Archeologia in Sardegna. Il Giardino delle Esperidi a Cagliari?
di Giuseppe Mura
Questa argomentazione è tratta da “Sardegna l’isola
felice di Nausicaa”, volume che illustra la potenza nuragica nel Mediterraneo
attraverso la rilettura delle fonti antiche paragonate con altre discipline
scientifiche come l’archeologia, l’antropologia e la morfologia del territorio.
La ricostruzione dello scenario politico-economico
del Mediterraneo esistente nell’Età del Bronzo, comprendente anche la Sardegna
nuragica, proietta gli antichi Sardi in Egitto e nel Vicino Oriente (conosciuti
come SRDN), nell’isola di Creta e in Anatolia (conosciuti come Cari-Fenici) e
nella Grecia continentale (conosciuti come Pelasgi-Tirreni). Ora, accettando
l’esistenza, nel versante occidentale del Mediterraneo, di una cultura nuragica
capace di competere con le maggiori potenze orientali nella navigazione, nelle
costruzioni, nella produzione di manufatti in bronzo e nelle arti, è del tutto
verosimile che tali potenze conoscessero la Sardegna e i Sardi in modo diretto
o indiretto.
Mi riferisco in particolare ai Greci della cultura
micenea, i quali testimoniano, tramite la tradizione orale messa per iscritto
ad iniziare da Omero, dell’esistenza di una lontanissima isola felice che, a
dispetto dei differenti nomi, risulta sempre collocata ai confini del loro
mondo conosciuto, nel mare Oceano e al tramonto del sole. Tutte le narrazioni
riferite a quest’isola felice la descrivono con ammirazione e con punte di
struggente nostalgia, tanto è vero che il luogo diventa una delle mète favorite
per i grandi eroi e per alcune divinità. Le caratteristiche geografiche e
ambientali di quest’isola felice corrispondono sempre a quelle della Sardegna.
In tal caso, ammettendo che la conoscessero direttamente o indirettamente, con
quali nomi gli antichissimi Greci indicavano l’isola dei nuraghi?
Tempo fa il prof. Massimo Pittau, sempre in questo
spazio dedicato alla discussione, ha presentato un articolo dal titolo: “Il mitico Giardino
delle Esperidi era localizzato in Sardegna?”. Ebbene, uno dei tanti
nomi utilizzati dai Greci per riferirsi all’isola felice è proprio quello del
Giardino delle sorelle Ninfe. Tuttavia il prof. Pittau, nell’occasione, ha
considerato questo mito “esclusivamente e totalmente una leggenda”, pertanto si
è limitato a “tentare di ricostruire la sua localizzazione geografica” in
Sardegna basandosi su considerazioni storico-geografiche, ovvero quelle che
vedevano l’Occidente degli antichi Greci rappresentato dalla nostra isola, e su
considerazioni di carattere geo-naturalistiche legate anche al mito di Eracle.
Riprendo questo argomento formulando un’ipotesi che non solo colloca in
Sardegna la residenza del Giardino delle Esperidi, ma lo identifica con una
località ben precisa.
Ferme restando le considerazioni di carattere
linguistico che riconducono il termine “Esperidi” alle Ninfe della sera e della
Notte, e quindi alla generica collocazione del Giardino che le ospitava
all’Occidente e al tramonto del sole dei Greci, va anche detto che Esiodo
conferma ulteriormente questa collocazione quando recita:
Atlante il cielo ampio
sostiene, a ciò costretto da forte necessità,
ai confini della terra, di fronte alle Esperidi dal canto sonoro,
con la testa facendo forza e con le infaticabili braccia;
tale destino assegnò a lui Zeus accorto.1
Non a caso Atlante e le sorelle Ninfe si trovano
“di fronte”: entrambi presidiano il tramonto del sole dei Greci. Infatti,
mentre il dio evita che il cielo crolli sulla terra, le Esperidi della tarda
sera devono custodire i pomi d’oro del loro stupendo Giardino. Siamo di fronte
a personaggi considerati come occidentali per eccellenza dai commentatori
antichi e moderni. Lo stesso Esiodo chiarisce che la sede delle Esperidi era
“al di là dell’inclito Oceano”.2 È
noto che l’Oceano, per la sua enormità e forse, nel ricordo del primordiale
diluvio, nel pensiero degli antichi rappresentava una perenne minaccia per
l’esistenza umana: tutto poteva scomparire improvvisamente nell’immane distesa
d’acqua, compreso lo spazio vitale rappresentato dal territorio.
