico Regno ci
informa che le operazioni non duravano allora meno di dieci mesi. Le conoscenze
riguardanti il processo d’imbalsamazione e le relative modifiche tecniche, che
hanno subito nel corso dei secoli, si basano, unicamente, sugli studi condotti
sia sulle mummie che sulla cronaca che lo storico greco Erodoto ci riferisce (V
secolo a.C.). Le risposte che ne conseguono appaiono sicuramente corrette alla
luce dei risultati raggiunti dalla ricerca moderna.
Gli
imbalsamatori, che univano le conoscenze di anatomia umana e chimica a quelle
dei rituali religiosi, dovevano procedere con rapidità per evitare che il
cadavere, a causa del clima caldo dell’Egitto, iniziasse a decomporsi. Dopo la
morte, il corpo veniva trasportato nella “casa della purificazione” dove aveva
inizio l’operazione. Questa pratica veniva effettuata al di fuori degli
insediamenti abitativi, presumibilmente, lungo le rive del Nilo o dei suoi
canali d’irrigazione, in quanto per il lavaggio dei corpi era necessaria una
notevole quantità d’acqua. Sono proprio i resti di fibre vegetali, rinvenute
casualmente sul corpo delle mummie, che potrebbero confermare che tale
procedimento veniva eseguito all’aperto.
Almeno
per quanto riguarda il Nuovo Regno (1052-1069 a. C.), il processo di
mummificazione seguiva una sua procedura. Secondo quanto riferito da Erodoto,
dopo aver sistemato il corpo su un tavolo da imbalsamazione, di legno o pietra,
(tavoli in materiale pregiato venivano usati solo per l’imbalsamazione dei
faraoni), l’imbalsamatore
o paraschista, (persona che si occupava di eviscerare
i cadaveri) cominciava la sua opera dalla testa estraendo il cervello, dalla
scatola cranica o dal naso, per mezzo di un uncino; pratica perfezionata solo
nel Medio Regno (2160-1785 a. C.).
Probabilmente
egli lavorava con
svariati uncini, diversi tra loro, perché non solo doveva forare la
membrana dell’etmoide (osso simmetrico che fa parte della base del cranio posto
in stretta connessione con le fosse nasali) per poter entrare nella cavità
cranica, ma anche asportare la materia e la meninge encefalica. In seguito,
l’imbalsamatore, versava nella cavità cranica, ormai vuota, una miscela,
sciolta con il calore, composta da resine conifere, cera d’api e olii vegetali
aromatizzati, che poco dopo solidificava. In alcuni casi questa cavità veniva
riempita con pezzi di tela.
Gli uncini erano in bronzo e potevano raggiungere anche una lunghezza di
40 centimetri, la loro punta poteva variare molto nella forma che poteva essere ad
ago, ad uncino o a spirale. In numerosi Musei Egizi si trovano alcuni esempi di
uncini impiegati per l’imbalsamazione. Gli stessi si sono conservati perché, in
alcuni casi, tutti gli utensili e i materiali impiegati per la preparazione
della mummia venivano sepolti in una fossa accanto alla tomba.
Dopo
aver trattato la testa, l’imbalsamatore, passava al corpo che apriva sul fianco
sinistro in corrispondenza della cavità addominale, mediante un coltello
rituale in selce e asportava gli organi interni, quali: fegato, polmoni,
stomaco e intestino, che trattava poi separatamente. Dopo averli purificati e
avvolti, ciascuno in un telo di lino, li poneva nei quattro vasi canopi che
venivano tumulati nella tomba accanto alla mummia.
La
presenza dei vasi canopi è testimoniata già a partire dall’Antico Regno. Gli
stessi erano posti sotto la protezione di quattro divinità, i cosiddetti figli di Horus: Amset (dalla testa antropoide); Hapy (dalla
testa di babbuino) presenta solo la sua caratteristica pelliccia a forma di
mantello; Duamutef e Qebehsennuef(rispettivamente
dalla testa di sciacallo e di falco) indossano una parrucca.
Le divinità, nell’ordine, erano
elette ciascuna a protezione di un organo e governavano rispettivamente il
fegato, i polmoni, lo stomaco e l’intestino, le stesse, a loro volta,
erano poste sotto la protezione di Iside, Nefti, Neith, Selkit. A conferma di questa
funzione protettrice, in età ramesside si affermò l’uso di effigiare sul
coperchio di ciascun vaso canopo, la figura dei quattro figli di Horus, ognuna associata
all’organo corrispondente che conteneva. In epoca tarda anche gli organi
interni subirono il processo di mummificazione e dopo essere stati avvolti con
bende di lino venivano reintrodotti nell’addome. In seguito, i vasi canopi,
anche se ormai privi di utilità continuarono, ugualmente, ad essere collocati
nelle tombe.
