mercoledì 31 dicembre 2014
Archeologia nuragica. Nuraghi, una spinta evolutiva che plasmò i sardi
Nuraghi, una spinta evolutiva che plasmò i sardi
di Pierluigi Montalbano
C’è qualcosa che nel corso della storia spinge gli uomini a realizzare grandi opere, costruzioni che creino stupore e meraviglia in chi le osserva, ma anche prestigio per chi le possiede. Palazzi, castelli, basiliche, torri, templi, anfiteatri, cattedrali, mausolei, regge. Nel corso dei millenni, ogni civiltà ha lasciato dietro di sé una serie di capolavori straordinari, alcuni hanno resistito all’azione del tempo, altri sono scomparsi, altri sono stati volutamente distrutti o incendiati. Dietro questi monumenti ci sono delle storie di personaggi, di potere, di conquista, di glorificazione ma a volte anche di tragedie, di amore e di follia. Fra le meraviglie maestose dell’antichità, a parte le piramidi in Egitto, ne sono sopravvissute delle altre, e in migliaia di anni nessuno è riuscito a demolirle o distruggerle completamente, e sono ancora là, a raccontare nella pietra la loro storia, quella degli antichi sovrani che dominarono il territorio. Per costruire strutture di questo tipo, non è sufficiente mettere un masso sopra l’altro. Se la geometria non è precisa, man mano che si sale, la distorsione diventa sempre più visibile e si perde quella perfezione che una tale opera deve avere. I nuragici avevano cognizioni di matematica e geometria solide, ma gli esperti ritengono che si trattasse di una geometria ad uso pratico, come quella dei romani. Il loro obiettivo era quello di applicare le regole della geometria alle tecniche di costruzione, erano meno interessati alle cognizioni astratte che oggi si studiano all’Università. Ci si chiede il modo di operare di questi architetti per ottenere le costruzioni che oggi ancora ammiriamo. Gli archeologi pensano che quei maestri artigiani utilizzassero strumenti semplici come un paletto di legno e una cordicella. Il sistema ingegnoso che idearono per calcolare angoli e dimensioni, era messo in pratica semplicemente fissando un palo nella terra e descrivendo delle circonferenze. Incrociando i cerchi si ottenevano le figure geometriche necessarie. Una riflessione molto interessante riguarda la spinta propulsiva che la costruzione di queste strutture ha fornito alla nascita della civiltà nuragica. Per realizzare le colossali imprese occorreva collegare e coordinare insieme tutta una serie di capacità contemporaneamente: la progettazione architettonica, l’organizzazione del lavoro, il supporto logistico, l’assistenza medica, il flusso dei materiali, l’amministrazione e tutto ciò che è collegato a questi settori. Tutto doveva funzionare in modo fluido perché i materiali e gli uomini dovevano arrivare al momento giusto nel posto giusto. La costruzione dei nuraghe si era trasformata in un modello imprenditoriale di immense proporzioni e complessità che richiedeva grandi capacità di gestione. È quella che gli esperti chiamano “intelligenza di governo”. Con questa impresa i sardi non costruirono soltanto
di Pierluigi Montalbano
C’è qualcosa che nel corso della storia spinge gli uomini a realizzare grandi opere, costruzioni che creino stupore e meraviglia in chi le osserva, ma anche prestigio per chi le possiede. Palazzi, castelli, basiliche, torri, templi, anfiteatri, cattedrali, mausolei, regge. Nel corso dei millenni, ogni civiltà ha lasciato dietro di sé una serie di capolavori straordinari, alcuni hanno resistito all’azione del tempo, altri sono scomparsi, altri sono stati volutamente distrutti o incendiati. Dietro questi monumenti ci sono delle storie di personaggi, di potere, di conquista, di glorificazione ma a volte anche di tragedie, di amore e di follia. Fra le meraviglie maestose dell’antichità, a parte le piramidi in Egitto, ne sono sopravvissute delle altre, e in migliaia di anni nessuno è riuscito a demolirle o distruggerle completamente, e sono ancora là, a raccontare nella pietra la loro storia, quella degli antichi sovrani che dominarono il territorio. Per costruire strutture di questo tipo, non è sufficiente mettere un masso sopra l’altro. Se la geometria non è precisa, man mano che si sale, la distorsione diventa sempre più visibile e si perde quella perfezione che una tale opera deve avere. I nuragici avevano cognizioni di matematica e geometria solide, ma gli esperti ritengono che si trattasse di una geometria ad uso pratico, come quella dei romani. Il loro obiettivo era quello di applicare le regole della geometria alle tecniche di costruzione, erano meno interessati alle cognizioni astratte che oggi si studiano all’Università. Ci si chiede il modo di operare di questi architetti per ottenere le costruzioni che oggi ancora ammiriamo. Gli archeologi pensano che quei maestri artigiani utilizzassero strumenti semplici come un paletto di legno e una cordicella. Il sistema ingegnoso che idearono per calcolare angoli e dimensioni, era messo in pratica semplicemente fissando un palo nella terra e descrivendo delle circonferenze. Incrociando i cerchi si ottenevano le figure geometriche necessarie. Una riflessione molto interessante riguarda la spinta propulsiva che la costruzione di queste strutture ha fornito alla nascita della civiltà nuragica. Per realizzare le colossali imprese occorreva collegare e coordinare insieme tutta una serie di capacità contemporaneamente: la progettazione architettonica, l’organizzazione del lavoro, il supporto logistico, l’assistenza medica, il flusso dei materiali, l’amministrazione e tutto ciò che è collegato a questi settori. Tutto doveva funzionare in modo fluido perché i materiali e gli uomini dovevano arrivare al momento giusto nel posto giusto. La costruzione dei nuraghe si era trasformata in un modello imprenditoriale di immense proporzioni e complessità che richiedeva grandi capacità di gestione. È quella che gli esperti chiamano “intelligenza di governo”. Con questa impresa i sardi non costruirono soltanto
martedì 30 dicembre 2014
Archeologia Sperimentale oggi a Cagliari: fusione di un bronzetto e un pugnale dal vivo.
Stasera, ore 20, alla fiera di Cagliari, Fusione sotto le stelle.
Lo staff di Atlantide e l'Associazione "Sulle tracce di Dan" presentano un evento di archeologia sperimentale. Saranno realizzati un bronzetto nuragico e un pugnale. Rigorosamente dal vivo.
EVENTO PRIVATO SU INVITO
Per l'ingresso è richiesto il pass rilasciato alle liste di invitati.
ATLANTIDE 2015 PREVIEW w/
#AlchemyStage3D check & #ExperimentalArcheology
30 Dicembre - Start ore 20:00
Fiera di Cagliari - Pad. E
#AlchemyStage3D check & #ExperimentalArcheology
30 Dicembre - Start ore 20:00
Fiera di Cagliari - Pad. E
In attesa del grande evento del 31 dicembre, Atlantide Project apre le porte della Fiera di Cagliari ad amici, giornalisti e supporters, per una esclusiva Preview di quello che sará il grande show di capodanno, con una fantastica novitá grazie alla collaborazione con Andrea Loddo e Pierluigi Montalbano:
ARCHEOLOGIA SPERIMENTALE
Avete mai assistito alla creazione di un bronzetto nuragico?
La Fonderia Nuragica dell'associazione culturale Sulle Tracce di Dan di Andrea Loddo realizzerà in esclusiva per ATLANTIDE PROJECT due bronzetti ed un pugnale nuragico, con un'antichissima tecnica, quella che i Nuragici utilizzarono per lasciarci in eredità una moltitudine di reperti rinvenuti in tutta l'isola.
Un evento unico in cui le antiche tradizioni della nostra terra e le nuove influenze della musica elettronica si "fonderanno" in un innovativo esperimento di commistione culturale e musicale.
Avete mai assistito alla creazione di un bronzetto nuragico?
La Fonderia Nuragica dell'associazione culturale Sulle Tracce di Dan di Andrea Loddo realizzerà in esclusiva per ATLANTIDE PROJECT due bronzetti ed un pugnale nuragico, con un'antichissima tecnica, quella che i Nuragici utilizzarono per lasciarci in eredità una moltitudine di reperti rinvenuti in tutta l'isola.
Un evento unico in cui le antiche tradizioni della nostra terra e le nuove influenze della musica elettronica si "fonderanno" in un innovativo esperimento di commistione culturale e musicale.
