domenica 26 ottobre 2014
Autonomia speciale e Lingua Sarda di Massimo Pittau
Autonomia speciale e
Lingua Sarda
di Massimo Pittau
Tutte le volte che incontro l'amico Diego Corraine provo un
senso di malinconia e pure di mortificazione: perché corro con la memoria agli
anni Settanta, quando fondammo la «Sotziedade pro sa Limba Sarda», io
presidente e lui segretario, e in questa veste organizzammo incontri e
manifestazioni in tutta la Sardegna per la salvaguardia e il recupero della
lingua sarda. Dopo però ci separammo e la Sotziedade scomparve, quando lui
credette di proporre per la Sardegna una “lingua unificata”, creata a tavolino
e scritta alla maniera della lingua spagnola, mentre io non ci credetti per
nulla. Sta però di fatto che il suo tentativo fallì per due volte per
l'ostilità dei Sardi, soprattutto dei Campidanesi - che sono i parlanti più
numerosi - quando si accorsero che avrebbero dovuto adoperare una “lingua
unificata”, che era una forma di logudorese annacquato. E da allora abbiamo
continuato ad assistere alla dissardizzazione linguistica dei Sardi, effettuato
in forma massiccia dalla scuola, dai mass media, dalle canzonette, dallo sport,
ecc.
E malinconia unita a mortificazione mi è venuta quando
qualche giorno fa Diego ha pubblicato un articolo, del quale condivido quasi
tutte le considerazioni: che la lingua costituisce il fattore primo e
principale di ogni etnia; che la Regione Sarda non si è impegnata al fine di
applicare e far applicare realmente una legge regionale e una statale, che pure
sono state promulgate, in difesa del sardo e delle altre lingue di minoranza;
che una politica in difesa della lingua sarda, mandata avanti con chiarezza e
con impegno avrebbe anche le sue ricadute positive di carattere occupazionale a
favore dei giovani sardi, ecc.
Eppure, come ho detto e scritto altre volte, ci sarebbe un mezzo
del tutto facile e molto efficare, il quale, adottato, consentirebbe non
soltanto la salvaguardia della lingua sarda, ma pure il suo recupero nella
scuola, nell'amministrazione, nella politica e nella cultura. Si tratterebbe di
fare entrare nello Statuto della Regione Autonoma Sarda, un solo nuovo
articolo, in perfetta analogia con quanto avviene per gli Statuti delle Regioni
Autonome Valdostana e Altoatesina: nella Val d'Aosta e in Alto Adige nessuno
può entrare e operare nella scuola e negli uffici pubblici se non conosce la
lingua francese e quella tedesca rispettivamente. Ebbene, se noi Sardi vogliamo
salvaguardare veramente la nostra lingua sarda, la nostra cultura e la nostra
etnia, dovremmo chiedere e pretendere l'inserimento nello Statuto Regionale
Sardo di questo nuovo unico articolo, con tre commi: «In Sardegna nessuno può
insegnare e operare nelle scuole se non conosce e adopera la lingua sarda. A)
Ogni insegnante ha l'obbligo di conoscere in maniera passiva e attiva una delle
varietà dialettali della lingua sarda e conoscere in maniera passiva almeno
un'altra varietà. B) Nell'elenco e nella scelta delle varietà dialettali da
adoperare nelle scuole sono da includere, con uguali diritti e uguale dignità,
anche quelle di ulteriore minoranza, cioè alloglotte: gallurese, sassarese,
algherese e tabarchina. C) L'uso della
lingua sarda e/o delle varietà alloglotte, unitamente a quello della lingua
italiana, deve avere anche un carattere strumentale, cioè deve valere anche
nell'insegnamento di tutte le altre discipline scolastiche».
A questo punto prevedo un'obiezione: quale sarebbe la lingua
sarda da adoperare nelle scuole? Per me la risposta è del tutto facile e
semplice: la lingua sarda ha due varietà fondamentali, il logudorese e il
campidanese, entrambe ormai formalizzate, entrambe intercomprensibili per tutti
i Sardi, la prima adoperata nel Capo di Sopra, la seconda nel Capo di Sotto,
entrambe ormai in possesso di un notevole patrimonio di letteratura in poesia e
in prosa. A questo proposito si deve pur
sapere che ormai abbiamo sia nella varietà logudorese sia in quella
campidanese, componimenti poetici di elevato valore letterario, spesso molto
superiore a quello della poesiola “T'amo o pio bove” o alla lunga tiritera di
“Davanti San Guido”.