Durante l’estrazione degli organi interni, il paraschista, riservava una particolare
attenzione al cuore del defunto, che,
(oltre ai reni), veniva
lasciato nel corpo. Se il cuore veniva tolto veniva sostituito con uno
scarabeo sacro. Secondo gli Egizi, il cuore, doveva restare nel corpo perchè
era la sede del pensiero e delle emozioni e perciò responsabile del carattere
di ciascun individuo.
Svuotato il corpo, il taricheuta, aveva il compito di pulire e
purificare la cavità addominale, con vino di palma ed erbe aromatiche
pestate; per dare al corpo un aspetto il più possibile somigliante
all’originale, riempiva la cavità toracica e quella addominale con tamponi
imbevuti di resine, mirra pura tritata, cannella ed altri aromi, (escluso
l’incenso); raramente si ricorreva al fango del Nilo oppure a fibre vegetali
profumate.Bocca e narici venivano riempite con grani di pepe,
in quest’ultime venivano inoltre inseriti dei tamponi. Finita questa operazione
il taglio veniva ricucito oppure veniva ricoperto con una placca.
Seguiva poi la fase più importante dell’imbalsamazione: il taricheuta aspergeva
il corpo con il carbonato idrato di sodio (natron). Questa sostanza,
altamente igroscopica, serviva ad asciugare i tessuti corporei
dell’acqua in essi contenuta, permettendo al corpo di conservarsi e
per evitare che le carni diventassero scure, in conseguenza di questo
trattamento, alcune parti del corpo venivano ricoperte di ocra: rossa per gli
uomini e gialla per le donne. Questo
processo durava all’incirca settanta giorni, trascorso questo tempo i
tessuti erano perfettamente asciutti e non rischiavano più la decomposizione. Il cadavere veniva
risciacquato e spalmato di resina, la sua protezione veniva assicurata da un
bendaggio che richiedeva centinaia di metri di finissimo lino.
Il
processo di avvolgimento avveniva anch’esso per gradi: le
bende dovevano essere avvolte intorno al corpo seguendo un rituale ben preciso che era uguale sia per i sovrani che
per la gente comune. La sola differenza consisteva nel valore degli
amuleti che venivano posti su alcune parti del corpo e nella qualità della
stoffa impiegata. Si
iniziava prima dalle dita, una dopo l’altra, poi le braccia,
quindi le gambe comprese
le dita dei piedi e il fallo, poi
tutto il corpo, precedentemente ricoperto da una specie di sudario, per ultima veniva avvolta la
testa.
Alla mummificazione seguiva il funerale vero e proprio con la sistemazione del corpo nella tomba, la sua tipologia poteva variare
a seconda dello stato sociale del defunto: da semplici inumazioni nelle sabbie
del deserto a sepolture in tombe riccamente decorate arricchite con preziosi
corredi funebri.
Un buon lavoro di imbalsamazione è senz’altro quello fatto sul corpo di
Ramses II, faraone della XIX dinastia, che regnò dal 1279-1213 a. C.. Alla sua morte fu sepolto in
una tomba, scavata nella roccia,nella Valle dei Re.
La mummia si salvò dalle razzie dei predatori di tombe perché intorno all’anno
1000 fu spostata a Deir el-Bahari, vicino Tebe, qui rimase, distesa in un
sarcofago di cedro, fino al 1881 quando fu scoperta e portata al Museo Egizio
del Cairo da Gaston Maspero. Nel 1976, per evitare che i funghi ne
distruggessero il corpo, fu portata a Parigi nel Musès dell’Homme per essere
studiata e sottoposta alla radiosterelizzazione con raggi gamma. Nel 1977 la
mummia, “curata”, riavvolta nelle bende e riadagiata nel sarcofago fu
restituita al suo Museo.
Un esempio di imbalsamazione mal riuscita è sicuramente quella praticata
sul corpo del giovane Tutankhamon, faraone della XVIII dinastia, che visse tra il 1343
e il 1323. Probabilmente la fretta nell’eseguire le operazioni di
imbalsamazione, hanno fatto sì che olii e resine incollassero e indurissero
tutto il corpo ad eccezione del volto, dei piedi e delle mani che erano
protetti da involucri d’oro, di cui la famosa maschera. L’ossidazione dei composti
resinosi aveva quasi completamente carbonizzato i tessuti e le ossa.
La grande quantità di unguenti ha richiesto metodi drastici per staccare il
corpo dal sarcofago, con la conseguenza che lo hanno spezzato in varie parti.
La mummia di Tutankhamon, scoperta nel 1922 da Carter, è esposta, nella Valle
dei Re, nell’anticamera della sua tomba, in una teca in plexi-glass
climatizzata.