Alle ore 20 vi aspettiamo per un doppio spettacolo:
Ore 20: apertura cancelli / Experimental Archeology starts
Ore 21:30 AlchemyStage3D check e dj-set di Federico Laria
Ore 21:30 AlchemyStage3D check e dj-set di Federico Laria
Archeologia: 39 lingotti di oricalco trovati nel mare di Gela
Archeologia:
39 lingotti di oricalco trovati nel mare di Gela
Trentanove luccicanti lingotti di Oricalco, una lega
metallica pregiata, composta da rame e zinco per realizzare oggetti di valore e
la coniazione di monete, risalenti al VI a.C., sono stati ritrovati dai sub
dell'associazione culturale Mare Nostrum, vicino al relitto della
terza nave arcaica scoperta tempo addietro. Ritrovata anche una macina in legno perfettamente
conservata e una statuetta ex voto raffigurante la Dea Demetra alta 30 centimetri. Sono rimasti sepolti negli strati
di sabbia a poche decine di metri dal litorale di contrada Bulala. Una zona
chiave che in passato ha restituito i relitti di ben tre navi arcaiche. Ma le
correnti e le mareggiate degli ultimi giorni hanno risvegliato il tesoro
dormiente. L'oricalco, simile al moderno ottone, anticamente era al terzo
posto per valore commerciale, dopo oro e argento. Secondo le analisi con fluorescenza
a raggi X (eseguite da Dario Panetta) ciascun esemplare è frutto di una lega di
metalli composta per l'80% di rame e per il 20% di zinco e realizzata con
tecniche avanzate. Un metallo legato al mito e alla storia, visto che
secondo Platone erano di Oricalco il muro dell'acropoli di Atlantide e la
colonna nel tempio di
lunedì 29 dicembre 2014
Trovata a Orvieto la testa del Dio degli Etruschi
Trovata a Orvieto la testa del Dio degli Etruschi
Trovata la testa del
Dio degli Etruschi, Voltumna, il capo delle divinità dell'antico popolo. Nuovi
eccezionali ritrovamenti archeologici a Orvieto nell'area del Fanum Voltumnae,
il grande e mitico santuario federale degli Etruschi risalente al VI a.C. Alla
luce anche il tempio principale e la strada sacra. Ne da notizia la direttrice
degli scavi, l'archeologa Simonetta Stopponi dell'Università di Perugia.
Insieme a un tempio
di grandi dimensioni, probabilmente il principale del Fanum, è venuta alla luce
una splendida testa maschile in terracotta in origine policroma, a grandezza
naturale e su base dello stesso materiale, che secondo i primi accertamenti
potrebbe identificarsi proprio con Voltumna, divinità suprema del pantheon
etrusco. Scoperto inoltre un tratto della via sacra che conduceva al tempio.
"La testa è molto bella e ben conservata - spiega la professoressa
Stopponi - Un ritrovamento importante così come quello del tempio che misura 12
metri per 18. Finora non sono state
domenica 28 dicembre 2014
Cartagine come Atlantide?
Cartagine
come Atlantide?
di
Luana Monti
Cartagine, la
città che sarà la più agguerrita rivale di Roma per la supremazia nel
Mediterraneo, nasce, secondo le fonti letterarie, intorno all'anno 814 a C.,
pochi decenni prima della sua antagonista (753 a.C.).
Il suo nome deriverebbe dal fenicio Qart Hadasht = Città Nuova ( l'equivalente del greco "Nea Polis"), ed i resti archeologici confermano la data di fondazione fornitaci dai testi.
Numerosi autori antichi (1) ci narrano la storia di Elissa (o Elishar), principessa fenicia della città di Tiro, figlia del re Belo, sposa del grande sacerdote Sicheo e sorella di Pigmalione. Questi, alla morte del padre, fece assassinare il cognato, timoroso che, grazie al suo prestigio ed alla sua ricchezza, prendesse il potere, e si insediò sul trono di Tiro come nuovo re. Elissa decise allora di fuggire e portò con se un largo seguito di persone: si recò prima a Cipro, poi giunse nell'Africa del Nord, nei pressi dell'odierna Tunisia. Qui trovò un territorio confacente all'insediamento ed ottenne il permesso di poter occupare tanta terra "taurino quantum possent circumdare tergo"(2), cioè "quanto ne poteva abbracciare una pelle di toro". La principessa non si perse d'animo e ricorrendo alla proverbiale astuzia degli orientali escogitò uno stratagemma: fece tagliare in tante strisce sottili la pelle di toro, le annodò l'una all'altra, ed ottenne una lunga striscia che le consentì di circondare un'area sufficientemente vasta: in questo modo nasce Cartagine.
Elissa poi, secondo l'uso fenicio, che prevedeva la fedelta
Il suo nome deriverebbe dal fenicio Qart Hadasht = Città Nuova ( l'equivalente del greco "Nea Polis"), ed i resti archeologici confermano la data di fondazione fornitaci dai testi.
Numerosi autori antichi (1) ci narrano la storia di Elissa (o Elishar), principessa fenicia della città di Tiro, figlia del re Belo, sposa del grande sacerdote Sicheo e sorella di Pigmalione. Questi, alla morte del padre, fece assassinare il cognato, timoroso che, grazie al suo prestigio ed alla sua ricchezza, prendesse il potere, e si insediò sul trono di Tiro come nuovo re. Elissa decise allora di fuggire e portò con se un largo seguito di persone: si recò prima a Cipro, poi giunse nell'Africa del Nord, nei pressi dell'odierna Tunisia. Qui trovò un territorio confacente all'insediamento ed ottenne il permesso di poter occupare tanta terra "taurino quantum possent circumdare tergo"(2), cioè "quanto ne poteva abbracciare una pelle di toro". La principessa non si perse d'animo e ricorrendo alla proverbiale astuzia degli orientali escogitò uno stratagemma: fece tagliare in tante strisce sottili la pelle di toro, le annodò l'una all'altra, ed ottenne una lunga striscia che le consentì di circondare un'area sufficientemente vasta: in questo modo nasce Cartagine.
Elissa poi, secondo l'uso fenicio, che prevedeva la fedelta
sabato 27 dicembre 2014
Una Pompei sommersa scoperta vicino a Delo, nelle Cicladi.
Una Pompei sommersa scoperta vicino a Delo, nelle
Cicladi.
Una "piccola Pompei
sottomarina". È questa l'incredibile scoperta fatta da uno staff di
archeologi della National Hellenic Research Foundation e dell'Eforato per le
Antichità Sommerse, che hanno trovato resti di un intero insediamento risalente
al I secolo a.C. nelle acque dell'isola di Delo, in Grecia.
Le rovine sommerse a circa 2
metri sotto il livello del mare non sono di un porto, come avevano inizialmente
pensato i ricercatori, ma di una vera e propria città simile nelle fattezze a
Pompei ed Ercolano, come hanno specificato dal Ministero della Cultura Greca.
Grosse pietre, colonne, vasi
di terracotta, e i resti di un forno gettano nuova luce sulla storia di Delo,
che è un luogo importante per la mitologia greca perché luogo di nascita del
dio Apollo e di sua sorella Artemide.
Delo, isola delle Cicladi settentrionali, nel Mar Egeo
meridionale, fu un centro culturale già nell’età cicladica e tardo-micenea: la
divinità venerata era nel II millennio a.C. una dea femminile della vegetazione
(Artemide), cui andò sostituendosi progressivamente, a partire dagli inizi del
I millennio, Apollo. Nell’orbita ateniese fin da epoche remote, dal 478 a.C.
per 25 anni fu il centro della lega delio-attica. Rimase poi sotto il
predominio ateniese fino alla morte di Alessandro Magno. Nel 314
entrò nella lega dei nesioti;
quando questa si sciolse dopo alcuni decenni, divenne repubblica autonoma
protetta dai re di Macedonia. Nel 166 a.C., vinto il re Perseo, fu restituita dai
Romani agli Ateniesi. Da allora, dichiarata porto franco, divenne magazzino e
mercato comune dei Greci e degli Italici, sia per la distruzione di Cartagine e di Corinto sia per la decadenza, voluta dai
Romani, di Rodi. Il suo sviluppo economico raggiunse l’apogeo fra il 100 e il
90, poi fu invasa e saccheggiata dai generali di Mitridate (88-86).
Scavi condotti dal 1873 da
archeologi francesi hanno portato alla luce tutto il centro monumentale. Il
porto antico, oggi insabbiato, fu sistemato con moli dall’arconte Teofrasto nel
150 a.C. Da esso partiva la Via delle Processioni che, fiancheggiata da
portici, giungeva ai propilei d’ingresso al sacro recinto di Apollo, di forma
trapezoidale, costituente il centro religioso dell’isola. La piazza lastricata,
un tempo arricchita da statue votive, è chiusa da portici e da templi. Al
centro si vedono i resti di tre templi: il primo, in tufo con pronao a quattro
colonne, risale al VI a.C.; il secondo, dorico, in marmo pario,
fu costruito dagli Ateniesi nel V a.C. e nella cella si custodì fino al 454 il
tesoro della lega delio-attica. Accanto i Deli innalzarono nel IV a.C. un altro
tempio, dorico, periptero, con colonne scanalate in marmo pario. La parte
settentrionale di Delo si svolgeva intorno al Lago Salato o Trocoide. Qui era
il quartiere degli affari con le sedi delle corporazioni o sinodi mercantili. A
Sud del santuario di Apollo si stende invece il maggior numero di abitazioni
private, ben conservate, con peristili, mosaici, stucchi, affreschi. Il
quartiere è sormontato dal teatro del III a.C.; più oltre ci sono vari santuari
di culti stranieri e salendo alla cima del colle Cinto si trova la grotta, sede
forse di un oracolo di Apollo.
Immagine del teatro di Delo di: http://www.sciretti.it/
venerdì 26 dicembre 2014
Archeologia. Scoperte 8 canoe dell'età del Bronzo.
Scoperte 8 canoe dell'età del Bronzo.
In Inghilterra, otto imbarcazioni dell’Età del Bronzo
recentemente scoperte sono state esposte per la prima volta nel sito di Flag
Fen, a Peterborough, dopo meticolosi lavori di conservazione.
Le barche di
legno – una delle quali potrebbe ancora navigare – furono individuate due anni fa presso il sito di Must Farm in quello che una volta era il letto
del fiume Nene. Gli archeologi sono ancora in attesa dei risultati della
datazione al carbonio 14, tuttavia alcune delle imbarcazioni dovrebbero
risalire al 1.600 a.C.