Per i Greci in particolare l’Oceano era
rappresentato da un grande fiume dal quale hanno origine tutte le acque; questo
concetto deriva in particolare dalle opere omeriche ed esiodee, anche se in
esse prevale la concezione di un Oceano collocato al tramonto del sole, quindi
identificabile nel Mediterraneo occidentale. Infatti, è impensabile che i Greci
intendessero collocare nell’immenso Atlantico il Giardino delle Esperidi visto
che lo stesso Erodoto, pur essendo un espertissimo viaggiatore che scrisse
circa quattro secoli dopo Omero ed Esiodo, ammetteva candidamente di ignorare
la geografia dell’Occidente: “Quanto alle regioni estreme d’Europa, verso
occidente non sono in grado di parlarne con certezza”.3 D’altra
parte, molte opere greche riferite all’Età del Bronzo, identificano chiaramente
l’Oceano col mare “esterno”, che non conoscevano, rispetto al mare “interno”
nel quale navigavano senza problemi. Dopo molti secoli Aristotele, intorno al
330 a.C., separa il Mediterraneo in due parti, collocando nel mare interno i
due golfi nordafricani della Sirte.4 Timeo
di Taormina, intorno al 320 a.C., narra del fiume Rodano che sfocia
nell’Atlantico, ma contemporaneamente colloca la Sardegna nel mare Oceano:5 il
suo “Atlantico” corrispondeva evidentemente all’Oceano ed entrambi era
collocati nel mare esterno dei Greci. Intorno al 45 a.C Diodoro Siculo cita il
mare Oceano riferendolo all’isola di Malta occupata dei Fenici, i quali
estendevano la loro sfera d’influenza sino “all’Oceano occidentale”; lo stesso
storico, descrivendo la costa africana del Mediterraneo, afferma che il lago
Tritonide si “affaccia sull’Oceano”.6
Infine, e siamo nel secondo secolo, san Giustino riprende il racconto sulla
fondazione di Marsiglia da parte dei Focei e afferma che essi, nell’occasione,
arrivarono nel golfo Gallico, collocato “ai limiti dell’Oceano”.7
Ma torniamo al nostro Giardino. A prescindere
dall’aspetto mitologico e dalla generica collocazione occidentale e in Oceano,
esistono i presupposti per precisa identificazione della residenza delle
Esperidi? Ovvero, le fonti che narrano delle sorelle Ninfe contengono
informazioni sufficienti per ipotizzarne la dislocazione? Il primo autore greco
che illustra la residenza del Giardino delle Esperidi è Stesicoro. Ecco alcuni
brani del poeta risalenti al VII secolo a.C.:
Quasi di fronte alla
famosa Eritea,
presso le sorgenti
innumerevoli dalle radici d’argento
del fiume Tartesso, nelle
caverne di una roccia ella partoriva
attraverso le onde del
mare profondo giunsero
all’isola bellissima
degli dei […].
Tra i flutti del profondo
mare giunsero
all’isola stupenda delle
dee,
laddove i pomi d’oro
hanno le Esperidi. 8
Quindi Stesicoro identifica Eritea, una delle
sorelle Esperidi nota anche come Erizia (la rossa), in un’isola che chiama
“stupenda delle dee”. Al di là della contemporanea identificazione delle
sorelle (tre o quattro a seconda della fonte) come personaggi antropomorfi e
isole, abbastanza comune nelle fonti greche, la residenza delle Ninfe si trova
“presso le sorgenti innumerevoli dalle radici d’argento” di Tartesso, a sua
volta collocata nell’ “isola bellissima degli dei” raggiungibile “attraverso le
onde del mare sonoro”. La citazione della misteriosa Tartesso, della quale non
sono mai stati mai rinvenute le vestigia archeologiche, accentua, se possibile,
le difficoltà, anche se ora sappiamo di poter puntare la ricerca su isole
collocate nel Mediterraneo occidentale.