Vari
esempi di corpi
mummificati, risalenti al V secolo a.C., sono stati rinvenuti nel 1920 quando alcuni archeologi russi
entrarono in alcuni
kurgan (lunghi tumuli)
di Pazyryk e di Bašadar (località della Russia).
Ed
è proprio in una fossa scavata nel terreno gelato che questa popolazione,
stabilitasi sul lato sud-orientale dei Monti Altaj,
a 1600 metri s.l.m., seppelliva i propri morti.
Lo straordinario stato di
conservazione di alcuni
di essi va sicuramente messo
in relazione con il clima dei
Monti dell’Altaj piuttosto che con la qualità dell’imbalsamazione. Com’è noto,
sull’Altaj, sotto il terrapieno che andava a formare il kurgan si creava uno
speciale microclima, con una temperatura costantemente bassa, che provocava la
formazione di ghiacci eterni.
La
struttura del kurgan presentava una fossa, le cui pareti di tronchi andavano a
delimitare la camera mortuaria, dove veniva posto il sarcofago, ricavato da un
unico tronco d’albero, all’interno del quale veniva posto il corpo imbalsamato
del defunto.
Tutti i corpi inumati erano stati sottoposti a varie pratiche
imbalsamatorie, anche se, ognuna era stata eseguita in modo diverso. In alcuni casi il sistema di
imbalsamazione era semplice, in altririsultava più complesso.
È possibile che questa differenza
sia però da mettere in relazione con il
diverso grado di abilità dei vari imbalsamatori ma comunque operazioni sempre
realizzate da individui in possesso di conoscenze particolari.
La pratica più semplice si riscontra sul corpo di
una mummia rinvenuta nel kurgan di Bašadar (distante 200 km da Pazyryk) che
presentava solo un’incisione praticata all’altezza
dell’inguine, da dove venivano estratti gli organi interni, poi semplicemente ricucita.
Un’operazione più complessa si rileva invece su un’altra mummia ritrovata sempre a Bašadar. In questo
caso furono perforate
tutte le ossa tubolari
più grandi delle estremità, ciò per permettere,
probabilmente, l’introduzione di sostanze conservanti nelle cavità delle ossa
stesse. Studi sul corpo hanno evidenziato che, lo stesso, venne privato inoltre
dei legamenti e dei muscoli.
Una delle mummie, appartenente ad un uomo, probabilmente ucciso, di età
compresa tra i cinquanta e i sessant’anni, proviene, invece, dal kurgan di
Pazyryk: la sua testa era
priva dello scalpo, mentre il corpo
presentava un’incisione che parte dal limite inferiore destro della cassa
toracica, passando a pochi centimetri dall’ombelico, e terminava sulla parte
anteriore dell’osso iliaco destro. Una volta eliminate le parti
interne, il taglio era
stato ricucito con dei tendini ritorti. Nella parte interna delle braccia e
delle gambe erano state praticate delle incisioni necessarie per eliminare i
muscoli.
Uno stato di conservazione migliore si rileva in una mummia di donna proveniente anch’essa da Pazyryk. Il capo era stato completamente rasato,
le trecce, le cui estremità erano avvolte in merletti, vi si trovavano accanto. La testa, che presentava un’apertura quadrata nella
zona dell’osso sincipite(prominenza ossea posta tra le due orecchie),
era stata vuotata e riempita
di terra. Il
foro era stato poirichiuso
con il frammento d’osso rimosso e la pelle intorno era stata ricucita con dei
fili ricavati dai crini di cavallo. La cavità addominale mostrava un
taglio che partiva dalla cassa toracica e arrivava fino alla parte inferiore
del ventre. Dopo l’eliminazione degli organi interni e
prima di ricucire le incisioni, le cavità erano state riempite con steli e
radici di piante. Anche
la parte del dorso era stata interessata da tagli, gli stessi interessavano i
reni, entrambe le natiche, i fianchi e le tibie, mentre una
parte dei muscoli era stata eliminata. La pelle, come il ventre, erano
stati anch’essi ricucite con crini di cavallo. La donna di media statura, al
momento della morte aveva, probabilmente, da poco superato i quarant’anni.
Sensazionale
è stato il ritrovamento di un
uomo dal corpo ricoperto da un tatuaggio che decorava entrambe le braccia,
la gamba destra, parte del petto e del dorso. Il tatuaggio ben eseguito rappresenta
animali fantastici, felini, un montone e un pesce. Pressochè identico, a quello
dell’uomo, è il tatuaggio presente sul corpo
imbalsamato di una donna ritrovato, nel 1993, in un kurgan, di
Ak-Alakh, sull’altipiano di Ukok. La giovane donna morta più o meno all’età di
venticinque anni mostra
entrambe le braccia ricoperte (dalle
spalle alle mani) da tatuaggi resi con un colore blu che ne
permetteva bene la lettura sulla pelle chiara. Visto che, nei due disegni, si
riscontrano delle similitudini è ipotizzabile che gli stessi possano essere
stati eseguiti dallo stesso artista.