“Le Canoe erano una forma importante di
trasporto personale in epoca preistorica”, spiega Richard Darrah, uno dei
principali specialisti in barche antiche. “Oggi in Inghilterra sono rimasti
solo poche decine di esemplari, ma i reperti di Must Farm – 8 imbarcazioni in
appena 300 metri in un piccolo fiume – suggeriscono che devono esserne esistite
un gran numero”.
Le canoe sono
state accuratamente rimosse dal sito e collocate in una unità refrigerata dove
saranno irrorate con una speciale cera protettiva. “Stiamo mantenendo le barche
umide e al freddo per mantenerle così come sono”, ha detto Ian Panter,
soprintendente dello York Archaeological Trust. “Non c’è alcuna attività biologica
che deteriora il legno”.
Pare inoltre che
le barche furono abbandonate nel fiume. “Penso che siano state affondate
intenzionalmente, ma non sappiamo perché”, dice Panter.
giovedì 25 dicembre 2014
La storia del Natale.
La
storia del Natale
E’ il giorno in
cui i cristiani celebrano la nascita di Gesù Cristo, venuto al mondo in una
stalla di Betlemme, in Palestina. Con il Natale, la religione cristiana propone
due riflessioni sulla vita: la nascita del Bambino e l’amore materno della Vergine
Maria.
Christus natus
est nobis. Venite adoremus:
«Cristo è nato per noi. Venite ad adorarlo». Questo è l’annuncio del Natale e
il suo senso più profondo, infatti è il giorno in cui si ricorda che il
creatore e signore del Cielo e della Terra si è fatto uomo tra gli uomini a
favore di tutta l’umanità. La religione cristiana vede questo momento come l’evento
fondativo per la nascita della Chiesa.
La celebrazione
del Natale è solenne e dura otto giorni. Dal 25 dicembre, giorno in cui si
tengono ben tre messe natalizie, una a mezzanotte, una la mattina presto e una
durante il giorno, fino al primo gennaio, giorno interamente dedicato a Maria, Madre
di Dio.
Il Natale come
lo celebriamo oggi nasce a Roma nei primi decenni del Trecento. Da allora si è diffuso
in tutto il mondo e oggi è una delle ricorrenze che toccano più in profondità
il sentimento dei popoli. Attorno alla liturgia religiosa è nata e si sono
diffusi riti e abitudini popolari che danno un significato particolare ai
giorni che precedono e che seguono il 25 dicembre (giorni di vacanza dal lavoro
e dalla scuola).
Anzitutto si
vuole che il periodo natalizio sia un periodo di bontà e di riconciliazione.
Questo sia nelle piccole vicende familiari che nelle grandi questioni storiche;
persino le guerre si sono quasi sempre fermate, almeno per qualche ora, in
occasione del Natale. Nasce da ciò il fatto che durante il Natale gli adulti si
scambiano bigliettini d’auguri e doni di ogni sorta, mentre ai bambini che sono
stati buoni provvede il sempre molto atteso Babbo Natale.
Il questo clima
mercoledì 24 dicembre 2014
Sardis, Sardegna, Sartene, Sarteano, Sardagna
Sardis, Sardegna, Sartene, Sarteano, Sardagna
di Massimo Pittau
Il nome della nostra
isola Sardegna risulta strettamente collegato a quello di altre località
molto distanti fra loro, ma la cui stretta connessione linguistica è molto
significativa ai fini di una importante tesi storiografica che vado sostenendo
da anni. I toponimi in questione sono i seguenti: Sardis in Asia Minore,
Sardinia la nostra isola, Sartena in Corsica, Sarteano in
Toscana, Sardagna presso Trento.
Sardis o Sardeis era la capitale della Lidia,
vasta regione e importante stato gravitante nella costa centro-occidentale
dell'Asia Minore od Anatolia e bagnata dal Mare Egeo. La grande città
costituiva il capolinea di importanti vie commerciali dell'Asia Minore,
compresa la “strada regia” che la collegava con la Mesopotamia e con la
Persia<1>.
Il toponimo Sárd(e)is,
in lingua lidia propriamente Śfard-, etnico Śfarda-etn, probabilmente significava «anno» oppure
«solstizio» e ciò in onore del dio Sole adorato dai Lidi, con una denominazione
dunque teoforica o referente a una divinità<2>.
In un anonimo commento
del dialogo “Timeo” di Platone viene riportata la notizia secondo cui,
attraverso il nome di una leggendaria donna Sardō,
l'isola di Sardegna avrebbe derivato
la sua denominazione appunto da Sárd(e)is,
capitale della Lidia<3>.
Sul piano linguistico
il toponimo Sárd(e)is era connesso a questi
altri toponimi dell'Asia Minore: Sardénē (nella
Misia), Sardēssós e Sardemisus
(nella Licia).
Nella lingua greca il
nome della nostra isola era Sardó, Sardõnē, Sardõnia, Sardanía, Sardẽnia e l'aggettivo etnico era Sardó(o)s,
Sardánios, Sardianós, Sardónios e il sostantivo Sardáioi,
Serdáioi.
L'odierno nome della
Sardegna deriva chiaramente da quello latino Sardinia e trova come
odierne connessionei i toponimi protosardi o paleosardi Sárdara (OR), Sardasái
(2: Esterzili, Seui); Sardagiulái, Sardan(n)uttu, Sardasè
(Desulo), Sardajara (Nurri), Sardòri (2: Teulada, Villacidro), Serdiana
(CA), Serdis (2: Escovedu, Uras), riu Sardinu (Olmedo).
Sartena, Sartene è il nome di un villaggio della Corsica
meridionale, in una zona nella quale si trovano notevoli resti della cosiddetta
“civiltà torreana”, così chiamata
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martedì 23 dicembre 2014
Mont'e Prama, mancano i fondi, nel sito sospesa la guardiania notturna.
Mont'e Prama, mancano i fondi,
nel sito sospesa la guardiania notturna
Secondo il quotidiano "Unione Sarda" di oggi, archeologi e
studiosi sono in ferie e durante la sospensione per le vacanze di Natale il sito
dei Giganti è a rischio tombaroli.
Pare che non ci siano più fondi disponibili, pertanto il sito risulta sprovvisto di sorveglianza.
Eppure,
per l'archeologo della Soprintendenza Alessandro Usai, non c'è nulla da
temere. Lo specialista avrebbe dichiarato che nell'area di scavo non c'è alcun tipo di reperto perché le
tombe che sono state aperte negli scavi sono state tutte ricoperte.
Premesso che qualunque sito archeologico è sempre a rischio tombaroli, e che qualunque scavo ricoperto è facilmente individuabile da un occhio esperto come quello dei cercatori clandestini, mi chiedo dove sono finite le parole propagandistiche della barracciu e di pigliaru (le maiuscole bisogna meritarle), e dove sono con la testa cappellacci, pili e compagnia cantante che non perdono occasione per salire sul carro della visibilità a qualunque costo.
E' stato individuato un sito archeologico di importanza mondiale, un luogo nel quale la Civiltà Nuragica (questa volta maiuscolo) ha mostrato i muscoli sistemando decine di sculture a grandezza naturale, armate fino ai denti ma in pose religiosamente rispettose verso l'ideologia del sito (un cimitero). I nuragici vollero fortemente enfatizzare la loro potenza, i loro eroi, le loro capacità artistiche, e lo fecero imprimendo nella pietra, un materiale eterno, una serie di simboli che oggi stentiamo a capire. Armi, vestiario, pose, piccoli nuraghi, betili...aumentano considerevolmente il prestigio di quelle famiglie sepolte nella necropoli, e i guardiani giganti sono lì che ci osservano con gli occhi ben aperti. E' imbarazzante vedere che i personaggi che dovrebbero amministrarci sono totalmente disinteressati a ciò che rappresentano quelle sculture ma sono sempre pronti a mostrarsi in tv per propagandare fumo. Mi vergognerei fossi in loro...ma ormai ci hanno abituati.
Villa Laura a Tuvixeddu, un pezzo di storia di Cagliari che si rischia di perdere.
Villa Laura a Tuvixeddu, un pezzo di storia di Cagliari che si
rischia di perdere.
di Federica Lai
Villa Laura, l’edificio
liberty all’ingresso di Tuvixeddu cade a pezzi, addio anche alle palme
sterminate dal punteruolo rosso. Nel 2008 la Regione, guidata dall’allora
presidente Soru, aveva acquistato la struttura, costruita all’inizio del
Novecento, per quasi 2 milioni di euro con l’intenzione di trasformarla nella
porta del parco archeologico. Ma da allora è tutto ancora fermo, e Villa
Laura, nella quale è racchiuso un pezzo di storia di Cagliari, cerca giorno
dopo giorno di resistere al degrado. Il monumento è stato oggetto di
sopralluoghi anche da parte del Comune, ma al momento non esiste nessun
progetto di restauro, che vista l’imponenza della struttura comporterebbe dei
lavori piuttosto onerosi. Al momento la Regione ha attivato solo un servizio di
vigilanza 24 ore su 24, ma la struttura si trova in evidente stato di
abbandono: i cornicioni stanno cadendo a pezzi, le palme sono state sterminate
dal punteruolo rosso, e all’interno della struttura regnano topi e pulci. La
storia di Villa Laura. La struttura è stata progettata dall’ingegnere Giuseppe
Manunza, e costruita nel 1907. Era
la residenza di campagna di Carlotta Lai, che la intitolò alla figlia, Laura
appunto. E poi ci
sono i sotterranei scavati nella roccia in epoca punica, utilizzati come
cantina e come rifugio nell'ultima guerra.