In queste isole felici, collocate al tramonto del
sole di Greci, Esiodo fa risiedere le anime degli eroi morti nella battaglia di
Troia:
E là la morte finale
avvolse il
padre Zeus, figlio di
Crono, stabilì lontano dagli uomini
fornendo loro mezzi e
luoghi di vita, ai confini del mondo. Ed
essi abitano nelle Isole
dei Beati, presso l’Oceano dai gorghi
profondi, avendo il cuore
senza affanni, eroi felici, ai quali
tre volte l’anno la terra
feconda porta frutti fiorenti, dolci di miele.9
Quindi ancora isole, stavolta dei Beati, collocate
ancora presso l’Oceano e ai confini del mondo.
Anche l’Isola dei Beati di Pindaro rappresenta una
sorta di paradiso terrestre:
E quanti, sostando tre
volte
e di qua e di là, sgombra
da colpe tennero l’anima
sempre, percorrono la
strada di Zeus
fino alla città turrita
di Crono, ove brezze d’Oceano alitano
Intorno all’Isola dei
Beati e fiori d’oro scintillano,
quali al suolo di piante
rigogliose e quali nutriti dall’acqua,10
Con Omero l’isola felice diventa la pianura Elisia:
Nella pianura Elisia, ai
confini del mondo,
ti condurranno gli
eterni, dov’è il biondo Radamanto,
e là bellissima per i
mortali è la vita:
neve non c’è, non c’è mai
freddo né,
ma sempre soffi di Zefiro
che spira sonoro
manda l’Oceano a
rinfrescare quegli uomini:11
La collocazione isolana di Erizia e del Giardino
proposta da Stesicoro rimane invariata per alcuni secoli e sino ad Erodoto. Lo
storico di Alicarnasso, descrivendo la residenza dei Macli dell’Africa
settentrionale, colloca le Esperidi nelle zone interne della Libia e nei pressi
del lago Tritonide, interessato dalla foce del fiume Tritone e da un’isoletta
interna chiamata Fla.12
Anche Apollonio Rodio, nel III secolo a.C. e per ragioni di continuità
geografica del viaggio degli Argonauti che qui sarebbe troppo lungo raccontare,
colloca in Libia il Giardino delle Esperidi, facendolo visitare da Giasone e
del suo equipaggio. La collocazione africana della sede delle Esperidi rimane
però un caso isolato nella storia: Apollodoro, il “sintetizzatore “ per
eccellenza,13 dopo
circa un secolo da Apollonio Rodio la smentisce categoricamente riconducendola
nelle vicinanze di Atlante, quindi oltre l’Oceano occidentale e al tramonto del
sole dei Greci. Infatti, mentre narra dell’undicesima fatica di Eracle afferma:
“Questo [il Giardino delle Esperidi] si trovava non, come alcuni hanno detto,
in Libia, bensì sul monte di Atlante”.14
Anche i commentatori moderni delle opere antiche
smentiscono la collocazione libica del Giardino delle Esperidi. Le
considerazioni più comuni a tale proposito si avvicinano alle seguenti: “non
corrisponde assolutamente alla realtà” o “variante rara di una tradizione che
le voleva all’estremo occidente”. Nell’opera di Apollonio Rodio gli Argonauti,
per arrivare al Giardino delle Esperidi e al lago Tritonide, attraversano il
deserto libico portando addirittura a braccia la nave Argo. Ecco il brano che
narra del viaggio e dell’incontro con le sorelle Ninfe:
Lontano lontano, sempre
portando la nave, entrarono
lentamente nelle acqua
del lago Tritonide, e la deposero
dalle solide spalle. Si
lanciarono come cani rabbiosi
a cercare una fonte;
perché s’era aggiunta l’arida sete
alla fatica e al dolore;
ma non cercarono invano.