Alcuni
campioni prelevati dalla testa e dalla cassa toracica di queste mummie
presentano frammenti di tessuto e resti vegetali erbosi. Si sono rilevate,
inoltre, impurità di carbonato di calcio e di quarzo in forma di piccole
particelle. Per la mummificazione, testa e corpo sono stati impregnati di un
misto di resina ricavata dalla mescolanza di dammara e gommalacca, con aggiunta
di olio e cera d’api. La presenza di cera sul corpo delle mummie testimonia che
il sistema di imbalsamazione praticato sull’Altaj era molto simile agli esempi
Sciti.
Il
processo di mummificazione non è soltanto indotto dall’uomo ma vi sono casi di
mummificazione causati da fenomeni naturali e che potremo definire: mummificazione naturale.
L’aspetto
di una mummia “naturale” è quello di un corpo
dal colorito brunastro la
cui pelle ha la
consistenza del cuoio o della pergamena, la stessa aderisce del tutto
alle ossa in quanto la carne, composta prevalentemente d’acqua, si è ritratta.
Questo
tipo di mummie sono state ritrovate
in diverse parti del mondo e
per ottenere questo processo sono necessarie condizioni climatiche molto
particolari. In Europa, come in Italia, le
torbiere, i ghiacciai e le cripte delle
chiese contengono corpi che si sono mummificati in modo naturale.
Si
sapeva già da tempo che il ghiaccio
rappresenta una condizione ottimale per
la conservazione dei resti organici, ma trovare a tutto tondo un uomo risalente tra il 3300 e
il 3200 a. C. (età del rame), è davvero un fatto eccezionale.
Nel settembre del 1991,
mentre, i coniugi Simon stavano compiendo un’escursione nell’alta
Val Senales, sotto il Giogo
di Tisa, nel Gruppo
del Similaun, s’imbatterono, (ad una quota di 3213 metri s.l.m.), nel
cadavere mummificato e congelato di un uomo che affiorava dalla neve.
Il
corpo pressoché intatto della Mummia del Similaun e informalmente chiamato Otzi (vista la vicinanza del luogo della
scoperta con la Valle austriaca della Otzatal), al momento del ritrovamento
pesava appena 13 chili. Successivi studi hanno stabilito che il corpo apparteneva ad un
uomo di circa trentacinque/quarant’anni, alto poco più di 1,60 metri e
del peso di 50 kg. Otzi era vissuto
fra il 3352 e il 3108 a.C.
Ulteriori analisi hanno evidenziato la presenza di una
punta di freccia in
selce all’interno della spalla
sinistra; alcune ferite ed abrasioni portano ad ipotizzare che l’uomo morì di morte violenta piuttosto che per cause naturali, come
era stato supposto in un primo momento. Si può immaginare che, una volta
ferito, cadde a terra con la faccia in giù e morì da solo, come forse era vissuto.
Poi sopraggiunse la disidratazione che a basse temperature provocò la
mummificazione. Il suo
corpo restò nascosto nel
ghiaccio fino a quando fu fortunatamente visto e recuperato.
I primi studi sul corpo di Otzi, compiuti
da esperti provenienti da tutto il mondo, furono effettuati a Innsbruck (Austria). Solo successivamente,
riconosciuto che il luogo di ritrovamento si trovava in territorio italiano, la
mummia venne trasferita a Bolzano e collocata nel nuovo Museo Archeologico dell’Alto
Adige che la mantiene
nelle giuste condizioni di conservazione pur permettendone la fruizione al
pubblico. Nella Valle del rinvenimento è stato invece realizzato l’Archeoparc
Museum Val Senales, un Museo interattivo che illustra le numerose
scoperte ottenute grazie a tale ritrovamento e ricostruisce, in base agli
oggetti recuperati e che costui portava con sé, l’ambiente di vita di Otzi.
L’importanza scientifica e storica di questo corpo umano preistorico è
enorme: per la prima volta la scienza medica può disporre del materiale
genetico, del sangue e del cervello di un uomo così antico. Tutto ciò ha
permesso con grande interesse di documentare la straordinaria scoperta e di
risalire all’età, al sesso ed al peso prima della morte dell’uomo venuto dal
ghiaccio. Con i suoi 57 tatuaggi,
Otzi, è considerato il
primo essere umano tatuato di cui si abbia conoscenza.
Fonte: www.ilpatrimonioartistico.it
Nell'immagine: mummia egizia al Louvre, fonte: www.panoramio.com
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