Antonio Martis aggiunge:
Fonte: http://www.castedduonline.it/
Doveva essere l'ingresso del paradiso
ambientale prossimo venturo, Tuvixeddu. Per ora è il regno dei topi, dei
rampicanti che minacciano le statue, l'umidità nemica di pareti e finestre.
Villa Laura è un angolo di storia cittadina perduto, la sua facciata ocra
domina viale Nel quartiere Sant'Avendrace, è ultima villa di campagna
superstite a Cagliari. L’ambizioso progetto di Soru è rimasto inchiodato al
palo tra polemiche e carta bollata. Il retro dà sulle pendici del colle
di Tuvixeddu, terra di nessuno, popolato da sbandati, senzatetto in eterna
caccia di un riparo. Nell'ultimo anno ci sono stati almeno quattro tentativi di
insediamento abusivo, sventati dai vigilantes. Custodi di buona volontà che
possono fare ben poco contro un'invasione più subdola: pulci e topi ospiti in
pianta stabile perfino nel tronco delle due maestose palme che si intravedono
oltre il muro in viale Sant'Avendrace.
Chi oltrepassa il cancelletto si trova davanti il lato sinistro del giardino dove si intravede tra i rovi la sbarra che regge la carrucola del pozzo ricoperto di sterpi. Su quello destro una nicchia costruita con pietre marine con una Madonnina. C'è un secondo giardino, realizzato su un terrazzamento e protetto da un'inferriata: al centro una fontana di marmo. Sul vialetto d'accesso che immette alla scalinata d'ingresso resiste ancora qualche puttino, statuine neoclassiche che nei tempi di massimo splendore ornavano la scenografia del luogo. È anche conosciuta come villa Cossu-Murru, dal nome degli ultimi proprietari: il medico Didaco Cossu, pioniere della radiologia a Cagliari e la moglie Laura Murru, insegnante di liceo e allieva di Ludovico Geymonat (matematico e storico della filosofia). Dell'antico splendore restano le ombre lasciate dai quadri e qualche tenda. L'edificio conta tre piani: il primo ospitava da una parte le cucine, dall'altro l'ambulatorio. Il secondo, il piano nobile, si affaccia sulla terrazza con le statue sulla balaustra che si intravede dal viale. Un ultimo piano con i segni evidenti sulle pareti lasciati dagli adolescenti degli ultimi affittuari. Sul retro c'è un'altra costruzione, quella della servitù: un corpo separato, inagibile per il cedimento di una parte della copertura.
Una porticina nella prima rampa di scale apre ai sotterranei scavati nella roccia in epoca punica. Sono stati utilizzati come cantina e come rifugio nell'ultima guerra. Dall'ingresso si dipartono due diramazioni sbarrate dopo una ventina di metri. La voce popolare dice che una finisce nella grotta della Vipera. Si notano le nicchie delle tombe puniche, perfino ossa umane trovate nei vari rimaneggiamenti. Le segrete di Villa Laura sono da scoprire.
Chi oltrepassa il cancelletto si trova davanti il lato sinistro del giardino dove si intravede tra i rovi la sbarra che regge la carrucola del pozzo ricoperto di sterpi. Su quello destro una nicchia costruita con pietre marine con una Madonnina. C'è un secondo giardino, realizzato su un terrazzamento e protetto da un'inferriata: al centro una fontana di marmo. Sul vialetto d'accesso che immette alla scalinata d'ingresso resiste ancora qualche puttino, statuine neoclassiche che nei tempi di massimo splendore ornavano la scenografia del luogo. È anche conosciuta come villa Cossu-Murru, dal nome degli ultimi proprietari: il medico Didaco Cossu, pioniere della radiologia a Cagliari e la moglie Laura Murru, insegnante di liceo e allieva di Ludovico Geymonat (matematico e storico della filosofia). Dell'antico splendore restano le ombre lasciate dai quadri e qualche tenda. L'edificio conta tre piani: il primo ospitava da una parte le cucine, dall'altro l'ambulatorio. Il secondo, il piano nobile, si affaccia sulla terrazza con le statue sulla balaustra che si intravede dal viale. Un ultimo piano con i segni evidenti sulle pareti lasciati dagli adolescenti degli ultimi affittuari. Sul retro c'è un'altra costruzione, quella della servitù: un corpo separato, inagibile per il cedimento di una parte della copertura.
Una porticina nella prima rampa di scale apre ai sotterranei scavati nella roccia in epoca punica. Sono stati utilizzati come cantina e come rifugio nell'ultima guerra. Dall'ingresso si dipartono due diramazioni sbarrate dopo una ventina di metri. La voce popolare dice che una finisce nella grotta della Vipera. Si notano le nicchie delle tombe puniche, perfino ossa umane trovate nei vari rimaneggiamenti. Le segrete di Villa Laura sono da scoprire.
Foto di http://static.panoramio.com/
lunedì 22 dicembre 2014
Archeologia in Sardegna. Le città dei nuragici: Serra Orrios, la nascita della città-mercato
Le città dei nuragici: Serra Orrios, la nascita della città-mercato
di Pierluigi Montalbano
Domenica 21 dicembre 2014, in occasione del solstizio d'inverno, ho visitato un sito archeologico a pochi km da Dorgali e Oliena. Si tratta del villaggio di Serra Orrios, nell’altopiano del Gollei, un luogo ideale per capire il grado di organizzazione delle genti nuragiche. L’abitato, che contava qualche centinaio di abitanti, ci regala un agglomerato urbano con oltre 70 capanne in basalto, costruite con muri irregolari realizzati a secco, raggruppate in isolati serviti da stradine e piazzette dove trovano sistemazione anche una serie di pozzi e cisterne per la comunità. Sono presenti anche due aree sacre caratterizzate, ciascuna, dalla presenza di un tempietto rettangolare a megaron con cella longitudinale. La prima area sacra è separata dall'abitato da un recinto circolare, nel quale si apre l'ingresso dell'abitato, mentre la seconda si trova all'interno del villaggio, separata dalle abitazioni da un temenos (recinto sacro) rettangolare.
Il villaggio fu scavato da Doro Levi nel 1936-1939, ma i diari di scavo sono andati persi e con loro, forse, qualche reperto di pregio finito nelle mani di collezionisti senza scrupoli. Gli isolati di capanne gravitano su un cortile nel quale si conservano i resti di pozzi e cisterne. Questo piano urbanistico, attestato intorno al 1000 a.C. è documentato in altri villaggi nuragici, e costituisce la fase di evoluzione architettonica quando i nuragici decisero di non costruire più le alte torri che caratterizzavano il periodo precedente. A suggerire
di Pierluigi Montalbano
Domenica 21 dicembre 2014, in occasione del solstizio d'inverno, ho visitato un sito archeologico a pochi km da Dorgali e Oliena. Si tratta del villaggio di Serra Orrios, nell’altopiano del Gollei, un luogo ideale per capire il grado di organizzazione delle genti nuragiche. L’abitato, che contava qualche centinaio di abitanti, ci regala un agglomerato urbano con oltre 70 capanne in basalto, costruite con muri irregolari realizzati a secco, raggruppate in isolati serviti da stradine e piazzette dove trovano sistemazione anche una serie di pozzi e cisterne per la comunità. Sono presenti anche due aree sacre caratterizzate, ciascuna, dalla presenza di un tempietto rettangolare a megaron con cella longitudinale. La prima area sacra è separata dall'abitato da un recinto circolare, nel quale si apre l'ingresso dell'abitato, mentre la seconda si trova all'interno del villaggio, separata dalle abitazioni da un temenos (recinto sacro) rettangolare.
Il villaggio fu scavato da Doro Levi nel 1936-1939, ma i diari di scavo sono andati persi e con loro, forse, qualche reperto di pregio finito nelle mani di collezionisti senza scrupoli. Gli isolati di capanne gravitano su un cortile nel quale si conservano i resti di pozzi e cisterne. Questo piano urbanistico, attestato intorno al 1000 a.C. è documentato in altri villaggi nuragici, e costituisce la fase di evoluzione architettonica quando i nuragici decisero di non costruire più le alte torri che caratterizzavano il periodo precedente. A suggerire
domenica 21 dicembre 2014
Archeologia. Il Tempio di Antas è quello del Sardus Pater?