Arrivarono alla sacra
pianura dove, ancora il giorno prima,
il drago nato dalla
terra, Ladone, vegliava le mele
nel regno di Atlante, e
intorno le Ninfe Esperidi
svolgevano il loro
ufficio, intonando un amabile canto.15
Pertanto, anche i due autori che collocano il
Giardino in Libia, confermano in parte la versione proposta da Stesicoro e
Esiodo: la presenza delle Esperidi insieme a quella di Atlante, l’esistenza di
un’isola, collocata stavolta all’interno di un lago, e del fiume Tritone.
Inoltre Apollonio propone l’esistenza di una “sacra pianura”, già citata da
Omero come “pianura Elisia”. Gli Argonauti, una volta posata la nave sulle
acque del lago, evidentemente salato perché cercano furiosamente l’acqua per
bere, non riescono ad uscirne. Il dio Tritone, intervenuto in loro aiuto,
suggerisce un percorso di uscita che davvero non si presta ad una collocazione
in pieno deserto e all’interno del continente africano.
Eccola:
e Tritone stese la mano e
indicò loro
in lontananza il mare e
la bocca profonda
del lago, e si rivolse
agli eroi in questo modo:
“Il passaggio è laggiù,
dove l’acqua è nera, profonda ed immobile;
da ambo le parti si
levano candidi e alti
marosi: in mezzo ad essi
è uno stretto cammino
che porta di fuori. Là,
oltre Creta, si stende
il mare nebbioso fino
alla terra di Pelope.
Ma quando dal lago sarete
usciti nel mare,
dirigetevi a destra, e
tenetevi stretti alla terra
finché risale, poi quando
piega dall’altra parte,
vi si apre un viaggio
sicuro, dopo che avrete
passato il promontorio.16
Tritone, posizionato all’interno del lago e
lasciata alle sue spalle la pianura dove scorre il fiume, indica il mare “in
lontananza” e il passaggio che consente di uscire dal lago. Superato il canale
consiglia di deviare a destra e di seguire il promontorio sino a quando sarà
doppiato; solo dopo si aprirà il “viaggio sicuro” nel mare aperto. Queste
informazioni sono sufficienti per localizzare il luogo di residenza delle
Esperidi? Si tratta, tutto sommato, di una morfologia che, pur essendo
abbastanza dettagliata, non presenta nulla di particolare o di eccezionale e
potrebbe essere comune a molte regioni mediterranee. Tuttavia non è davvero
comune il fatto che una conformazione simile, illustrata nella medesima
sequenza, la presentino anche altre isole felici dei Greci, isole che hanno in
comune col Giardino delle Esperidi anche la collocazione in Occidente, nel mare
Oceano e ai confini del mondo conosciuto dai Greci. Mi riferisco in particolare
alla Scheria omerica, all’Ade-Tartaro di Omero ed Esiodo e, in parte,
all’Atlantide di Platone. Infatti, anche queste isole presentano un percorso di
avvicinamento e una morfologia identica a quella del Giardino, compreso
l’isoletta (o più isole) collocata all’interno del lago.
A questo punto torniamo all’ipotesi che colloca in
Sardegna del Giardino delle Esperidi: esiste nell’Isola un luogo che
corrisponde alle particolari caratteristiche geografiche e morfologiche
richieste? Fornisco la risposta presentando il disegno della regione di
Cagliari prima dei lavori di realizzazione del porto canale, quindi una
situazione abbastanza vicina a quella esistente in antichità (figura 1 e 2).