Però io escludo con
decisione che come lingua sarda sia considerata quella che è stata inventata e
denominata la “limba comuna”: secondo me - che sono il linguista che ha scritto
più di tutti sulla lingua sarda - questa non è altro che un “grosso pasticcio messo
su da grandi pasticcioni”, che la Regione ha avuto la sventatezza di adottare
ufficialmente, mentre, esclusi gli inventori, nessun altro Sardo la adopera e
nessun altro Sardo la vuole.
Un'ultima considerazione, ma non la meno importante:
nell'insegnamento e nell'uso del sardo nelle scuole si dovrebbero distinguere
bene due momenti, l'”orale” e lo “scritto”: ebbene rispetto all'orale nelle
scuole si dovrebbe insegnare e adoperare il “suddialetto locale”, anche quello
del più piccolo villaggio dell'Isola: a Cagliari si dovrebbe insegnare su
casteddaju, a Villaputzu su sarrabbesu, a Lanusei su lanuseinu,
a Nùoro su nugoresu, a Ollolai su ollollaesu, a Ozieri su
ottieresu e via dicendo. Con questo procedimento si otterrebbe il grande
risultato di coinvolgere nell'operazione della salvaguardia e del recupero
della lingua sarda anche la generazione dei vecchi, i quali sarebbero assai
contenti di poter insegnare ai loro nipotini il suddialetto del loro sito
natale. Invece nel momento dello scritto gli insegnanti dovrebbero richiedere
dagli alunni l'uso del logudorese comune nel Capo di Sopra e del campidanese
comune nel Capo di Sotto. Nelle zone alloglotte, Carloforte, Alghero, Sassari,
Castelsardo, Gallura si dovrebbero ovviamente insegnare le rispettive parlate.
Massimo Pittau, dell'Università di Sassari
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Massimo Pittau scrive:
RispondiEliminaHo saputo che alcuni “periti” od “esperti” si sono lamentati del fatto che io abbia definito “sa limba comuna” un “grosso pasticcio messo su da grandi pasticcioni”, che però è stata adottata - niente meno - dalla Regione Autonoma Sarda. Ma io non ritiro il mio giudizio e sono tentato di peggiorarlo per le seguenti considerazioni: I) “Sa limba comuna” estranea ed esclude dalla operazione della salvaguardia e del rilancio della lingua sarda due intere generazioni di Sardi, quella degli adulti e quella dei vecchi; questi infatti non si presteranno mai a studiare ex novo questo “pasticcio” per poi insegnarlo alla generazione dei giovani. II) Essa estranea ed esclude tutti i Campidannesi parlanti, con is Casteddajus in testa, i quali non accetteranno mai “sa limba comuna”, che non è altro che un logudorese annacquato e che d'altronde sono molto più numerosi dei Logudoresi parlanti. III) Essa estranea ed esclude tutti i parlanti delle varietà alloglotte, Carlofortini, Algheresi, Sassaresi, Castellanesi e Galluresi, i quali non ci tengono per nulla ad avere “sa limba comuna” come lingua ufficiale della loro Regione. IV) “Sa limba comuna” è un pasticcio anche sul piano della ortografia, dato che viene scritta con le lettere scempie, anziché doppie, per indicare le esplosive sorde, forti o lunghe, cioè atu, fatu, note, oto, sete, ecc., invece che attu, fattu, notte, otto, sette, ecc.,secondo la rispettiva etimologia latina actu(m), factu(m), nocte(m), octo, septe(m), ecc. ed inoltre secondo una lunga tradizione di ortografia sarda. Su questo specifico argomento mente sapendo di mentire chi va in giro dicendo che questa decisione era stata adottata dalla I Commissione regionale per la lingua sarda, di cui facevo parte anche io: quella I Commissione invece aveva adottato alla unanimità la delibera di mantenere la duplicazione delle consonanti anche per indicare la loro particolare lunghezza o forza.
Si facciano avanti i “periti ed esperti” per difendere la loro creatura; citino i loro nomi e dimostrino su che cosa si fonda la loro “perizia ed esperienza” linguistica.