Il tempio di Antas è quello del Sardus Pater?
di Pierluigi Montalbano
È uno dei monumenti antichi più importanti della Sardegna. Normalmente i grandi edifici di culto si trovano all’interno dei centri urbani rilevanti, come avviene a Tharros, Cagliari e Nora. In questo caso abbiamo una struttura monumentale in età punica e romana edificata in un territorio non legato ad una città ma alle sue risorse economiche di natura mineraria, infatti l’area in cui sorge era anticamente importante per lo sfruttamento delle miniere. Il tempio di Antas ha avuto una storia lunga e travagliata fino agli anni Sessanta perché il tempio del Sardus Pater era noto dalle fonti classiche, in particolare del geografo greco Tolomeo, ma non si era ancora riusciti ad individuarlo con precisione. A partire dal Cinquecento, e fino alla metà del Novecento, ci sono stati vari studiosi che hanno proposto varie ipotesi per identificare questo tempio del Sardus Pater noto dalle fonti. Alcuni lo collocavano a Capo Pecora in base alle distanze fra i siti e le città elencate nelle fonti, ma l’ipotesi che più ha preso piede è quella che lo vedeva collocato a Capo Frasca. Già nel Seicento un geografo olandese, Filippo Cluverio, proponeva questa teoria che venne portata avanti nei secoli, tanto che anche il canonico Spano, fondatore dell’archeologia sarda, collocava il tempio del Sardus Pater a Capo Frasca, in particolare in località San Giorgio dove aveva individuato una struttura alla quale aveva attribuito la funzione di tempio. Negli anni Cinquanta Lilliu dimostrò che non si trattava del tempio del Sardus Pater ma di una villa marittima romana. Il generale Alberto Ferrero La Marmora nella prima metà dell’Ottocento collocava ancora a Capo Frasca il tempio del Sardus Pater per il ritrovamento a Neapolis, nel territorio di Guspini, di una pietra miliare frammentata di una strada romana che riportava una parte di iscrizione nella quale si leggeva “ELLUM” e si pensò che fosse la parte terminale di “Sacellum”, ma si scoprì in seguito che si trattava di “Usellum”, quindi l’indicazione di una strada che portava verso l’interno. Sono pochi gli studiosi che hanno messo in dubbio questa ipotesi che andava avanti da secoli e contemporaneamente a questa diatriba sulla localizzazione del tempio del Sardus Pater si conosceva già quello della valle di Antas, ma si pensava fosse un tempio monumentale romano. Nel 1838 La Marmora visitò la valle e realizzò un disegno per l’occasione. Era completamente in rovina e, fra le poche strutture che emergevano nella vegetazione, alcune conservavano iscrizioni. Il La Marmora diede incarico ad uno dei più importanti architetti di Cagliari, Gaetano Cima, di fare il rilievo di questo tempio e corredarlo con un’ipotesi di ricostruzione. All’epoca il tempio fu attribuito a Metalla, una città romana nota dalle fonti.
Negli anni Cinquanta, una studentessa dell’università cagliaritana scavò un altro frammento dell’epistilio e questo ritrovamento accelerò l’indagine e aumentò l’interesse per il sito. Nel 1966 sono stati fatti dei lavori di sistemazione della strada che conduceva nell’area venne trovata una tabella con un’iscrizione romana che dava un’indicazione precisa: veniva nominato il Sardo Patri nell’area di Antas. L’iscrizione fu subito pubblicata da Piero Meloni, uno dei più esperti studiosi di storia romana e epigrafia che capì l’importanza del manufatto. Lo scavo che aprì
di Pierluigi Montalbano
È uno dei monumenti antichi più importanti della Sardegna. Normalmente i grandi edifici di culto si trovano all’interno dei centri urbani rilevanti, come avviene a Tharros, Cagliari e Nora. In questo caso abbiamo una struttura monumentale in età punica e romana edificata in un territorio non legato ad una città ma alle sue risorse economiche di natura mineraria, infatti l’area in cui sorge era anticamente importante per lo sfruttamento delle miniere. Il tempio di Antas ha avuto una storia lunga e travagliata fino agli anni Sessanta perché il tempio del Sardus Pater era noto dalle fonti classiche, in particolare del geografo greco Tolomeo, ma non si era ancora riusciti ad individuarlo con precisione. A partire dal Cinquecento, e fino alla metà del Novecento, ci sono stati vari studiosi che hanno proposto varie ipotesi per identificare questo tempio del Sardus Pater noto dalle fonti. Alcuni lo collocavano a Capo Pecora in base alle distanze fra i siti e le città elencate nelle fonti, ma l’ipotesi che più ha preso piede è quella che lo vedeva collocato a Capo Frasca. Già nel Seicento un geografo olandese, Filippo Cluverio, proponeva questa teoria che venne portata avanti nei secoli, tanto che anche il canonico Spano, fondatore dell’archeologia sarda, collocava il tempio del Sardus Pater a Capo Frasca, in particolare in località San Giorgio dove aveva individuato una struttura alla quale aveva attribuito la funzione di tempio. Negli anni Cinquanta Lilliu dimostrò che non si trattava del tempio del Sardus Pater ma di una villa marittima romana. Il generale Alberto Ferrero La Marmora nella prima metà dell’Ottocento collocava ancora a Capo Frasca il tempio del Sardus Pater per il ritrovamento a Neapolis, nel territorio di Guspini, di una pietra miliare frammentata di una strada romana che riportava una parte di iscrizione nella quale si leggeva “ELLUM” e si pensò che fosse la parte terminale di “Sacellum”, ma si scoprì in seguito che si trattava di “Usellum”, quindi l’indicazione di una strada che portava verso l’interno. Sono pochi gli studiosi che hanno messo in dubbio questa ipotesi che andava avanti da secoli e contemporaneamente a questa diatriba sulla localizzazione del tempio del Sardus Pater si conosceva già quello della valle di Antas, ma si pensava fosse un tempio monumentale romano. Nel 1838 La Marmora visitò la valle e realizzò un disegno per l’occasione. Era completamente in rovina e, fra le poche strutture che emergevano nella vegetazione, alcune conservavano iscrizioni. Il La Marmora diede incarico ad uno dei più importanti architetti di Cagliari, Gaetano Cima, di fare il rilievo di questo tempio e corredarlo con un’ipotesi di ricostruzione. All’epoca il tempio fu attribuito a Metalla, una città romana nota dalle fonti.
Negli anni Cinquanta, una studentessa dell’università cagliaritana scavò un altro frammento dell’epistilio e questo ritrovamento accelerò l’indagine e aumentò l’interesse per il sito. Nel 1966 sono stati fatti dei lavori di sistemazione della strada che conduceva nell’area venne trovata una tabella con un’iscrizione romana che dava un’indicazione precisa: veniva nominato il Sardo Patri nell’area di Antas. L’iscrizione fu subito pubblicata da Piero Meloni, uno dei più esperti studiosi di storia romana e epigrafia che capì l’importanza del manufatto. Lo scavo che aprì
sabato 20 dicembre 2014
Il pozzo di Santa Cristina, osservatorio lunare
Il pozzo di Santa Cristina, osservatorio lunare
di Mauro Peppino Zedda
Pochi anni fa è stato presentato in Sardegna il libro di Arnold Lebeuf, “Il pozzo di Santa Cristina, osservatorio lunare”.
Un’opera che, tra le altre cose, cerca di dimostrare come il Santa Cristina fosse un osservatorio astronomico a carattere lunare, uno strumento attraverso il quale i suoi costruttori osservavano e registravano i moti della luna al fine di prevedere le eclissi.
Fino ad oggi era noto che il rapporto base altezza della cupola del pozzo, è caratterizzato da una geometria architettonica che coincide con buona approssimazione con una geometria astronomica. In altre parole, la linea passante tra il punto nord della base della cupola e il foro apicale forma un angolo (rispetto alla verticale) coincidente con l’angolo che caratterizza punto in cui la luna attraversa il meridiano nel giorno del lunistizio maggiore settentrionale.
Lebeuf nella sua opera si è preso la briga di capire la precisione dell’orientamento astronomico in questione, concludendo che se il pozzo fosse stato costruito attorno al mille a.C. (cioè riferendosi ai dati astronomici che caratterizzano la luna in quell’epoca) la precisione dell’orientamento sarebbe pari a più o meno 3 primi (un ventesimo di grado).
Considerando che siamo in una fase (di un ciclo millenario) dove l’altezza della Luna al lunistizio maggiore settentrionale si abbassa di 2 primi ogni 300 anni, è facile dedurre che l’orientamento mostra una precisione sbalorditiva. I costruttori sono stati capaci di una precisione assoluta, sbalorditiva!
Un’approssimazione di 1 grado attesterebbe comunque un significato astronomico del pozzo!
Lebeuf oltre a rilevare la precisione con cui il rapporto base altezza della cupola si rapporta all’altezza della Luna al momento del suo passaggio in meridiano nel lunistizio maggiore settentrionale, ha messo in luce che un filare dei cerchi di pietre isodome (dei 22 che compongono la cupola), spesso una volta e mezzo quelli che lo precedono, marca con estrema precisione il lunistizio medio!
La marcatura estremamente precisa del lunistizio medio, unitamente al maggiore e la presenza di una scala graduata (i filari di pietra presenti tra i due identici l’uno all’altro), induce Lebeuf a ritenere che il pozzo fosse uno strumento astronomico, uno strumento tecnologico in grado di fare osservazioni accurate dei moti lunari, tali da permettere a chi lo utilizzava di poter prevedere le eclissi.
Dunque attraverso l’accurato lavoro di Lebeuf il pozzo di Santa Cristina entra a far parte del patrimonio mondiale della storia della scienza, che si aggiunge all’essere un patrimonio mondiale dell’architettura e dell’astronomia.
Durante le presentazioni del libro di Lebeuf, archeologi e appassionati hanno riproposto alcuni dei luoghi comuni che circolano negli ottusi ambienti degli archeologi sardi a proposito degli argomenti che ostano ad una interpretazione astronomica del monumento.
Eccoli :
1) nel pozzo non poteva entrare la luce lunare perché, sopra il foro della cupola vi era un’altra struttura;
2) il pozzo si riempiva d’acqua e, dunque, non permetteva di fare le osservazioni;
3) la datazione del pozzo (per alcuni il pozzo risalirebbe al 1300 a.C. , invece che al 1000.);
4) il pozzo sarebbe stato ricostruito da Enrico Atzeni;
5) il pozzo sarebbe stato ricostruito dai romani in epoca più tarda.