Invito a seguire nel disegno il percorso indicato da Apollonio Rodio. Chi si
trova in mezzo alla laguna di Santa Gilla (lago salato Tritonide) e punta lo
sguardo verso il canale che collega la laguna col mare (stretto), vede il mare
aperto; mentre alle sue spalle si trovano la foci (G) dei fiumi Mannu e Cixerri
(fiume Tritone) che scorrono nella pianura del Campidano (la pianura “sacra” o
“Elisia”). Una volta superato lo stretto segue la conferma della deviazione a
destra, necessaria per evitare di finire negli scogli del Capo S. Elia
(promontorio proteso sul mare), superato il quale si apre la via tranquilla per
il mare aperto. L’esistenza dell’isola interna è confermata dalla presenza di
Sa Iletta (C), ovvero l’isola Fla.
Resta da chiarire la presenza di due fiumi nella
regione di Cagliari, mentre la testimonianza di Apollonio ne illustra solo uno.
I fiumi Mannu e Cixerri, negli ultimi chilometri, percorrono un percorso
parallelo molto ravvicinato e solo negli ultimi decenni del secolo scorso sono
stati “imbrigliati” in appositi canali artificiali separati. In precedenza,
invece, anche in caso di piogge normali, i due fiumi si riunivano in un solo
percorso nel tratto di percorso parallelo e confluivano nella laguna in una
sola foce, quindi, agli occhi dell’osservatore, potevano apparire come un solo
corso d’acqua. La regione di Cagliari soddisfa in pieno anche le
caratteristiche del Giardino delle Esperidi di Stesicoro, in quanto la Sardegna
assume il ruolo di “isola bellissima degli dei”, raggiungibile solo
attraversando “le onde del mare profondo”, mentre Sa Iletta assume il ruolo di
Erizia, l’isola “stupenda delle dee”. La Sardegna e la regione di Cagliari,
nell’Età del Bronzo, meritavano questi meravigliosi epiteti? Io penso proprio
di si.
Intanto invito gli scettici a trovare un'altra
isola, in tutto il Mediterraneo occidentale, che risponda in modo così completo
e reale alle caratteristiche richieste dalle antiche fonti. Inoltre, gli stessi
scettici, provino ad immaginare com’era la regione di Cagliari in questione
senza le costruzioni moderne e ad osservare il tramonto del sole posizionati
nell’area F del disegno in questione, sede del primo centro abitato e
dell’antico porto (rimasto all’interno della laguna sino al 200 a.C. circa) di
Cagliari: si renderanno conto se davvero Sa Iletta meritava di occupare il
ruolo di Erizia “la rossa”. La stessa posizione di Cagliari, collocata
all’interno di un grande golfo formato da due enormi braccia montuose che
impediscono ai naviganti di approdare invitandoli a inoltrarsi verso l’interno
e verso la regione pianeggiante, “segnata” dal formidabile punto di riferimento
centrale nelle rocce bianche del Capo S. Elia, si presta, e si prestava, ad
accogliere le navi gravitanti nei mari che circondano la Sardegna meridionale.
Nessuna meraviglia, quindi, se un promontorio proteso sul mare figura sempre
nei racconti dei Greci che illustrano l’arrivo all’isola felice.
Non solo, superato il promontorio del Capo S. Elia
e lo stretto che conduce alla laguna, l’antico navigante aveva l’opportunità di
ammirare un ambiente naturale davvero fuori dal comune: il bacino imbrifero
disponeva quanto di meglio offriva la pesca, in termini di qualità e quantità;
mentre la fauna avicola va proporzionata alla situazione odierna, che vede
ancora in S. Gilla uno dei siti protetti più ricchi e variegati a livello
europeo. Ricordo inoltre, a proposito di Giardini, che nell’Età del Bronzo la
Sardegna era certamente più ricca di foreste e che le pianure erano ricoperte
dell’originaria e florida macchia mediterranea. Questa situazione restò intatta
sino all’avvento dei Cartaginesi e dei Romani, i quali non solo obbligavano ad
estirpare le foreste delle pianure per favorire l’agricoltura, ma punivano con
la morte coloro che osavano mettere a dimora nuove piante.