Qualcuno ha definito queste obiezioni come delle spade di Damocle che inficiano la proposta di Lebeuf, sarebbe meglio definirle come le sciocchezze degli archeologi sardi, che invece di guardare la Luna continuano a guardare il dito.
L’archeologo che sostiene che i romani si sarebbero presi la briga di restaurare il pozzo adeguandosi stilisticamente allo stile dei costruttori, dovrebbe riprendere gli studi, dalle elementari ovviamente!
Poi vi è la schiera di coloro che mettono in dubbio la parola di Enrico Atzeni, che afferma che sulla cupola si è limitato a rimettere in opera uno (comunque sia originale) dei due conci che formano l’occulus. Su questi sarebbe meglio stendere un velo pietoso. Enrico Atzeni sarà pure un pessimo archeologo , ma non penso che sia bugiardo. Il restauro ha interessato la rampa e non la cupola.
Che sopra la cupola vi fosse un’altra struttura è possibile, ma non è certo, e sicuramente non avrebbe impedito alla luce della luna di penetrare l’occulus della cupola.
La datazione del pozzo al 1300 a.C. invece che al 1000, renderebbe ancor più preciso l’orientamento del pozzo con le fasi lunari.
A questo proposito si specifica che anche una approssimazione di 10 primi invece dei 3 riscontrati non invaliderebbe la proposta che il pozzo fosse un osservatorio, un’approssimazione maggiore (sino ad 1 grado) non inficerebbe il significato astronomico, ma in tal caso dovrebbe essere inteso come simbolico.
Altri sostengono che il pozzo si riempiva d’acqua e dunque era impossibile fare osservazioni astronomiche. Nella conferenza di Cagliari l’ing. Ambrogio Atzeni, che con l’archeologo Enrico Atzeni, diresse gli scavi e il restauro, ha detto che nella parte basale del pozzo vi erano delle aperture che facevano pensare che vi fosse già in origine una conduttura per tenere basso il livello dell’acqua. Anche senza la testimonianza dell’ing. Ambrogio Atzeni, conoscendo i condotti idraulici presenti in alcuni nuraghi (Arrubiu di Orroli, Santu Antine di Torralba) e in altri pozzi sacri, ci vuole poca immaginazione e solo buon senso per ipotizzare che nel Santa Cristina vi fosse un sistema di drenaggio.
Ma anche supponendo che non vi fosse il pozzo poteva essere svuotato anche manualmente, con dei secchi, quando si dovevano fare le osservazioni.
Quello che è certo e che nel secondo millennio a.C. la luce della Luna passante per l’occulus, quando ricorreva il lunistizio maggiore settentrionale, nel momento del suo passaggio in meridiano, sarebbe andata a cadere in fondo al pozzo, perfettamente, sottolineo perfettamente, tangente alla parete nord. Quattro anni e mezzo prima e quattro anni e mezzo dopo , cioè nel lunistizio medio la luce della luna si sarebbe fermata in uno speciale filare, prettamente riconoscibile tra i 22 che caratterizzano la cupola, un filare spesso una volta e mezzo gli altri.
Secondo Lebeuf il pozzo di Santa Cristina permetteva di conoscere con estrema precisione i tempi dei lunistizi medi e del lunistizio maggiore, una conoscenza che permetteva agli astronomi o astronome (che praticavano anche l’astrologia, beninteso) che operavano nel Santa Cristina di poter prevedere le eclissi.
Di fronte ad un manufatto perfettamente concepito in sintonia con i cicli lunari, è curioso notare l’atteggiamento di coloro che pur di negare l’evidenza ed affrontare la vergogna di essere responsabili di quarant’anni di ritardi nella acquisizione del significato astronomico del pozzo di Santa Cristina, propongono delle sciocche obiezioni, ad una tesi che pone il pozzo di Santa Cristina come un’opera di cui stanno discutendo gli storici della scienza.
Se prima dello studio di Lebeuf sapevamo che il pozzo di Santa Cristina era patrimonio mondiale dell’architettura e dell’astronomia, ora lo è anche della storia della scienza.
Fonte: www.archeologianuragica.blogspot.it
venerdì 19 dicembre 2014
Civiltà nuragica a Cagliari e Orosei. Doppio evento con i bronzetti nuragici.
Cagliari. Venerdì 19 Dicembre, ore 18.00. Civiltà nuragica: I
miti nei bronzetti sardi.
Atlantide Project - Rock House, Corso Vittorio Emanuele 56.
Ingresso libero.
Relatori: Dott. Riccardo Laria e Prof. Pierluigi Montalbano
Miti, leggende e rituali della Sardegna arcaica saranno
raccontati, con l’ausilio di immagini, attraverso un percorso di ricostruzione
storica che pone i bronzetti nuragici al centro delle tradizioni sarde.
Atlantide Project è un progetto che dal 2013 coinvolge diverse associazioni e organizzazioni del panorama culturale della Sardegna, spaziando dall'organizzazione di eventi alla promozione e divulgazione della cultura.
L'obiettivo è di contribuire a divulgare consapevolezza e conoscenza del patrimonio culturale, archeologico e ancestrale dell'Isola, soprattutto tra i giovani, avvicinandoli a tali tematiche tramite l'azione dell'Eduteinment, ossia mixando Education (educazione) ed Enterteinment (Intrattenimento, spettacolarizzazione). Atlantide Project non intende sostenere nessuna tesi e nessun ricercatore in particolare. Vuole stimolare, avvicinare e coinvolgere attraverso eventi dedicati a tutti coloro che amano la Sardegna e vogliono vivere da vicino la Storia e il Mito che l'hanno contraddistinta fin dalle origini.
Il culmine del progetto sarà la notte di Capodanno, con il grande evento Atlantide 2015 presso la Fiera di Cagliari.
Un evento spettacolare, con guests di fama mondiale, in una scenografia imponente ispirata al Mito della Sardegna e all'Alchimia.
Atlantide Project è un progetto che dal 2013 coinvolge diverse associazioni e organizzazioni del panorama culturale della Sardegna, spaziando dall'organizzazione di eventi alla promozione e divulgazione della cultura.
L'obiettivo è di contribuire a divulgare consapevolezza e conoscenza del patrimonio culturale, archeologico e ancestrale dell'Isola, soprattutto tra i giovani, avvicinandoli a tali tematiche tramite l'azione dell'Eduteinment, ossia mixando Education (educazione) ed Enterteinment (Intrattenimento, spettacolarizzazione). Atlantide Project non intende sostenere nessuna tesi e nessun ricercatore in particolare. Vuole stimolare, avvicinare e coinvolgere attraverso eventi dedicati a tutti coloro che amano la Sardegna e vogliono vivere da vicino la Storia e il Mito che l'hanno contraddistinta fin dalle origini.
Il culmine del progetto sarà la notte di Capodanno, con il grande evento Atlantide 2015 presso la Fiera di Cagliari.
Un evento spettacolare, con guests di fama mondiale, in una scenografia imponente ispirata al Mito della Sardegna e all'Alchimia.
Orosei. Sabato 20 Dicembre, ore 17.00. Civiltà nuragica: Fusione
di un bronzetto in piazza.
La sacerdotessa realizzata in cera d'api, pronta per la fusione di Sabato sera.
SA CORTE E SOS AMMENTOS, Ingresso libero.
Un evento
organizzato dalle attività commerciali del territorio di Orosei, con il
Patrocinio del Comune di Orosei e la Confesercenti Nuoro – Ogliastra.
Avrà luogo il 20 dicembre 2014 dalle 17.00 all’interno del cortile di Sant’Antonio.
La manifestazione inizierà nel primo pomeriggio con lo spettacolo dell’Associazione Sulle Tracce di Dan intitolato “Fusioni sotto le Stelle”. La performance avrà la durata di circa tre ore e consisterà nella sperimentazione di una serie di tecniche arcaiche di lavorazione e fusione a cera persa di una lega di metalli (bronzo). Saranno utilizzati gli stessi attrezzi utilizzati 3000 anni fa dagli artigiani nuragici. Il momento magico sarà quello in cui il bronzo fuso sarà colato in uno stampo e darà vita a un bronzetto nuragico: la sacerdotessa di Teti. I maestri realizzeranno anche un pugnale di matrice nuragica. In tre ore sarà ripercorsa la storia dell'arte delle antiche genti di Sardegna, il tutto sotto la attenta direzione del prof. Pierluigi Montalbano che racconterà le fasi della lavorazione. Le sapienti mani del maestro fusore Andrea Loddo regaleranno al pubblico l’emozione dell’alchimia: dal metallo liquido alla scultura bronzea della divinità.
A seguire ci sarà il concerto di Piero Marras e l’esibizione di alcuni gruppi musicali:
Gruppo Folk Santu Jacu;
Gruppo Concordu di Orosei;
Trio Giangiacomo Rosu, Pierpaolo Piredda e Ignazio Piredda che suoneranno Trunfa, Launeddas, Triangolo e Tamburello Sardo.
All’interno del cortile saranno allestiti alcuni stand per la vendita di Bibite, Vino, Birra e panini caldi.
Avrà luogo il 20 dicembre 2014 dalle 17.00 all’interno del cortile di Sant’Antonio.