Infine la questioni rimaste, ad iniziare da
Tartesso, il fiume dalle “innumerevoli radici d’argento” che Stesicoro colloca
“nei pressi” e “quasi di fronte” ad Erizia: un ultimo sguardo al disegno della regione
di Cagliari consente di osservare che la posizione di Sa Iletta-Erizia,
rispetto ai fiumi, corrisponde ancora alla condizione richiesta dal poeta.
Inoltre ricordo che il fiume Cixerri nasce tra i monti del Sulcis-Iglesiente
che ospitano i giacimenti piombo-argentiferi più ricchi d’Europa e che,
appunto, risultano sfruttati sin dall’Età del Bronzo. Ma l’argomento Tartesso,
grazie all’ospitalità di Zuanne, troverà spazio in un prossimo articolo. Segue
la pianura sacra o Elisia: nessuna difficoltà ad identificarla nel Campidano,
pianura che in periodo classico diventerà altrettanto famosa come “pianura
Jolea”. Quanto all’Isola dei Beati che ospita la “città turrita di Crono” non
credo che nessuno possa muovere delle obbiezioni se la identifico con l’isola
che aveva ed ha, proprio nella torre il simbolo per eccellenza. Lo stesso regno
di Crono, collocato in Occidente, è descritto come “fortificato” da Diodoro
Siculo. Sullo stesso dio ecco la testimonianza attribuita a Timeo e ribadita
dal Suda alla voce “riso sardonio”:
Timeo dice che colà [in Sardegna] i figli
sacrificano a Crono i loro genitori di oltre 70 anni ridendo e percuotendoli
con bastoni e spingendoli verso dirupi profondi.17
A prescindere dalla veridicità della pratica del
macabro rito, in Sardegna esisteva la tradizione di celebrare culti al dio
Crono. Per concludere una testimonianza del prof. Pittau:
Tutti sappiamo che il greco Kronos è stato
identificato col dio latino Saturnus, il quale – come è abbastanza noto – molto
probabilmente era stato trasmesso ai Romani dagli Etruschi, nella cui lingua
suonava Satre. Ebbene, non deve essere privo di significato il fatto che in
Sardegna sia ancora venerato un Santu Sudurru = “San Saturno”, il quale non
trova alcun riscontro nella agiografia cristiana e che soltanto in epoca
medioevale è stato identificato col San Saturnino di Tolosa, realmente
esistito. È pertanto molto probabile che anche in questo caso il Cristianesimo
abbia proceduto a “santificare” od a “cristianizzare” una antica divinità
pagana, in ragione della sua importanza nel pantheon dei Sardi antichi, cioè
dei Nuragici.18
Sarà un caso, allora, se a Cagliari esiste una
chiesa paleo-cristiana tra le più antiche della Sardegna dedicata proprio a San
Saturnino?
Note:
1
Esiodo, Teogonia, vv. 517-520.
2
Esiodo, Teogonia, vv, 274-275
3
Erodoto, Storie, IV, 184-185.
4
Aristotele, Meteorologia, III.
5
Timeo, Storia Siciliana.
6
Diodoro Siculo, Biblioteca Storica.
7 San
Giustino, Prima e seconda Apologia del cristianesimo.
8
Stesicoro, Gerioneide, frammenti 6a, 6b e 8.
9
Esiodo, Le Opere e i Giorni, vv. 166-173.
10
Pindaro, Olimpiche, vv. 68-73.
11 Odissea,
IV, vv. 563-568.
12
Erodoto, Storie, IV, 178.
13 Si
tratta di una mia definizione, dovuta alla straordinaria capacità dello
scrittore di riassumere tutte le opere di Omero, di Esiodo, dei tragici e di
Apollonio Rodio.
14
Apollodoro, Biblioteca, II, 5.
15 Apollonio
Rodio, Le Argonautiche, IV, vv. 1391-1399.
16
Apollonio Rodio, Le Argonautiche, IV, vv. 1571-1583.
17 Fragmenta
Historicorum Graecorum, Paris, 1855, III, 28, p. 199.
18
Massimo Pittau, Ulisse e Nausica in Sardegna, Insula, Nuoro 1994: p. 68.
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