La manifestazione inizierà nel primo pomeriggio con lo spettacolo dell’Associazione Sulle Tracce di Dan intitolato “Fusioni sotto le Stelle”. La performance avrà la durata di circa tre ore e consisterà nella sperimentazione di una serie di tecniche arcaiche di lavorazione e fusione a cera persa di una lega di metalli (bronzo). Saranno utilizzati gli stessi attrezzi utilizzati 3000 anni fa dagli artigiani nuragici. Il momento magico sarà quello in cui il bronzo fuso sarà colato in uno stampo e darà vita a un bronzetto nuragico: la sacerdotessa di Teti. I maestri realizzeranno anche un pugnale di matrice nuragica. In tre ore sarà ripercorsa la storia dell'arte delle antiche genti di Sardegna, il tutto sotto la attenta direzione del prof. Pierluigi Montalbano che racconterà le fasi della lavorazione. Le sapienti mani del maestro fusore Andrea Loddo regaleranno al pubblico l’emozione dell’alchimia: dal metallo liquido alla scultura bronzea della divinità.
A seguire ci sarà il concerto di Piero Marras e l’esibizione di alcuni gruppi musicali:
Gruppo Folk Santu Jacu;
Gruppo Concordu di Orosei;
Trio Giangiacomo Rosu, Pierpaolo Piredda e Ignazio Piredda che suoneranno Trunfa, Launeddas, Triangolo e Tamburello Sardo.
All’interno del cortile saranno allestiti alcuni stand per la vendita di Bibite, Vino, Birra e panini caldi.
giovedì 18 dicembre 2014
Gli antichi giochi delle nostre tradizioni popolari.
Gli antichi giochi delle nostre tradizioni popolari.
Chissà quanti di voi hanno preso parte almeno una volta da ragazzi a questi antichi giochi:
CHIE T'HAT PUNTU?
Questo gioco si faceva in gruppo e si svolgeva così: uno si sedeva su una sedia e tappava gli occhi ad un altro. Uno del gruppo Io pizzicavo e tornava al suo posto. Quello che era seduto chiedeva: "Chie t'ha puntu?" e l'altro rispondeva: "s'alza" "Puite?" "Po ti sanare" "Attindela po ti curare".
Quello che era inchinato andava in mezzo al gruppo e ne sceglieva
MUSCONE
Anche questo era un gioco di gruppo. Uno appoggiava una mano sul viso e l'altra sotto la spalla. Uno del gruppo, stando dietro, dava un colpo alla mano nascosta sotto l'ascella; siccome il protagonista doveva indovinare da chi aveva ricevuto il colpo, quelli del gruppo gli giravano attorno e con l'indice sollevato facevano il moscone. Se indovinava chi era stato, si scambiavano i ruoli, diversamente restava ancora lui nell'angolo con la faccia coperta.
GARIGI
A garigi si giocava con "sas laddarasa" (la pallina poteva essere di vetro o di terracotta fatta appositamente), e si svolgeva così: si faceva un buco nella terra. A turno si lanciava una pallina cercando di farla entrare nel buco; se uno ci riusciva guadagnava tre punti. Dopo passava la mano al compagno, il quale cercava di avvicinare la pallina all'altra "ceddare". Se c'erano tre palmi di differenza si guadagnavano altri
Chissà quanti di voi hanno preso parte almeno una volta da ragazzi a questi antichi giochi:
CHIE T'HAT PUNTU?
Questo gioco si faceva in gruppo e si svolgeva così: uno si sedeva su una sedia e tappava gli occhi ad un altro. Uno del gruppo Io pizzicavo e tornava al suo posto. Quello che era seduto chiedeva: "Chie t'ha puntu?" e l'altro rispondeva: "s'alza" "Puite?" "Po ti sanare" "Attindela po ti curare".
Quello che era inchinato andava in mezzo al gruppo e ne sceglieva
MUSCONE
Anche questo era un gioco di gruppo. Uno appoggiava una mano sul viso e l'altra sotto la spalla. Uno del gruppo, stando dietro, dava un colpo alla mano nascosta sotto l'ascella; siccome il protagonista doveva indovinare da chi aveva ricevuto il colpo, quelli del gruppo gli giravano attorno e con l'indice sollevato facevano il moscone. Se indovinava chi era stato, si scambiavano i ruoli, diversamente restava ancora lui nell'angolo con la faccia coperta.
GARIGI
A garigi si giocava con "sas laddarasa" (la pallina poteva essere di vetro o di terracotta fatta appositamente), e si svolgeva così: si faceva un buco nella terra. A turno si lanciava una pallina cercando di farla entrare nel buco; se uno ci riusciva guadagnava tre punti. Dopo passava la mano al compagno, il quale cercava di avvicinare la pallina all'altra "ceddare". Se c'erano tre palmi di differenza si guadagnavano altri
mercoledì 17 dicembre 2014
Videocorso di archeologia, quarta lezione: Dalla pietra al rame, la cultura del vaso campaniforme
Videocorso di archeologia, quarta lezione: Dalla pietra al rame, la cultura del vaso campaniforme
Università di Quartu Sant'Elena
Riprese di Fabrizio Cannas
Relatore Pierluigi Montalbano
Il corso dell'anno accademico 2014/2015 si svolge nell'aula magna dell'Università di Quartu Sant'Elena, in Viale Colombo 169.
Con la collaborazione dell'istituto, del videomaker Fabrizio Cannas e del docente, Pierluigi Montalbano, saranno offerte sul canale Youtube tutte le lezioni di archeologia previste nel programma. L'accesso è libero e gratuito.
I lettori sono invitati a proporre suggerimenti per migliorare la fruibilità o altre caratteristiche.
Se qualcuno fosse interessato a collaborare, ad esempio inserendo i sottotitoli in inglese, sarebbe il benvenuto. Per visionare le lezioni è sufficiente cliccare sul link sotto.
Buon ascolto e buona visione.
2° Lezione: scavo, stratigrafia, fonti e materiali
3° Lezione: Le prime civiltà del Mediterraneo
4° Lezione: Dall'età della pietra all'età dei metalli
Università di Quartu Sant'Elena
Riprese di Fabrizio Cannas
Relatore Pierluigi Montalbano
Il corso dell'anno accademico 2014/2015 si svolge nell'aula magna dell'Università di Quartu Sant'Elena, in Viale Colombo 169.
Con la collaborazione dell'istituto, del videomaker Fabrizio Cannas e del docente, Pierluigi Montalbano, saranno offerte sul canale Youtube tutte le lezioni di archeologia previste nel programma. L'accesso è libero e gratuito.
I lettori sono invitati a proporre suggerimenti per migliorare la fruibilità o altre caratteristiche.
Se qualcuno fosse interessato a collaborare, ad esempio inserendo i sottotitoli in inglese, sarebbe il benvenuto. Per visionare le lezioni è sufficiente cliccare sul link sotto.
Buon ascolto e buona visione.
2° Lezione: scavo, stratigrafia, fonti e materiali
3° Lezione: Le prime civiltà del Mediterraneo
4° Lezione: Dall'età della pietra all'età dei metalli
martedì 16 dicembre 2014
Gesù sposò Maddalena: non è Dan Brown, ma un codice del 570 d.C. Scritto in siriaco su pergamena sarà presentato domani alla British Library.
Gesù sposò Maddalena: non è Dan Brown, ma un codice
del 570 d.C.
Scritto in siriaco su pergamena sarà
presentato domani alla British Library
di Vittorio Sabadin
Un altro tassello fortifica la ancora
traballante tesi che Maria Maddalena fosse la moglie di Gesù e la madre dei
suoi figli. Un libro scritto nel 570 in siriaco su pergamena, e ora custodito
alla British Library, racconta una storia diversa da quella dei quattro Vangeli
canonici, molto più vicina - come si è affrettata a ironizzare la Chiesa
d’Inghilterra - al Codice da Vinci di Dan Brown. Ma il numero
di antichi documenti che conferma questa tesi continua a crescere, e decine di
seri studiosi vi si stanno dedicando senza pregiudizi. Domani la stessa British
Library terrà una conferenza stampa, e si conosceranno altri dettagli.
Il libro proviene da un monastero egizio
ed era stato acquistato nel 1847 dal British Museum. Probabilmente si tratta di
una traduzione dall’aramaico di un testo più antico. Redatto in 29 capitoli,
racconta la storia di Joseph, un giovane molto noto all’epoca, conosciuto
dall’imperatore Tiberio e dal faraone d’Egitto (forse Natakamani), che lo
considerava figlio di Dio. A 20 anni Joseph va in sposo ad Aseneth, che gli dà
due figli: Manasseh ed Ephraim. Simcha Jacobovici, giornalista investigativo
israeliano che scrive anche sul New York Times, e Barrie Wilson,
professore di ricerche religiose a Toronto, hanno studiato per sei anni il
manoscritto e raccolto le loro deduzioni nel libro The Lost Gospel,
il vangelo perduto.
In una delle prime pagine dell’antico
testo il misterioso
Convegni e dibattiti. Archeoastronomia in Sardegna.
Cagliari, Biblioteca Universitaria, Giovedì 18 Dicembre, ore 09.30
Archeoastronomia e turismo culturale.
Relatori: Paolo Littarru, Mauro Peppino Zedda, Franco Laner, Augusto Mulas, Nicola Manca, Armando Serri, Daniele Congiu
Meana Sardo, Salone San Bartolomeo, Venerdì 19 Dicembre ore 17.00
Nuraghi, icona del cosmo.
Relatori: Paolo Littarru, Mauro Peppino Zedda, Franco Laner, Augusto Mulas
Thiesi, sala Aligi Sassu, sabato 20 Dicembre, ore 17.00
Archeoastronomia e turismo culturale.
Relatori: Paolo Littarru, Mauro Peppino Zedda, Franco Laner, Augusto Mulas, Nicola Manca, Armando Serri, Daniele Congiu
Meana Sardo, Salone San Bartolomeo, Venerdì 19 Dicembre ore 17.00
Nuraghi, icona del cosmo.
Relatori: Paolo Littarru, Mauro Peppino Zedda, Franco Laner, Augusto Mulas
Thiesi, sala Aligi Sassu, sabato 20 Dicembre, ore 17.00
Ore 17.10 Paolo
Littarru: Handbook of Archaeoastronomy and Ethnoastronomy
Ore 17,30 A.Mulas e M. Sanna: Analisi della disposizione del Santu Antine e dei nuraghi circonvicini
Ore 17.50 Mauro Peppino Zedda: Il significato astronomico del nuraghe Santu Antine
Ore 18.10 Franco Laner: Funzione, simbolo e costruzione dei nuraghi
Isili, Centro sociale, Domenica 21 Dicembre, ore 09.20
Astronomia nuragica
Relatore: Efisio Santi
Ore 17,30 A.Mulas e M. Sanna: Analisi della disposizione del Santu Antine e dei nuraghi circonvicini
Ore 17.50 Mauro Peppino Zedda: Il significato astronomico del nuraghe Santu Antine
Ore 18.10 Franco Laner: Funzione, simbolo e costruzione dei nuraghi
Isili, Centro sociale, Domenica 21 Dicembre, ore 09.20
Astronomia nuragica
Relatore: Efisio Santi
lunedì 15 dicembre 2014
Dieci bufale della storia da sfatare.
Dieci bufale della storia da sfatare.
di Stefano Borroni, Giulio Garlaschi, Giulia
Battistotti e Nicole Manfredda
Il mondo, come sappiamo, è pieno di luoghi
comuni ed anche la storia presenta credenze errate frutto spesso di
messaggi veicolati dagli stessi organi d’informazione e dalle scuole. Scopriamo
insieme le principali bufale.
1- Nel Medioevo si credeva che la terra fosse
piatta. FALSO
I primi studi sulla sfericità della terra risalgono
addirittura all’epoca dell’antica Grecia; Eratostene già nel
III secolo a.C. si avvalse di questo concetto per misurare la
circonferenza della Terra (con un approssimazione sorprendente per quei
tempi!).Tale concezione rimase data per assodata sia nell’epoca dell’impero
romano e del medioevo. Anche sant’Agostino, seppure rifiutasse l’idea che
l’altra parte del globo fosse abitata, accettava l’idea di sfericità. Solo
pochi intellettuali negavano tale concezione credendola contraria alle
sacre scritture. L’idea che i medievali credessero nella terra piatta si deve
al libro di Washington Irving “La vita ed i viaggi di Cristoforo
Colombo” in cui l’autore sostenne questa tesi entrata poi
nell’immaginario collettivo.
2 – le statue e i templi dei greci e degli antichi
romani erano bianche – FALSO
L’idea che i monumenti dell’epoca antica fossero
bianchi deriva dal Rinascimento. Durante la riscoperta delle opere classiche
infatti, gli artisti non poterono osservare i colori che migliaia di anni prima
ornavano le strutture e le statue antiche. Per questo riprodussero copie
bianche, quando in realtà greci e romani usavano colori spesso molto sgargianti
e vivaci. Rosso, giallo, ma anche tonalità molto più vive e che oggi potremmo
definire “Kitsch”. Gli studi effettuati fino ad oggi hanno permesso in alcuni
casi infatti di risalire alla colorazione orginaria dei monumenti e di
ricostruire la loro originaria bellezza.
3- Einstein non eccelleva a scuola – FALSO
Vi è una tendenza diffusa a credere che Albert
Einstein non brillasse negli studi; in realtà non è così. Il futuro scienziato
erano considerato il primo della classe e si distinse molto presto per la sua
capacità nel risolvere problemi di matematica. Fu bocciato
domenica 14 dicembre 2014
Archeologia, video della terza lezione: Le prime civiltà del Mediterraneo
Videocorso di archeologia, terza lezione: Le prime civiltà del Mediterraneo
Università di Quartu Sant'Elena
Riprese di Fabrizio Cannas
Relatore Pierluigi Montalbano
Il corso dell'anno accademico 2014/2015 si svolge nell'aula magna dell'Università di Quartu Sant'Elena, in Viale Colombo 169.
Con la collaborazione dell'istituto, del videomaker Fabrizio Cannas e del docente, Pierluigi Montalbano, saranno offerte sul canale Youtube tutte le lezioni di archeologia previste nel programma. L'accesso è libero e gratuito.
I lettori sono invitati a proporre suggerimenti per migliorare la fruibilità o altre caratteristiche.
Se qualcuno fosse interessato a collaborare, ad esempio inserendo i sottotitoli in inglese, sarebbe il benvenuto. Per visionare le lezioni è sufficiente cliccare sul link sotto.
Buon ascolto.
2° Lezione: scavo, stratigrafia, fonti e materiali
3° Lezione: Le prime civiltà del Mediterraneo
Università di Quartu Sant'Elena
Riprese di Fabrizio Cannas
Relatore Pierluigi Montalbano
Il corso dell'anno accademico 2014/2015 si svolge nell'aula magna dell'Università di Quartu Sant'Elena, in Viale Colombo 169.
Con la collaborazione dell'istituto, del videomaker Fabrizio Cannas e del docente, Pierluigi Montalbano, saranno offerte sul canale Youtube tutte le lezioni di archeologia previste nel programma. L'accesso è libero e gratuito.
I lettori sono invitati a proporre suggerimenti per migliorare la fruibilità o altre caratteristiche.
Se qualcuno fosse interessato a collaborare, ad esempio inserendo i sottotitoli in inglese, sarebbe il benvenuto. Per visionare le lezioni è sufficiente cliccare sul link sotto.
Buon ascolto.
2° Lezione: scavo, stratigrafia, fonti e materiali
3° Lezione: Le prime civiltà del Mediterraneo
sabato 13 dicembre 2014
La Luna e lo schema dell’anno, il numero sette e la Menorah
La Luna e lo schema dell’anno, il numero sette e la Menorah
di Donatello Orgiu
Preambolo
Il numero sette e la Menorah ebraica,
elementi simbolo nella Bibbia, hanno suscitato infiniti studi di specialisti. Lo scienziato Ivan Panin, ha dedicato l’intera
vita a studiare la presenza del “sette” nella Bibbia. Dopo
50 anni di meticolosi calcoli lo studioso russo segnalò una straordinaria
struttura matematica nascosta sia nel testo greco del Nuovo Testamento sia in
quello ebraico dell’Antico Testamento. Sorprendente nel suo studio fu la costatazione della frequenza con cui il numero sette e
i suoi multipli ricorrono nella Bibbia: solo nell’Apocalisse di Giovanni il
numero è citato decine di volte. Com’è noto, questo numero ha una particolare valenza
sacrale in numerose culture
e non è detto che all’origine di una tale sacralità del numero ci sia la medesima
motivazione. Anzi, è probabile che elementi diversi, accomunati da questo
numero, abbiano contribuito a costituire quello che è considerato il numero
sacro per eccellenza.
Per esempio, il cosmo babilonese è concepito da sette cieli (le orbite-sfere su cui “si muovono” il Sole, la Luna e i cinque pianeti allora conosciuti); anche la ben nota
costellazione del Gran Carro è composta da sette stelle.
In una recente pubblicazione1 ho
ipotizzato che l’utilizzo del numero sette in ambito mito- logico e religioso risieda nella
rappresentazione dell’anno, inteso quale periodo
di rinnovo della natura,
misurato con la Luna. Ciò spiegherebbe sia la grande importanza e diffusione
avuta dal numero, sia i contesti in cui è presente.
Nella Preistoria sarda il ricorso al numero sette è
testimoniato in tempi che precedono le speculazioni mesopotamiche sui
sette cieli planetari.
Rimando al fatto che in diverse domus de janas è presente la riproduzione del tetto a due
falde “strutturato” spesso con sette travetti per falda. Certo, non si può essere certi dell’intenzionalità, ma l’alta frequenza della casistica sostiene
l’ipotesi. Se ciò fosse assodato, avremmo un utilizzo cultuale
del numero “sette contrapposto” fin
dal Neolitico finale. Come accennato sopra, la Bibbia attribuisce una straordinaria importanza a questo numero e credo che la spiegazione di tanta importanza sia la Bibbia
stessa a suggerirla: “6 Dio disse:
«Sia un firmamento in mezzo alle acque per separare le
acque dalle acque».7 Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il
firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento. E così avvenne
8 Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina:
secon- do giorno.” (Genesi 1, 6.8)
Al quarto giorno:“14 Disse poi Dio: «Si facciano
dei luminari nel firmamento celeste, e dividano il giorno dalla notte e contrassegnino le stagioni,
e i giorni e gli anni 15 sicché risplendano
nel firmamento celeste,
e illuminino la terra».
Così fu fatto
16 E fece Dio due luminari
grandi: il luminare più grande, che presiedesse al giorno, e il luminare
più piccolo, che presiedesse la
notte; e le stelle. 17 E le pose nel firmamento celeste, perché lucessero sopra, 18presiedessero al giorno
e alla notte, e dividessero la luce dalle tenebre.” (Genesi 1, 14.18)
Per gli autori
della Bibbia il Sole
è dunque un grande luminare, mentre la Luna è invece
un piccolo luminare: è su questa ultima definizione della Luna che vorrei proporre
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